Wednesday, February 26, 2014

Grillismo o squadrismo?

I DEPUTATI DEL MOVIMENTO 5 STELLE SI LASCIANO ANDARE A SCENATE INCONSULTE IN AULA

Oggi, febbraio 2014

di Mauro Suttora

È passato solo un anno da quando sono entrati in Parlamento, emozionati e perfino intimoriti nelle giacche e cravatte comprate per l’occasione. I 150 parlamentari 5 stelle portavano aria nuova, pulita. Oggi, però, molti dei loro 9 milioni di elettori faticano a riconoscerli. Li vedono urlare sconcezze in aula, assaltare i banchi del governo, bloccare conferenze stampa, impedire fisicamente l’uscita dei deputati dalle commissioni.

Cos’è successo? Promettevano di riportare senso civico nelle istituzioni. Ma ora si comportano in modo «disgustoso e demenziale», come denuncia perfino l’unico giornale loro vicino, Il Fatto di Antonio Padellaro e Marco Travaglio (il quale però ne elenca anche gli atti positivi, a pag. 26). Il deputato Giorgio Sorial definisce «boia» il presidente Giorgio Napolitano. Angelo Tofalo grida «Boia chi molla!», slogan fascista. Samuele Segoni indica platealmente il proprio basso ventre durante un discorso. Massimo De Rosa dice alle deputate Pd di essere state elette grazie al sesso orale. Alessandro Di Battista insulta il mite capogruppo Pd Speranza.

«Inaccettabile degrado del costume e del linguaggio», li bacchetta Stefano Rodotà, loro candidato presidente. Il quale boccia Beppe Grillo anche quando chiede di processare Napolitano per alto tradimento: «Populismo degradante». I 5 stelle perdono altri fan: Adriano Celentano, Pippo Baudo, Antonello Venditti, Jacopo Fo (suo padre Dario invece sostiene ancora Grillo). Critico pure il senatore 5 stelle Luis Orellana, loro candidato presidente del Senato, e metà dei suoi colleghi. Grillo, intuendo il disastro, corre a Roma e invita i suoi “ragazzi” a moderarsi e «sorridere». 

Augias: «Violenti inconsapevoli»

Niente da fare. Dopo poche ore appare sul suo blog un video divertente contro la presidente della Camera Laura Boldrini (accusata di aver interrotto un loro ostruzionismo anti-banche) confezionato dall’attivista romano Denis Ferro, emigrato a Paderno Dugnano (Milano). Purtroppo, però, il titolo aizza al linciaggio: «Cosa fareste a Laura in auto?». Immaginabili le risposte. Da «squadristi inconsapevoli», secondo il giornalista e scrittore Corrado Augias. Al quale viene riservato un trattamento neonazi: i suoi libri bruciati in video.

Ciliegina sulla torta: un altro gentleman, Claudio Messora, scrive alla Boldrini che aveva accusato i grillini di avere fra loro dei «potenziali stupratori»: «Volevo tranquillizarti [sic], tu non corri nessun rischio». Messora, nominato «capo della comunicazione» direttamente da Gianroberto Casaleggio, è il vero capo dei senatori 5 stelle: i capigruppo ruotano ogni tre mesi, lui resta.

Infine, un tocco comico: Rocco Casalino, ex concorrente del Grande Fratello nel 2002, oggi addetto stampa grillino in Senato, attacca Daria Bignardi, ex presentatrice di quel Grande Fratello, perché ha “osato” chiedere a Di Battista in tv del padre fascista: «Il suocero della Bignardi, Adriano Sofri, è un assassino».

«Dare dei “fascisti” ai grillini è esagerato», commenta con Oggi Mario Capanna, pure lui 30 anni fa protagonista di memorabili ostruzionismi. «Anche noi di Democrazia Proletaria eravamo rivoluzionari, quindi criticavamo tutti. Però col Pci discutevamo sempre, cercavamo sponde e alleanze. E lottammo contro il decreto sulla scala mobile assieme a Berlinguer. Non ci isolavamo».

Memorabili anche gli ostruzionismi radicali: nel 1981 Marco Boato parlò 18 ore contro il fermo di polizia. Record mondiale. Lo soprannominarono “vescica di ferro”. Adesso giustifica la Boldrini: «Era suo preciso dovere interrompere l’ostruzionismo dei 5 stelle e permettere la votazione, perché i tempi stavano scadendo. Una minoranza può ricorrere al filibustering per ritardare l’approvazione di una legge che ritiene ingiusta, creando attenzione su di essa e appellandosi all’opinione pubblica, ma non può impedire il libero voto».

Marco Pannella, antesignano dei referendum contro il finanziamento pubblico ai partiti e delle lotte anti-Casta, avverte Grillo: «Passa dal monologo al dialogo, altrimenti illuderai e deluderai i tuoi milioni di simpatizzanti».

Gli altri “papà” dei grillini sono i verdi. «Stessi temi ecologici, ma nonviolenti non so», sostiene l’ex consigliere regionale Veneto Mao Valpiana. «Noi non eravamo mai aggressivi e arroganti, massimo rispetto per gli avversari. Gandhi insegna che bisogna convincere, non insultare. Costruire ponti, senza rinchiudersi in se stessi. Invece i 5 stelle sembrano una setta tipo Scientology. Un gruppo chiuso, controllato dal centro».
Mauro Suttora

Wednesday, February 05, 2014

Nel mirino dell'Italia violenta


Il professor Panebianco, il cronista Luciano Bruno, il reporter Massimo Numa, il senatore Stefano Esposito, il giornalista Giovanni Tizian: un brutto gennaio per loro, con minacce e intimidazioni

Oggi, 29 gennaio 2014

di Mauro Suttora

Il giorno prima Angelo Panebianco, professore di scienze politiche a Bologna, aveva scritto uno dei suoi editoriali sul Corriere della Sera. Chiedeva che sull’immigrazione ci sia un dibattito concreto, fuori dalle ideologie contrapposte buonisti/rigoristi: «Di quanti immigrati abbiamo bisogno? Di che tipo? Di che religione? Possono integrarsi meglio i cristiani ortodossi dell’Europa orientale, o i musulmani?».  

Urla e scritte fino al corridoio

«Razzista», ha subito sentenziato il collettivo Hobo («vagabondo», in inglese). Che il 14 gennaio ha organizzato una spedizione punitiva all’università, con lanci di petardi, urla, slogan, striscioni e scritte sui muri. Una combriccola violenta, ma Panebianco è sceso dal suo ufficio per dialogare. Non l’avesse mai fatto. I suoi contestatori volevano solo insultarlo e intimidirlo: «Non ci interessa il confronto con un barone schiavista». Sono saliti nel corridoio del suo ufficio e ne hanno imbrattato la porta con vernice rossa.

Il professor Panebianco è rimasto incolume. Non così Luciano Bruno, giornalista de I siciliani, mensile fondato da Pippo Fava (ucciso dai mafiosi esattamente trent’anni fa). L’11 gennaio stava scattando foto al quartiere Librino di Catania, devastato da spacciatori e criminali. È stato circondato da sei uomini armati che l’hanno minacciato puntandogli una pistola alla testa. Poi l’hanno picchiato, perché colpevole di avere denunciato lo strapotere mafioso.

Gli hanno rotto un dente. Hanno fatto i nomi dei suoi familiari, per fargli capire che anche loro sono minacciati. Luciano Bruno a Librino di abita. Pubblica spesso articoli su questo quartiere progettato dall’archistar Kenzo Tange negli anni Sessanta, ma poi abbandonato al degrado e lasciato in mano ai mafiosi (clan Arena).

Luciano Bruno stava fotografando il famigerato Palazzo di Cemento, costruito trent’anni fa ma mai consegnato al comune di Catania perché privo della certificazione antincendio: «Mi hanno portato via la macchina fotografica. E un incisivo».

Pagina intimidatoria su facebook

«Non comprerò più La Stampa finché ci scrive Massimo Numa»: è il titolo di una pagina Facebook contro questo reporter del quotidiano torinese. «Che credibilità può avere un giornalista che (sic) lo vedi sempre in compagnia della polizia?» spiega la pagina ad personam. E continua: «Un vero giornalista sente tutte le parti in causa, non credo possa farsi vedere tranquillamente in mezzo ai no Tav».

Dalle parole ai fatti. Dopo qualche minaccia di troppo, a Numa è stata data una scorta. Niente da fare. I suoi nemici il 13 gennaio gli hanno fatto recapitare un video in cui lui viene pedinato mentre esce di casa per far pisciare il cane. Come dire: «Sappiamo dove abiti». Anzi, tutti i suoi dati privati (numero di telefono, targhe di auto, indirizzo) sono stati pubblicati in rete. Un invito al linciaggio. E in redazione è arrivata una bomba mascherata da hard disk.

A settembre, alle rimostranze degli oppositori del treno veloce si è aggiunta la pubblicazione, da parte dello «sciacallo e pennivendolo» Numa, di un libro sulle stragi di fascisti nel dopoguerra. E i suoi avversari hanno chiesto a La Stampa di «allontanare il neofascista dal giornale».

Stessa città (Torino) e stessa trincea (il Treno alta velocità per Lione in costruzione nella val Susa, contestato da molti abitanti) per il senatore del Partito democratico Stefano Esposito. Che il 13 gennaio si è ritrovato tre bottiglie molotov sul pianerottolo di casa.

Il vicepresidente della commissione Trasporti da anni difende la galleria con la Francia, ma questa volta sembra demoralizzato: «Non posso continuare a far pagare a mia moglie e ai miei figli questa vita da inferno».

Le minacce, infatti, sono continue. «Torna in prefettura [dove Esposito lavorava prima di darsi alla politica, ndr], altrimenti farai bum bum ora che non c’è più il procuratore Caselli a proteggerti», c’era scritto in un biglietto accanto alle bottiglie incendiarie. Un particolare deprimente: né Numa né Esposito hanno ricevuto solidarietà da parte dei  capi del movimento no Tav. I quali raramente si dissociano dalle azioni violente dei centri sociali, anche se giurano di essere pacifici.

La ’ndrangheta a Modena

Originario di Bovalino (Reggio Calabria), Giovanni Tizian da anni vive e lavora da giornalista a Modena. I mafiosi hanno ucciso suo padre bancario nel 1989 in Calabria, forse perché non aveva concesso un fido a persone sospette. Caso mai risolto.

Dopo aver pubblicato un libro sulle infiltrazioni delle mafie al Nord, e sul riciclaggio, sono arrivate minacce anche a lui. Da due anni deve girare con la scorta: due agenti armati e uno in borghese.

Il 9 gennaio Tizian si è costituito parte civile nel processo Black Money iniziato a Bologna contro il clan Femia della ’ndrangheta, da lui accusato di lucrare sul gioco d’azzardo e dal quale erano arrivate le minacce di morte.

Ecco, queste sono cinque storie esemplari di cittadini «eroi per caso», costretti a ricorrere alla protezione della polizia per le intimidazioni subìte. Ci sono abbastanza scorte per loro? Forse, se se ne togliessero alcune inutili ai politici, loro sarebbero più tranquilli.
Mauro Suttora