Saturday, March 08, 2025

Il giulivo Pd per il no di Salvini al rearm di Meloni

"Bravo Matteo, ora ascoltaci anche su sanità, salario minimo e trasporti". L'imbarazzante post sulla pagina Instagram dem

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 8 marzo 2025

"Bravo Matteo, ora ascoltaci anche su sanità, salario minimo e trasporti". Il Pd è felice per il no di Salvini alla politica estera di Giorgia Meloni e così, come si dice in politica, cerca di infilarsi nelle contraddizioni della maggioranza per farla esplodere. O almeno per incrinarla, logorarla, metterla in difficoltà.

"No alle armi!". Ecco il nuovo slogan per la seconda metà del secondo decennio del primo secolo del terzo millennio. Una svolta epocale, che affratellerà Pd (perlomeno quello di un post ufficiale su Instagram in un pomeriggio di sabato, a Milano è ancora carnevale) e quel che resta della Lega contro i Fratelli d'Italia, in nome del pacifismo.

No a quali armi? Non sottilizziamo. Il messaggio dev'essere chiaro e semplice. Quindi no agli 800 miliardi di Ursula von der Leyen, perché solo su questo Elly Schlein e Matteo vanno d'accordo. 

Il Pd però dice sì all'integrazione delle forze armate Ue con i suoi 81 differenti stati maggiori (27 Paesi con tre armi ciascuno), mentre Salvini su questo è sovranista come Giorgia. Così come detesta Emmanuel Macron e la sua offerta di estendere al continente l'ombrello nucleare francese.

Sull'Ucraina, poi, finora c'è stata sempre solidarietà nazionale. Ma l'ha rotta Giuseppe Conte, e figurarsi se Salvini gli lascia i voti pacifisti.

Insomma, se la spregiudicatezza può essere una virtù in politica, l'occhiolino del Pd a Matteo è comprensibile. Magari fra un po' cancelleranno il post dicendo che era uno scherzo goliardico. In fondo abbiamo già sperimentato due anni di governo democratico-grillino, e allora perché non un trio Elly-Matteo-Giuseppe in nome della pace?

Anche perché ormai Meloni non può più essere accusata di essere atlantista, aggettivo evaporato dopo la svolta trumpiana. E se Trump si allea con Putin, potrà il Pd fare lo stesso con la Lega?

Ieri è mancato Pasquale Laurito, lo storico estensore della Velina rossa. Ai suoi tempi il severo Pci avrebbe liquidato la fantasiosa apertura a Salvini come "avventurismo".

Temiamo che per gli odierni dirigenti Pd questa parola significhi solo "turismo di avventura": rispondere con battute alle battute d'avanspettacolo di Giorgia.

Wednesday, March 05, 2025

I vescovi europei duri contro Putin e Trump. Oltre il pacifismo ecumenico di Francesco

La Commissione delle conferenze episcopali della Comunità europea pubblica un documento dai toni inusuali, contro l'aggressione del Cremlino e le narrazioni della Casa Bianca: "Respingiamo fermamente qualsiasi tentativo di distorcere la realtà"

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 5 marzo 2025  

L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia è "ingiustificabile". "Siamo grati alla Ue che ha fornito un sostegno al popolo ucraino": non solo umanitario, politico ed economico, ma anche "militare". Perché l'Ucraina lotta "per il destino dell'intero continente europeo e di un mondo libero e democratico". Ieri i vescovi Ue, riuniti nella Comece (Commissione delle conferenze episcopali della Comunità europea), hanno pubblicato un documento dai toni inusuali, lontani dal pacifismo ecumenico di papa Francesco. 

"Il popolo ucraino soffre da più di tre anni", scrivono i prelati della Commissione, alla cui presidenza siede dal 2023 il vescovo di Latina monsignor Mariano Crociata (nomen omen?), "e gli siamo vicini". Essi affermano di pregare per morti e feriti di entrambi gli schieramenti, e ci mancherebbe. Ma anche per "chi continua a difendere la propria patria", ovvero soltanto gli ucraini. 

I vescovi europei picchiano duro su Vladimir Putin: "L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia è una palese violazione del diritto internazionale". Auspicano che la Corte penale internazionale prosegua nel suo procedimento contro il presidente russo: "L'uso della forza per alterare i confini e gli atti atroci commessi contro i civili richiedono una ricerca di giustizia e responsabilità". E alla Russia toccherà pagare: "La comunità internazionale deve assistere l'Ucraina nella ricostruzione delle infrastrutture distrutte. La Russia, l'aggressore, deve partecipare adeguatamente a questo sforzo".

Ce n'è anche per Donald Trump: "Una pace integrale, giusta e duratura può essere raggiunta solo attraverso negoziati. Qualsiasi sforzo di dialogo deve essere sostenuto da una forte solidarietà transatlantica e deve coinvolgere la vittima dell'aggressione: l'Ucraina. Respingiamo fermamente qualsiasi tentativo di distorcere la realtà di tale aggressione".

L'imbarazzo in Vaticano per questa dura presa di posizione dei vescovi europei è palpabile. Il sito ufficiale Vatican news l'ha pubblicata solo in inglese, francese e tedesco. I canali italiano e spagnolo l'hanno confinata in poche righe all'interno di un altro articolo. 

Saturday, March 01, 2025

Hácha, chi era costui? Zelensky ricorda il presidente ceco maltrattato da Hitler



Una scena come quella della Casa Bianca non si era mai vista, e non la si raccontava dal 1939. Perché, ogni volta, non preannuncia niente di buono. Piccolo excursus storico, dal führer a Trump

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 1 marzo 2025

All'una della notte fra il 14 e 15 marzo 1939 il presidente della Cecoslovacchia, Emil Hácha, viene ricevuto da Adolf Hitler nel palazzo della Cancelleria di Berlino. Cinque mesi prima il suo Paese è stato amputato del 15% del territorio (come oggi l’Ucraina): i Sudeti finiscono alla Germania, in base agli accordi di Monaco. Che però non placano l’ingordigia nazista. Il führer fa aspettare Hácha per ore prima di incontrarlo. Poi, entrato nella sala con il ministro degli Esteri, Joachim von Ribbentrop, intima ad Hácha: “Firmi questo foglio per chiedere la protezione del Reich”. Hácha rifiuta (come ieri Volodymyr Zelensky con Donald Trump sulla cessione delle terre rare e le garanzie di sicurezza): “Non posso, devo almeno consultare i miei ministri”. “Non è questo il momento di trattare, ma di prender nota delle irrevocabili decisioni del popolo tedesco!”, gli risponde Hitler. Che firma e se ne va… 

Ribbentrop rivela ad Hácha che quattro ore dopo, alle sei del mattino, l’esercito tedesco invaderà quel che resta della Cecoslovacchia. Al 66enne presidente boemo viene un infarto. Dopo qualche iniezione si riprende, gli viene permesso di telefonare a Praga svegliando qualche suo ministro. Tiene duro fino alle 4 del mattino. Poi capitola. Anche il suo predecessore Edvard Beneš era stato umiliato a Monaco nel settembre ’38: neppure ammesso alle trattative fra i quattro Grandi (proprio come oggi Zelensky).

La rottura di ieri alla Casa Bianca è una primizia della storia mondiale. Mai era successo che uno scontro fra due capi di Stato venisse trasmesso in diretta mondovisione. Finora i vertici internazionali, anche i più burrascosi, erano sempre stati protetti dalla discrezione diplomatica. Quando si litiga lo si fa a porte chiuse, e nel successivo comunicato si scrive che è avvenuto “un franco scambio di vedute”.

Leggendari sono rimasti gli scatti degli statisti più irascibili, come il generale Charles De Gaulle. Hitler e Stalin invece erano gelidi. Il führer perse le staffe solo con l’ammiraglio ungherese Miklós Horthy e con il cancelliere austriaco Engelbert Dolfuss, che poi fece assassinare. Il 5 gennaio 1939 Hitler invita a Berchtesgaden il ministro degli Esteri polacco Jozef Beck con la moglie. Mentre bevono un tè gli intima di cedere Danzica alla Germania. Beck è riluttante. Sappiamo come finì: otto mesi dopo Hitler e Stalin si spartiscono la Polonia. 

Dobbiamo al Kgb la trascrizione della drammatica telefonata di un’ora e venti minuti fra il sovietico Leonid Breznev e il cecoslovacco Alexander Dubček del 13 agosto 1968: “Caro Sasha, devi far smettere gli attacchi anticomunisti dei giornali di Praga”. “Stiamo facendo il possibile”. “Ci avete ingannati, avete sabotato gli accordi”. Il 20 agosto i tank, questa volta dell’Armata rossa, invadono di nuovo la Cecoslovacchia trent’anni dopo i nazisti. 

Lo scontro recente più violento fra occidentali è quello dell'estate 2015 del premier greco Alexis Tsipras contro Angela Merkel e Mark Rutte durante il vertice Ue che costringe Atene a cedere sul proprio debito. Urla, a notte fonda Tsipras abbandona la sala. Poi rientra e all’alba arriva la firma. 

E gli italiani? Notevole il dissidio fra Bettino Craxi e Maggie Thatcher sempre in un summit Ue, a Milano nel 1985. Brutte conseguenze per il presidente Antonio Segni, colpito da ictus il 7 agosto 1964 durante un’accesa discussione col premier Aldo Moro e Giuseppe Saragat (era l’estate del “tintinnar di sciabole”, con pericoli di golpe veri o presunti).

Per il resto, si scivola nella sceneggiata. Come quella dello scontro fra Beppe Grillo e Pier Luigi Bersani a un tavolo in diretta social nel 2013, o ddel “Kapò”, dieci anni prima, lanciato da Silvio Berlusconi al tedesco Martin Schulz nell’Europarlamento. La più memorabile resta il “Che fai, mi cacci?” di Gianfranco Fini a Berlusconi nel 2010. Ieri Zelensky è stato cacciato veramente dalla Casa Bianca trumpiana. Ma questa volta il video dopo dieci minuti era su tutti i cellulari del pianeta.