Aumenti e fiscal drag: tredicesima amara
Roma, 5 dicembre 2007
Sarà un Natale freddo. Quest’anno dovremo stringere la cinghia, e spendere meno per regali e cenoni di Capodanno. Lo prevedono tutti, dalle associazioni dei consumatori a quelle dei commercianti, avversari nelle dispute sui prezzi ma concordi nei giudizi foschi.
«A causa dei rincari del settore alimentare, le famiglie spenderanno per il classico cenone di Natale 20-30 euro più dell’anno scorso, per un totale complessivo di 165–175 euro a famiglia», avverte Carlo Rienzi, presidente del Codacons (Coordinamento associazioni consumatori). «Riceveremo 36 miliardi in tredicesime», fa i conti la Confesercenti, «e dopo avere pagato otto miliardi per debiti e quattro per mutui ne destineremo tredici agli acquisti per casa e famiglia, e solo 4,7 ai regali. L’anno scorso per i regali avevamo speso quasi cinque miliardi, quest’anno 248 milioni in meno. La contrazione è quindi del cinque per cento».
I conti in sospeso da saldare sono aumentati di ben 658 milioni, i mutui di 237. A farne le spese, quindi, sono i consumi voluttuari: meno 8 per cento per l’abbigliamento, meno sei per i viaggi, meno tre per auto e moto, meno due per mobili, elettrodomestici e giocattoli. Unica buona notizia: nonostante le ristrettezze gli italiani non rinunciano a risparmiare, e accantonano previdenti 6,7 miliardi di tredicesima, con una diminuzione di appena 18 milioni rispetto al 2006. «Insomma, non siamo diventati cicale come gli americani», commentano i sondaggisti di Publica Res, «i quali stanno pagando ora con la crisi dei mutui un tenore di vita condotto al di sopra dei propri mezzi».
Il problema è che il tenore di vita è diminuito negli ultimi cinque anni per molti di noi. Lo dimostra un altro studio, condotto dalla Ires-Cgil, che quantifica con precisione la perdita di potere d’acquisto dei nostri stipendi dal 2002: 1.900 euro. Cioè un euro al giorno. Attenzione, però: questa cifra si riferisce allo stipendio medio di un lavoratore dipendente, che in Italia è di 23 mila euro lordi all’anno. Nel dettaglio, invece, «il reddito disponibile familiare tra il 2002 e il 2007 registra una perdita di circa 2.600 euro nelle famiglie di operai e di più di tremila in quelle degli impiegati, a fronte di un guadagno di 12 mila euro per liberi professionisti e imprenditori», avverte Agostino Megale, presidente dell’Ires (Istituto ricerche economiche e sociali).
Ma prendiamo per buona la cifra media del salasso, 1.900 euro. Com’è potuto succedere? In realtà in questi cinque anni i nostri stipendi non sono rimasti fermi: sono aumentati del 15 per cento, a un ritmo superiore al due per cento annuo. «Il problema è che l’inflazione programmata, sulla quale si calcolano gli aumenti contrattuali, è risultata più bassa di quella effettiva», spiega Megale. E poi ci sono stati i ritardi nei rinnovi contrattuali, una scarsa redistribuzione della produttività (si produce di più e in meno tempo, ma il profitto resta agli imprenditori), e soprattutto la mancata restituzione del «fiscal drag», cioè l’indebito aumento della pressione fiscale a causa dell’inflazione.
L’anno peggiore è stato il 2003, quando lo scostamento fra l’aumento delle retribuzioni e l’inflazione ha superato l’uno per cento: 1,8% il primo, 2,9% la seconda. Sembra una cifra minima, e invece ha provocato una perdita di ben 1.450 euro in soli dodici mesi. Nel 2002 se n’erano persi altri 700, mentre nel 2004 è andata meglio: meno 124 euro. In questi ultimi anni, grazie alla ripresa economica, è andata meglio. Ma le perdite precedenti non sono state mai recuperate.
Anzi, quando il reddito aumenta scatta la trappola del «fiscal drag». Cos’è? Dall’inglese si traduce «drenaggio fiscale» ed è una perversa trappola che scatta con gli aumenti di reddito legati al tasso di inflazione programmata. In pratica, gli aumenti di un paio di punti percentuali che vengono eventualmente concessi ai lavoratori per mantenere il loro potere d’acquisto finiscono prima o poi per far rientrare il loro reddito in scaglioni fiscali con aliquote maggiori che si mangiano tutti gli aumenti e anche qualcosa di più. A causa di questo meccanismo le imposte hanno ingoiato 700 di quei 1.900 euro che abbiamo perso negli ultimi cinque anni.
Sul problema degli stipendi che perdono terreno, erosi dall’inflazione e dalle tasse, sono d’accordo tutti, destra e sinistra. «Purtroppo sono dati che presentano una continuità», dice il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani, «da tempo diciamo che i salari perdono potere d'acquisto. Abbiamo crescita bassa, produttività bassa e salari bassi. Il Paese si dovrebbe porre il problema di una nuova politica dei redditi».
Perfino il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, severo custode dei conti pubblici, ammette che gli stipendi dei dipendenti italiani devono crescere. Basta confrontarli con l’Europa: la retribuzione media in Italia è di 23 mila euro lordi annui, in fondo alla classifica con la Spagna. Quasi la metà di Gran Bretagna (42 mila euro) e Germania (41 mila), un terzo meno della Francia (30 mila).
«Dal 1945 al 1992 i salari venivano adeguati automaticamente all’inflazione», commenta Giovanni Mazzetti, docente universitario di Economia politica, «ma la scala mobile che li proteggeva, dopo le manomissioni degli anni ‘80, è stata abolita. Avrebbe dovuto essere sostituita dalla cosiddetta “concertazione” con inflazione programmata e premi di risultato. Invece gli ultimi quindici anni hanno visto una riduzione generale del potere d’acquisto per chi lavora, e lo spostamento verso rendite e profitti di oltre il dieci per cento del reddito da loro prodotto».
Insomma, fra la batosta del passaggio all’euro del 2002 che ha in pratica raddoppiato i prezzi, gli stipendi che non coprono l’inflazione, la concorrenza di Cina e altri Paesi con salari bassissimi, e gli sprechi pubblici che devono essere coperti da tasse troppo alte (il «cuneo fiscale», cioè la differenza fra retribuzione lorda e netta, in Italia è del 45% contro il 39 in Spagna, il 34 in Gran Bretagna e il 29 negli Usa), ci resta poco da festeggiare. Ma, bene o male, qualche euro per un panettone, un cotechino e una bottiglia di spumante lo troveremo.
Mauro Suttora
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