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Saturday, March 24, 2001

«Busoni, culatoni», disse Prosperini

GAYPRIDE A MILANO: SINDACO ALBERTINI IMBARAZZATO

di Mauro Suttora
Il Foglio, marzo 2001

«I busoni stiano al loro posto, al massimo diamogli dei paracarri per divertirsi. Meno male che il sindaco Albertini ha avuto un’impennata di orgoglio maschio: nessun patrocinio del Comune per il gay Pride a Milano, e se proprio vogliono sfilare in corteo mandiamoli in una miniera abbandonata, o in una contrada deserta... Le sfilate dei culatoni sono una roba schifosa, quelli tirano fuori l’uccello e se lo piantano nel didietro di fronte a tutti... Certe cose le facciano nelle loro alcove, con la vaselina e al buio, senza pretendere di venire a mimare amplessi nel centro della città, dove passano donne e bambini!»

Basta pronunciare la parola «gay» e il vicepresidente del consiglio regionale lombardo, Piergianni Prosperini (An, ex Lega), esplode in una serie incontenibile di insulti. Scusi, ma lei non fa parte della Casa delle libertà? «Certo, ma non Casa dell’indecenza. Quelli di Forza Italia fanno tanto i liberali, i libertari, i libertoidi, e poi finiscono con queste pulsioni busonesche. La verità è che noi siamo un partito virile, loro no...» 

Guardi che neanche Ignazio La Russa, dirigente milanese del suo partito, è d’accordo con lei. «Peggio per lui, io sono un lombardo-veneto mentre La Russa è un siciliano, un borbonico. A me non va che si permetta di offendere la religione per strada. Che provino a farle nei Paesi musulmani, le loro sfilate. A Roma si sono travestiti da Madonna, che si travestano da Maometto. Gli omosessuali devono vivere la loro diversità in dignitoso silenzio, senza sbattercela di fronte. Sono scandalosi loro, non io. Io sono in sintonia col cardinale Biffi. Un po’ meno col cardinale Martini...»

Così parla Prosperini all’indomani di un ambiguo comunicato del sindaco Gabriele Albertini, che inizia con un «Appoggio le richieste degli omosessuali», ma non condivide «la loro scelta di organizzare un corteo». Perché? «È una manifestazione che, oltre a poter creare disagio agli altri cittadini, ha una carica di ostentazione e di sfida che ritengo inutile se non addirittura controproducente».

«Così adesso Albertini pretende anche di farci la lezione, spiegandoci cos’è meglio per noi», commenta Roberto Schena, direttore della rivista gay Guide Magazine. Che con le altre riviste (Babilonia e Pride) e l’Arcigay ha scelto Milano per la sfilata annuale di giugno. Risultato: un replay delle polemiche dell’anno scorso. 

«Noi c'eravamo opposti ferocemente al Gay Pride del 2000», spiega La Russa (An), «per due motivi: la cristianità della città di Roma, e la coincidenza col Giubileo. Poiché ora questi due ostacoli vengono meno, si faccia pure il gay Pride a Milano, anche se mi stupisco della necessità che qualcuno avverte di mostrare orgoglio per il proprio essere gay. Io ho tanti amici omosessuali che non lo nascondono, ma non hanno bisogno di esibirlo, né tantomeno di andarne orgogliosi».

Così, eccoci arrivati all’appuntamento annuale con le nostre intolleranze. Gli omosex hanno trovato questo bel termometro, il gay Pride, e lo utilizzano per misurare il grado delle libertà che siamo disposti a conceder loro. 

«Le marce dell’orgoglio gay sono una risposta a secoli di vergogna», spiega Sergio Lo Giudice, dal 1998 presidente dei 90 mila iscritti all’Arcigay «Quando abbiamo sfilato a Napoli, Venezia o Bologna, i sindaci Bassolino, Cacciari e Vitali sono sempre scesi in piazza assieme a noi, e hanno parlato dal palco. A New York perfino il ‘duro’ della destra Rudolph Giuliani ha marciato in prima fila nei nostri cortei».

Non farà così Albertini, al quale i gay avevano chiesto di «partecipare non passivamente ma attivamente, con la sua fascia tricolore», al corteo del 23 giugno. Invito respinto, e imbarazzo anche da parte del vicesindaco di Milano Riccardo De Corato (An), che declina ogni commento. 

«Un sindaco non ha certo l’obbligo di aderire a qualunque manifestazione»: così La Russa difende Albertini. «Tutti fanno finta di dimenticare che il sindaco di Milano ha anche centomila omosessuali fra i suoi cittadini».

Così adesso lo spartiacque dell’intolleranza si sposta sul percorso del corteo: gay Pride in piazza Duomo? «Perché no», concede La Russa, «magari non proprio sul sagrato. Ma se la piazza è vietata a tutti tranne che in campagna elettorale, non bisogna discriminare per i gay neanche in senso a loro favorevole». 

L’anno scorso, a Roma, la giunta Rutelli di sinistra se la cavò confinando gli omosessuali fuori dal centro storico. «I cattolici di entrambi gli schieramenti riescono a esercitare un’egemonia culturale di tipo quasi gramsciano sulla questione», constata mesto Sergio Scalpelli, ex assessore di Albertini, «anche se tutti sanno che ormai sono largamente minoritari nel Paese».

«Ma la vera partita», rivela Marco Volante, vicepresidente di Gaylib, organizzazione degli omosessuali liberali, «si gioca all’interno di Forza Italia, di gran lunga il primo partito a Milano e in Lombardia. In Comune si fronteggiano i laici guidati da Fabrizio De Pasquale e l’ala oscurantista di Massimo De Carolis e dell’ex maoista Aldo Brandirali». 

Quanto ad An, fra i suoi iscritti c’è il bolzanino Enrico Oliari, presidente di Gaylib. Fra i Ds, invece, fatica a trovare un collegio sicuro Franco Grillini, fondatore di Arcigay. Mentre Rifondazione candida Titti De Simone di Arcilesbica e garantisce la rielezione a Nichi Vendola. 

Tutto questo nel trentennale dell’esordio pubblico omosex in Italia: era l’aprile ‘71, infatti, quando il radicale torinese Angelo Pezzana protestò per un articolo de «La Stampa», e fondò il Fuori.
Mauro Suttora

Tuesday, June 13, 2000

Gay Pride: parla Sergio Lo Giudice, capo dei gay italiani

di Mauro Suttora

Il Foglio, 13 giugno 2000

«Ostentazione? Provocazione? No, cerchiamo soltanto visibilità, senza arroganza. Le marce dell’orgoglio gay sono una risposta a secoli di vergogna».

Sergio Lo Giudice, 39 anni, professore di storia in un liceo scientifico di Bologna, dal 1998 è presidente nazionale dei 90mila iscritti all’Arcigay, la più grande organizzazione degli omosessuali in Italia. 

«La triste novità di quest’anno è che per la prima volta non c’è un atteggiamento di accoglienza piena da parte delle autorità della città in cui si svolge il Gay Pride. Quando in passato abbiamo sfilato a Napoli, Venezia o Bologna, i sindaci Antonio Bassolino, Massimo Cacciari e Walter Vitali sono sempre scesi in piazza assieme a noi, e hanno parlato dal palco. A New York perfino il ‘duro’ della destra Rudolph Giuliani ha marciato in prima fila nei nostri cortei, il vicepresidente Al Gore ci ha mandato messaggi di auguri, il candidato repubblicano alla presidenza George Bush junior ha ricevuto una nostra delegazione».

Perché tutta questa voglia di riconoscimento istituzionale, quest’ansia da patrocinio? Anche voi omosessuali siete diventati parastatali, senza soldi pubblici non fate più nulla?

«Il problema non sono i finanziamenti, ma la marcia indietro del sindaco di Roma Francesco Rutelli che prima ci ha concesso senza problemi il patrocinio, con un anticipo di anni, come fa abitualmente con centinaia di manifestazioni, e poi all’ultimo, un mese prima dell’evento, improvvisamente cambia idea prendendo a pretesto una supposta nostra non volontà di collaborazione. Mi pare evidente la malafede del Comune di Roma, che ha preferito piegarsi alle pressioni del Vaticano. I politici si preoccupano più dei voti degli elettori cattolici che non di far rispettare la Costituzione, la quale garantisce libertà di pensiero, parola, riunione e manifestazione. Nessuno di noi pensa di venire a Roma per oltraggiare il Papa...».

Beh, la vostra scelta della capitale della cristianità proprio nell’anno giubilare non è certo casuale.

«Sì, ma non vogliamo contrapporci alla Chiesa cattolica. Non cerchiamo un conflitto sui valori, anche perché noi ci guardiamo bene dal volere imporre i nostri. Semplicemente, Roma è una città di tutti, e resta libera anche nell’anno del Giubileo. Chiediamo al Vaticano soltanto di rispettarci, e ricerchiamo un dialogo con i cattolici. Mi associo a chi ha richiesto al Papa una parola di apertura su questi temi».

Per la verità soltanto Gad Lerner su «Repubblica» si illude che quel pulpito si appresti a contraddire un’omofobia bimillenaria.

«Ma noi stessi abbiamo distribuito nel 1997 a Bologna, durante la settimana eucaristica di preparazione al Giubileo, un volantino in cui chiedevamo un’interlocuzione ai cattolici. Rimane drammaticamente significativa la vicenda di Piero Ormando, l’omosessuale che si è dato fuoco in piazza San Pietro due anni fa. E sappiamo bene che fra gay e cattolici una contrapposizione non può esserci, per il semplice motivo che non pochi fra i partecipanti alla manifestazione dell’8 luglio saranno cattolici, e che viceversa molti fra i cattolici sono omosessuali».

Ci sono vari modi per ostacolarvi: patrocinî a parte, adesso la partita si gioca sull’itinerario del corteo. Vogliono confinarvi in periferia. 

«Giuliano Amato desiderava tenerci fuori da Roma, e ci sta riuscendo. Noi abbiamo accettato tutto, sul percorso».

E mentre l’autorità pubblica temporeggia, voi promettete una disponibilità quasi commovente: l’impegno di fare i rispettosi ogni volta che passerete davanti a una chiesa, per esempio, rischia di rivelarsi una promessa difficile da mantenere, visto che a Roma c’è una chiesa ogni cento metri.

«Il rischio grosso è che, senza una decisione chiara e definitiva sul percorso, il temporeggiamento incoraggi le manifestazioni contro di noi dei gruppi estremisti che ormai fioccano ogni giorno: da Forza Nuova al Ccd, dal Msi-Fiamma tricolore ad An. Si attende, si fa salire la tensione, e poi magari viene la tentazione di proibire il percorso del corteo: lontano da piazza San Pietro, lontano dalle basiliche, lontano dal Parlamento, lontano dal centro, niente via del Corso, niente piazza Navona, niente piazza del Popolo, niente piazza Venezia: abbiamo fatto marcia indietro su tutto e con grande spirito di disponibilità. Che ci concedano almeno il Colosseo. Mi preoccupa soprattutto il dilazionamento dei tempi per la decisione sul percorso. Non è una decisione politica, ma amministrativa: dipende dal prefetto e dal questore. Ma alla fine il responsabile è politico: il ministro dell’Interno Enzo Bianco».

Quali sono le vostre richieste politiche al governo italiano? 

«L’attuazione del principio costituzionale di eguaglianza di fronte alla legge. Oggi la questione omosessuale è come quella femminile di un secolo fa, o quella razziale prima dell’abolizione della schiavitù. Uno Stato laico deve garantire pari opportunità a tutti i propri cittadini, quindi occorre approvare come in Francia la legge sui Patti civili di solidarietà, i Pacs, o quella sulle unioni affettive presentata da Antonio Soda dei Ds e da Lucio Colletti di Forza Italia».

A parte Colletti, Tiziana Maiolo, Vittorio Sgarbi, Raffaele Costa e Sergio Scalpelli, Forza Italia considera «inopportuno» il corteo, come ha detto Silvio Berlusconi.

«Invece gli altri partiti di centrodestra in Europa non ci sono contrari: il 16 marzo l’Europarlamento, a maggioranza di centrodestra, ha approvato una risoluzione che ci appoggia».