di Mauro Suttora, da New York
Il Foglio, 13 agosto 2003
La villona dell'ex ambasciata irachena a Roma è sempre lì, in quella invidiabile posizione a metà costa di Monte Mario, via della Camilluccia 355. Domattina, per la prima volta dopo la liberazione dell'Iraq più di quattro mesi fa, un rappresentante del nuovo governo (i 25 dirigenti iracheni del Consiglio nominato dalle Potenze occupanti) visiterà quella che è destinata a diventare una delle più importanti ambasciate irachene nel mondo.
«Non c'è dubbio che, grazie alle scelte del vostro primo ministro, l'Italia sarà uno dei Paesi più vicini al nuovo Iraq», prevede Entifadh Qanbar, 44 anni, che raggiungiamo a Washington poco prima della sua partenza per Roma. Sarà lui a prendere conoscenza della situazione pratica dell'ambasciata: «Si tratta soltanto un'ispezione preliminare, vedremo se è rimasto ancora qualche ritratto di Saddam...», scherza Qambar.
Scherza, ma non troppo. Qambar, infatti, porta ancora sul proprio corpo i segni delle torture che gli aguzzini del regime gli inflissero nel 1987, durante i 47 giorni di prigionia che patì a Bagdad. Laureato in ingegneria civile, pilota militare per cinque anni, Qambar finì nella rete dei servizi segreti iracheni verso la fine della guerra contro l'Iran. Suo fratello e altri undici persone arrestate assieme a lui furono condannate a morte e fucilate. Lui riuscì a cavarsela e nel '90, poche settimane prima dell'invasione del Kuwait, scappò negli Stati Uniti. Ottenne l'asilo politico e da dieci anni è cittadino statunitense.
La sua vicenda è stata raccontata da Kanan Makiya, architetto del Mit, uno dei più celebri fuoriusciti iracheni, nel terzo capitolo del libro "Crudeltà e silenzio", pubblicato nel '93. Anche nel libro, però, il vero nome di Qambar non appare: per evitargli ritorsioni da parte delle spie di Saddam attivissime anche all'estero, Makiya lo cambiò in Omar.
Oggi è arrivata la rivincita. Dopo un master in ingegneria ottenuto all'università Georgetech di Atlanta (Georgia), Qambar ha cominciato a collaborare con Ahmed Chalabi, il capo dell'Iraqi National Congress. Nel novembre 2000 si è trasferito da Atlanta a Washington, ha abbandonato il lavoro ed è diventato portavoce a tempo pieno di Chalabi. Nel marzo di quest'anno è andato a Doha (Qatar) come ufficiale di collegamento fra il Centcom del generale Tommy Franks e l'Iraqi National Congress.
"Dopo la liberazione mi sono trasferito a Bagdad. Ho accompagnato Chalabi a Roma il 17 luglio per una riunione dell'Internazionale socialista, poi a New York per il suo incontro al Consiglio di sicurezza dell'Onu. E adesso, tornando a Bagdad, farò tappa a Roma per visitare l'ambasciata. Poi spero di ottenere un passaggio su un aereo militare italiano verso l'Iraq, come ho fatto all'andata».
La «liberazione» dell'ambasciata irachena a Roma non avrà niente di dannunziano, insomma. Però sicuramente almeno quattro persone proveranno il brivido della novità: Faris Ali Al Shoker, primo segretario e console della Sezione per la tutela degli interessi iracheni in Italia dal 2000, l'altro diplomatico Karim Kadhim Aagol e le signore Ayad Mahmoud ed Eman Amjad Mohammed. Sono sopravvissuti alla guerra e al cambio di regime, anche se lo status dell'ambasciata era stato da tempo retrocesso a semplice Ufficio ospitato presso la rappresentanza del Sudan.
«Fino all'anno scorso la sede della nostra ambasciata ospitava una scuola araba aperta non solo agli iracheni», spiega al Foglio Al Shoker, «poi abbiamo dovuto chiudere anche quella. Si', so che domani arriverà un rappresentante del nuovo governo, anche se non l'ho ancora sentito al telefono. Io sono in partenza, sono stato richiamato a Bagdad come tutto il personale diplomatico iracheno. Ma il nostro ministero degli Esteri ha sempre continuato a funzionare, gli stipendi sono regolarmente arrivati, anche se noi non possiamo svolgere alcuna attività per i cittadini iracheni residenti in Italia».
L'ambasciatore in Italia verrà nominato appena il nuovo governo iracheno sarà riconosciuto, e si saprà il nome del ministro degli Esteri. «A settembre», spera Qambar.
Mauro Suttora
Il Foglio, 13 agosto 2003
La villona dell'ex ambasciata irachena a Roma è sempre lì, in quella invidiabile posizione a metà costa di Monte Mario, via della Camilluccia 355. Domattina, per la prima volta dopo la liberazione dell'Iraq più di quattro mesi fa, un rappresentante del nuovo governo (i 25 dirigenti iracheni del Consiglio nominato dalle Potenze occupanti) visiterà quella che è destinata a diventare una delle più importanti ambasciate irachene nel mondo.
«Non c'è dubbio che, grazie alle scelte del vostro primo ministro, l'Italia sarà uno dei Paesi più vicini al nuovo Iraq», prevede Entifadh Qanbar, 44 anni, che raggiungiamo a Washington poco prima della sua partenza per Roma. Sarà lui a prendere conoscenza della situazione pratica dell'ambasciata: «Si tratta soltanto un'ispezione preliminare, vedremo se è rimasto ancora qualche ritratto di Saddam...», scherza Qambar.
Scherza, ma non troppo. Qambar, infatti, porta ancora sul proprio corpo i segni delle torture che gli aguzzini del regime gli inflissero nel 1987, durante i 47 giorni di prigionia che patì a Bagdad. Laureato in ingegneria civile, pilota militare per cinque anni, Qambar finì nella rete dei servizi segreti iracheni verso la fine della guerra contro l'Iran. Suo fratello e altri undici persone arrestate assieme a lui furono condannate a morte e fucilate. Lui riuscì a cavarsela e nel '90, poche settimane prima dell'invasione del Kuwait, scappò negli Stati Uniti. Ottenne l'asilo politico e da dieci anni è cittadino statunitense.
La sua vicenda è stata raccontata da Kanan Makiya, architetto del Mit, uno dei più celebri fuoriusciti iracheni, nel terzo capitolo del libro "Crudeltà e silenzio", pubblicato nel '93. Anche nel libro, però, il vero nome di Qambar non appare: per evitargli ritorsioni da parte delle spie di Saddam attivissime anche all'estero, Makiya lo cambiò in Omar.
Oggi è arrivata la rivincita. Dopo un master in ingegneria ottenuto all'università Georgetech di Atlanta (Georgia), Qambar ha cominciato a collaborare con Ahmed Chalabi, il capo dell'Iraqi National Congress. Nel novembre 2000 si è trasferito da Atlanta a Washington, ha abbandonato il lavoro ed è diventato portavoce a tempo pieno di Chalabi. Nel marzo di quest'anno è andato a Doha (Qatar) come ufficiale di collegamento fra il Centcom del generale Tommy Franks e l'Iraqi National Congress.
"Dopo la liberazione mi sono trasferito a Bagdad. Ho accompagnato Chalabi a Roma il 17 luglio per una riunione dell'Internazionale socialista, poi a New York per il suo incontro al Consiglio di sicurezza dell'Onu. E adesso, tornando a Bagdad, farò tappa a Roma per visitare l'ambasciata. Poi spero di ottenere un passaggio su un aereo militare italiano verso l'Iraq, come ho fatto all'andata».
La «liberazione» dell'ambasciata irachena a Roma non avrà niente di dannunziano, insomma. Però sicuramente almeno quattro persone proveranno il brivido della novità: Faris Ali Al Shoker, primo segretario e console della Sezione per la tutela degli interessi iracheni in Italia dal 2000, l'altro diplomatico Karim Kadhim Aagol e le signore Ayad Mahmoud ed Eman Amjad Mohammed. Sono sopravvissuti alla guerra e al cambio di regime, anche se lo status dell'ambasciata era stato da tempo retrocesso a semplice Ufficio ospitato presso la rappresentanza del Sudan.
«Fino all'anno scorso la sede della nostra ambasciata ospitava una scuola araba aperta non solo agli iracheni», spiega al Foglio Al Shoker, «poi abbiamo dovuto chiudere anche quella. Si', so che domani arriverà un rappresentante del nuovo governo, anche se non l'ho ancora sentito al telefono. Io sono in partenza, sono stato richiamato a Bagdad come tutto il personale diplomatico iracheno. Ma il nostro ministero degli Esteri ha sempre continuato a funzionare, gli stipendi sono regolarmente arrivati, anche se noi non possiamo svolgere alcuna attività per i cittadini iracheni residenti in Italia».
L'ambasciatore in Italia verrà nominato appena il nuovo governo iracheno sarà riconosciuto, e si saprà il nome del ministro degli Esteri. «A settembre», spera Qambar.
Mauro Suttora
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