Tuesday, June 11, 2024

Calenda e Renzi non fanno eccezione: la vocazione ad autodistruggersi dei partiti di centro è storia

Dal Partito d'Azione al Psdi, al Pli, fino a Mario Segni: nel 1994 rifiutò l'appoggio di Silvio Berlusconi per candidarsi premier

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 11 giugno 2024 

Chi si stupisce per la stupidità politica che ha fatto buttare al macero i 1.650.000 voti di Stati Uniti d'Europa e Azione ignora la storia italiana degli ultimi 80 anni. I partitini di centro infatti hanno sempre fatto a gara nell'autodistruggersi.

Cominciò il glorioso partito d'Azione, che sembrava destinato a grandi cose, imbottito com'era di capi partigiani, padri della patria e intellettuali: dal primo premier dell'Italia liberata Ferruccio Parri a Norberto Bobbio e Piero Calamandrei. Non fece neanche in tempo a presentarsi al voto nel 1948: era già defunto dopo il fiasco elettorale del 1946 (1,5%).

Molti azionisti, seguendo Ugo La Malfa, si trasferirono nel riesumato partito Repubblicano. Il quale in realtà non aveva più ragione di esistere, essendo stato raggiunto il suo scopo sociale con la nascita della Repubblica il 2 giugno 1946. Eppure continuò a vivacchiare per quasi mezzo secolo al 3% sotto la guida capricciosa di La Malfa. Anche il livello del Pri era inversamente proporzionale ai suoi consensi, quindi altissimo: regalò all'Italia ministri di valore come Bruno Visentini e Giovanni Spadolini. 

Sempre in tema di monumenti viventi, ecco poi il Psdi (Partito socialdemocratico) meritoriamente fondato nel 1947 dal futuro presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Era l'epoca in cui non solo il Pci ma anche il Psi stavano col dittatore sovietico Stalin. Fu doveroso quindi per i socialisti amanti della libertà scindersi dai compagni 'frontisti' di Pietro Nenni. 

Ma neanche codesta nobile scelta fu premiata dagli elettori, che relegarono il Psdi al 4%. "Colpa del destino cinico e baro", fu la famosa lamentela di Saragat, refrattario ad autocritiche e dimissioni quanto oggi Matteo Renzi e Carlo Calenda.

Il terzo partitino laico della Prima repubblica era il Pli. Che aveva dominato la politica italiana dal 1861 al 1922, e quindi tutti si aspettavano una sua rinascita dopo il fascismo. I liberali furono subito premiati con le prime due presidenze della Repubblica: Enrico De Nicola e Luigi Einaudi. Però commisero errori su errori: Benedetto Croce li fece sciaguratamente votare monarchia al referendum; poi si allearono con i qualunquisti (criptofascisti); infine, nel 1954, il neosegretario Giovanni Malagodi ridusse il Pli a una succursale degli industriali privati di Confindustria. 

Perciò i liberali di sinistra se ne andarono per fondare il partito radicale: Ernesto Rossi, Mario Pannunzio e i giovani Eugenio Scalfari e Marco Pannella. Ma anche i radicali caddero subito nel vizio tipico dei centristi: litigare perennemente, innanzitutto al loro interno e poi con gli altri centristi. Anzi, è raro perfino trovare un centrista che vada d'accordo con se stesso.

L'autolesionismo dei centristi ha sempre impedito loro di unirsi: preferivano spaccarsi fra filo-Dc, filo-Pci e filo-Psi. Però allora non c'erano tagliole del 4% a impedirne il velleitarismo. Quindi si accontentavano dei loro minuscoli 3%, che garantivano comunque poltrone di sottogoverno: qualche ministro di serie B, sottosegretari, assessori.

 

L'errore supremo del centrista sbadato fu, nel 1994, quello di Mario Segni: rifiutò l'appoggio di Silvio Berlusconi per candidarsi premier. Da allora, col bipolarismo, o di qua o di là: per i centristi solo qualche fiammata (lista Emma Bonino nel 1999, Mario Monti nel 2013) e tanti dolori, come ieri. 

Saturday, June 01, 2024

Vale per Meloni come per Salis: non disturbate troppo la Storia

Consiglio non richiesto a entrambe che, a due settimane di distanza, si sono proclamate "dalla parte giusta della Storia". Invidio tanta sicurezza

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 1 giugno 2024

"Sono dalla parte giusta della Storia", ha proclamato Giorgia Meloni al comizio di piazza del Popolo. Ohibò, è la seconda volta in pochi giorni che risuona tanto orgoglio. Perché anche Ilaria Salis due settimane ci aveva assicurato di sentirsi in quel posto lì: assieme ai Giusti della Storia.

Invidio alle due gentili signore tanta sicurezza. Entrambe felici delle loro scelte politiche, anche se opposte.

Giorgia con la sua fede fascista, ma ora dopo aver lavato i panni in Matteotti approdata definitivamente a quella postfascista. Numero uno in Italia e da due giorni anche in Europa: l'Economist la piazza in copertina al centro della nuova trinità continentale. Attorniata da Ursula e Marine, ma quelle solo a mo' di ancelle.



Ilaria con la sua passione antifascista, che l'ha spinta fino a Budapest per patire sicuramente due ingiustizie: carcere per più di un anno senza processo, manette a mani e piedi.

Quanto alla terza questione, la più importante, sarà un processo a decidere su quale parte del codice penale (e non della Storia) si è collocata Salis. Giusta se verrà assolta, sbagliata se giudicata colpevole di aver manganellato un fascista.

Temo invece che per qualcuno sia comunque commendevole "lottare" contro i fascisti. Loro stavano indiscutibilmente dalla parte sbagliata della Storia. Contrastarli con qualsiasi mezzo? Certo che no. La violenza è esclusa. Ma dipende. Ho sentito dire in tv da Bianca Berlinguer che erano "guaribili in soli otto giorni" le ferite inferte al fascista ungherese dal commando antifascista cui Salis è accusata di essersi aggregata.

Ho visto l'impressionante video dell'assalto. Mi ha ricordato le migliaia di aggressioni con cui i nostri fascisti spaccavano la testa coi manganelli ai rossi negli anni '20 di un secolo fa (Matteotti fu solo una delle tante vittime). Replicate poi mezzo secolo fa, negli anni '70, da ulteriori bastonate reciproche fra altre squadracce di rossi e neri.

E già lì la "parte giusta della Storia" era svanita. Perché il "fascismo degli antifascisti", come lo chiamava Marco Pannella, risultava equivalente a quello dei legittimi proprietari del marchio. Magari con chiavi inglesi al posto dei manganelli.

Figurarsi oggi: Fareed Zakaria, uno dei più lucidi politologi del mondo, nel suo nuovo libro certifica che rossi/neri, sinistra/destra, comunismo/fascismo è una contrapposizione ormai inservibile. Non spiega più i conflitti contemporanei. E da tempo: trent'anni fa il serbo Slobodan Milosevic fu il primo a essere definito "fasciocomunista". Aggettivo che ora si addice a tanti: Vladimir Putin, Xi Jingping, il Kim coreano, il dittatore cubano, il mezzo dittatore venezuelano.

Qualche antifascista un po' fané inorridisce per la condanna gemella dell'Europarlamento nel 2019: nazifascismo e comunismo entrambi totalitarismi del secolo scorso. E via di archivio, si sperava. Pratica chiusa col nuovo millennio.

Invece no: c'è sempre qualche nostalgico che riesuma "parti giuste della Storia" su cui piazzarsi fiero. Fresche quanto i cristiani/musulmani a Roncisvalle, palpitanti quanto i cattolici/protestanti a La Rochelle, attuali quanto guelfi/ghibellini, capuleti/montecchi, rivoluzionari/vandeani, irredentisti/austriaci, e via contrapponendo.

Care Giorgia e Ilaria, un sommesso e non richiesto consiglio: non disturbate troppo la Storia. Che offre posti belli e brutti, ma soprattutto intercambiabili. Ultimamente va più Vico di Hegel, difficile "dare un senso a questa storia", come canta il nostro massimo filosofo Vasco. Figurarsi poi addentrarsi nel giusto o sbagliato. Lo diranno solo i risultati concreti.