I paesi sardi vogliono cambiare nome alle loro vie
Santa Teresa di Gallura (Sassari), 15 luglio
Al posto di viale Umberto I°, «viale Graziano Mesina, uomo libero». E invece di largo Principe di Piemonte, «Largo ai pastori sardi». Una mattina della scorsa settimana i santeresini (cinquemila d’inverno, sessantamila adesso, con i turisti) si sono svegliati con parecchie targhe delle loro vie cambiate. «Uno scherzo da buontemponi», minimizza il sindaco di Santa Teresa Piero Bardanzellu, 67 anni. Però, a oltre un mese dalle intercettazioni di Vittorio Emanuele, questo episodio goliardico significa che non si sono ancora sopite le polemiche sulle dichiarazioni anti-sarde dell’erede Savoia.
«I sardi non si lavano, puzzano, sono capaci solo di andare con le capre», aveva detto il principe in una delle sue telefonate pubblicate su tutti i giornali. Apriti cielo. Dichiarazioni sdegnate da parte di tutti i politici sardi, sedute di consigli comunali e provinciali convocate sull’argomento, mozioni di condanna votate all’unanimità. Due comuni, Bitti e Atzara in provincia di Nuoro, hanno preso una decisione drastica, l’unica in grado di danneggiare concretamente la memoria dei Savoia: cambiare la toponomastica. Cancellare dallo stradario cittadino tutte le intestazioni di vie recanti i nomi della casa sabauda. In altri paesi sono state presentate mozioni per «desabaudizzarsi», copiando la protesta pacifista dei comuni «denuclearizzati».
L’episodio più clamoroso è avvenuto all’interno del palazzo del consiglio provinciale di Sassari: Gavino Sale, 50 anni, rappresentante del partito Irs (Indipendentzia Repubrica de Sardinia), ha coperto con la bandiera sarda dei quattro mori il busto di Vittorio Emanuele I° che ancora adorna la sala consiliare. Non pago, ci ha poi scaricato sopra della spazzatura, lasciando esterrefatti gli altri 29 consiglieri e guadagnandosi una reprimenda da parte del presidente del consiglio provinciale.
«Non mi limito a chiedere maggiore autonomia per la Sardegna, come da sempre fa il partito sardo d’azione», dichiara a Oggi il consigliere Sale: «Dopo quest’ultimo gravissimo episodio, a maggior ragione voglio che la nostra regione sia indipendente». «Indipendenza»: parola proibita e particolarmente delicata in queste settimane, dopo l’incarcerazione di una ventina di bombaroli sardisti e comunisti che da quattro anni piazzavano ordigni nell’isola (uno era scoppiato a Porto Cervo nel 2004, a pochi giorni dall’incontro fra l’allora premier Silvio Berlusconi e l’inglese Tony Blair).
«Io sono per la nonviolenza», precisa Sale, «ma sarebbe anche ora che nelle nostre scuole si parlasse del secolo e mezzo di dominazione dei Savoia, i quali uccisero più sardi della peste del Quattrocento. Potremmo intitolare le nostre piazze e strade al patriota Giovanni Maria Angioi, che nel 1793 capeggiò la rivolta antifeudale prima di rifugiarsi in esilio in Corsica e poi a Parigi, oppure alla regina Eleonora d’Arborea, unica sovrana sarda della storia. Ai nostri figli insegniamo ancora di Muzio Scevola, però se nel nostro statuto regionale qualcuno osa proporre di inserire la parola “sovranità”, il governo di Roma ce lo proibisce. E poi, perchè la nostra superstrada principale, la 131 che collega la Sardegna da nord a sud, dev’essere ancora intestata a Carlo Felice?»
«Quella strada fu costruita in soli sei anni, con i mezzi disponibili nell’Ottocento, grazie ai laboriosi operai sardi ma anche a bravi tecnici piemontesi», ribatte Maria Carla Sanna da Quartu Sant’Elena (Cagliari): «Siamo o non siamo consci che in Continente quello che ha detto Vittorio Emanuele lo pensano in molti? Non andiamo così fieri delle nostre varie faide mortali e delle orecchie tagliate a bimbi sequestrati...»
Al di là delle generalizzazioni, Marina Doria, moglie di Vittorio Emanuele, ha chiesto scusa ai sardi a nome del marito. Scuse accolte dal sindaco di Atzara, Alessandro Corona: lì il cambio di nome delle vie non si farà più. E anche a Santa Teresa l’intestazione di una strada all’ex bandito Mesina è durata poche ore, finchè un operaio comunale ha rimosso la copertura abusiva. (Graziano Mesina, comunque, è ormai diventato un vip in Gallura: ha appena partecipato al premio letterario Cala di Volpe e all’inaugurazione del Country, il locale più chic di Porto Rotondo).
«In realtà quasi nessuno sa che, se i Savoia sono diventati re, lo devono proprio alla nostra regione», commenta divertito Bardanzellu, sindaco santeresino, «perchè nel Settecento loro erano solo duchi di Savoia e principi di Piemonte, mentre la Sardegna era già un regno. Quindi il titolo regale arrivò loro grazie a noi. Santa Teresa di Gallura fu fondata da Vittorio Emanuele I° nel 1808, la pianta urbanistica con vie perpendicolari ricalca quella di Torino. Lo stesso nostro nome ci viene da Maria Teresa, moglie del fondatore. E abbiamo ben tre patroni: san Vittorio in onore di lui, santa Teresa in onore di lei, e infine Sant’Isidoro - lo spagnolo San Isidro - per il popolo, al quale dei Savoia tutto sommato è sempre importato ben poco».
Quindi la «capitale» dei Savoia in Sardegna, la Santa Teresa nata per decreto regio sabaudo 198 anni fa, non cambierà le intestazioni delle proprie vie. Per indifferenza. E anche perché, se lo facesse, dovrebbe rinunciare perfino al proprio nome. «Che recuperi il precedente appellativo di Longonsardo», propone l’indipendentista Sale. Certo è che di acqua ne è passata, nello stretto di Bonifacio, da quando il precedente sindaco di Santa Teresa (diessino, ma insignito dell’ordine sabaudo di San Maurizio) andava a omaggiare i Savoia ancora esiliati in acque internazionali: si incontravano a metà strada con l’isola francese di Cavallo, da dove arrivavano Vittorio Emanuele e Marina. Poi, con la fine dell’ostracismo, negli ultimi anni la coppia reale è capitata spesso qui in motoscafo, a far spesa. Gite non più consigliabili.
Mauro Suttora