Wednesday, April 23, 2025

Milan non l'è un gran Milan. La diocesi più grande d'Europa è assente al conclave

È la prima volta che succede da un secolo e mezzo. L'arcivescovo Mario Delpini, 73 anni, da otto sulla cattedra di Sant'Ambrogio, non è mai stato nominato cardinale da Bergoglio. Pare che il motivo sia la mancata sorveglianza sul caso di un prete accusato di pedofilia. Un'assenza clamorosa

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 23 aprile 2025 

Milano, la diocesi più grande d'Europa, non parteciperà all'elezione del Papa. È la prima volta che succede, da un secolo e mezzo. Il suo arcivescovo Mario Delpini, 73 anni, da otto sulla cattedra di Sant'Ambrogio, non è mai stato nominato cardinale da papa Francesco. Pare che la ragione sia la mancata sorveglianza in passato sul caso di un prete accusato di pedofilia. Ma i cinque milioni di fedeli battezzati della diocesi ambrosiana (su 5,6 milioni di abitanti) sono amareggiati. E a loro si associano quelli di Venezia, il cui patriarca è anch'esso privo di porpora cardinalizia. 

Sarà un'assenza clamorosa, perché tutti i papi italiani del '900, tranne il romano Eugenio Pacelli, sono venuti da Milano e Venezia: Albino Luciani (Giovanni Paolo I), Giovanni Battista Montini (Paolo VI), Angelo Roncalli (Giovanni XXIII), Achille Ratti (Pio XI), Giuseppe Sarto (Pio X). E Carlo Maria Martini lo sarebbe diventato se non si fosse ammalato.

La diocesi di Milano si estende ben oltre i confini della sua provincia: copre mezza Lombardia, da Varese a Lecco, da Monza a Treviglio (Bergamo). Anche in Svizzera, nel canton Ticino, molte zone seguono tuttora il rito ambrosiano. E la ferita si è acuita quando nel 2022 è diventato cardinale Oscar Cantoni, vescovo di Como, sede secondaria. Quasi una beffa. 

Milano è la quarta diocesi più grande del mondo, superata soltanto da Kinshasa (Congo) con sette milioni di battezzati su dodici milioni di abitanti, Guadalajara (Messico) con sei milioni e San Paolo (Brasile), 5,1 milioni. Però i loro arcivescovi sono tutti cardinali. L'ultimo milanese non cardinale fu Luigi Nazari di Calabiana (1867-93), ma solo perché era troppo legato ai Savoia (addirittura senatore del regno di Sardegna), in un'epoca segnata dal conflitto stato-chiesa dopo la breccia di Porta Pia. 

Neanche Parigi parteciperà al conclave, il suo arcivescovo non è cardinale. Curioso invece che lo sia il vescovo della piccola Ajaccio in Corsica, meta dell'ultimo viaggio di Bergoglio. E in Italia vantano un cardinale Agrigento e Siena, mentre Palermo ne è priva.

Anche all'estero il papato di Francesco ci lascia delle incongruenze. In Mongolia i 1.400 cattolici (lo 0,04% dei 3,3 milioni di abitanti) sono così pochi che non hanno neppure una diocesi: la loro è una prefettura apostolica. Ciononostante, nel 2022 è stato inopinatamente creato cardinale il simpatico e aitante ex boy scout cuneese Giorgio Marengo, allora 48enne, prefetto apostolico nella capitale Ulan Bator. Era il cardinale più giovane del mondo fino all'ancor più singolare nomina durante l'ultimo concistoro nello scorso dicembre di un ucraino 45enne, Mykola Byčok, che però non vive nel suo Paese bensì in Australia, a guidare i 36mila cattolici ucraini emigrati lì. 

In Marocco il colonialismo non è finito: i 22mila cattolici (su 33 milioni di abitanti) possono contare sul cardinale arcivescovo di Rabat Cristobal Lopez Romero, spagnolo. Francesco ha incardinato anche il vescovo di Tonga (12mila cattolici su centomila abitanti, meno di una qualsiasi parrocchia italiana) e quelli di Papua Nuova Guinea o Timor Est. Invece interi stati come Venezuela o Bolivia, con decine di milioni di cattolici, non hanno neanche un cardinale elettore. 

Bergoglio aveva un debole per l'Asia. Possono contare su un cardinale la Birmania, mezzo milione di fedeli su 50 milioni di abitanti (l'uno per cento) o la Thailandia, con 300mila su 60 milioni. Da quattro mesi c'è perfino un cardinale, non iraniano, per i 62mila cattolici persiani: un frate cappuccino belga. L'Iran ha 92 milioni di abitanti, quindi i cattolici rappresentano lo 0,6% della popolazione. 

Certo, il collegio cardinalizio non funziona come un parlamento mondiale della Chiesa. Oltre ai criteri di rappresentanza il papa tiene conto di altri fattori: valorizzazione delle periferie, singoli vescovi premiati per la loro opera pastorale, per il loro apporto intellettuale o di devozione. D'altra parte, succede così anche nelle grandi democrazie laiche: negli Usa il Wyoming (mezzo milione di abitanti) ha due senatori come California (40 milioni), Texas (30) o New York (20). 

Speriamo che lo Spirito Santo illumini i porporati nella cappella Sistina, spingendoli a eleggere un Santo Padre che torni a essere paterno e comprensivo anche per la negletta Milano. 

Tuesday, April 15, 2025

La Svizzera a modo suo. Dibatte su come trattare con Trump, poi mette sul tavolo 162 miliardi

Qui le aziende private non chiedono sovvenzioni, come in Italia, ma danno al governo i fondi per evitare i dazi. Novartis da sola stanzia 23 miliardi, Roche altri 10. E poi gli altri giganti: Nestlé, Rolex, Abb, Bühler, Stadler

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 15 aprile 2025

"Niente trattative con i regimi neofascisti. Non dobbiamo assolutamente cedere ai ricatti di Trump". Parola di Jacqueline Badran, la politica più votata della Svizzera: 150mila preferenze alle ultime elezioni del 2023. Il suo partito socialista con il 18% è il secondo del parlamento elvetico, dietro l'Unione democratica di centro col 28%. Karin Keller-Sutter, presidente federale svizzera, liberale (14% dei voti), ha invece telefonato a Donald Trump, spedendo a Washington Helene Budliger Artieda, direttrice del potente Seco, il segretariato dell'Economia di Berna. Sarà lei la plenipotenziaria che negozierà sui dazi, fissati arbitrariamente dal presidente Usa al 31%, contro il 20% per l'Unione europea.

Chi avrà la meglio, fra queste due posizioni apparentemente inconciliabili? Quella innaffiata dai soldi, naturalmente. Cioè dai 150 miliardi di franchi svizzeri (circa 162 miliardi di euro) che la signora Budliger prometterà di investire negli Usa durante i prossimi quattro anni. Perché i socialisti possono inveire finché vogliono contro il "neofascista Trump". Ma al governo ci sono anche loro, con due ministri su sette: formula fissa dal 1959, due ciascuno a Udc e liberali, più uno a un partitino di centro. E questa grossissima coalizione non verrà scalfita neanche dalle mattane di Washington. Quindi la signora socialista Badran con il suo estremismo verbale potrà fare il pieno dei voti antitrumpiani alle prossime elezioni, ma nulla di più.

Anche perché i 150 miliardi da offrire a Trump non sono soldi pubblici: provengono dalle multinazionali svizzere che prevedono di investirli in fabbriche e impianti negli Stati Uniti. Contrariamente all'Italia, dove gli imprenditori minacciati dai dazi si sono affrettati a chiedere allo stato 25 miliardi di provvidenze pubbliche, in Svizzera sono le aziende private a dare al governo i fondi per evitarli.

Novartis da sola stanzia 23 miliardi, la concorrente farmaceutica Roche altri dieci. E poi gli altri giganti: Nestlé, Rolex, Abb, Bühler, Stadler che produrrà treni negli Usa. In totale, la Camera di commercio svizzero-americana stima che verranno superati agilmente i cento miliardi, fino a sfiorare i 150: "Sono investimenti che in buona parte avremmo effettuato comunque".  C'è un importante risvolto in questo pacchetto elvetico: comprende anche l'istruzione professionale e l'addestramento per i loro nuovi dipendenti statunitensi. Proprio quello che vogliono i fautori della reindustrializzazione trumpiana. 

La ciliegina sulla torta, infine, è la promessa di acquistare altri aerei da guerra F-35 e sistemi di difesa Patriot made in Usa. In barba, ancora una volta, alle proteste della socialista Badran: "Non compriamo più armamenti dagli Usa, cancelliamo gli F-35. Se dobbiamo spendere miliardi in nuove armi, facciamolo con i nostri partner europei". Difficile che succeda. Perché così recita l'antico motto della politica estera svizzera: "Riparati e cerca di cavartela". Se funzionò con Hitler, andrà bene anche con Trump.