Tuesday, December 13, 2005

Tookie condannato a morte

PREMIO NOBEL O SEDIA ELETTRICA PER TOOKIE?

Oggi, 8 dicembre 2005

Alla fine sarà Arnold Schwarzenegger a graziarlo? Il governatore della California decide l'8 dicembre, la sedia elettrica è pronta per il 13. Stan(ley) «Tookie» Williams, 51 anni, di colore, è uno delle centinaia di condannati alla pena capitale che aspettano nei bracci della morte americani per decenni. A 17 anni, nel 1971, aveva fondato una banda di giovani criminali: i Crits. Le gang di Los Angeles sono famigerate, fanno quasi parte del paesaggio assieme alla collina di Bel Air e alla spiaggia di Santa Monica. I telefilm ci hanno abituati alla loro imprese: scontri con le bande rivali, rapine, stupri, traffici di droga.

Nel '79 Albert Lewis Owens aveva due figlie ed era il cassiere di un 7/11, un supermercatino aperto 24 ore su 24. Stan lo trascinò in una stanza sul retro e gli ordinò di inginocchiarsi. Poi lo colpì con due pistolettate sul collo, stile esecuzione, dopo che lui e i complici si erano impadroniti del contante. In seguito Stan si vantò di aver «fatto fuori un bianco, gli ho sparato alla schiena per 63 dollari».

Undici giorni dopo. Nella reception del motel Brookhaven c'erano i proprietari, i coniugi cinesi sessantenni Yen-I Yang e Tsai-Shai Chen Yang, con la figlia Yu-Chin Yang Lin, 42 anni. La banda di Stan irruppe dalla porta per rapinare l'incasso. La famigliola venne tenuta a bada in un angolo con una pistola spianata. Poi dodici colpi in tutto, a bruciapelo. Le due donne agonizzarono un paio d'ore prima di morire. Stan in tutta calma si chinò per recuperare i bossoli, non voleva che la sua pistola firmasse la strage. Purtroppo per lui, ne dimenticò uno. E quando venne arrestato, qualche giorno dopo, nella sua auto c'era la pistola. Omicidi inutili, gratuiti. Le vittime non rappresentavano più alcun pericolo per i rapinatori, vennero assassinate a sangue freddo. Due anni dopo arriva la condanna a morte per Stan, il capobanda.

Da allora, però, la versione ufficiale è stata messa in discussione. Attorno a Stan, incarcerato a San Quintino, si raccoglie un comitato che esamina ogni particolare del processo. Stan si pente per gli anni passati a seminare il terrore a Los Angeles, ma non ammette quegli omicidi. «La condanna si basa su indizi, non su prove», sostengono i suoi avvocati. I testimoni che lo hanno inchiodato avevano interesse a farlo: erano tutti alla ricerca di attenuanti per reati gravissimi come stupri, mutilazioni e omicidi. Di fronte all'ennesimo appello, nel 2002 una corte ammise che gli accusatori di Stan avevano la fedina penale sporca, e un incentivo a mentire per ottenere clemenza.

«Sulle scene dei delitti sono state rilevate impronte digitali», incalzano gli avvocati di Stan, «ma non le sue. La traccia di uno stivale insanguinato non apparteneva a lui. Il bossolo trovato? Sì, proveniva da una pistola comprata da Stan cinque anni prima. Ma non è vero che l'arma è stata rinvenuta nella sua auto: era sotto il letto di una coppia incriminata per truffa a un'assicurazione e indagata per aver ucciso un loro complice. Marito e moglie l'hanno fatta franca dopo aver testimoniato contro Stan».
Quanto al testimone principale dell'accusa, un pregiudicato bianco che si trovava nella cella accanto a quella di Stan durante il processo, anni dopo si è scoperto che era stato un informatore pagato della polizia. Davanti alla corte aveva detto che Stan si era confidato con lui, confessando tutto. Dopodichè le sue accuse, omicidio e stupro, vennero derubricate e grazie a qualche attenuante ha ottenuto la possibilità della libertà condizionale.

La giuria, poi: gli unici tre giurati di colore sono stati ricusati dal pubblico ministero, per cui la corte di dodici persone era quasi interamente bianca, tranne un sudamericano e un filippino. Lo stesso rappresentante dell'accusa è stato tacciato di razzismo, per aver detto durante le sue arringhe che Stan assomigliava a una «tigre del Bengala rinchiusa nello zoo di San Diego», il cui «ambiente naturale è la giungla, come quella di certi quartieri di Los Angeles».

Fin qui, quello di Stan Williams sarebbe un giallo giudiziario come tanti. Il problema è che Stan, ormai 51enne, dopo un quarto di secolo è diventato un'altra persona rispetto al bullo da gang che era prima. Ha scritto nove libri di successo per bambini, e in tutti incita i ragazzini a evitare la cultura di morte e sopraffazione di cui negli anni Settanta era uno dei simboli, almeno nei ghetti. Ha fatto il volontario per molti programmi che cercano di tenere i ragazzi lontani dalle strade, ricevendo perfino un premio dal presidente degli Stati Uniti la scorsa estate. Ha scritto un'autobiografia: Blue Rage, Black Redemption (Rabbia blu, Redenzione nera), e l'attore Jamie Foxx, premio Oscar 2005 per il film Ray sulla vita del cantante Ray Charles, l'anno scorso ha interpretato un film tv proprio sulla figura diventata ormai famosa di Stan Williams.

La conversione di Stan lo ha fatto perfino candidare al premio Nobel, già nel 2000: per la letteratura, e anche per la pace. Chiedono la grazia, fra gli altri, gli attori Tim Robbins (protagonista nel '94 di un film simile alla vicenda di Stan, Le ali della libertà), sua moglie Susan Sarandon, Anjelica Huston, la cantante Bonnie Raitt, tutti i musicisti rap, il politico di colore Jesse Jackson. I giovani delinquenti di colore rinchiusi nelle prigioni americane hanno fatto di Stan un idolo: rappresenta la loro speranza di redenzione. E ce ne sono tanti, perchè negli Usa i carcerati sono ben due milioni: otto volte più che in Italia, in proporzione agli abitanti.

L'11 ottobre, però, la Corte suprema degli Stati Uniti si è espressa definitivamente sull'ultimo appello presentato dagli avvocati di Stan: niente da fare, gli appigli sono finiti, preparate la sedia elettrica. Ora l'ultima speranza è nelle mani di Schwarzenegger. Qualcuno la butta in politica, e sostiene che il governatore grazierà Stan per ingraziarsi gli elettori di colore alle prossime elezioni. Dalla sua cella di un metro e 30 per tre, Stan Williams aspetta.

Mauro Suttora

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