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Saturday, November 01, 2025

Ecco come Pasolini divenne radicale e capì tutto

Il cattocomunista eretico Pasolini e il laicissimo Pannella non potrebbero essere culturalmente più lontani, seppure entrambi libertari. Ma la loro simpatia nasce già nel 1963, quando il primo firma l'appello del secondo per un voto a sinistra in nome dei valori radicali. Il Pr non si presenta a quelle elezioni, però raccoglie l'adesione di intellettuali come Umberto Eco, Leonardo Sciascia, Elio Vittorini, Nelo Risi, Roberto Roversi, Massimo Mila - oltre a Pasolini

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 1 novembre 2025
"Caro lettore, passerei allo stile del volantinaggio: invia un telegramma o un biglietto di protesta ai segretari dei partiti o alla presidenza della Camera e del Senato". L'articolo che Pier Paolo Pasolini riesce a pubblicare sul Corriere della Sera il 16 luglio 1974 è inaudito: lo scrittore si lancia in una vera e propria propaganda diretta per Marco Pannella. Il quale è in sciopero della fame, perché due mesi dopo aver vinto il referendum sul divorzio la Rai continua a boicottarlo.
Il comitato di redazione filocomunista del Corrierone vorrebbe a sua volta boicottare l'articolo di Pasolini, che accusa Botteghe Oscure oltre che la Dc: "Il Vaticano e Fanfani, grandi sconfitti del referendum, non potranno mai ammettere che Pannella semplicemente 'esista'.  Ma neanche Berlinguer e il comitato centrale del Pci possono farlo. Pannella viene dunque 'abrogato' dalla vita pubblica italiana", denuncia lo scrittore.
Ci mette qualche giorno Gaspare Barbiellini Amidei, vicedirettore del Corsera e sponsor - lui cattolico - delle provocazioni di Pasolini, per convincere il direttore Piero Ottone a dare il via libera all'articolo. E il 'volantino' di PPP ha l'effetto di una bomba: la tv di stato, sotto ferreo controllo dc, è costretta a trasmettere un'intervista al leader radicale, in cui per la prima volta gli italiani ascoltano parole come 'aborto', 'omosessuali', 'lesbiche'.

Il cattocomunista eretico Pasolini e il laicissimo Pannella non potrebbero essere culturalmente più lontani, seppure entrambi libertari. Ma la loro simpatia nasce già nel 1963, quando il primo firma l'appello del secondo per un voto a sinistra in nome dei valori radicali. Il Pr non si presenta a quelle elezioni, però raccoglie l'adesione di intellettuali come Umberto Eco, Leonardo Sciascia, Elio Vittorini, Nelo Risi, Roberto Roversi, Massimo Mila - oltre a Pasolini.
Nel 1969 i due s'incrociano di nuovo, in difesa dell'anarchico omosessuale Aldo Braibanti condannato a nove anni per plagio. E nel 1971 entrambi sono incriminati come direttori responsabili del giornale Lotta Continua: prestano la loro firma come parafulmine alle numerose denunce per diffamazione, vilipendi e altri reati d'opinione.

L'amore politico scoppia due anni dopo, quando Pasolini si entusiasma per la prefazione di Pannella a un libro di Andrea Valcarenghi di Re Nudo, 'Underground a pugno chiuso': "Queste dieci pagine sono finalmente il testo di un manifesto del radicalismo italiano. Rappresentano un avvenimento nella cultura di questi anni, non si può non conoscerle".

Ecco il testo pannelliano che appassionò PPP: "(...) Io amo gli obiettori, i fuorilegge del matrimonio, i capelloni sottoproletari anfetaminizzati, i cecoslovacchi della primavera, i nonviolenti, i libertari, i veri credenti, le femministe, gli omosessuali, i borghesi come me, la gente con il suo intelligente qualunquismo e la sua triste disperazione.
"Amo speranze antiche come la donna e l'uomo; ideali politici vecchi quanto il secolo dei lumi, la rivoluzione borghese, i canti anarchici e il pensiero della Destra storica. Sono contro ogni bomba, ogni esercito, ogni fucile, ogni rafforzamento dello Stato di qualsiasi tipo, contro ogni sacrificio, morte o assassinio, soprattutto se 'rivoluzionario'. Credo ai racconti che ci si fa in cucina, a letto, per le strade, al lavoro, quando si vuole essere onesti ed essere davvero capiti, più che ai saggi o alle invettive.
"Credo sopra ad ogni altra cosa al dialogo, e non solo a quello 'spirituale': alle carezze, agli amplessi, alla conoscenza come a fatti non necessariamente d’evasione o individualistici – e tanto più 'privati' mi appaiono, tanto più pubblici e politici, quali sono, m’ingegno che siano riconosciuti. (...)

"Non credo al potere, e ripudio perfino la fantasia se minaccia d’occuparlo. Voi di Re Nudo dite: 'Erba e fucile'. Non mi va. Lo sai, non sono d'accordo. Fumare erba non m'interessa, per la semplice ragione che lo faccio da sempre. Ho un'autostrada di nicotina e di catrame dentro che lo prova, sulla quale viaggia veloce quanto di autodistruzione, di evasione, di colpevolizzazione e di piacere consunto e solitario la mia morte esige e ottiene. Mi è facile impegnarmi per disarmare i tenutari di quel casino che chiamano l'Ordine, i quali per sentirsi vivi hanno bisogno di comandare, proteggere, obbedire, arrestare, assolvere. Ma fare dell'erba un segno positivo di speranza mi par poco e sbagliato".

Quanto alla violenza, Pannella la considera "un'arma suicida per chi speri ragionevolmente di edificare una società (un po' più) libertaria. Non credo al fucile: ci sono troppe splendide cose che potremmo/potremo fare anche con il 'nemico', per pensare ad eliminarlo. La violenza è il campo privilegiato sul quale ogni minoranza al potere tenta di spostare la lotta degli sfruttati e della gente. Alla lunga ogni fucile è nero, come ogni esercito. E poi, basta con questa sinistra grande solo ai funerali, nelle commemorazioni, nelle proteste. Quando vedo, nell'ultimo numero di Re nudo, il 'recupero' di un'Unità del '43 in cui si invita ad ammazzare il fascista, ho voglia di darti dell'imbecille... Come puoi non comprendere il fascismo di questo antifascismo? Come noi radicali, voi renudisti sostenete che non esistono dei 'perversi', ma dei 'diversi'.
Come possiamo recuperare allora, proprio in politica, il concetto di 'male', di 'demonio', di 'perversione'? Quel che voi chiamate 'fascista' si chiama 'obiettore di coscienza', 'abortista', 'depravato' per altri".
Conclude Pannella: "Per noi la fantasia è stata una necessità, quasi una condanna, piuttosto che una scelta. Così abbiamo parlato come abbiamo potuto, con i piedi nelle marce, con i sederi nei sit-in, con gli happening continui, con erba e digiuni, con 'azioni dirette' di pochi, con musica e comizi. Le battaglie per i diritti civili sono mancate a tutto il vostro Movimento: un rozzo paleomarxismo ha fatto strage soprattutto a Milano".

Nel biennio 1974-75 la sintonia fra Pasolini e Pannella è totale. Sul settimanale Il Mondo appare una lunga intervista. La prima domanda di Pasolini è quasi poetica: "Parla, e dì quello che più ti interessa dire questa sera". Risponde Pannella: "Noi diciamo che il regime si chiude. L'insensibilità della stampa al nostro caso ne è la dimostrazione. Quando si può dire che un regime è tale? Che un regime è fascista? Quando esso non ha più bisogno della violenza perché i suoi valori siano accolti da tutti. Oggi la violenza dello stato coincide con la violenza del dovere del consumo, come tu dici... Ma consumo significa in definitiva consumare se stessi: si vive consumando, e non creando. Si consuma cioè la propria vita".

In quell'estate '74 si respira l'aria che porterà all'avanzata delle sinistre nel '75-'76. Eppure questi due protagonisti degli anni '70 sono pessimisti. E a ragione. Pannella sente contro di sé un 'regime' che sarebbe in effetti durato ancora a lungo. Pasolini sta elaborando le idee sullo 'sviluppo che non è progresso', sulla 'scomparsa delle lucciole' e sul 'processo al Palazzo'. Ma anche per il pasoliniano 'processo alla Dc' si dovrà aspettare il 1993, con Tangentopoli.

Pannella riprende la polemica contro la sinistra "subalterna e collaborazionista": "I 'compagni' si comportano come la maggioranza silenziosa sotto il fascismo nei riguardi dei miseri duemila antifascisti che c'erano in Italia, fatti passare per 'pazzi'. Oggi i pazzi siamo noi. 'A Marco gli si è spappolata la testa', dicono i miei amici dell'Espresso, e anche mia sorella. Ma il loro è un giornale fatto tutto di pubblicità: da una parte quella canonica della lavapiatti o della macchina di lusso, dall'altra quella scandalistica del Sid o del Sifar o di Fanfani. Contro questo, la parola d'ordine dei radicali è 'irragionevolezza'. L'uomo non è libero oggi se davanti alla tv, dinanzi alla creazione coatta dei bisogni, non sregola i sensi...".

Musica, per le orecchie dell'anticonsumista Pasolini. Che domanda a Pannella: "Che differenza c'è fra il fascismo classico e il nuovo fascismo di oggi?". Risposta: "I vecchi fascisti chiedevano un'astensione dalla politica. Il fascismo è abolizione del dibattito, che per noi invece è tutto. Solo nella piazza, nel foro, nel letto, a casa, l'uomo e la donna possono essere presenti in tutta la loro integrità. Considerati solo in quanto lavoratori (vecchio fascismo) o consumatori (nuovo fascismo), sono decapitati".

Poi Pasolini scrive sul Corsera: "È molto tempo ormai che i cattolici si sono dimenticati di essere cristiani. Il partito radicale e Pannella sono i reali vincitori del referendum sul divorzio. Ed è questo che non viene loro perdonato da nessuno. Anziché essere ricevuti e complimentati dal primo cittadino della Repubblica, in omaggio alla volontà del popolo italiano, Pannella e i suoi vengono ricusati come intoccabili. La volgarità del realismo politico non trova alcun punto di connessione col candore di Pannella. Le sue sono richieste di garanzia di una normalissima vita democratica. Ma il disprezzo teologico lo circonda".
Anche Giorgio Bocca, nella sua rubrica sull'Espresso, difende Pannella e attacca il "compromesso storico già operante" fra Pci e Dc.

Nel 1975 i radicali raccolgono le firme per il referendum sull'aborto, e il cattolico Pasolini dissente. Ma appena Pannella finisce in prigione per aver fumato una canna di marjuana ne chiede la scarcerazione, assieme ad Alberto Moravia ed Eco.
L'ultimo appuntamento di PPP con i radicali è drammatico. Nel senso che è un incontro mancato: avrebbe dovuto pronunciare un discorso al loro congresso annuale proprio il giorno dopo il suo assassinio, il 3 novembre 1975. Ma aveva già preparato il testo, che fu letto da Vincenzo Cerami.

Vale la pena riprodurlo ampiamente. Pasolini esordisce prendendo apparentemente le distanze da Pannella: "Non sono qui come radicale. Non sono qui come progressista. Sono qui come marxista che vota per il Partito Comunista Italiano, e spera molto nella nuova generazione di comunisti, almeno come spera nei radicali".
Poi però Pasolini entra in medias res e diventa profetico, come così spesso gli accade. Denuncia "la borghesizzazione totale che si sta verificando in tutti i paesi: definitivamente nei grandi paesi capitalistici, drammaticamente in Italia. Da questo punto di vista le prospettive del capitale appaiono rosee. I bisogni indotti dal nuovo capitalismo sono totalmente e perfettamente inutili e artificiali. Il consumismo può creare dei 'rapporti sociali' immodificabili, sia creando, nel caso peggiore, al posto del vecchio clericofascismo un nuovo tecnofascismo (che potrebbe comunque realizzarsi solo a patto di chiamarsi antifascismo), sia creando come contesto alla propria ideologia edonistica un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili".

Lo scrittore si rende conto che sta criticando le migliori conquiste della sinistra negli anni '70 proprio a casa dei loro massimi alfieri, i radicali. Ma li assolve: "Caro Pannella, caro Spadaccia, cari amici radicali, pazienti con tutti come santi, e quindi anche con me: bisogna lottare per la conservazione di tutte le forme, alterne e subalterne, di cultura. È ciò che avete fatto voi in tutti questi anni, specialmente negli ultimi. E siete riusciti a trovare forme alterne e subalterne di cultura dappertutto: al centro della città, e negli angoli più lontani, più morti, più infrequentabili. Non avete avuto alcun rispetto umano, nessuna falsa dignità, e non siete soggiaciuti ad alcun ricatto. Non avete avuto paura né di meretrici né di pubblicani, e neanche – ed è tutto dire – di fascisti.

"I diritti civili sono in sostanza i diritti degli altri. Nella vostra mitezza e nella vostra intransigenza, voi non avete fatto distinzioni. Vi siete compromessi fino in fondo per ogni alterità possibile. Ma una osservazione va fatta. C’è un’alterità che riguarda la maggioranza e un’alterità che riguarda le minoranze. Il problema che riguarda la distruzione della cultura della classe dominata, come eliminazione di una alterità dialettica e dunque minacciosa, è un problema che riguarda la maggioranza. Il problema del divorzio è un problema che riguarda la maggioranza. Il problema dell’aborto è un problema che riguarda la maggioranza. Infatti gli operai e i contadini, i mariti e le mogli, i padri e le madri costituiscono la maggioranza.
"A proposito della difesa generica dell’alterità, a proposito del divorzio, a proposito dell’aborto, avete ottenuto dei grandi successi. Ciò – e voi lo sapete benissimo – costituisce un grande pericolo. Per voi – e voi sapete benissimo come reagire – ma anche per tutto il paese che invece, specialmente ai livelli culturali che dovrebbero essere più alti, reagisce regolarmente male. Cosa voglio dire con questo? Attraverso l’adozione marxistizzata dei diritti civili da parte degli estremisti i diritti civili sono entrati a far parte non solo della coscienza, ma anche della dinamica di tutta la classe dirigente italiana di fede progressista. Non parlo dei vostri simpatizzanti… Non parlo di coloro che avete raggiunto nei luoghi più lontani e diversi: fatto di cui siete giustamente orgogliosi. Parlo degli intellettuali socialisti, comunisti, cattolici di sinistra, degli intellettuali generici (…)

"La massa degli intellettuali che ha mutuato da voi, attraverso una marxizzazione pragmatica di estremisti, la lotta per i diritti civili rendendola così nel proprio codice progressista, o conformismo di sinistra, altro non fa che il gioco del potere: tanto più un intellettuale progressista è fanaticamente convinto delle bontà del proprio contributo alla realizzazione dei diritti civili, tanto più, in sostanza, egli accetta la funzione socialdemocratica che il potere gli impone abrogando, attraverso la realizzazione falsificata e totalizzante dei diritti civili, ogni reale alterità".

Attenzione: col suo linguaggio complicato Pasolini mezzo secolo fa sta già preconizzando il "partito radicale di massa" in cui si è via via trasformato il Pci-Pds-Ds-Pd fino ad oggi, fino all'evaporazione della classe operaia e alla sua incapacità di proteggere i diritti economici dei nuovi proletari. Una previsione allora condivisa soltanto dal filosofo cattolico conservatore Augusto Del Noce.
Conclude lo scrittore friulano: "Il potere si accinge di fatto ad assumere gli intellettuali progressisti come propri chierici. Ed essi hanno già dato a tale invisibile potere una invisibile adesione.

Contro tutto questo voi non dovete far altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili. Dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare".

Pannella e i radicali sono stati ben felici, nei decenni successivi, di seguire questo consiglio di Pasolini. Fino all'autolesionismo di abbandonare battaglie vincenti una volta raggiunto l'obiettivo, senza capitalizzarne elettoralmente i successi. 
Sono quindi rimasti partito di estrema minoranza, incuranti dell'impopolarità di alcune nuove cause (diritti dei deputati durante Tangentopoli, no ai populismi, carcerati) e testardi nel portare avanti quelle potenzialmente maggioritarie (antiproibizionismo sulle droghe, oggi l'eutanasia con l'associazione Coscioni), ma bloccate da pregiudizi difficili da scalfire. Anche perché sono scomparsi pensatori controcorrente come Pasolini, capaci di scardinare luoghi comuni e idee ricevute.

Wednesday, October 28, 2015

Elogio del riassunto

CONTRO LA PIAGA DEI LOGORROICI, RISCOPRIAMO LA VIRTU' DELLA SINTESI

Oggi, 21 ottobre 2015

di Mauro Suttora



Veni, vidi, vici. Il riassunto di Giulio Cesare su una battaglia vinta rimane insuperato, duemila anni dopo. E purtroppo non ci sono più politici come Giovanni Giolitti, che così spiegò cent’anni fa la propria laconicità: «Quando ho finito di dire quel che devo dire, ho finito anche di parlare».

Il problema è che proprio nell’era di Twitter e sms, i quali con il loro limite dei 140 caratteri ci dovrebbero costringere alla sintesi, scopriamo di non essere affatto capaci di riassumere. «Che non vuol dire solo essere brevi, ma anche saper cogliere il succo del discorso», avverte Ugo Cardinale, già docente di linguistica all’università di Trieste, autore del libro L’arte di riassumere (ed. Il Mulino).

I dati Ocse su lettura e comprensione sono tragici. Appena tre italiani su cento raggiungono i livelli più alti di competenza linguistica (rapporto fra lettura e comprensione), contro il 12% nella media dei 25 Paesi partecipanti.

«La prova che un testo è stato compreso sta nel saperlo riassumere», spiega a Oggi il professor Cardinale, «perché per riepilogare occorre non solo memoria, ma anche capacità di individuare le informazioni più importanti. Dobbiamo ricostruire mentalmente quel che abbiamo letto o ascoltato».

Ricordate i riassunti che si facevano a scuola? Negli ultimi decenni questa pratica è andata un po’ in disuso. Si privilegiano i dettati, sia alle elementari che alle medie. Per non parlare degli sciagurati test a scelta multipla, in cui basta piazzare una x sulla risposta giusta.
Così, quando arrivano alle scuole superiori, molti studenti si perdono di fronte a libri lunghi e complessi. «Non riescono a “scoprire il superfluo”», dice il professor Cardinale: applicare il setaccio della sintesi mentale per salvare i concetti-chiave.

L’incredibile caso di Pocahontas

Il resto dei danni lo fa la politica. Un esempio? «Una donna indiana d’America è promessa sposa del guerriero più forte del villaggio, ma anela a qualcosa di più e incontra il capitano John Smith».
È la trama, in due parole, del cartone animato Disney Pocahontas. Ma Netflix, la piattaforma di film in streaming che il 22 ottobre sbarca in Italia, l’ha cambiata così: «Una giovane ragazza indiana d’America prova a seguire il suo cuore e a proteggere la sua tribù, quando i coloni arrivano e minacciano la terra che ama».

Entrambi i riassunti sono giusti. Ma sembrano due film diversi. Le femministe e i paladini degli indiani hanno tacciato la prima versione di sessismo e razzismo. Così è piombata la mannaia del “politicamente corretto”.

«Proprio per questo sostengo che il riassunto è una questione non solo cognitiva, ma anche etica», dice Cardinale, «perché dobbiamo avere un grande rispetto dell’autore. Non si può riassumere seguendo i propri schemi mentali, occorre immedesimarsi nel pensiero dell’altro».

«Per riassumere leggo tre volte il testo, trovo le cose fondamentali e le appunto», dice Filippo Bonomonte, 14 anni, primo anno al liceo milanese Virgilio. «È l’unico modo di imparare, non solo in italiano ma anche in storia e geografia. Il problema semmai è qualche prof, che ripete dieci volte la stessa cosa».

Nel 1982 Umberto Eco chiese a dodici scrittori di condensare in poche righe il loro romanzo preferito. Alberto Moravia si cimentò con Delitto e castigo, Piero Chiara con I promessi sposi. Ma anche questo esperimento provocò controversie. Italo Calvino bocciò Alberto Arbasino, accusandolo di avere infarcito il suo riassunto di Madame Bovary con commenti personali.
   
Insomma, le pillole di wikipedia ci sembrano facili. «Invece sono difficilissime da concepire», conclude il professor Cardinale, «e infatti Pascal così si scusò con un amico: “Ti mando una lettera lunga, perché non ho avuto il tempo di scriverne una breve”».

Soluzione: limare, ridurre all’osso. E, per i discorsi, sottoporre gli oratori al supplizio che il ministro Quintino Sella infliggeva ai suoi collaboratori, fra cui il giovane Giolitti: «Teneva le riunioni alle sette del mattino, tutti noi in piedi, col freddo che entrava dalle finestre spalancate. Così ci sbrigavamo».

Mauro Suttora  

Monday, September 24, 2007

intervista a Ken Follett

Lo scrittore presenta il suo 17esimo romanzo: 'Mondo senza fine'

Roma, hotel Hassler, 19 settembre 2007

di Mauro Suttora

Posso protestare? Mi permette?
«Prego».

Questo suo ultimo libro è troppo lungo.
«The longer the better: più sono lunghi, meglio è. I miei lettori adorano i libri infiniti».

Anche se hanno 1.366 pagine?
«Tanti lettori di I pilastri della terra mi hanno scritto: “Lo volevamo ancora più lungo”...».

Ken Follett ha venduto cento milioni di copie dei suoi sedici romanzi. Il bestseller personale rimane 'I pilastri della terra' del 1989: undici milioni di copie (uno e mezzo solo in Italia). L’unico ambientato nel Medioevo. Da allora i suoi lettori (che lui coltiva, leggendo le loro lettere ed e-mail e firmando amabile e instancabile migliaia di copie in giro per il mondo) lo implorano: «Dacci una seconda puntata». Fatto. È appena uscito 'Mondo senza fine' (Mondadori), che si svolge nello stesso villaggio inglese immaginario (Kingsbridge), ma nel XIV secolo, 200 anni dopo il romanzo precedente.
Storie di abati corrotti, suore lussuriose, vescovi che pretendono lo ius primae noctis, medici che rischiano il rogo per stregoneria solo perché vogliono curare la peste...

Follett, confessi. Lei ce l’ha con i cattolici?
«Assolutamente no. Il conflitto che descrivo nel libro è tutto interno alla Chiesa, fra una parte di religiosi che si fida e affida alla scienza, e un’altra che ne diffida. Ma ci sono anche figure assai positive: la protagonista Caris, per esempio, è una suora».

Beh, almeno Umberto Eco nel 'Nome della rosa' aveva diviso equamente i monaci fra buoni e cattivi. Qui invece la grande maggioranza delle figure ecclesiali è negativa.
«Dice? Mi faccia pensare... Forse il problema è che in quell’epoca la Chiesa rappresentava tutto il potere, anche quello terreno. Ed è fatale che fra le figure di potere ce ne siano molte negative».

Comunque, lei fra scienza e religione sceglie la prima.
«Certo. La Chiesa ha sempre avuto torto quando ha perseguitato gli scienziati. Il Papa ha dovuto chiedere scusa a Galileo 400 anni dopo. Per un motivo molto semplice: la Chiesa non sa nulla di scienza, quindi non può che sbagliare».

Ma i suoi genitori non erano religiosissimi?
«E molto severi: fino a 16 anni mi vietavano il cinema. E in casa non c’era la tv».

Così nasce uno scrittore?
«Mi sfogavo leggendo libri. Lì non mi proibivano nulla, e così a dodici anni ero pazzo di James Bond: sognavo la sua vita peccaminosa piena di cocktail, sigarette, auto e donne sexy. Risultato: a 15 anni mi sono ribellato alla religione».

Ed è passato ai Beatles.
«Sì, la loro canzone che preferisco è Good Day Sunshine».

Perché?
«Perché le canzoni che ci piacciono a 17 anni ci accompagnano per il resto della vita. Perché sta in Revolver, uno dei loro dischi più belli. E anche perché avevo soprannominato Sunshine il mio primo figlio, nato quando avevo solo 19 anni ed ero all’università».

La musica è importante per lei?
«Molto. Suono il basso in un complesso di rock-blues. Spesso ci esibiamo in pubblico nella zona dove abito, in campagna, vicino a Londra».

Ho letto che un’altra canzone che predilige è My Cherie Amour di Steve Wonder.
«Sì, chiamavo così mia figlia quand’era piccola. Lei camminò su quel disco e lo ruppe».

È anche molto impegnato politicamente.
«Da tre mesi la mia seconda moglie Barbara Broer, che conobbi negli anni Ottanta quando facevo l’attivista nella sezione laburista di cui lei era segretaria, è diventata ministro».

Ah! E di che?
«Pari opportunità, nel nuovo governo laburista di Gordon Brown. Vuole unificare tutte le leggi che proteggono donne, gay, handicappati e minoranze razziali, per diminuire la burocrazia e semplificare la vita ai datori di lavoro».

Lei detestava Tony Blair, e invece adora Brown. Perché non è inglese, come lei?
«Ahahah! Io sono gallese e Brown scozzese, è vero, ma non l’ammiro per ragioni etniche. Credo veramente che sia più onesto e sincero di Blair».

Che pensa della conversione di Blair al cattolicesimo?
«È un uomo alla ricerca di una fede. C’è un po’ di vuoto nel suo cuore e nella sua anima, e lui avverte il bisogno di riempirlo. Con qualsiasi cosa: avrebbe potuto farlo anche con il buddhismo».

È molto duro con Blair. Ma pure lei all’inizio era favorevole alla guerra in Iraq.
«Ora abbiamo tutti capito che è stato un errore tremendo. Sì, quattro anni fa mia moglie, allora deputata, votò a favore della guerra dopo che assieme ci pensammo per giorni e giorni. Credevo fosse una buona idea eliminare un dittatore che aveva fatto fuori centomila dei suoi sudditi. Ma abbiamo sottovalutato la complessità della situazione irachena».

Torniamo alla scrittura. Quante pagine riesce a scrivere ogni giorno?
«In media quattro. Comincio presto, alle sette del mattino: appena sveglio mi vengono un sacco di idee, sono creativo. E vado avanti fino a metà pomeriggio. Poi mi riposo».

Mauro Suttora