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Saturday, November 01, 2025

Ecco come Pasolini divenne radicale e capì tutto

Il cattocomunista eretico Pasolini e il laicissimo Pannella non potrebbero essere culturalmente più lontani, seppure entrambi libertari. Ma la loro simpatia nasce già nel 1963, quando il primo firma l'appello del secondo per un voto a sinistra in nome dei valori radicali. Il Pr non si presenta a quelle elezioni, però raccoglie l'adesione di intellettuali come Umberto Eco, Leonardo Sciascia, Elio Vittorini, Nelo Risi, Roberto Roversi, Massimo Mila - oltre a Pasolini

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 1 novembre 2025
"Caro lettore, passerei allo stile del volantinaggio: invia un telegramma o un biglietto di protesta ai segretari dei partiti o alla presidenza della Camera e del Senato". L'articolo che Pier Paolo Pasolini riesce a pubblicare sul Corriere della Sera il 16 luglio 1974 è inaudito: lo scrittore si lancia in una vera e propria propaganda diretta per Marco Pannella. Il quale è in sciopero della fame, perché due mesi dopo aver vinto il referendum sul divorzio la Rai continua a boicottarlo.
Il comitato di redazione filocomunista del Corrierone vorrebbe a sua volta boicottare l'articolo di Pasolini, che accusa Botteghe Oscure oltre che la Dc: "Il Vaticano e Fanfani, grandi sconfitti del referendum, non potranno mai ammettere che Pannella semplicemente 'esista'.  Ma neanche Berlinguer e il comitato centrale del Pci possono farlo. Pannella viene dunque 'abrogato' dalla vita pubblica italiana", denuncia lo scrittore.
Ci mette qualche giorno Gaspare Barbiellini Amidei, vicedirettore del Corsera e sponsor - lui cattolico - delle provocazioni di Pasolini, per convincere il direttore Piero Ottone a dare il via libera all'articolo. E il 'volantino' di PPP ha l'effetto di una bomba: la tv di stato, sotto ferreo controllo dc, è costretta a trasmettere un'intervista al leader radicale, in cui per la prima volta gli italiani ascoltano parole come 'aborto', 'omosessuali', 'lesbiche'.

Il cattocomunista eretico Pasolini e il laicissimo Pannella non potrebbero essere culturalmente più lontani, seppure entrambi libertari. Ma la loro simpatia nasce già nel 1963, quando il primo firma l'appello del secondo per un voto a sinistra in nome dei valori radicali. Il Pr non si presenta a quelle elezioni, però raccoglie l'adesione di intellettuali come Umberto Eco, Leonardo Sciascia, Elio Vittorini, Nelo Risi, Roberto Roversi, Massimo Mila - oltre a Pasolini.
Nel 1969 i due s'incrociano di nuovo, in difesa dell'anarchico omosessuale Aldo Braibanti condannato a nove anni per plagio. E nel 1971 entrambi sono incriminati come direttori responsabili del giornale Lotta Continua: prestano la loro firma come parafulmine alle numerose denunce per diffamazione, vilipendi e altri reati d'opinione.

L'amore politico scoppia due anni dopo, quando Pasolini si entusiasma per la prefazione di Pannella a un libro di Andrea Valcarenghi di Re Nudo, 'Underground a pugno chiuso': "Queste dieci pagine sono finalmente il testo di un manifesto del radicalismo italiano. Rappresentano un avvenimento nella cultura di questi anni, non si può non conoscerle".

Ecco il testo pannelliano che appassionò PPP: "(...) Io amo gli obiettori, i fuorilegge del matrimonio, i capelloni sottoproletari anfetaminizzati, i cecoslovacchi della primavera, i nonviolenti, i libertari, i veri credenti, le femministe, gli omosessuali, i borghesi come me, la gente con il suo intelligente qualunquismo e la sua triste disperazione.
"Amo speranze antiche come la donna e l'uomo; ideali politici vecchi quanto il secolo dei lumi, la rivoluzione borghese, i canti anarchici e il pensiero della Destra storica. Sono contro ogni bomba, ogni esercito, ogni fucile, ogni rafforzamento dello Stato di qualsiasi tipo, contro ogni sacrificio, morte o assassinio, soprattutto se 'rivoluzionario'. Credo ai racconti che ci si fa in cucina, a letto, per le strade, al lavoro, quando si vuole essere onesti ed essere davvero capiti, più che ai saggi o alle invettive.
"Credo sopra ad ogni altra cosa al dialogo, e non solo a quello 'spirituale': alle carezze, agli amplessi, alla conoscenza come a fatti non necessariamente d’evasione o individualistici – e tanto più 'privati' mi appaiono, tanto più pubblici e politici, quali sono, m’ingegno che siano riconosciuti. (...)

"Non credo al potere, e ripudio perfino la fantasia se minaccia d’occuparlo. Voi di Re Nudo dite: 'Erba e fucile'. Non mi va. Lo sai, non sono d'accordo. Fumare erba non m'interessa, per la semplice ragione che lo faccio da sempre. Ho un'autostrada di nicotina e di catrame dentro che lo prova, sulla quale viaggia veloce quanto di autodistruzione, di evasione, di colpevolizzazione e di piacere consunto e solitario la mia morte esige e ottiene. Mi è facile impegnarmi per disarmare i tenutari di quel casino che chiamano l'Ordine, i quali per sentirsi vivi hanno bisogno di comandare, proteggere, obbedire, arrestare, assolvere. Ma fare dell'erba un segno positivo di speranza mi par poco e sbagliato".

Quanto alla violenza, Pannella la considera "un'arma suicida per chi speri ragionevolmente di edificare una società (un po' più) libertaria. Non credo al fucile: ci sono troppe splendide cose che potremmo/potremo fare anche con il 'nemico', per pensare ad eliminarlo. La violenza è il campo privilegiato sul quale ogni minoranza al potere tenta di spostare la lotta degli sfruttati e della gente. Alla lunga ogni fucile è nero, come ogni esercito. E poi, basta con questa sinistra grande solo ai funerali, nelle commemorazioni, nelle proteste. Quando vedo, nell'ultimo numero di Re nudo, il 'recupero' di un'Unità del '43 in cui si invita ad ammazzare il fascista, ho voglia di darti dell'imbecille... Come puoi non comprendere il fascismo di questo antifascismo? Come noi radicali, voi renudisti sostenete che non esistono dei 'perversi', ma dei 'diversi'.
Come possiamo recuperare allora, proprio in politica, il concetto di 'male', di 'demonio', di 'perversione'? Quel che voi chiamate 'fascista' si chiama 'obiettore di coscienza', 'abortista', 'depravato' per altri".
Conclude Pannella: "Per noi la fantasia è stata una necessità, quasi una condanna, piuttosto che una scelta. Così abbiamo parlato come abbiamo potuto, con i piedi nelle marce, con i sederi nei sit-in, con gli happening continui, con erba e digiuni, con 'azioni dirette' di pochi, con musica e comizi. Le battaglie per i diritti civili sono mancate a tutto il vostro Movimento: un rozzo paleomarxismo ha fatto strage soprattutto a Milano".

Nel biennio 1974-75 la sintonia fra Pasolini e Pannella è totale. Sul settimanale Il Mondo appare una lunga intervista. La prima domanda di Pasolini è quasi poetica: "Parla, e dì quello che più ti interessa dire questa sera". Risponde Pannella: "Noi diciamo che il regime si chiude. L'insensibilità della stampa al nostro caso ne è la dimostrazione. Quando si può dire che un regime è tale? Che un regime è fascista? Quando esso non ha più bisogno della violenza perché i suoi valori siano accolti da tutti. Oggi la violenza dello stato coincide con la violenza del dovere del consumo, come tu dici... Ma consumo significa in definitiva consumare se stessi: si vive consumando, e non creando. Si consuma cioè la propria vita".

In quell'estate '74 si respira l'aria che porterà all'avanzata delle sinistre nel '75-'76. Eppure questi due protagonisti degli anni '70 sono pessimisti. E a ragione. Pannella sente contro di sé un 'regime' che sarebbe in effetti durato ancora a lungo. Pasolini sta elaborando le idee sullo 'sviluppo che non è progresso', sulla 'scomparsa delle lucciole' e sul 'processo al Palazzo'. Ma anche per il pasoliniano 'processo alla Dc' si dovrà aspettare il 1993, con Tangentopoli.

Pannella riprende la polemica contro la sinistra "subalterna e collaborazionista": "I 'compagni' si comportano come la maggioranza silenziosa sotto il fascismo nei riguardi dei miseri duemila antifascisti che c'erano in Italia, fatti passare per 'pazzi'. Oggi i pazzi siamo noi. 'A Marco gli si è spappolata la testa', dicono i miei amici dell'Espresso, e anche mia sorella. Ma il loro è un giornale fatto tutto di pubblicità: da una parte quella canonica della lavapiatti o della macchina di lusso, dall'altra quella scandalistica del Sid o del Sifar o di Fanfani. Contro questo, la parola d'ordine dei radicali è 'irragionevolezza'. L'uomo non è libero oggi se davanti alla tv, dinanzi alla creazione coatta dei bisogni, non sregola i sensi...".

Musica, per le orecchie dell'anticonsumista Pasolini. Che domanda a Pannella: "Che differenza c'è fra il fascismo classico e il nuovo fascismo di oggi?". Risposta: "I vecchi fascisti chiedevano un'astensione dalla politica. Il fascismo è abolizione del dibattito, che per noi invece è tutto. Solo nella piazza, nel foro, nel letto, a casa, l'uomo e la donna possono essere presenti in tutta la loro integrità. Considerati solo in quanto lavoratori (vecchio fascismo) o consumatori (nuovo fascismo), sono decapitati".

Poi Pasolini scrive sul Corsera: "È molto tempo ormai che i cattolici si sono dimenticati di essere cristiani. Il partito radicale e Pannella sono i reali vincitori del referendum sul divorzio. Ed è questo che non viene loro perdonato da nessuno. Anziché essere ricevuti e complimentati dal primo cittadino della Repubblica, in omaggio alla volontà del popolo italiano, Pannella e i suoi vengono ricusati come intoccabili. La volgarità del realismo politico non trova alcun punto di connessione col candore di Pannella. Le sue sono richieste di garanzia di una normalissima vita democratica. Ma il disprezzo teologico lo circonda".
Anche Giorgio Bocca, nella sua rubrica sull'Espresso, difende Pannella e attacca il "compromesso storico già operante" fra Pci e Dc.

Nel 1975 i radicali raccolgono le firme per il referendum sull'aborto, e il cattolico Pasolini dissente. Ma appena Pannella finisce in prigione per aver fumato una canna di marjuana ne chiede la scarcerazione, assieme ad Alberto Moravia ed Eco.
L'ultimo appuntamento di PPP con i radicali è drammatico. Nel senso che è un incontro mancato: avrebbe dovuto pronunciare un discorso al loro congresso annuale proprio il giorno dopo il suo assassinio, il 3 novembre 1975. Ma aveva già preparato il testo, che fu letto da Vincenzo Cerami.

Vale la pena riprodurlo ampiamente. Pasolini esordisce prendendo apparentemente le distanze da Pannella: "Non sono qui come radicale. Non sono qui come progressista. Sono qui come marxista che vota per il Partito Comunista Italiano, e spera molto nella nuova generazione di comunisti, almeno come spera nei radicali".
Poi però Pasolini entra in medias res e diventa profetico, come così spesso gli accade. Denuncia "la borghesizzazione totale che si sta verificando in tutti i paesi: definitivamente nei grandi paesi capitalistici, drammaticamente in Italia. Da questo punto di vista le prospettive del capitale appaiono rosee. I bisogni indotti dal nuovo capitalismo sono totalmente e perfettamente inutili e artificiali. Il consumismo può creare dei 'rapporti sociali' immodificabili, sia creando, nel caso peggiore, al posto del vecchio clericofascismo un nuovo tecnofascismo (che potrebbe comunque realizzarsi solo a patto di chiamarsi antifascismo), sia creando come contesto alla propria ideologia edonistica un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili".

Lo scrittore si rende conto che sta criticando le migliori conquiste della sinistra negli anni '70 proprio a casa dei loro massimi alfieri, i radicali. Ma li assolve: "Caro Pannella, caro Spadaccia, cari amici radicali, pazienti con tutti come santi, e quindi anche con me: bisogna lottare per la conservazione di tutte le forme, alterne e subalterne, di cultura. È ciò che avete fatto voi in tutti questi anni, specialmente negli ultimi. E siete riusciti a trovare forme alterne e subalterne di cultura dappertutto: al centro della città, e negli angoli più lontani, più morti, più infrequentabili. Non avete avuto alcun rispetto umano, nessuna falsa dignità, e non siete soggiaciuti ad alcun ricatto. Non avete avuto paura né di meretrici né di pubblicani, e neanche – ed è tutto dire – di fascisti.

"I diritti civili sono in sostanza i diritti degli altri. Nella vostra mitezza e nella vostra intransigenza, voi non avete fatto distinzioni. Vi siete compromessi fino in fondo per ogni alterità possibile. Ma una osservazione va fatta. C’è un’alterità che riguarda la maggioranza e un’alterità che riguarda le minoranze. Il problema che riguarda la distruzione della cultura della classe dominata, come eliminazione di una alterità dialettica e dunque minacciosa, è un problema che riguarda la maggioranza. Il problema del divorzio è un problema che riguarda la maggioranza. Il problema dell’aborto è un problema che riguarda la maggioranza. Infatti gli operai e i contadini, i mariti e le mogli, i padri e le madri costituiscono la maggioranza.
"A proposito della difesa generica dell’alterità, a proposito del divorzio, a proposito dell’aborto, avete ottenuto dei grandi successi. Ciò – e voi lo sapete benissimo – costituisce un grande pericolo. Per voi – e voi sapete benissimo come reagire – ma anche per tutto il paese che invece, specialmente ai livelli culturali che dovrebbero essere più alti, reagisce regolarmente male. Cosa voglio dire con questo? Attraverso l’adozione marxistizzata dei diritti civili da parte degli estremisti i diritti civili sono entrati a far parte non solo della coscienza, ma anche della dinamica di tutta la classe dirigente italiana di fede progressista. Non parlo dei vostri simpatizzanti… Non parlo di coloro che avete raggiunto nei luoghi più lontani e diversi: fatto di cui siete giustamente orgogliosi. Parlo degli intellettuali socialisti, comunisti, cattolici di sinistra, degli intellettuali generici (…)

"La massa degli intellettuali che ha mutuato da voi, attraverso una marxizzazione pragmatica di estremisti, la lotta per i diritti civili rendendola così nel proprio codice progressista, o conformismo di sinistra, altro non fa che il gioco del potere: tanto più un intellettuale progressista è fanaticamente convinto delle bontà del proprio contributo alla realizzazione dei diritti civili, tanto più, in sostanza, egli accetta la funzione socialdemocratica che il potere gli impone abrogando, attraverso la realizzazione falsificata e totalizzante dei diritti civili, ogni reale alterità".

Attenzione: col suo linguaggio complicato Pasolini mezzo secolo fa sta già preconizzando il "partito radicale di massa" in cui si è via via trasformato il Pci-Pds-Ds-Pd fino ad oggi, fino all'evaporazione della classe operaia e alla sua incapacità di proteggere i diritti economici dei nuovi proletari. Una previsione allora condivisa soltanto dal filosofo cattolico conservatore Augusto Del Noce.
Conclude lo scrittore friulano: "Il potere si accinge di fatto ad assumere gli intellettuali progressisti come propri chierici. Ed essi hanno già dato a tale invisibile potere una invisibile adesione.

Contro tutto questo voi non dovete far altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili. Dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare".

Pannella e i radicali sono stati ben felici, nei decenni successivi, di seguire questo consiglio di Pasolini. Fino all'autolesionismo di abbandonare battaglie vincenti una volta raggiunto l'obiettivo, senza capitalizzarne elettoralmente i successi. 
Sono quindi rimasti partito di estrema minoranza, incuranti dell'impopolarità di alcune nuove cause (diritti dei deputati durante Tangentopoli, no ai populismi, carcerati) e testardi nel portare avanti quelle potenzialmente maggioritarie (antiproibizionismo sulle droghe, oggi l'eutanasia con l'associazione Coscioni), ma bloccate da pregiudizi difficili da scalfire. Anche perché sono scomparsi pensatori controcorrente come Pasolini, capaci di scardinare luoghi comuni e idee ricevute.

Sunday, December 19, 2021

La libertà di non vaccinarsi non è un diritto civile

I novax si comportano da free-riders: evasori a sbafo. Come i portoghesi che non pagano il biglietto su tram e treni. I quali circolano lo stesso, tanto pagano gli altri

di Mauro Suttora

HuffPost, 19 dicembre 2021

Libertà, libertà. E i libertari che ne pensano, della libertà di vaccinarsi invocata dai novax?

Libertari in Italia significa radicali, Pannella, Bonino. Sono stati loro a ottenere la libertà di divorziare, abortire, obiettare al servizio militare, praticare la fecondazione assistita. Sono sempre loro anche oggi a chiedere, con gli imminenti referendum, libertà di fumare cannabis e di decidere sulla fine della propria vita (eutanasia).

È radicale pure Davide Tutino, il professore di storia e filosofia che a Roma è diventato il primo obiettore di coscienza contro l’obbligo vaccinale a scuola, perdendo lo stipendio. Una disobbedienza civile in piena regola. Lo abbiamo conosciuto giovedì sera a Piazzapulita (La7), dove si è guadagnato i complimenti di tutti per la pacatezza del suo argomentare.

Ma Pannella cosa direbbe sui vaccini, se non fosse scomparso cinque anni fa? Tutino ha riesumato l’unica occasione in cui si espresse sull’argomento: un convegno radicale nel 1995 a Genova sulla proposta di obbligo vaccinale per i bambini (attuato nel 2017 dalla ministra Lorenzin). Ascoltati i relatori, fra cui un giovane professor Bassetti e il pioniere novax Gianpaolo Vanoli, Pannella disse che era scettico sul ruolo dello stato come “tutore della salute pubblica”. Ovvio per un libertario, ma lontano dalle fiammeggianti intemerate di un Ivan Illich o Michel Foucault.

Difficile comunque ricorrere all’ipse dixit, data la differenza del contesto: un quarto di secolo fa non c’era l’attuale emergenza planetaria. Cosicché oggi i radicali sono, come tutti, schierati in stragrande maggioranza per vaccini e greenpass. 

Tuttavia, il dilemma obbligo/libertà sui vaccini interpella inevitabilmente i libertari. Perché l’intromissione dello stato è evidente. Finché si sperava nell’immunità di gregge, non c’erano problemi: lo spazio per un 10-20% di refrattari era garantito. Ma le varianti hanno cambiato il gioco, e con omicron nessuno più sembra preoccuparsi di salvaguardare neanche una microscopica minoranza di obiettori al vaccino.

Dura da accettare per i radicali, abituati a opporsi alle solidarietà nazionali in nome delle emergenze, dal terrorismo in poi. “Né con questo stato, né con le br”, disse Sciascia (prima dell’omicidio Moro).

E oggi? “Né vax, né novax?” Impossibile, per il partito illuminista di Luca Coscioni, della libertà e fiducia nella scienza, della ricerca sulle cellule staminali, contro gli opposti oscurantismi: “No Vatican, no Taliban”, fu lo slogan pannelliano nel 2005, era pre-Bergoglio.   

E allora? A indirizzare i libertari, ecco l’abc dell’etica laica: l’imperativo categorico di Kant. Ovvero: ogni tua azione sia valida come legge universale.

Quindi coloro che non si vaccinano, come l’ottimo Tutino, immaginino un mondo in cui tutti seguano il loro esempio. È un comportamento replicabile? No. Perché tutti possono divorziare, abortire, far figli in vitro, fumarsi una canna o ricorrere all’eutanasia senza danneggiare gli altri. Non vaccinarsi invece danneggia: seppur in misura minima, se si crede agli scetticismi novax. Quindi la libertà di non vaccinarsi non è un diritto civile.

Insomma, i novax possono esistere solo in quanto rimangono al 5%. Se fossero di più avremmo 50 milioni di morti, non 5. Certo, il vaccino fa entrare lo stato nella nostra vita. Peggio, per un libertario: nel nostro corpo. Ma, anche ammettendo che le immunizzazioni possano essere rischiose o inutili, i novax si comportano da free-riders: evasori a sbafo. Come i portoghesi che non pagano il biglietto su tram e treni. I quali circolano lo stesso, tanto pagano gli altri. 

Questa si chiama irresponsabilità. E fa a pugni con il principio di legalità, ovvero lo stato di diritto. Che è la base della nostra convivenza civile. Ma anche la stella polare di tutti i libertari che praticano la disobbedienza civile. Perché Gandhi e Luther King si appellavano proprio alla legge e alla certezza del diritto, non a una generica ‘libertà’ populista e ribellista. Sulle orme di Antigone, denunciavano ingiustizie e discriminazioni. E pagavano scrupolosamente con arresti e carcere il prezzo delle proprie azioni dirette nonviolente, che violavano leggi da loro considerate sbagliate. Come hanno sempre fatto Pannella e i radicali. E oggi anche Tutino, seppure per una causa fallace.

Mauro Suttora 

Monday, May 23, 2016

Perché Pannella non lo votava nessuno?

ALLE ULTIME ELEZIONI DEL 2013 I RADICALI HANNO PRESO LO 0,3%

di Mauro Suttora

Oggi, 25 maggio 2016

Ma chi era veramente Marco Pannella? Come mai abbiamo santificato un uomo politico al quale nelle ultime elezioni, tre anni fa, abbiamo dato appena lo 0,3% dei nostri voti?

Nel 2013 i radicali non sono riusciti neppure a raccogliere le firme per presentarsi in metà delle regioni. Perciò oggi, quando la sua compagna Emma Bonino dice che «alcuni omaggi sanno di ipocrisia», si riferisce a tutti gli italiani, e non solo ai politici: «Amateci di meno e votateci di più», ha invitato, da concreta piemontese.

Il problema è che i radicali sono sempre stati un disastro, nelle urne. Il partito fondato  60 anni fa da Pannella ed Eugenio Scalfari (fra gli altri) alle prime politiche nel 1958 racimolò appena l’1,4%. Ed era alleato con i repubblicani, che da soli al voto precedente avevano preso l’1,1. Quindi, anche allora valevano lo 0,3%.
Alle comunali del ’60 riuscirono a eleggere l’attore Arnoldo Foà a Roma e Scalfari con lo scrittore Elio Vittorini a Milano (a Torino candidavano Norberto Bobbio). 

Un risultato che sperano di replicare il prossimo 5 giugno, sull’onda del ricordo di Pannella: Marco Cappato corre a Milano e il segretario di Radicali Italiani Riccardo Magi a Roma, in una lista di appoggio al pd Roberto Giachetti (ex radicale). 
Ma dovranno superare il 3%. E questo è successo solo tre volte nella storia: nel 1979 con Leonardo Sciascia, nell’84 grazie a Enzo Tortora, e nel ’99 con la lista Bonino che toccò l’8%.

Come mai Pannella non lo ha mai votato quasi nessuno? La risposta, curiosamente, arriva dal cantante Enrico Ruggeri. Che radicale non è, ma nel 2003 presentò a Sanremo la canzone Nessuno tocchi Caino contro la pena di morte (una delle innumerevoli campagne radicali): «A Pannella non interessava il consenso. Tutti i politici parlano con lo scopo di essere votati, lui no. Lui voleva solo ottenere risultati per le sue iniziative».

Lo spiegava Pannella stesso: «Io non “faccio” politica. Non “prendo posizioni”. Io lotto». Eppure non era un antipolitico come Beppe Grillo. Al contrario: prese la sua prima tessera di partito (liberale) a 15 anni, nel 1945. E per tutta la sua vita è stato un politico a tempo pieno, tranne qualche anno come giornalista (per Il Giorno nel 1959-62 e per l’Espresso nel 1973, quando seguì Mitterrand in Francia).

Ma ha sempre combattuto i politici se degenerano in Casta. Trent’anni prima del fortunato libro di Rizzo e Stella lottava contro la «partitocrazia» e il finanziamento pubblico ai partiti (quasi vinto il primo referendum del ’78). Per questo è riuscito a mantenere la fama di politico atipico e onesto.

Lo stesso è successo per un’altra battaglia di Pannella: l’anticlericalismo. Come mai è diventato amico di papa Francesco, lui legalizzatore di aborto e divorzio, superlaico, fautore dell’eutanasia, che ancora pochi anni fa sventolava cartelli “No Vatican no Taleban” contro il cardinale Ruini che lo aveva sconfitto nel referendum sulla fecondazione assistita del 2005? «Perché il clericalismo è solo una degenerazione del vero sentimento religioso. E noi radicali siamo sempre stati credenti. In altro che nella “roba”».
Mauro Suttora


Monday, March 22, 2010

Dacci oggi la nostra tangente quotidiana

UN PAESE DI LADRI? DALLE ALPI ALLA SICILIA, LE INCHIESTE DEGLI ULTIMI DUE MESI

Dalla vicenda della Protezione civile a quella della maxitruffa sull' Iva: ogni giorno un nuovo scandalo. Come mai? «Colpa della crisi», dicono gli esperti

di Mauro Suttora

Oggi, 10 marzo 2010

La più spettacolare è stata la figlia del costruttore genovese 75enne Pietro Pesce: stava portando a Montecarlo 270 mila euro nascosti negli slip. Fermata alla frontiera, multata per 100 mila euro. Non doma, ha depositato il resto su un conto intestato a una società delle isole Vergini. Sul quale transitavano milioni di euro. E il 3 febbraio la procura ha ipotizzato che al presidente del consiglio provinciale d i Savona, Stefano Parodi (Pdl), che nega, ne siano finiti 50 mila. Il 13 febbraio Milko Pennisi (Pdl), presidente della Commissione urbanistica al Comune di Milano, si è fatto beccare in flagrante mentre incassava 5 mila euro (seconda rata di una mazzetta da 10 mila) dal costruttore bresciano Mario Basso: dieci banconote da 500 infilate in un pacchetto di sigarette.

15 MILA EURO A VARESE

Nei giorni seguenti, notizie di truffe di ogni tipo: dal megascandalo della Protezione civile (appalti sospetti per 910 milioni sui «Grandi eventi») ai 15 mila euro intascati a Varese da Massimiliano D'Errico, capo Ufficio antifrode dell'Agenzia delle Entrate; dai 2 miliardi di Iva che sarebbero stati evasi da Fastweb e Telecom Sparkle, con il coinvolgimento del senatore Nicola Di Girolamo (Pdl), ai mafiosi della ndrangheta calabrese che in perfet to stile bipartisan, secondo i magistrati, pagavano sia l'ex sindaco di sinistra, sia un consigliere comunale di destra a Trezzano sul Naviglio, nell'hinterland milanese.

Dacci oggi la nostra tangente quotidiana. Nella cartina dell'altra pagina abbiamo raccolto un elenco (solo parziale) degli episodi di corruzione che sarebbero stati scoperti negli ultimi due mesi. Fatta salva la presunzione di innocenza, ogni giorno una notizia di reato, un'inchiesta aperta, una chiusa (quella in Abruzzo contro l'ex governatore Pd Ottaviano Del Turco), una sentenza definitiva (il patteggiamento di Rosanna Arnaboldi di Pavia, che ha restituito un milione e 200 mila euro), un'intercettazione. Sospetti perfino sul voto via sms per il Festival di Sanremo. Impressionante. Che cosa succede? Siamo diventati un Paese di mascalzoni? O non abbiamo mai smesso di esserlo?

«In questo mondo di ladri...», cantava Antonello Venditti, poco tempo prima di Tangentopoli. Oggi l'inchiesta Mani Pulite è appena diventata maggiorenne, Bettino Craxi è morto, l'ex magistrato Antonio Di Pietro guida il secondo partito dell'opposizione. Ma questi 18 anni non sembrano essere passati. «Le denunce per corruzione, concussione e abuso d'ufficio sono aumentate del 229 per cento nel 2009», ha appena tuonato il presidente della Corte dei Conti. Sono state 2.154: sei al giorno, compresi sabati e domeniche. E hanno provocato un danno allo Stato per 68 milioni.

VESCOVI CONTRO I CORROTTI

Se ne sono accort i anche i vescovi italiani, che hanno scritto un durissimo documento contro le «classi dirigenti inadeguate» e corrotte, soprattutto al Sud. Perfino il premier Silvio Berlusconi, sempre aggressivo contro i magistrati, sembra essersi reso conto del pro blema, e sta preparando una nuova legge anti-corruzione. Salvo, pochi giorni dopo, lanciarsi di nuovo in critiche contro le intercettazioni telefoniche.

MENO SOLDI, PIÙ DENUNCE

«Ma senza le intercettazioni molte di queste inchieste non sarebbero andate avanti», avvertono i giudici. Spiegano da Berlino gli esperti di Transparency International , che nell'ultima classifica sui Paesi più corrotti del mondo ha messo l'Italia al 63° posto, dietro al Botswana : «L'impennata delle denunce non significa di per sé che la corruzione sia aumentata. Chi soggiace alle richieste di pizzo non sempre denuncia. Perché finché i soldi girano, molti imprenditori possono trovare conveniente "ungere" le ruote per aggiudicarsi un appalto. Ma in tempi di crisi, nessuno vuole più essere preso per la gola. I margini di guadagno si assottigliano per tutti. Così politici e i pubblici ufficiali corrotti non possono continuare a pretendere come prima».

Insomma, sarebbe la mancanza di soldi a spingere, se non all'onestà, almeno a una parziale bonifica. L'insofferenza aumenta, e i taglieggiati si ribellano. Anche Mani Pulite, a pensarci bene, arrivò nel 1992, dopo la crisi economica della prima guerra del Golfo. Per la verità, dopo l' arresto di Pennisi a Milano la Proc u ra sperava che altri imprenditori si facessero avanti denunciando i tangentari, in un sistema che si presume diffuso. Ma finora non ci sono state altre «trappole» per cogliere in flagrante politici e funzionari. Lo scandalo della Protezione civile, semmai, dimostra che i modi di incassare favori si sono diversificati. Troppo rischioso farsi accreditare grosse cifre, anche su conti esteri che prima o poi vengono scoperti (anche se, confidando nella lentezza delle indagini, si può contare sulla prescrizione). E troppo semplice ricorrere ai conti di mogli, cognati, figli, parenti e amici.

Emerge quindi la tangente del Terzo millennio: quella in natura. Tanti piccoli favori «spezzettati»: dall' assunzione del figlio alla consulenza da 100 mila euro; dalla ristrutturazione edilizia della casa in campagna alle prostitute in hotel e alle «massaggiatrici» nei centri sportivi. Fino ai classici orologi da 10 mila euro e alle auto di lusso da 70 mila. Un « sistema gelatinoso», come lo hanno definito gli investigatori, difficilissimo da individuare se non attraverso le intercettazioni.

ALLARME: MAFIA AL NORD

Ma l'aspetto più preoccupante delle nuove corruzioni del 2010 è il grosso peso della 'ndrangheta. Che ormai, come si è visto, riesce a eleggere parlamentari e a controllare interi Comuni pagando politici e dirigenti sia a destra, sia a sinistra. «La palma va a Nord», ammoniva lo scrittore Leonardo Sciascia trent' anni fa: la mafia ricicla e investe in tutta Italia.

"GUADAGNO DUE MILIONI E MEZZO"
Angelo Balducci, 62 anni, vice di Bertolaso per i Grandi eventi. In carcere ha detto: «Guadagno due milioni e mezzo all' anno, perché dovrei rubare?».

FATTURE RICICLATE PER ANNI E ANNI
Nicola Di Girolamo, 49 anni, senatore Pdl eletto all' estero (circoscrizione Europa): si è dimesso per il coinvolgimento nell' inchiesta sulla maxitruffa Fastweb-Telecom Sparkle.

5.000 EURO CON SIGARETTE
Milko Pennisi, 46 anni, arrestato: ha preso la «stecca» in un pacchetto di sigarette.

NDRANGHETA BIPARTISAN
Tiziano Butturini, 53, ex sindaco Pd di Trezzano (Mi): la ' ndrangheta avrebbe pagato anche il Pdl.

LO "SCERIFFO" NEI GUAI
Piergianni Prosperini, 63, assessore Regione Lombardia: appalti in cambio di spot tv?

IL SENATORE CON IL BOSS
Il senatore Di Girolamo (a destra) posa col boss della ' ndrangheta Franco Pugliese, 53, arrestato a Isola Capo Rizzuto e ritenuto vicino alla cosca Arena, in una foto pubblicata da L' Espresso . Pugliese avrebbe raccolto voti per Di Girolamo fra gli emigrati calabresi. Per la truffa Fastweb è stato arrestato Silvio Scaglia. Indagato anche l' ex presidente di Telecom Sparkle, Riccardo Ruggiero.

Mauro Suttora

Thursday, April 10, 2008

Il caso Valter Vecellio

IN RAI IL PRIMO LOTTIZZATO PUBBLICO

di Mauro Suttora

Libero, 10 aprile 2008

Basta con l’ipocrisia. Tutti sappiamo che (quasi) tutti i giornalisti Rai sono lottizzati. Quindi tanto vale che ciascun partito, capocorrente o padrino si batta pubblicamente per i propri protetti. Senza sotterfugi, senza i «bigliettini» di raccomandazione che costarono il posto di direttore del Tg1 a Gad Lerner. Apertamente, anzi clamorosamente. A infrangere riti e finzioni di Bisanzio è Marco Pannella, che ora digiuna per Valter Vecellio. Il quale passerà così alla storia come il primo giornalista raccomandato ufficiale d’Italia.

Mentre tutti nascondono i propri «referenti» politici, 102 militanti e dirigenti radicali addirittura si affamano per fare avere a Valter, 54enne bravo e burbero vicecaporedattore del Tg2, un programma tutto suo. Anzi un «format», come dicono i fichissimi. Naturalmente il tema di questo programma è all’altezza dei radicali: planetario. Si dovrà occupare nientedimenoche della «violazione dei diritti umani nel mondo e delle lotte messe in atto per affermarli», spiega Rita Bernardini, segretaria dei Radicali italiani.

Insomma, cose come Tibet, Cina, Birmania, Darfur. Sarà quindi un programma sui radicali stessi, che da decenni si battono per cause come queste, e altre ancora più dimenticate come gli uiguri del Turkestan orientale, o i montagnard del Vietnam. Ma tutta questa benemerita attività umanitaria transnazionale ora si concentra in un obiettivo ‘ad personam’ italianissimo, anzi romanissimo, anzi saxarubrissimo: «Chiediamo che si ponga fine alla conventio ad excludendum nei confronti dei radicali, e per questo indichiamo con chiarezza il nome di chi potrebbe dirigere il settore di riforma: un professionista capace e stimato come Vecellio», specifica la Bernardini.

Evviva la sincerità. Vent’anni fa Pannella scandalizzò il mondo eleggendo Cicciolina, e oggi un altro tabù è rotto: quello del cosiddetto ‘servizio pubblico’. In realtà servizio di fazioni privatissime. E allora anche i radicali dopo mezzo secolo di dolente verginità si adeguano. Reclamando, buoni ultimi, il proprio brandello di Libano.

Il bello è che il povero Vecellio, simbolo di questa surreale lotta nonviolenta, ha una sua dignitosissima storia giornalistica. Profugo dalla Libia, cacciato da Gheddafi, dal ’74 lavora a Notizie radicali, l’organo del partito. Negli anni ’70 inventa le prime rassegne stampa d'Italia su Radio radicale, ma nell’82 tradisce Pannella per Craxi assieme al direttore della Radio Lino Jannuzzi, l’ex segretario Geppi Rippa e Marco Boato. Si rifugia all’Avanti! dove per una decina d’anni verga editoriali di fuoco contro i radicali esibendo l’odio degli ex, finché nel ’91 approda al Tg2 in quota Psi.

Poi, anche grazie al comune amore per Leonardo Sciascia (Vecellio è stato presidente dell’«Associazione degli amici» dello scrittore e deputato radicale), è tornato all’ovile. Pannella, come tutti quelli che si sentono un po’ Gesù, adora i figlioli prodighi. Così gli ha affidato la direzione di Notizie radicali. Che Valter firma italianizzando il proprio nome: Gualtiero.

Mauro Suttora

Monday, February 25, 2008

I radicali e il Pd

ACCORDO: NOVE PARLAMENTARI E TRE MILIONI DI EURO

di Mauro Suttora

Libero, 22 febbraio 2008

Tre milioni di euro. È l’incredibile cifra che i radicali sono riusciti a strappare a Walter Veltroni in cambio di nulla. Perché se i Democratici non avessero offerto loro nove posti da parlamentare, più questa sontuosa fetta di finanziamento pubblico, i pannelliani sarebbero scomparsi dal parlamento. Impossibile infatti che raggiungano il quattro per cento, quota-ghigliottina per i non apparentati, da soli o magari riesumando la Rosa nel pugno con i socialisti, che due anni fa si fermò mesta al due virgola qualcosa. Oggi i sondaggi unanimi assegnano loro l’uno-due per cento. E nessun altro forno - Berlusconi, Bertinotti - li vuole. Nessuna alternativa, quindi.

Eppure, trattando e lamentandosi, Marco Pannella ed Emma Bonino hanno spuntato condizioni di lusso. Il governo italiano - qualunque governo - dovrebbe nominarli immediatamente plenipotenziari per tutti i negoziati internazionali che aspettano il nostro Paese. Si sono dimostrati più abili di qualsiasi pokerista incallito, trader di Wall Street o vucumprà da spiaggia. Eccezionali.

Pannella, d’altronde, è sempre stato eccezionale. Da quando a quindici anni, nel 1945, comprò la prima copia del giornale di Benedetto Croce, ‘Risorgimento liberale’, e s’innamorò del partito omonimo. Pochi anni dopo lui ed Eugenio Scalfari erano i due galletti più promettenti nel vivaio del Pli. Ma stavano troppo a sinistra per i filo-confindustriali, e allora nel ’55 fondarono il partito radicale. Dopodiché, sono sempre andati a scrocco. Alle politiche si allearono con il Pri, ma presero l’1,4. Nel ’60 si appiccicarono al Psi e andò un po’ meglio: 51 consiglieri comunali radicali eletti in Italia (fra i quali Arnoldo Foà in Campidoglio e Scalfari a Milano, col quadruplo dei voti di un giovane Bettino Craxi).

Poi ci fu un’alleanza a Roma addirittura con i filosovietici dello Psiup: Pannella arrivò terzo ma non fu eletto. La strategia del cuculo funzionò invece nell’89, quando i radicali stabilirono un record mondiale. Riuscirono a candidarsi eurodeputati in ben quattro liste diverse: Pannella con Pri-Pli, Adelaide Aglietta con i verdi, Marco Taradash con gli antiproibizionisti sulla droga. E Giovanni Negri finì nel Psdi, unico non eletto.

Nel ’63 fu il Pci a fare la corte a Pannella, proprio come oggi: Giancarlo Pajetta in persona offrì tre posti da indipendenti di sinistra ai radicali. Ma loro rifiutarono sdegnosamente. Allora se lo potevano permettere, perché nessuno faceva il politico di mestiere: Pannella e Gianfranco Spadaccia erano giornalisti, Angiolo Bandinelli professore, Sergio Stanzani dirigente Iri, Mauro Mellini avvocato.

Oggi, invece, la «baracca» radicale è una piccola multinazionale dei diritti umani con uffici a Bruxelles e New York, una bella sede nel centro di Roma proprio sopra al night Supper club, e un’ottima radio che copre tutta Italia e offre la migliore rassegna stampa ai patiti di politica: quella del direttore Massimo Bordin.

Loro, che si considerano sempre il sale della terra, preferiscono autodefinirsi umilmente “galassia”, e vantano un sacco di associazioni collaterali: da ‘Nessuno tocchi Caino’ che ha appena strappato la moratoria sulle esecuzioni capitali all’Onu alla ‘Luca Coscioni’ che si batte per la libertà della ricerca scientifica e il testamento biologico (caso Welby), dagli ecologisti di ‘Rientro dolce’ agli umanitaristi internazionali di ‘Non c’è pace senza giustizia’.

Il che, molto prosaicamente, vuol dire decine di stipendi che Pannella si trova sul groppone. Ora, grazie a Walter, verranno erogati per altri cinque anni. Quanto a Radio radicale, da decenni riesce nel miracolo di incassare contributi statali sia come organo di partito, sia come emittente super partes delle sedute parlamentari.

Intendiamoci, però: i pannelliani non sono imbroglioni clientelari. La loro radio, per esempio, trasmette con spirito voltairiano convegni e congressi di tutti i partiti. Tanto che, all’ultima assemblea di An, un oratore ha chiesto in extremis la parola a Gianfranco Fini giustificandosi così: «Devo dimostrare a mia moglie in ascolto dalla Sicilia che sono veramente qui».

Nel 1996 fu Berlusconi a trovarsi nei panni di Veltroni. Allora Pannella trattò con lui l’entrata dei radicali nel Polo, chiedendo lo stesso numero di collegi sicuri offerti ai cattolici di Ccd-Cdu. Ma aveva sottovalutato l’abilità di Casini, Mastella e Buttiglione, che alla fine spuntarono cento posti contro i 43 offerti ai radicali. «Non entrerò più nel suk di via dell’Anima!», tuonò Marco, che si vendicò presentando candidati autonomi. Un disastro: nessun deputato, e solo un senatore eletto in Sicilia (Piero Milio) grazie a una desistenza concordata in extremis.

Ammaestrato da quella esperienza, che tenne i radicali fuori da Montecitorio per un decennio, questa volta Pannellik ha bluffato solo fino all’ultimo secondo. Poi i suoi fidatissimi Rita Bernardini e Marco Cappato hanno acchiappato al volo quel che offriva Goffredo Bettini, il generoso (o sprovveduto?) luogotenente di Veltroni, probabilmente anche lui succube del fascino di SuperMarco fin dal ’93, quando assieme architettarono la prima sindacatura romana vincente di Francesco Rutelli.

Chi saranno adesso i nove radicali nel partito democratico? Pro forma è stato convocato un comitato nazionale radicale per il weekend. Però come sempre deciderà Pannella, gran libertario fuori ma leninista all’interno del suo partitino. I due giovani radicali più brillanti, quelli della svolta liberista degli anni Novanta che fruttò l’exploit dell’otto per cento alla lista Bonino nel ’99 (con punte del 15% in alcune città del nord), se ne sono andati con Berlusconi. Benedetto Della Vedova è riuscito a mantenere rapporti cordiali con Marco, mentre con Daniele Capezzone si è passati direttamente dall’amore all’odio. Eppure Pannella è spesso generoso con i suoi. A volte quasi scialacquatore. Due anni fa, per esempio, regalò due seggi che spettavano ai radicali (nell’alleanza con i socialisti) agli ex comunisti Lanfranco Turci e Salvatore Buglio - quest’ultimo unico ex operaio eletto alla Camera.

Molti sono gli ex portaborse radicali che devono essere sistemati. (La definizione non suoni insulto: chi ha portato la borsa a Pannella è destinato a carriere mirabolanti, come Elio Vito in Forza Italia e lo stesso Rutelli). Non ci saranno quindi esterni di lusso, come Leonardo Sciascia, Enzo Tortora o Domenico Modugno. E neanche scandali viventi come Toni Negri o Cicciolina.

Bandinelli, possibile senatore, ha 80 anni come Ciriaco De Mita, ma Veltroni ha un debole per lui: sedettero assieme nel consiglio comunale a Roma di Luigi Petroselli negli anni ’70 (prima carica di Walter). Oggi Bandinelli è un po’ imbarazzato, perché dopo avere scritto sul mitico ‘Mondo’ di Mario Pannunzio negli anni ’50 e ’60 è approdato al ‘Foglio’. Ma la svolta clericale di Giuliano Ferrara lo ha spiazzato, anche se conserva la sua column settimanale in nome della “dissenting opinion”.

Quanto a Pannella, a 78 anni non è un mistero che ambisca a un posto da senatore. A vita, però. Prima o poi, c’è da scommetterlo, riuscirà ad ammaliare anche qualche presidente della Repubblica, che sarà costretto a nominarlo dopo uno sciopero della fame o della sete. Per evitare un’altra bevuta di pipì, come quella che l’incorreggibile inflisse al povero Carlo Azeglio Ciampi nel 2002.

Mauro Suttora

Friday, April 27, 2001

Lo strano anticlericalismo radicale

ANGIOLO BANDINELLI SPIEGA PERCHE' PANNELLA IN REALTA' È RELIGIOSO

di Mauro Suttora
Il Foglio, 27 aprile 2001

Dalla mezzanotte di stasera Emma Bonino smetterà di bere. Lo sciopero della sete, al contrario di quello della fame, può andare avanti solo per poche decine di ore. Poi si muore per disidratazione. Cosa vuole la Bonino? Che il presidente Carlo Azeglio Ciampi riconosca pubblicamente che in Italia c’è disinformazione. 

Assieme a lei Luca Coscioni, capolista radicale in Lazio, Umbria ed  ed Emilia-Romagna, attuerà un nuovo tipo di sciopero: quello delle cure. «Ridurrò progressivamente le mie terapie», annuncia Coscioni, reso immobile e muto dalla sclerosi laterale amiotrofica.

Coscioni non è l’unico simbolo della nuova lotta radicale, quella per la «libertà della scienza». In Puglia, nel collegio di Putignano (Bari), è candidato Camillo Colapinto, anch’egli malato di sclerosi. A Vittorio Veneto (Treviso) il distrofico Marco Zardetto così motiva la sua candidatura: «La ricerca genetica in Italia è un settore in cui non mancano i cervelli ma, purtroppo, non mancano nemmeno i tribunali della Santa Inquisizione». 

Il riferimento è ai divieti cattolici sull’uso di cellule staminali di embrioni «sovrannumerari» per la cura di malattie con origine genetica (Parkinson, Alzheimer, diabete, ecc.), e sulla clonazione terapeutica.

Sempre in Veneto, corre per la lista Bonino a Padova Emiliano Vesce. Suo padre Emilio (caso 7 aprile, poi deputato radicale) è in coma irreversibile da sei mesi. Questa tragedia rimanda a un’altra grande questione di cui i pannelliani sono alfieri solitari in Italia: quella dell’eutanasia. 

E a Torino il candidato sindaco radicale è Silvio Viale, ginecologo verde che propugna la pillola del giorno dopo e l’aborto farmaceutico (grazie alla pillola Ru 486 che permette di evitare l’intervento chirurgico).

Sono tutti temi che, assieme al sì della lista Bonino alla fecondazione assistita, alle biotecnologie e alla ricerca sugli Ogm (Organismi geneticamente migliorati) fanno dei radicali l’unico partito in urto frontale con la Chiesa oggi in Italia. E infatti il loro principale slogan elettorale è: «Decidi tu o il Vaticano? Libera il sesso, la scienza, la vita».

Insomma, i pannelliani sono tornati a uno dei loro primi grandi amori: l’anticlericalismo.
«Togliamo innanzitutto ogni significato negativo a questa parola», commenta Angiolo Bandinelli, già segretario e parlamentare radicale, oggi candidato della Lista Bonino a sindaco di Roma. «Io per esempio apprezzo molto l’anticlericalismo dell’Ottocento, che per la prima volta dopo mille anni permise ai ceti subalterni di conquistare un’educazione senza passare per le parrocchie. C’erano i circoli socialisti e quelli del mutuo soccorso, ma perfino i circoli ginnastici, pieni di magliette a strisce orizzontali e baffi a manubrio, contribuirono a quella che fu una vera e propria liberazione».

Sì, ma oggi che senso ha opporsi a una Chiesa in declino? 
«Da troppo tempo si fingeva di credere che tra Stato e Chiesa tutto potesse essere ricondotto alle idilliache formule spadoliniane del “Tevere più largo”», risponde Bandinelli, «e invece grazie ai radicali si è riaperto non un “vulnus” laicista né una “piaga” rosminiana, ma un tema su cui l’attenzione non dovrebbe mai scemare. Soprattutto in un paese così peculiarmente di frontiera, in bilico tra Stato e Chiesa-Stato».

Secondo Ernesto Galli della Loggia si può essere laici senza essere anticlericali. 
«E invece l’anticlericalismo», obietta Bandinelli, «è un dovere essenziale per l’uomo di fede. Il quale non può non avvertire un dissidio, quando non una lacerazione, tra il suo credere, che è un fatto appartenente all’intimità della coscienza, e l’istituzione che mondanamente governa questa fede e ne detta le norme per i suoi affiliati. Non c’è istituzione sacra che non debba fare i conti con l’anticlericalismo dei suoi adepti, come suo unico, possente e indispensabile correttivo».
 
«La riforma protestante», continua Bandinelli, «riteneva che il dissidio fosse incolmabile e che la fede del singolo dovesse liberarsi dalle pastoie dell’istituzione. I cattolici ritennero che il nodo non dovesse invece essere sciolto. Ma anche fra i cattolici non sono mancati possenti richiami a un forte, irresolvibile anticlericalismo. A nostro avviso, questo “segnale di pericolo” dovrebbe oggi, per loro, essere ancor più fortemente sentito. C’è quindi da sperare che il dibattito di questi giorni apra nuovi sbocchi alla attiva consapevolezza degli “anticlericali” di fede...»

Lontano dagli accenti truci dell’anticlericalismo garibaldino e anarchico («Con le budella dell’ultimo papa/impiccheremo l’ultimo re»), il pur laicissimo Partito radicale si definisce fin dalla sua fondazione, nel 1955, «partito dei credenti e dei non credenti». 

«Per me è stato importante un numero di Esprit, la rivista del filosofo cattolico Emmanuel Mounier che trovai nella stazione di Modane nel '47 aspettando un treno», ricorda Marco Pannella nel libro «Pannella & Bonino spa», appena pubblicato per le edizioni Kaos. Dove si scopre che il leader radicale deve perfino il proprio vero nome - Giacinto - a un sacerdote: glielo inflissero in onore di uno zio monsignore e letterato (al quale Teramo ha dedicato una via), che ospitò su una sua rivista articoli di Benedetto Croce e Giovanni Gentile. 

«Può darsi che io non abbia animosità anticlericali perché la persona migliore della mia famiglia fu questo prete, che era stato liberale e non popolare sturziano», spiega Pannella.

La sponda cattolica ricercata dai radicali era quella dei tormentati seguaci di Jacques Maritain e Georges Bernanos. Ma dopo il sì di Palmiro Togliatti al Concordato fascista e la continua ricerca da parte del Pci (ingraiani compresi) dell’«incontro fra le masse cattoliche e quelle comuniste», nell’Italia democristiana degli anni ‘50 e ‘60 c’era poco spazio per l’illuminismo radicale. 

Perfino all’interno del Pr l’indomabile Ernesto Rossi (autore degli sferzanti «Sillabo» e «Manganello e aspersorio», ristampati l’anno scorso sempre da Kaos) era considerato un «enfant terrible» dai sussiegosi «Amici del Mondo».

In questo clima paludoso Pannella recuperò l’anticlericalismo e l’antimilitarismo dei socialisti libertari di inizio secolo, e nel 1965 lanciò due campagne di legalizzazione: per il divorzio, e per l’obiezione di coscienza al servizio militare. Le considerava due chiavi per perforare il regime dc, ma a sinistra trovò scarsi consensi. 

Gli unici dirigenti Pci a dichiararsi pubblicamente divorzisti furono infatti Luciana Castellina, Vittorio Vidali, Umberto Terracini, Fausto Gullo e Massimo Caprara: tutti, per un verso o per l’altro, eretici. I sessantottini liquidarono le lotte per i diritti civili come «piccoloborghesi». E anche dal mondo cattolico i consensi arrivarono col contagocce: i cristiani di base, del dissenso e del no (dom Giovanni Franzoni) vennero subito egemonizzati dal Pci.

Nel '70 e nel '72, dopo due digiuni di Pannella, «passarono» le leggi su divorzio e obiezione. Il Vaticano raccolse immediatamente le firme per il referendum contro lo scioglimento del matrimonio, e i radicali risposero fondando la Liac (Lega italiana abolizione Concordato). Le adesioni erano prestigiose: Leonardo Sciascia, Eugenio Montale, Ignazio Silone, Ferruccio Parri, Alessandro Galante Garrone, Eugenio Scalfari, Lino Jannuzzi, Livio Labor (presidente Acli).

Esattamente come oggi, anche nel ‘74 la sinistra e i laici «perbene» (Pri, Pli, Psdi) aborrivano il conflitto con i cattolici, proponendo fino all’ultimo al segretario dc Amintore Fanfani un compromesso per evitare il referendum sul divorzio. 

La vittoria divorzista del 13 maggio ‘74 va quindi interamente ascritta ai radicali. I quali subito raddoppiarono, e raccolsero le firme per il referendum sull’aborto con l’Espresso di Scalfari. L’abrogazione del Concordato fascista fu invece impedita nel '78 dalla Corte costituzionale, che considerò l’intesa Mussolini-Vaticano un trattato internazionale, e quindi non sottoponibile a referendum.

«A questo punto Pannella ha un problema», spiega Bandinelli, «perché con la legge sull’aborto si è inimicato l’intero mondo cattolico. E vuole ristabilire un dialogo sui temi della difesa della vita. Contribuisce a questo obiettivo innanzitutto la campagna contro la fame nel mondo». 

Quando viene eletto papa Wojtyla, il leader radicale lo saluta affettuosamente: «Dio ce lo ha dato, guai a chi ce lo tocca». Simpatia ricambiata: Bandinelli va in Vaticano con il consiglio comunale di Roma (di cui fa parte) e viene presentato come esponente del «partito radicale di Pannella». Giovanni Paolo II gli sorride: «Ah, il nostro amico Pannella!»

Evidentemente le marce radicali contro la fame nel mondo (1979-1985) fecero breccia nel cuore del Papa, che nell’82 si spinse fino a salutare i manifestanti pannelliani giunti in piazza san Pietro. Che differenza rispetto alla Pasqua del ‘67, quando i radicali avevano srotolato davanti alla basilica uno striscione con la scritta «Divorzio, aborto, pillola», e si facevano infiammare dalle conferenze del fondatore dell’Aied Luigi De Marchi su «Sessuofobia e clericalismo».

L’ultimo conflitto Pannella-Vaticano si consuma nell’81, quando l’Italia vota i due referendum contrapposti sull’aborto: quello liberalizzatore dei radicali, e quello abrogativo del Movimento per la vita. 

Perdono entrambi, e rimane la legge sull’aborto di stato. Ma anche in quell’occasione Pannella tiene a precisare: «Gli unici veri credenti siamo noi e quelli del Movimento, perché ambedue crediamo nei valori e non nel potere. Onore al papa che va al macello col suoi referendum, meglio lui della sinistra fascista e golpista».

Dopodiché, vent’anni di armistizio, se non di pace. Sì, vari screzi sulla droga, ma niente di più. Tanto che Gianni Baget Bozzo nel ‘96 può sentenziare: «Il profeta Pannella, come il prete radicale Romolo Murri a inizio secolo, è in realtà una figura interna alla cristianità italiana, perché mira a una riforma del cattolicesimo». 

Ancora un anno fa sui depliant elettorali di Emma Bonino campeggiava la foto dell’udienza che lei e Pannella ottennero dal Papa nel 1986. Compunti e commossi, i due leader radicali gli illustravano i risultati della loro campagna contro la fame nel mondo.

Oggi Pannella si scaglia contro le gerarchie ecclesiastiche «che sacralizzano embrioni invisibili perfino al microscopio più potente della Terra, così come in passato sacralizzavano i cadaveri vietando le autopsie». 

«Ma anche Marco è un prete», provoca l’editorialista Massimo Fini, «basta contare tutte le volte che usa parole come “vita”, “verità”, “testimonianza”, “scandalo”, “dar corpo a...”»
Mauro Suttora
   

Friday, April 04, 1997

Pannella e l'Ordine dei giornalisti

CINQUANT'ANNI DI ROSE E PUGNI TRA PANNELLA E I GIORNALISTI

IL REFERENDUM CONTRO L'ORDINE È L'ULTIMA FASE Dl UN RAPPORTO CONTRASTATO. L'ANTAGONISMO CON SCALFARI

Il leader radicale si innamorò della stampa a quindici anni. Comprava due copie al giorno di Risorgimento liberale, il quotidiano del Pli da dove Einaudi attaccava la corporazione. Gli anni del Mondo, del Giorno, e la comune militanza politica con il direttore di Repubblica

Di Mauro Suttora

Il Foglio, 4 aprile 1997

Milano. I milioni di italiani che andranno a votare per il referendum sull'Ordine dei giornalisti lo ignorano, ma quel voto è il risultato finale di un intenso rapporto di amore-odio: quello che da più di mezzo secolo lega Marco Pannella a giornali e giornalisti, e in particolare al più ricco (di gloria e di miliardi) fra loro, Eugenio Scalfari. 

I giornali Marco li ha sempre amati. Da quando, studente 15enne al liceo classico Giulio Cesare di Roma nel '45, si imbatte in Risorgimento liberale, il quotidiano del Pli. Già eccessivo allora, non si limita a comprarne una copia: "Mi interessò talmente, che da quel giorno ne ho sempre prese due: una per me e una per i miei compagni di scuola". 
Proprio su Risorgimento liberale Luigi Einaudi sferrava quelli che a oggi rimangono i più lucidi attacchi alla corporazione dei giornalisti. 

Marco nel '49 viene folgorato da un secondo giornale: il Mondo, appena fondato da Mario Pannunzio. Pannella si affaccia sempre più spesso nella redazione a Campo Marzio. Ma non è l'unico giovane a essere attratto da quel cenacolo di galantuomini i quali, oltre a confezionare il settimanale più sofisticato dell'epoca, trasformano la redazione in un salotto intellettuale perenne. 
In concorrenza con Marco per farsi notare dagli 'anziani' della cultura liberale italiana infatti c'è Scalfari. E come Marco anche Eugenio, più vecchio di sei anni, è un attivista della corrente di sinistra del Pli.

La competizione fra i due giovani galli nel troppo affollato (d'ingegni) pollaio liberal-radicale è inevitabile. Pannella negli anni 50 diventa il capo degli universitari italiani. Scalfari invece va a lavorare nella banca Commerciale a Milano, scrive articoli per l'Europeo di Arrigo Benedetti e sposa la figlia del direttore della Stampa. Nel 1955 fonda sia l'Espresso con Benedetti, sia il partito radicale con Valiani, Carandini e tanti altri. Compreso Pannella. 

Intanto anche Marco nel '59 debutta nel giornalismo con una lettera aperta a Palmiro Togliatti su Paese Sera. Però esagera, calca troppo i toni e viene bocciato: dal Migliore, che lo liquida tre giorni dopo, sempre sul Paese ("Non accettiamo queste polemiche"), ma soprattutto da Scalfari che emette addirittura un comunicato pubblico per sconfessarlo, e perfino dal Mondo che gli dà del "cretino". 

Disgustato, Marco lascia l'Italia. Approda a Parigi dove, a corto di soldi, si presenta alla redazione del Giorno in rue Saint Simon, 7° arrondissement. Comincia a collaborare con la corrispondente in carica Elena Guicciardi. Copre il turno di notte. 
"Era già polemico - ricorderà l'allora caporedattore Angelo Rozzoni - invece di mandare il servizio richiesto inviava tre-quattro cartelle di 'controinformazione'. Era molto bravo e diligente, gli avrei dato un sette, ma aveva l'inveterata abitudine di fare a modo suo".

Nel dicembre '62, dopo i rituali 18 mesi di praticantato, Marco diventa giornalista professionista. Poi contesterà sempre l'Ordine e rifiuterà gli sconti su aerei, treni e autostrade. Il suo stipendio a Parigi è di 20 mila lire il mese. 

Di politica non si può occupare, c'è già la Guicciardi. Ma nelle pagine di cronaca riesce a infilare un'intervista a Jean-Paul Sartre sulla tortura, viene inviato a Cannes al festival del cinema, va a Tolosa per un'inchiesta sulle caserme, si occupa di Dalida.

Una volta, da Milano lo incaricano di cercare Gina Lollobrigida a Parigi. "Le ho lasciato un messaggio in albergo", risponde sbrigativo con un telex che trasuda disinteresse. 

Nel gennaio '63 Pannella si dimette dal Giorno. "Mi licenziarono dopo un'inchiesta sull'Eni e Mattei - è la sua versione - dopodiché fui messo all'indice. Ero vietato da tutti, sia come firma che come notizia". 

Iniziano così 30 anni di giustificata paranoia, con giornali e tv sempre ossessivamente nel mirino. All'interno del Pr, Pannella guida l'opposizione a Scalfari con la propria corrente "Sinistra radicale", di cui fanno parte gli ex goliardi Massimo Teodori (futuro editorialista di Messaggero e Giornale), Gianfranco Spadaccia (giornalista dell'agenzia Italia) e Angiolo Bandinelli, collaboratore del Mondo.

Nel '63 Pannella conquista il partito radicale. Vuoto, però. In quegli anni l'attività ruota attorno a una battagliera agenzia di notizie, visto che la maggior parte del gruppo dirigente è formata da giornalisti. Memorabili le campagne contro l'Eni di Eugenio Cefis e il sindaco di Roma Petrucci (che finirà in galera), oltre a quelle per l'obiezione di coscienza (vinta nel '72) e per il divorzio (vinta nel '70 con la legge, e quattro anni dopo col referendum). 

Ma quest'ultima, iniziata nel '65, ottiene solo l'appoggio del settimanale plebeo-erotico Abc, e anche le altre iniziative radicali vengono snobbate dalla grande stampa. Così lievita il livore di Pannella verso i "colleghi".

La direzione di Lotta continua

La situazione non migliora negli anni 70. Il Pci vede come il fumo negli occhi il referendum sul divorzio, perché rischia di "spaccare le masse" e ostacolare il "compromesso storico" con la Dc. Invece Pannella accentua il suo impegno anticlericale e si riavvicina a Scalfari. 

Nel '71 fondano assieme la Lega per l'abrogazione del Concordato (cui aderiscono Leonardo Sciascia, Eugenio Montale, Ignazio Silone, Ferruccio Parri, Alessandro Galante Garrone) e tengono comizi anticoncordatari in giro per l'Italia. 

Sarà anche a causa di questa eccessiva vicinanza al libertario Pannella, oltre che per l'ostilità di Craxi, che nel 72 Scalfari perderà il seggio di deputato socialista conquistato nel '68 (per sottrarsi al processo sul caso Sifar). 

Intanto a Pannella arrivano una ventina di denunce per avere diretto il giornale sessantottino Lotta continua. Lui concedeva la propria firma a qualsiasi pubblicazione avesse bisogno di un direttore responsabile. Unica condizione: "Non voglio vedere una riga di quel che pubblicate".

Per Lotta continua vengono incriminati anche Pier Paolo Pasolini e Marco Bellocchio. Umberto Eco, Lucio Colletti, Giovanni Raboni, Paolo Mieli, Natalia Ginzburg e altri intellettuali firmano un appello a favore degli imputati. 

Ma il bastian contrario Pannella prende le distanze anche da loro: "Dubito che di 'pensiero', marxista o no, ce ne sia molto in chi pensa di 'fare la rivoluzione impugnando le armi contro lo Stato' [una delle frasi incriminate, ndr]. Questo non un reato: è un'imbecillità, coeva più alle spedizioni fiumane di D'Annunzio che alla lotta politica odierna". 

Nel '73 Pannella torna alla professione di giornalista. Segue per l'Espresso le elezioni in Francia. Ma si arrabbia per i tagli e alcune censure subite dai suoi articoli. Due anni dopo l'Espresso aiuterà il partito radicale a raccogliere le firme per il referendum sull'aborto, e affiderà una rubrica settimanale a Pannella. Ma Marco la interrompe per protesta dopo il licenziamento da via Po del suo amico Lino Jannuzzi. 

Nella seconda metà del '73, in vista del referendum sul divorzio, Pannella fonda il quotidiano Liberazione, sull'esempio del neonato Libération parigino diretto da Sartre (vent'anni dopo cederà la testata a Rifondazione). 
Ma il compito è sovrumano, perché la redazione è composta soltanto da Pannella stesso, da Vincenzo Zeno-Zencovich (poi docente universitario, editorialista sul Sole 24 Ore, avvocato e autore del pamphlet 'Contro la libertà di stampa'), Rolando Parachini e Roberto della Rovere (poi al Corriere della Sera).
Dopo un mese Liberazione diventa bisettimanale, ma nel febbraio '74 chiude. 

Le dimissioni del presidente della Rai 

Nel 1974, sull'onda del referendum vittorioso che conferma la legge sul divorzio, i radicali propongono otto referendum. Uno di questi è contro l'Ordine dei giornalisti. Aderiscono Norberto Bobbio, Arrigo Benedetti, Adele Cambria, Gigi Ghirotti, Adriano Sofri, Giovanni Russo. Ma le firme raccolte si fermano a 170 mila.

In compenso, quell'estate Pannella è il primo a pronunciare alla tv italiana le parole "aborto", "lesbiche" e "omosessuali". Nonostante gli sforzi del capufficio stampa Rai Giampaolo Cresci (poi direttore del Tempo), lo scandalo è enorme. Alla fine il potentissimo presidente Rai Ettore Bernabei si deve dimettere.

Sul caso Pannella intervengono sul Corriere della Sera Pasolini, Giuseppe Prezzolini, Giovanni Spadolini e Maurizio Ferrara, sull'Espresso Sciascia, Alberto Moravia e Giorgio Bocca. Il leader radicale diventa un personaggio nazionale, e nel '76 deputato. 

Nelle liste del Pr abbondano i giornalisti: Enzo Marzo, Massimo Alberizzi, Riccardo Chiaberge e Cesare Medail del Corsera, Valter Vecellio (oggi inviato del Tg2) e Marco Taradash (per anni al mensile Prima Comunicazione), inventori delle rassegne stampa su Radio radicale. 

Stefano Rodotà, allora editorialista della neonata Repubblica, simpatizza. Ma è l'attuale commentatore di punta del Corriere della Sera Angelo Panebianco, assieme a Teodori, Piero Ignazi (poi editorialista di Repubblica) e al docente universitario Lorenzo Strik Lievers, il teorico più raffinato del radicalismo.

I1 culmine dello scontro tra Marco ed Eugenio

Nelle politiche del '79 alla pattuglia radicale si aggiungono sul versante giornalistico Maria Antonietta Macciocchi, Gigi Melega, Gianni Vattimo, Alfredo Todisco, Fernanda Pivano e Barbara Alberti. Scalfari appoggia Pannella nella battaglia contro la fame nel mondo.

Ma l'ennesima rottura (mai più ricomposta) fra i due avviene nel 1981, sulla "linea della fermezza" durante il sequestro Br del magistrato D'Urso. Pannella scatena i militanti radicali, i quali mandano in tilt i centralini di Repubblica che rifiuta di pubblicare i comunicati brigatisti, condizione per la liberazione. Svela perfino i numeri di casa di Scalfari. 

"I brigatisti hanno definito Pannella 'sciocco demagogo' - risponde furibondo Scalfari in un editoriale - demagogo lo è certamente, sciocco assolutamente no, come può testimoniare chi lo conosce da trent'anni. (...) Pannella è un sovversivo, ne più ne meno delle Br. Le Br usano le pistole, Pannella le parole e lo psicodramma di massa". 

"Da Almirante a Valiani, da Scalfari a Berlinguer, si è ricostituito il partito della forca, come ai tempi di Moro. Hanno bisogno di un cadavere per fare un golpe", replica Pannella da Radio radicale mobilitata giorno e notte dal direttore Jannuzzi. 

Nell'84 Scalfari viene condannato a risarcire Pannella con 70 milioni per un articolo diffamatorio sul caso Cirillo. Il direttore di Repubblica si vendica tre anni dopo, attaccando Pannella per la candidatura di Cicciolina. 

Ma è soprattutto su Bettino Craxi che i due hanno posizioni opposte: Pannella lo corteggia; Scalfari, innamorato del segretario dc Ciriaco De Mita, lo detesta. 
Il culmine dello scontro fra Marco ed Eugenio viene raggiunto nel '93, quando Pannella organizza addirittura un convegno ad hoc contro Scalfari, Caracciolo e De Benedetti: "Sono associati per delinquere - spara - Scalfari è un libertino mascherato da tartufo, che con una mano indica il dio della democrazia e con l'altra tocca le cosce dell'autoritarismo e della corruzione. Ha fornicato per anni con coloro che attaccava". 

Finirà mai la rivalità fra il politico 67enne che non è riuscito a fare il giornalista e il giornalista 73enne che non è riuscito a fare il politico (anche se il primo si illude di distruggere i giornalisti con il referendum, e il secondo spera in un posto da ministro o da senatore a vita)?
Mauro Suttora