Sunday, May 30, 1999

Bombe Usa feriscono i pescatori di Chioggia

INCREDIBILE: GLI AEREI CHE BOMBARDANO LA SERBIA SCARICANO ORDIGNI INESPLOSI NELL'ADRIATICO

dal nostro inviato a Chioggia (Venezia)
Mauro Suttora

Oggi, 30 maggio 1999

Andatelo a dire a Gino Ballarin, 42 anni, che le bombe degli aerei Nato scaricate nel mare Adriatico sono innocue. Lui, all’alba di lunedì 10 maggio, se n’è vista una scoppiare addosso. Gli ha completamente aperto la pancia: «Aveva le budella insanguinate che gli penzolavano per di fuori, uno spettacolo tremendo», raccontano i suoi colleghi marinai del peschereccio «Profeta» di Chioggia.
Ha rischiato di morire, lo hanno salvato per miracolo all’ospedale Umberto Primo di Mestre, ma i medici ci hanno messo parecchi giorni prima di dichiararlo fuori pericolo. E adesso, mezzo mese dopo, si trova ancora lì in corsia, con il ventre ricucito alla bell’e meglio.

«Eravamo partiti come sempre dal porto di Chioggia ch’era ancora notte fonda», ci racconta Gimmi Zennaro, 38 anni, comandante del «Profeta», «e abbiamo pescato con reti a strascico in parallelo con il peschereccio “Gurra”. Verso le sette abbiamo tirato su le reti. Impigliati fra i pesci c’erano dei barattoli gialli, grandi più o meno come le lattine della Coca cola. Pensavamo fossero contenitori di fumogeni, eravamo curiosi, li osservavamo girandoceli fra le mani. Ma all’improvviso uno è scoppiato, con un’esplosione violentissima».

Assieme a Ballarin sono stati colpiti anche il comandante Zennaro, che si trovava vicino a lui, e il marinaio Vanni Bellemo. Alle sette e un quarto dal peschereccio è partito l’allarme via radio per la Capitaneria di porto di Venezia: «Esplosione a bordo, abbiamo dei feriti gravi!».
In quel momento il «Profeta» si trovava a circa venti miglia (35 chilometri) al largo della città lagunare. Sono subito scattate le operazioni di soccorso: una motovedetta della Guardia costiera ha raggiunto i due pescherecci chioggiotti, e così hanno fatto anche due elicotteri, uno dei Vigili del fuoco e l’altro dell’Aeronautica.

Il povero Ballarin è stato caricato su un elicottero e trasportato all’ospedale di Mestre, dov'è stato operato immediatamente all’addome. Anche il comandante Zennaro ha trascorso vari giorni in ospedale, mentre Bellemo, colpito a una coscia, se l’è cavata più in fretta. 
Il peschereccio, che appartiene alla Cooperativa San Marco di Chioggia, non ha subìto gravi danni, ed è riuscito a rientrare in porto. 

«Ma i miei marinai», continua a raccontare il comandante del «Profeta», «hanno avvisato subito carabinieri e polizia che c’erano ancora altri ordigni impigliati nelle reti. Li avevamo notati prima dell’esplosione, si notavano facilmente perché erano gialli». Così i Vigili del fuoco hanno allertato gli artificieri dell’Esercito, che infatti hanno trovato altre tre bombe fra il pesce. Gli ordigni sono stati portati nel forte San Felice di Chioggia, e fatti esplodere lì in sicurezza.

Ma da dove venivano, quelle bombe pescate in mezzo all’Adriatico? 
Qui incomincia una storia incredibile. Per vari giorni, infatti, la versione ufficiale è stata che si trattasse di vecchi ordigni a frammentazione sganciati a grappolo durante la Seconda guerra mondiale. Avevano un bell’obiettare, i pescatori di Chioggia, che se così fosse stato gli involucri delle bombe avrebbero dovuto presentarsi ricoperti di alghe vecchie più di mezzo secolo, e non di un giallo fiammante.

La verità viene a galla giovedì 13 maggio, quando i pescherecci «Gurra» e «Annarita» pescano altre 200 bombe. Tutti pensano alle decine di aerei che da due mesi partono dalle basi Nato in Italia per bombardare la Jugoslavia. Già a metà aprile, infatti, un aereo americano aveva sganciato una manciata di bombe inutilizzate nel lago di Garda, prima di un atterraggio di emergenza. Ma dal comando Nato di Vicenza arriva una risposta sconcertante: «Non possiamo escludere che le bombe siano nostre, ma per saperlo dobbiamo aspettare i risultati di un’inchiesta interna», balbettano le gerarchie militari.

Apriti cielo. I pescatori di Chioggia entrano immediatamente in sciopero, rifiutano di riprendere il mare fino a quando il governo non darà loro una risposta certa. E quando si dice Chioggia, si dice la più grande flotta peschereccia d’Italia assieme a quella di Mazara del Vallo (Trapani): 600 imbarcazioni. 

Il mare Adriatico, infatti, nonostante l’inquinamento (ma anche grazie ad esso, perché le stesse sostanze che provocano l’eutrofizzazione nutrono anche i pesci) è uno dei più ri cchi del mondo: è grande solo un ventesimo del Mediterraneo, ma regala un quinto del pesce pescato fra Gibilterra e Suez.

Chioggia, con i suoi 60mila abitanti che parlano un dialetto stranissimo, differente dal veneziano, è la seconda città della provincia di Venezia: le 30mila casse al giorno che si vendono al mercato ittico fanno vivere gran parte della popolazione, dai pescatori all’indotto. Ma per due settimane si è fermato tutto, con danni enormi. 

«Noi perdiamo cinque milioni al giorno», spiega a Oggi Sauro Ranzato, 35 anni, presidente dei 42 facchini della Cooperativa braccianti del mercato ittico. Ma troppo grande è stata la paura di pescare morte, troppo forte la rabbia per essersi sentiti presi in giro dalla Nato e dal governo.

«Non ci soddisfa neanche la risposta data dalla Nato a Massimo D’Alema il 20 maggio», ci dichiara Enzo Fornaro, leader veneto di Federcopesca, «perché sapere che le bombe Nato sganciate nei fondali dell’Adriatico sono in tutto 143 non cambia molto le cose. Ben sette di queste, infatti, sono a grappolo, e tutte buttate nel golfo di Venezia. Ebbene, in ciascuno di questi sette contenitori ci sono ben 200 bombe. Quindi, poiché è probabile che diversi di questi contenitori si siano aperti all’impatto con il fondale, oppure perché le nostre reti li hanno trascinati e fatti sbattere, il numero totale delle bombe non è 143, ma più di 1.500».

Scusi, Fornaro, ma la pesca a strascico, che «ara» i fondali, non era stata proibita? 
«No di certo. È stata soltanto regolamentata, per esempio con il periodo di fermo pesca che inizierà fra un mese per permettere alle uova di schiudersi e ai piccoli di crescere. Ma lo strascico è l’unico modo di pescare molte specie. Le sogliole, per esempio, che si acquattano sui fondali».

Ma le bombe inesplose della Nato sono pericolose anche per i bagnanti?
«Non c’è bisogno di fare allarmismo», dichiara a Oggi Giulio Silenzi, assessore al Turismo della regione Marche, diessino, «perché i bagnanti che frequentano le spiagge non sono assolutamente minacciati da queste bombe, che si trovano a grandi profondità e a trenta-quaranta miglia al largo. Insomma, il turismo balneare non c’entra niente con questa faccenda, e noi siamo fiduciosi. A Pasqua abbiamo registrato il record storico di arrivi e presenze». 

Ma adesso? Dopo gli allarmi dei giornali tedeschi, avete registrato qualche disdetta? 
«È ancora presto per fare i conti, perché le prenotazioni per giugno, luglio e anche agosto arrivano all’ultimo momento. Se si verificheranno dei problemi, lo sapremo soltanto fra due-tre settimane. Certo è che per il turismo delle Marche i tedeschi sono molto importanti, ne arrivano mezzo milione ogni anno».
Mauro Suttora

RIQUADRO
Le bombe «pescate» a Chioggia sono gli ordigni a grappolo sganciati dalla Nato sulla Serbia. Lunghe 2,33 metri, pesano 430 chili. Ciascuna contiene oltre 200 granate di tre tipi: a penetrazione, a frammentazione e incendiarie. 

Quelle a penetrazione distruggono fino a 12 centimetri di corazza dei carri armati. Le granate a frammentazione esplodono invece a pochi metri dal suolo, gettando attorno una pioggia di schegge: possono ferire una persona anche a 150 metri di distanza. Le granate incendiarie, infine, sviluppano un calore elevatissimo, che getta fiamme su una vasta area e incendia la benzina contenuta nei serbatoi dei mezzi nemici.

Se un aereo non sgancia il suo carico sull’obiettivo fissato, per evitare di compiere un atterraggio pericoloso al ritorno (perché è stato danneggiato, per avaria, per maltempo) può «alleggerirsi» degli ordigni disinnescati, gettandoli in sei aree previste e sicure nelle acque internazionali del mare Adriatico. 

È quello che è successo 35 volte (su 21mila missioni) in questi due mesi di bombardamenti Nato. «Non innescare una bomba, però, non significa renderla totalmente innocua», spiega l’esperto militare Michele Lastella, «perché essa, contenendo esplosivo, può ancora esplodere a un qualsiasi urto meccanico. Solo gli artificieri possono disattivarla completamente». 


Per questo la Nato ha promesso di aiutare i dragamine italiani che stanno bonificando l’Adriatico dalle 143 bombe gettate finora nei suoi fondali. Quanto agli ordigni trovati fuori dalle sei aree previste, Lastella spiega: «Può darsi che in condizioni di  emergenza, com’è successo sul lago di Garda, un pilota non abbia potuto rispettare la procedura».

Thursday, May 20, 1999

Elezione del nuovo presidente Ciampi

CIAMPI IN PILLOLE

di Mauro Suttora

Oggi, 20 maggio 1999

MOGLIE
Franca Pilla, 74 anni, di Reggio Emilia, simpatica, estroversa, decisa, ironica, laureata in Lettere moderne, figlia del cassiere molisano della Banca d’Italia prima a Reggio Emilia e poi a Livorno: «È meno noiosa di suo marito», ha detto Pierferdinando Casini a Porta a porta, scusandosi poi per la gaffe. 53 anni di matrimonio (1946), ha conosciuto Carlo Azeglio all’università di Pisa durante la guerra.

È stata lei a indirizzarlo verso l’economia spingendolo a tentare il concorso per la Banca d’Italia, vinto nel ‘46. Si fa confezionare gli abiti nella sartoria romana di Eurilla Gismondi, la stessa di Natalia Ginzburg, Nilde Iotti, Rosetta Loy.
«A mia moglie lei sta molto simpatico», disse Ciampi a Umberto Bossi.
Unica litigata memorabile: «Lo fece novo» (come dicono a Livorno), quando scoprì in ritardo che il marito aveva rinunciato allo stipendio di 400 milioni annui come governatore della Banca d’Italia, accontentandosi dei 160 milioni della pensione.

Si sveglia alle sei e mezzo e legge subito i giornali, proponendo la prima rassegna stampa al marito. Ogni giorno la coppia legge cinque quotidiani: Corriere della Sera, Repubblica, Messaggero, Stampa e Sole. Detesta stare ai fornelli e delega le incombenze di cucina alla donna di servizio emiliana, la vecchia «tata» che è ormai una di famiglia. 
Parla perfettamente l’inglese, come il marito, che quando era alla Banca d’Italia accompagnava spesso nei viaggi all’estero (molto meno dopo che divenne presidente del Consiglio, nel ‘93-’94).

FIGLI
Gabriella, coniugata Giordano, ha la cattedra di Storia italiana contemporanea presso la Facoltà di conservazione dei beni culturali all’università della Tuscia a Viterbo. È la sua consigliere politica più fidata e ascoltata. 
«Però perfino lei, che di politica ne capisce e spesso ci prende, sosteneva che non sarei stato eletto», ha confidato Ciampi a Bruno Tabacci del Ccd.  Per anni ha insegnato in un’università della Campania, e il padre si è sempre rifiutato di raccomandarla per farla trasferire a Roma, dove vive. 
«Con i miei figli non ci sono remore formali: parliamo molto, con grande libertà di espressione e di linguaggio, senza alcuna paura delle parole».

Claudio, dirigente della Bnl (Banca nazionale del lavoro), dal 1997 è amministratore delegato di Credifarma, una società partecipata della Bnl specializzata nella fattorizzazione dei crediti vantati dalle farmacie nei confronti del Servizio sanitario nazionale.
Appassionato di bridge. A Santa Severa ha una casa proprio di fronte a quella dei genitori, in una villa quadrifamiliare divisa con la sorella di Francesco Cossiga, Antonietta (che ospita spesso l’ex presidente), con un professore e con l’ex comandante dei carabinieri di Santa Severa in pensione.
Tre nipotine: due da Claudio (Margherita e Virginia) e una da Gabriella: Maria.
Il nipote Paolo, 41 anni, è il più giovane dei sei figli (in ordine d’età: Francesco, 57 anni, Laura, Pietro, Letizia, Giovanna e Paolo) dell’unico fratello Giuseppe, morto nel ‘98. Gestisce a Livorno il più antico negozio di ottica della città, fondato dal bisnonno Temistocle Azeglio Ciampi.

CASA A ROMA
130metri quadri nel quartiere Trieste-Salario, via Anapo 28, un attico con vista sul parco di villa Ada, tappezzato di quadri di post-macchiaioli di Livorno. Ci stanno dagli anni Sessanta, quando l’allora quarantenne Carlo Azeglio arrivò a Roma con la famiglia dalla filiale di Macerata, per lavorare all’ufficio studi della Banca d’Italia.

CASA A SANTA SEVERA
Ci va anche nei fine settimana invernali. È una villa nella zona più bella, più verde, più quieta e più vecchia, con le residenze fatte costruire negli anni Trenta dalla cooperativa «28 ottobre» (anniversario della Marcia su Roma) formata da gerarchi e alti papaveri del regime fascista.
Quando vuol fare bella figura con gli ospiti si fa portare a casa la cena direttamente dall’albergo Due pini: i due figli del proprietario si mettono la giacca bianca e servono a tavola.
Gioca a scopone scientifico in coppia con la moglie al circolo nautico di Santa Severa. Una volta, invitati alle isole Eolie dal loro grande amico Umberto Colombo, già presidente dell’Enea, vinsero un torneo di scopone.

SOLDI
Guadagna 76 milioni lordi al mese, la pensione della banca d’Italia. Investe i risparmi soltanto in titoli di Stato. «Non ho mai posseduto un’azione, non perché lo ritenga errato, ma fin da quando ero giovane ritenevo che non fosse appropriato per un dipendente della Banca d’Italia acquistare azioni».

Nonostante il suo reddito da 917 milioni annui, a Ciampi piace minimizzare, e ama addirittura definirsi «piccolo borghese»: «Il mio stile di vita è quello dell’agiatezza piccolo borghese. È una definizione che non mi infastidisce, perché la condizione di piccolo borghese è la forza dell’Italia. Da quando ho raggiunto una situazione professionale grazie alla quale non dovevo più aspettare con trepidazione il 27 del mese, il problema danaro per me si è chiuso. Se invece di avere un pattino possedessi una barca di 50 metri, avrei naturalmente esigenze diverse. Ma lo spirito della mia famiglia è così, molto semplice».
Mauro Suttora