I CITTADINI CHE LOTTANO PER LA SALUTE E CONTRO GLI SPRECHI
Treni, gasdotti, petrolio, trattati, radar: in tutta Italia nascono comitati spontanei contro qualsiasi cosa. Spesso con buone ragioni, ma anche con qualche isteria
Oggi, 2 settembre 2015
di Mauro Suttora
Battono perfino Matteo Renzi: il 25 agosto all’Aquila il premier ha dovuto fare marcia indietro per evitare 300 noTriv che manifestavano contro le trivelle per la ricerca di gas e petrolio nell’Adriatico. In sua assenza, scontri con la polizia: tre feriti.
Estate relativamente tranquilla invece per i noTav in val Susa: dopo le epiche battaglie nei boschi degli anni scorsi, gli autonomi hanno rinunciato ad attaccare i cantieri del Treno alta velocità Torino-Lione (solo una schermaglia il 5 settembre con 8 arresti).
Anche i noTap hanno avuto meno fortuna del 2014: questa volta all’annuale Notte della taranta di Melpignano (Lecce) nessun artista ha sventolato dal palco la bandiera contro il Trans Adriatic Pipeline, che dovrebbe trasportare gas dal mar Caspio all’Europa via Puglia.
Quanto ai noMuos, aspettano entro settembre la sentenza del tribunale amministrativo d’appello di Palermo, che deciderà la sorte del Mobile user objective system, grande radar statunitense a Niscemi (Caltanissetta).
NoTav, noTap, no Triv, noMuos. E poi noTtip (Transatlantic trade and investment partnership), noToem (Tangenziale ovest esterna Milano), no alle centrali eoliche e geotermiche, ai canali Expo, alle navi che a Venezia passano davanti a piazza San Marco, alla base militare Usa Dal Molin di Vicenza, agli aerei F35, al nuovo traforo del Brennero, alle ferrovie veloci.
Tutta Italia è invasa da contestatori di nuove opere pubbliche giudicate dannose per la salute o troppo costose. Ma è sempre così? Vediamo.
TAV. Da vent’anni gli autonomi si battono contro la ferrovia Torino-Lione. Ora però sono nati comitati anche contro le linee Milano-Genova e Milano-Venezia. E contro la nuova galleria del Brennero, che nel 2026 sarà la più lunga del mondo: 63 km.
Il successo dell’Alta velocità Torino-Milano-Bologna-Firenze-Roma-Napoli-Salerno, però, dimostra la bontà del trasporto ferroviario, meno inquinante di auto e aerei. Certo, sono opere costose. E gli appalti statali in Italia sono sempre funestati da tangenti. Ma non si può rinunciare al progresso per colpa dei ladri.
Obiettano gli oppositori della Milano-Venezia: «L’Alta velocità farebbe risparmiar tempo solo se unisse direttamente le due città, senza fermate intermedie a Brescia, Verona, Vicenza e Padova. Così come il Milano-Bologna non si ferma a Piacenza, Parma, Reggio Emilia e Modena. Ma i passeggeri in Veneto vanno soprattutto in città vicine, troppo vicine per dare ai treni il tempo di raggiungere l’alta velocità fra l’una e l’altra».
TAP. Il Trans adriatic pipeline porterà il gas dal mar Caspio all’Europa via Turchia-Grecia-Albania-Puglia. Senza passare dalla Russia, quindi evitando i ricatti di Putin. Il tubo sottomarino approderà a San Foca (Lecce), e i contrari temono l’impatto ambientale. Visivo, perché non c’è mai stata una fuga letale da un gasdotto di quel tipo.
«Al massimo l’acqua diventa gasata», scherza qualcuno. Gli abitanti locali temono per il turismo, ma la società del Tap mostra una spiaggia a Ibiza dove nessuno si accorge di un impianto simile.
TRIV. Pare che nell’Adriatico ci siano giacimenti non indifferenti di gas e petrolio. Da mezzo secolo sono attive piattaforme al largo di Romagna e Molise, nessuno si è mai lamentato.
Ora la Croazia si è lanciata nell’esplorazione, e poiché i giacimenti non rispettano i confini marittimi, c’è il rischio che vengano sfruttati solo da loro.
Il decreto Sblocca Italia ha assegnato alcune licenze di trivellaggio (anche per il metano in terraferma, come a Zibido a sud di Milano), e ora la fantasia popolare immagina fiotti di petrolio che inquineranno l’Adriatico.
Tutti pensano al disastro nel Golfo del Messico cinque anni fa.
Il gioco vale la candela? Le statistiche dicono che le perdite dalle piattaforme sono rarissime: in Europa solo una in Norvegia, con 4mila tonnellate di greggio versato in mare. Quantità infinitesimale a rispetto alle centinaia di migliaia di tonnellate dei disastri di ogni petroliera: Haven (Genova 1991), Exxon Valdez, Amoco Cadiz.
MUOS. Il Mobile user objective system è un enorme padellone delle campagne vicino a Niscemi (Caltanissetta). Gli abitanti temono radiazioni nocive. In realtà è un radar che fa volare gli aerei militari Usa sul Mediterraneo.
Gli americani, stufi per le proteste («Volete chiudere i radar di tutti gli aeroporti?»), minacciano di trasferirsi in Tunisia. Sembra una replica della fobia per i ripetitori dei telefonini quindici anni fa.
TTIP. Fa venire il mal di testa solo dirlo: Transatlantic trade and investment partnership. È un trattato di libero scambio fra Europa e Stati Uniti. Cadranno le tariffe doganali, sarà più facile importare ed esportare.
Gli ecologisti temono i cibi americani con gli Ogm (Organismi geneticamente modificati), dei quali però nessun scienziato ha dimostrato la pericolosità.
I produttori di alimenti italiani, invece, sono felici di esportare negli Usa senza le barriere che ora li ostacolano.
TOEM. La Tangenziale ovest esterna Milano rovinerà ettari di verde nel Parco Sud. Rischia di fare la fine delle nuove autostrade BreBeMi (Brescia-Bergamo-Milano) e Tem (Tangenziale Est Milano): semivuote. I pendolari preferiscono migliorare i treni. O mettere una quarta corsia sull’attuale Tangenziale Ovest.
EOLICO. Su tutto il crinale appenninico, da Alessandria alla Sicilia, negli ultimi 25 anni si sono moltiplicati altissimi mulini a vento. I parchi eolici hanno un forte impatto visivo e le loro pale uccidono gli uccelli. Ma stanno in zone poco abitate, quindi le proteste non sono forti.
GEOTERMIA. Sul Monte Amiata (Siena), nei Campi Flegrei (Napoli) e a Castel Giorgio (Terni) vengono contestati anche gli impianti che sfruttano quest’energia, nonostante sia rinnovabile e non inquinante come il vento.
F35. I costosissimi aerei da guerra made in Usa subiscono le proteste degli ex oppositori pacifisti alle due guerre del Golfo e della lotta (persa) contro l’ampliamento della base Usa Dal Molin a Vicenza. Si saldano così (anche contro il Muos) gli antiamericanismi di comunisti, autonomi e cattolici di sinistra.
Mauro Suttora
Wednesday, September 09, 2015
Wednesday, September 02, 2015
Ritratto indiscreto di Melania Trump
Sorprese: la moglie del candidato repubblicano alla Casa bianca ha posato nuda. Bella, determinata, disinibita, Melania Knauss scalda già i motori per le presidenziali
AMERICANI, SARO' LA VOSTRA FIRST LADY!
Fra 14 mesi si vota. Il miliardario Donald Trump guida i sondaggi. Sua moglie, ex modella slovena, prima di sposarsi fece qualche peccatuccio fotografico
New York, 26 agosto 2015
di Mauro Suttora
Sarebbe la First lady più bella della storia. Nessuno rimpiangerebbe più Jacqueline Kennedy o Carla Bruni. Se suo marito Donald Trump, 69 anni, diventasse presidente degli Stati Uniti, Melania Knauss, 45 anni, sarebbe anche la prima first lady degli Stati Uniti ad aver posato nuda. Non la prima al mondo: Carla Bruni l’ha anticipata nel 1993.
Poi, essendo slovena, sarebbe la prima inquilina della Casa Bianca a non parlare inglese dalla nascita. Non la prima straniera: John Quincy Adams, presidente nel 1825, era marito di una britannica.
Melania è nata nel 1970 a cento chilometri dall’Italia in un paesino di 5 mila abitanti sul fiume Sava, nella Jugoslavia comunista. E arriva a Milano nel 1988 con mamma Amalia, che la spinge a fare la modella (prima sfilata a 5 anni).
Figlia di un austriaco, arriva a Milano. Il padre, Victor Knavs, è austriaco e lavora in una concessionaria d’auto. Il cognome cambia quando lei, in carriera, vuole sembrare più tedesca (come Claudia Schiffer e Heidi Klum).
Dopo la facoltà di Architettura a Lubiana, l’educata e timida Melania viene ingaggiata dal milanese Paolo Zampolli, che con la sua agenzia di modelle la porta a New York.
«Era seria, molto professionale. Le piaceva starsene a casa, non era una party girl», ricorda Zampolli. «Il suo viso dominava Times Square in una pubblicità della Camel, ma lei andava solo al lavoro e in palestra».
Nel 1998 in una festa di Zampolli al Kit Kat Club durante la Fashion Week newyorchese incontra Trump, che dopo Ivana (pure lei ex modella slava) aveva lasciato anche la seconda moglie Marla Maples. Melania ha 28 anni, lui 52.
Amore a prima vista per Donald. Non per lei. Lui le chiede il numero di telefono, lei rifiuta. «Era con una donna, non glielo avrei mai dato», racconterà. Si mettono assieme dopo il divorzio da Marla. Fine della vita da playboy di Donald.
«Facciamo sesso in modo incredibile almeno una volta al giorno, a volte an- che di più», dice Melania nel 2000 al mensile GQ che la fotografa svestita su un tappeto di pelle d’orso nel jet privato di Trump. «Lei è molto sexy quando indossa solo mutandine», spiega lui.
Alta un metro e 80, misure 89-61-89, Melania continua a lavorare come modella. A chi la accusa di essere un’arrampicatrice risponde: «Non si può vivere con chi non si ama. Non si può abbracciare un bell’appartamento. Non si può baciare un aereo».
Si sposano nel 2005 in uno dei resort di lusso di Trump in Florida. Lei ha un vestito Christian Dior da 100 mila dollari. In prima fila l’ex presidente Bill Clinton e sua moglie Hillary, allora senatrice di New York, oggi rivale democratica del repubblicano Trump per la Casa Bianca.
A Melania, che è diventata cittadina statunitense, piace inondare i suoi 42 mila followers su Twitter di foto sulla sua vita opulenta nell’attico e superattico della Trump Tower di Manhattan, con il figlio Barron di 9 anni.
Gli ha consigliato lei di non attaccare Bush jr.
Non si interessa di politica, ma da quando Trump (ricchezza personale: 9 miliardi di dollari) è sceso in campo gli dà qualche consiglio. Per esempio, non attaccare Jeb, il terzo Bush candidato presidente, perché lei lo frequenta nel giro dei galà di beneficenza.
La campagna presidenziale è lunga. Le primarie repubblicane sono a febbraio, e lì per ora Trump sembra non avere rivali: gli ultimi sondaggi lo danno al 24%, contro il 13 di Jeb Bush. Tutti gli altri indietro.
Fra 14 mesi, poi, il voto finale. E in questi ultimi giorni, sorpresa: il distacco con Hillary si è ridotto da 16 a soli 6 punti: 51 a 45. Pochi pensano che Donald ce la possa fare. Però nessuno pensava neanche che Ronald Reagan conquistasse la Casa bianca, nel 1980.
«Dopo il primo presidente nero, il primo arancione», scherzano, riferendosi all’incredibile colore dei capelli di Trump. Riporto? Parrucchino? Mistero.
Quel che è certo, è che se il sogno per la bella Melania dovesse realizzarsi, alla Casa Bianca non ci sarà un altro caso Monica Lewinsky: «Se non gli piaccio più, bye bye», dice lei. Insomma, liquiderebbe Trump così come lui fa con i concorrenti del suo talent show tv The Apprentice: «Sei fuori!».
Se eletto, Trump aumenterà le spese militari ma legalizzerà ogni droga: «Combatterle costa troppo». E continua a scandalizzare: ora vuole negare la cittadinanza ai figli dei clandestini nati negli Usa (ius soli).
Melania Knauss Trump non ha mai avuto problemi a farsi fotografare senza veli, fino al matrimonio nel 2005. Le immagini potrebbero danneggiare il marito nella campagna presidenziale, visto che il suo partito repubblicano ha molti elettori conservatori. Ma il ciclone Trump che sta investendo gli Stati Uniti è fatto di provocazioni, e il ricchissimo Donald ne è maestro.
Mauro Suttora
AMERICANI, SARO' LA VOSTRA FIRST LADY!
Fra 14 mesi si vota. Il miliardario Donald Trump guida i sondaggi. Sua moglie, ex modella slovena, prima di sposarsi fece qualche peccatuccio fotografico
New York, 26 agosto 2015
di Mauro Suttora
Sarebbe la First lady più bella della storia. Nessuno rimpiangerebbe più Jacqueline Kennedy o Carla Bruni. Se suo marito Donald Trump, 69 anni, diventasse presidente degli Stati Uniti, Melania Knauss, 45 anni, sarebbe anche la prima first lady degli Stati Uniti ad aver posato nuda. Non la prima al mondo: Carla Bruni l’ha anticipata nel 1993.
Poi, essendo slovena, sarebbe la prima inquilina della Casa Bianca a non parlare inglese dalla nascita. Non la prima straniera: John Quincy Adams, presidente nel 1825, era marito di una britannica.
Melania è nata nel 1970 a cento chilometri dall’Italia in un paesino di 5 mila abitanti sul fiume Sava, nella Jugoslavia comunista. E arriva a Milano nel 1988 con mamma Amalia, che la spinge a fare la modella (prima sfilata a 5 anni).
Figlia di un austriaco, arriva a Milano. Il padre, Victor Knavs, è austriaco e lavora in una concessionaria d’auto. Il cognome cambia quando lei, in carriera, vuole sembrare più tedesca (come Claudia Schiffer e Heidi Klum).
Dopo la facoltà di Architettura a Lubiana, l’educata e timida Melania viene ingaggiata dal milanese Paolo Zampolli, che con la sua agenzia di modelle la porta a New York.
«Era seria, molto professionale. Le piaceva starsene a casa, non era una party girl», ricorda Zampolli. «Il suo viso dominava Times Square in una pubblicità della Camel, ma lei andava solo al lavoro e in palestra».
Nel 1998 in una festa di Zampolli al Kit Kat Club durante la Fashion Week newyorchese incontra Trump, che dopo Ivana (pure lei ex modella slava) aveva lasciato anche la seconda moglie Marla Maples. Melania ha 28 anni, lui 52.
Amore a prima vista per Donald. Non per lei. Lui le chiede il numero di telefono, lei rifiuta. «Era con una donna, non glielo avrei mai dato», racconterà. Si mettono assieme dopo il divorzio da Marla. Fine della vita da playboy di Donald.
«Facciamo sesso in modo incredibile almeno una volta al giorno, a volte an- che di più», dice Melania nel 2000 al mensile GQ che la fotografa svestita su un tappeto di pelle d’orso nel jet privato di Trump. «Lei è molto sexy quando indossa solo mutandine», spiega lui.
Alta un metro e 80, misure 89-61-89, Melania continua a lavorare come modella. A chi la accusa di essere un’arrampicatrice risponde: «Non si può vivere con chi non si ama. Non si può abbracciare un bell’appartamento. Non si può baciare un aereo».
Si sposano nel 2005 in uno dei resort di lusso di Trump in Florida. Lei ha un vestito Christian Dior da 100 mila dollari. In prima fila l’ex presidente Bill Clinton e sua moglie Hillary, allora senatrice di New York, oggi rivale democratica del repubblicano Trump per la Casa Bianca.
A Melania, che è diventata cittadina statunitense, piace inondare i suoi 42 mila followers su Twitter di foto sulla sua vita opulenta nell’attico e superattico della Trump Tower di Manhattan, con il figlio Barron di 9 anni.
Gli ha consigliato lei di non attaccare Bush jr.
Non si interessa di politica, ma da quando Trump (ricchezza personale: 9 miliardi di dollari) è sceso in campo gli dà qualche consiglio. Per esempio, non attaccare Jeb, il terzo Bush candidato presidente, perché lei lo frequenta nel giro dei galà di beneficenza.
La campagna presidenziale è lunga. Le primarie repubblicane sono a febbraio, e lì per ora Trump sembra non avere rivali: gli ultimi sondaggi lo danno al 24%, contro il 13 di Jeb Bush. Tutti gli altri indietro.
Fra 14 mesi, poi, il voto finale. E in questi ultimi giorni, sorpresa: il distacco con Hillary si è ridotto da 16 a soli 6 punti: 51 a 45. Pochi pensano che Donald ce la possa fare. Però nessuno pensava neanche che Ronald Reagan conquistasse la Casa bianca, nel 1980.
«Dopo il primo presidente nero, il primo arancione», scherzano, riferendosi all’incredibile colore dei capelli di Trump. Riporto? Parrucchino? Mistero.
Quel che è certo, è che se il sogno per la bella Melania dovesse realizzarsi, alla Casa Bianca non ci sarà un altro caso Monica Lewinsky: «Se non gli piaccio più, bye bye», dice lei. Insomma, liquiderebbe Trump così come lui fa con i concorrenti del suo talent show tv The Apprentice: «Sei fuori!».
Se eletto, Trump aumenterà le spese militari ma legalizzerà ogni droga: «Combatterle costa troppo». E continua a scandalizzare: ora vuole negare la cittadinanza ai figli dei clandestini nati negli Usa (ius soli).
Melania Knauss Trump non ha mai avuto problemi a farsi fotografare senza veli, fino al matrimonio nel 2005. Le immagini potrebbero danneggiare il marito nella campagna presidenziale, visto che il suo partito repubblicano ha molti elettori conservatori. Ma il ciclone Trump che sta investendo gli Stati Uniti è fatto di provocazioni, e il ricchissimo Donald ne è maestro.
Mauro Suttora
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