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Saturday, April 06, 2024

I paladini dell'o-ne-stà cadono dal pulpito di Conte

Sfortunato il leader M5S a rispolverare la "legalità" su Bari nel giorno in cui a Roma arrivano le condanne a due dei massimi esponenti ex grillini di Roma per corruzione e traffico di influenze sullo stadio di calcio della Roma

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 6 aprile 2024

Sfortunato, Giuseppe Conte. Proprio il giorno dopo avere rispolverato la "legalità" come motivo della rottura con il Pd a Bari, sono arrivate le condanne a due dei massimi esponenti ex grillini di Roma per corruzione e traffico di influenze. 
 
Ai paladini dell'onestà sono toccate anzi le pene più pesanti per le tangenti sullo stadio di calcio della Roma abortito nel 2018: ben otto anni e otto mesi all'ex presidente del Consiglio comunale Marcello De Vito, e tre anni a Luca Lanzalone, avvocato genovese che Beppe Grillo e Roberto Casaleggio mandarono a Roma come plenipotenziario, e nominato presidente di Acea da Virginia Raggi, sindaca 5 stelle nel 2016-21.

Da che pulpito, quindi, Conte ora si scandalizza per l'accusa sui voti comprati da un'assessora regionale Pd in Puglia?
 
Nove sono i condannati in primo grado nel processo per lo stadio della Roma. De Vito, candidato sindaco grillino battuto da Ignazio Marino nel 2013 e da allora numero due del Movimento 5 stelle nella capitale, ora è passato a Forza Italia. Oltre alla pena detentiva ha ricevuto l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. E con l'ex socio avvocato Camillo Mezzacapo (condannato a nove anni) dovrà pagare 230mila euro al comune di Roma. È più o meno la somma che alcuni costruttori romani (fra cui Giuseppe Statuto, condannato a un anno e 6 mesi) avrebbero versato ai due sotto forma di incarichi e consulenze fittizie, in cambio di facilitazioni per le proprie pratiche edilizie.
 
La maggiore era quella per il maxiaffare del nuovo stadio a Tor di Valle, contornato da palazzi di uffici con centro commerciale, inizialmente osteggiato dai grillini. Per ammansirli l'immobiliarista Luca Parnasi (che ha preso due anni col rito abbreviato) puntò su De Vito. Quando il M5s compì l'incredibile inversione a U accettando lo stadio, il loro ignaro assessore all'Urbanistica Paolo Berdini si dimise per protesta.

Ma il vero artefice del pateracchio fu Lanzalone, soprannominato "mister Wolf" da Parnasi. I grillini, a corto di competenze, lo avevano ingaggiato come "problem solver", per usare il linguaggio dei film di Quentin Tarantino. La ricompensa arrivò anche per lui con consulenze fasulle da Parnasi (sui 100mila euro) e poi con la guida della ricca municipalizzata Acea (144mila di stipendio annuo). Fu Lanzalone a scortare Luigi Di Maio al suo debutto fra i potenti del seminario di Cernobbio. E se non fosse stato arrestato nel 2018, per lui era in vista un posto da ministro nel governo Conte.
 
La condanna dei due dirigenti grillini romani spicca per contrasto con l'assoluzione di Francesco Bonifazi, allora tesoriere del Pd renziano, oggi deputato di Italia Viva, e di altri nove imputati. Bonifazi ricevette per il partito finanziamenti dai costruttori romani, che però non sono stati ritenuti illeciti dai giudici.
Lieve anche il verdetto per l'ex tesoriere leghista Giulio Centemero: un anno con pena sospesa.

Insomma, gli unici che si fecero veramente  "oliare" nella tentata speculazione sullo stadio della Roma sono stati i grillini. È quindi imbarazzante per Conte che una sentenza glielo abbia ricordato proprio ieri.

Friday, April 05, 2019

Lorenzo Borrè, l'avvocato incubo dei grillini

"ANCHE LA MULTA DEL GARANTE E' UNA NOSTRA VITTORIA"

di Mauro Suttora

Libero, 5 aprile 2019



«La condanna di ieri con annessa multa di 50mila euro del Garante della Privacy contro la piattaforma Rousseau, su cui si svolge online tutta la vita politica grillina, nasce da un nostro esposto dell’ottobre 2017 contro la profilazione dei votanti», dichiara l’avvocato Lorenzo Borrè di Roma a Libero.

Borrè è la bestia nera del Movimento 5 stelle. Il quale dal 2012 ha espulso centinaia di attivisti e 44 parlamentari, in un crescendo di autoritarismo che confina con la paranoia.
Tutti i grillini che in Italia fanno causa chiedendo i danni si rivolgono a lui. E lui si è ormai specializzato nella giungla di documenti che regola la vita di questo strampalato non-partito.

Proprio per sfuggire alle cause di Borrè, che finora ha ottenuto 75mila euro di risarcimenti per i suoi clienti, la società Casaleggio ha infatti cambiato statuto per la terza volta in otto anni, nel dicembre 2017. 

Peccato che l’avvocato Luca Lanzalone, che lo redasse, sia finito in carcere nel giugno 2018 per le tangenti del costruttore Parnasi sul nuovo stadio della Roma. 
Lanzalone, che verrà processato a luglio e che ha tuttora il divieto di dimora a Roma dopo mesi di arresti domiciliari, era considerato il vero sindaco di Roma al posto della evanescente Virginia Raggi. 
Era succeduto in questo suo ruolo di “vicario” romano a Raffaele Marra, anch’egli incarcerato e condannato a tre anni per corruzione.

Il primo a rivolgersi a Borrè è stato nel 2016 il professor Antonio Caracciolo, escluso dalle comunali di Roma e insultato pubblicamente da Grillo («È sporco dentro») per alcune sue asserite dichiarazioni negazioniste sull’Olocausto rivelatesi infondate.

Poi la mancata candidata sindaca di Genova Marika Cassimatis e la consigliera comunale Cristina Grancio di Roma, espulsa perché unica contraria allo stadio della Roma. 
Anche Ernesto Leone Tinazzi, popolare grillino romano che con i suoi voti fece eleggere Alessandro Di Battista nel 2013, e Andrea Aquilino, sono finiti in una delle periodiche purghe grilline.

Il caso più grottesco è quello di 23 attivisti napoletani accusati, in perfetto stile stalinista, di avere fondato una “corrente” con un gruppo Facebook segreto, come una volta i “deviazionisti”.

«A giorni attendo l’esito del ricorso contro l’espulsione del senatore De Falco, di fama schettiniana (“risalga subito a bordo, cazzo!”) reo di non aver votato la fiducia sul decreto sicurezza leghista», dice Borrè. Il quale è lui stesso un ex grillino, per qualche anno fino al 2016. Conosce quindi i suoi polli. E li infilza a suon di cavilli. Curioso destino, per un movimento nato con lo slogan «Legalità!», quello di dover sopportare le più cocenti e imbarazzanti sconfitte proprio nelle aule dei tribunali.
Mauro Suttora