MA SI PUÒ PREMIARE IL PARTIGIANO ASSASSINO?
di Mauro Suttora
Oggi, 29 giugno 2016
Siete pronti per la prossima battaglia di Schio? Domenica 10 luglio, come ogni anno, pagheremo gli straordinari a decine di celerini e carabinieri. Si piazzeranno fra neofascisti e militanti dei centri sociali, per evitare che si scontrino nel centro di questa altrimenti tranquilla cittadina di 40mila abitanti, la terza più grande in provincia di Vicenza.
Tutti a ricordare la strage del 6 luglio 1945, quando nella notte un commando di partigiani della brigata Garibaldi (comunisti) penetrò nel carcere e ammazzò 54 dei 99 detenuti.
Il motivo? Erano fascisti, oppure parenti di fascisti. Quattordici donne, la più giovane aveva 16 anni. Alcune erano figlie di criminali di guerra, arrestate e tenute in ostaggio solo per spingere i padri a costituirsi. Alcuni erano innocenti.
«Il sangue a rivoli fluisce dalle scale fin sulla strada, fra l’orrore dei primi che accorrono», racconta lo storico Silvio Bertoldi.
La Seconda guerra mondiale era finita da due mesi, ma le vendette private e pubbliche proseguivano in quella prima estate di pace. Un capitolo imbarazzante della nostra storia, sottaciuto fino ai libri di Gianpaolo Pansa che una dozzina di anni fa fecero luce sul “sangue dei vinti”.
Pagato questo tributo alla verità, ristabilito l’equilibrio storico su vicende che per mezzo secolo erano state raccontate dal punto di vista dei vincitori, si pensava che il tempo delle recriminazioni fosse scaduto. Anche per motivi fisiologici: dopo 70 anni, perfino i più giovani protagonisti di quella guerra sono quasi tutti scomparsi.
«La verità solo dopo la mia morte»
E invece no. Perché per il 70esimo anniversario della Repubblica (2 giugno 1946) il ministero della Difesa ha deciso di onorare con una medaglia tutti i partigiani viventi che finora non ne hanno mai ricevute. In provincia di Vicenza sono 84. E fra questi c’è anche il 93enne Valentino Bortoloso, nome di battaglia “Teppa”.
A maggio Bortoloso riceve la medaglia nel salone della prefettura di Vicenza. Ma qualcuno ricorda il suo nome, e scoppia il caso. Teppa, infatti, fu condannato a morte da un tribunale militare alleato per la strage di Schio. Pena commutata in ergastolo, e poi amnistiata nel 1955.
Bortoloso oggi non vuol parlare di quelle vicende: «Ho scritto tutto in un documento che potrà essere aperto solo dopo la mia morte». Il sindaco di Schio è imbarazzato. Nel 2005 proprio qui venne siglato un “patto della concordia” per riconciliare i superstiti e i familiari delle vittime dopo 60 anni. Ma la ferita è stata riaperta dall’onoreficenza per Bortoloso.
Prima della strage a Schio ci furono altri episodi trucidi. Un partigiano, Giacomo Bagotto, fu torturato dalle Brigate nere fasciste, che gli cavarono gli occhi e lo sotterrarono ancora vivo. Poi la strage di Pedescala (Valdastico), un paese vicino: il 30 aprile 1945 i partigiani attaccarono un convoglio tedesco diretto al Brennero. Vennero uccisi sei soldati. Per rappresaglia i nazisti ammazzarono 83 civili.
Gli americani volevano liberare tutti i fascisti?
La guerra finì, ma la voglia di vendetta rimaneva. A inizio luglio a Schio si sparse la voce che gli americani volessero liberare dei fascisti detenuti nel carcere. Quindi i partigiani pensarono di farsi giustizia da sé. Poi si giustificarono dicendo che un fascista incarcerato aveva una pistola, e che avrebbe iniziato lui il conflitto a fuoco che portò alla carneficina.
Tutti orrori risvegliati 71 anni dopo, e rinfocolati da estremisti di destra e di sinistra che si apprestano a confrontarsi di nuovo in piazza il 10 luglio.
Mauro Suttora
di Mauro Suttora
Oggi, 29 giugno 2016
Siete pronti per la prossima battaglia di Schio? Domenica 10 luglio, come ogni anno, pagheremo gli straordinari a decine di celerini e carabinieri. Si piazzeranno fra neofascisti e militanti dei centri sociali, per evitare che si scontrino nel centro di questa altrimenti tranquilla cittadina di 40mila abitanti, la terza più grande in provincia di Vicenza.
Tutti a ricordare la strage del 6 luglio 1945, quando nella notte un commando di partigiani della brigata Garibaldi (comunisti) penetrò nel carcere e ammazzò 54 dei 99 detenuti.
Il motivo? Erano fascisti, oppure parenti di fascisti. Quattordici donne, la più giovane aveva 16 anni. Alcune erano figlie di criminali di guerra, arrestate e tenute in ostaggio solo per spingere i padri a costituirsi. Alcuni erano innocenti.
«Il sangue a rivoli fluisce dalle scale fin sulla strada, fra l’orrore dei primi che accorrono», racconta lo storico Silvio Bertoldi.
La Seconda guerra mondiale era finita da due mesi, ma le vendette private e pubbliche proseguivano in quella prima estate di pace. Un capitolo imbarazzante della nostra storia, sottaciuto fino ai libri di Gianpaolo Pansa che una dozzina di anni fa fecero luce sul “sangue dei vinti”.
Pagato questo tributo alla verità, ristabilito l’equilibrio storico su vicende che per mezzo secolo erano state raccontate dal punto di vista dei vincitori, si pensava che il tempo delle recriminazioni fosse scaduto. Anche per motivi fisiologici: dopo 70 anni, perfino i più giovani protagonisti di quella guerra sono quasi tutti scomparsi.
«La verità solo dopo la mia morte»
E invece no. Perché per il 70esimo anniversario della Repubblica (2 giugno 1946) il ministero della Difesa ha deciso di onorare con una medaglia tutti i partigiani viventi che finora non ne hanno mai ricevute. In provincia di Vicenza sono 84. E fra questi c’è anche il 93enne Valentino Bortoloso, nome di battaglia “Teppa”.
A maggio Bortoloso riceve la medaglia nel salone della prefettura di Vicenza. Ma qualcuno ricorda il suo nome, e scoppia il caso. Teppa, infatti, fu condannato a morte da un tribunale militare alleato per la strage di Schio. Pena commutata in ergastolo, e poi amnistiata nel 1955.
Bortoloso oggi non vuol parlare di quelle vicende: «Ho scritto tutto in un documento che potrà essere aperto solo dopo la mia morte». Il sindaco di Schio è imbarazzato. Nel 2005 proprio qui venne siglato un “patto della concordia” per riconciliare i superstiti e i familiari delle vittime dopo 60 anni. Ma la ferita è stata riaperta dall’onoreficenza per Bortoloso.
Prima della strage a Schio ci furono altri episodi trucidi. Un partigiano, Giacomo Bagotto, fu torturato dalle Brigate nere fasciste, che gli cavarono gli occhi e lo sotterrarono ancora vivo. Poi la strage di Pedescala (Valdastico), un paese vicino: il 30 aprile 1945 i partigiani attaccarono un convoglio tedesco diretto al Brennero. Vennero uccisi sei soldati. Per rappresaglia i nazisti ammazzarono 83 civili.
Gli americani volevano liberare tutti i fascisti?
La guerra finì, ma la voglia di vendetta rimaneva. A inizio luglio a Schio si sparse la voce che gli americani volessero liberare dei fascisti detenuti nel carcere. Quindi i partigiani pensarono di farsi giustizia da sé. Poi si giustificarono dicendo che un fascista incarcerato aveva una pistola, e che avrebbe iniziato lui il conflitto a fuoco che portò alla carneficina.
Tutti orrori risvegliati 71 anni dopo, e rinfocolati da estremisti di destra e di sinistra che si apprestano a confrontarsi di nuovo in piazza il 10 luglio.
Mauro Suttora
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