Thursday, January 10, 2008

Benazir Bhutto

Dopo l'assassinio dei Lady Pakistan

Islamabad, 9 gennaio 2008

Non era una santa, Benazir Bhutto. Intelligente, bella, carismatica e soprattutto dotata di una volontà di ferro. Ma entrambe le volte che aveva governato il Pakistan, dal 1988 al 1990, e poi dal ’93 al ’96, aveva dovuto abbandonare il potere accusata di corruzione.

«Sono tutte macchinazioni dei miei avversari politici, le accuse si basano su documenti falsificati», ha sempre giurato lei. Il problema è che i giudici non le hanno creduto. E non quelli pakistani, ma quelli svizzeri, che nel 2003 hanno condannato lei e il marito Asif Zardari, 51 anni (tre anni meno di Benazir) a sei mesi con la condizionale, per avere riciclato nelle banche elvetiche 11 milioni di dollari.

E il povero marito, che ora di salute non se la passa per niente bene fra diabete e infarti, e si sta curando nella loro casa di Manhattan, si è fatto ben undici anni di carcere in Pakistan con accuse tremende: dal ricatto alla corruzione, fino ad aver fatto assassinare il cognato Murtaza Bhutto nel ’96. «Mister dieci per cento», lo avevano soprannominato, riferendosi alla percentuale che pare esigesse sulle commesse pubbliche, soprattutto nel periodo in cui Benazir ebbe la sciagurata idea di nominarlo ministro (dell’Ambiente).

Ma nonostante tutte queste traversie, la Bhutto era adorata dai suoi sostenitori, e avrebbe sicuramente vinto le elezioni dell’8 gennaio. Perché per i pakistani la famiglia Bhutto è un mito che fa ancora presa.

Un padre fantastico

Zulfikar Alì Bhutto, padre di Benazir, incarna infatti l’unico periodo d’oro nella storia del Pakistan, nazione sfortunata che non possiede neppure un nome. «Pakistan», infatti, è una denominazione artificiale inventata da uno studente nazionalista a Oxford nel 1933, quando assieme all’India faceva ancora parte dell’impero britannico.
P per Punjab, A per Afghania, K per Kashmir, S per Sindh, e Tan per Belucistan, ovvero le regioni islamiche dell’India che volevano l’indipendenza, ma non assieme agli hindu di Gandhi. Il Pakistan è nato con una guerra (contro l’India nel ’47, appunto) ed è poi sempre stato in guerra, o contro l’India per il possesso del Kashmir, o contro il Bangladesh quando nel ’71 ci fu la secessione, o contro se stesso: i militari infatti hanno sospeso la democrazia per ben tredici volte in sessant’anni, con le motivazioni più varie. L’ultima, assai seria, quando dal 1999 l’attuale presidente, generale Pervez Musharraf, ha dovuto fronteggiare la minaccia fondamentalista.

Come i Gandhi in India

L’unica parentesi di governo civile e di benessere economico fu appunto quella di Alì Bhutto, che arrivò al potere all’inizio degli Anni 70 dopo la perdita del Bangladesh, e lo tenne fino al 1976, quando fu cacciato dal generale Zia Ul-Haq. Tre anni dopo Zia lo fece impiccare. Qualche ora prima dell’esecuzione, nel suo ultimo incontro col padre, Benazir gli promise che, come nella dinastia Gandhi in India, lei avrebbe raccolto la fiaccola della sua eredità politica.

Fino ad allora Benazir era solo una studentessa mandata dalla propria ricchissima famiglia a studiare all’estero: prima negli Stati Uniti, con laurea ad Harvard, e poi in Inghilterra, a Oxford. Dopo ben cinque anni di arresti domiciliari, il dittatore Zia le permette di emigrare a Londra. Ma quando l’assassino di suo padre muore, lei torna e viene eletta premier. È il 1988. Nel frattempo l’energica madre Nusrat le impone di sposare il capotribù Zardari, perché gli islamici non avrebbero mai votato una donna non sposata. Lei per un po’ resiste, tanto da venire soprannominata «vergine di ferro», poi cede. La coppia avrà tre figli.

Tutto si gioca lì

Il terzo ritorno in patria stava per regalarle la terza trionfale elezione. Ma il suo assassinio ha bloccato le speranze di chi contava su di lei per sconfiggere gli estremisti islamici.
«Tutto si gioca in Pakistan», dice a Oggi Mario Arpino, presidente Vitrociset (azienda di sistemi elettronici e avionici) e già capo di stato maggiore della Difesa, «perché l’obiettivo principale di Al Qaeda è oggi quello di impadronirsi della bomba atomica, e il Pakistan è l’unico stato islamico ad averla».
Che succederà adesso? «Noi occidentali non dobbiamo cedere alla tentazione di far coincidere la democrazia con le elezioni», avverte Arpino. «Non diamo quindi troppo addosso a Musharraf, che tutto sommato è amico dell’Occidente».

Mauro Suttora

3 comments:

Michele Boselli said...

Hello, the comment above is SPAM, DO NOT CLICK THE LINK

ciao Mauro, quando hai tempo cancella il commento di spam qui sopra che sta infestando decine o forse migliaia di blog. io nel mio l'ho "sterilizzato".

nel merito: articolo molto informativo dal quale ho appreso molte cose, grazie. sai per caso se questo generale Arpino è degli alpini e serviva la missione in Macedonia nei '90? mi sembra di ricordare il nome fosse simile, gran brava persona se è lo stesso.

Michele Boselli said...

ri-cia' Ma', per segnalarti che sei stato citato in un blog americano da una tua evidente ammiratrice, Carol Gee, la quale ha visitato il mio blog e deve aver pensato che dietro Miss Welby in realtà si celi tu! (probabilmente per via del link in cima alla sidebar subito sotto il mio profilo, questo andrà studiato come cambiare senno' generiamo confusione...)

anyway, la tipa sta in Texas, il suo blog è http://carol-sandy1.blogspot.com/ e questo è quel che ti scrive:

To Mauro Suttora, it is a small world indeed. I noticed that you had perhaps visited Cody, Wyoming, USA. I am a native of Wyoming, a state with one of the lowest populations in the nation. I cannot read Italian, so I will say that I, too, love Cody and the Buffalo Bill Museum. Its director, Peter Hassrick, used to be the director of the museum here in Texas where I have lived all my adult life. Ciao! and Thanks.

Mauro Suttora said...

grazie miss Welby