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Monday, January 26, 2009

Mercedes Bresso, Eugenia Roccella

Tutti gli ex radicali delle sponde opposte

di Mauro Suttora

Libero, sabato 24 gennaio 2009

E pensare che si chiama come la Madonna. Mercedes Bresso, 64 anni, la governatrice del Piemonte che sul caso di Eluana Englaro ha dato dell’«ayatollah» all’arcivescovo di Torino, deve il proprio nome alla mamma, devota della chiesa Vergine della Mercede a Sanremo.

Diventata leader dei laici italiani, la Bresso è coerente con le proprie origini anticlericali. Infatti, prima che il Pci la eleggesse nel 1985 consigliere regionale piemontese, era dirigente radicale. Fece parte della segreteria nazionale nel ’75, anno caldo delle lotte sull’aborto, quando Emma Bonino finì in carcere.

Curiosamente, quello stesso posto di dirigente del partito di Marco Pannella lo occupò nell’81 (anno del doppio referendum sull’aborto) pure Eugenia Roccella, oggi sottosegretario al welfare e vicinissima al Vaticano, ma allora accesa femminista. Segretario radicale era in quegli anni un 27enne Francesco Rutelli, anch’egli irriconoscibile rispetto a oggi.

Ex pannelliani, insomma, occupano posti opposti in palcoscenico nella disputa sul diritto alla vita. Ma la diaspora radicale coinvolge molti altri nomi noti della politica italiana, alcuni dei quali sorprendenti.

Giorgio Stracquadanio, per esempio. Il 49enne ghost writer e spin doctor di Silvio nonché consigliere di Maria Stella Gelmini potrebbe passare da deputato a sottosegretario alla presidenza del Consiglio se il portavoce Paolo Bonaiuti fosse promosso viceministro. A Milano Stracquadanio era attivo radicale negli anni ’80, e portaborse dell’allora antiproibizionista Tiziana Maiolo assessore comunale nel ’90.

Anche l’ex presidente del Senato Marcello Pera può essere catalogato come ex radicale (dal ’92 al ’94), così come il ministro Elio Vito (portaborse del consigliere comunale Pannella a Napoli negli anni ’80, poi deputato) e il vicepresidente dei senatori Pdl Gaetano Quagliariello (vicesegretario nell’81 con Rutelli).

Fra i deputati c’è il rutelliano Roberto Giachetti, mentre nel centrodestra spiccano Benedetto Della Vedova e Giuseppe Calderisi (autore del progetto di nuova legge elettorale per le imminenti europee). Fuori dal Parlamento ma vicino al cuore di Silvio sta Daniele Capezzone, segretario radicale fino a due anni fa e ora portavoce di Forza Italia.

Stefano Rodotà lasciò i radicali per il Pci nel ’79 perché Pannella non gli garantì l'elezione. In quegli stessi anni scalpitava fra i radicali salernitani Alfonso Pecoraro Scanio.

Sono stati candidati della Rosa nel pugno Gianni Vattimo, Barbara Alberti, Fernanda Pivano, Luca Boneschi (oggi avvocato dei giornalisti milanesi), Giorgio Albertazzi, Salvatore Samperi, Tinto Brass, Riccardo Chiaberge (direttore del supplemento domenicale del Sole 24 Ore), Massimo Alberizzi (inviato "africano" del Corsera) e il costituzionalista Michele Ainis.

Gli editorialisti Angelo Panebianco (Corsera), Massimo Teodori (Giornale) e Piero Ignazi (Sole ed Espresso) sono ex radicali. Perfino Eugenio Scalfari è stato vicesegretario nazionale del Pr prima di Pannella e consigliere comunale a Milano nel '60 (quando l’attore Arnoldo Foà fu eletto a Roma).

Ma lista dei giornalisti politici ex radicali è sterminata: Lino Jannuzzi (direttore di Radio radicale fino all’81), Paolo Liguori, il notista politico del Tg1 Bruno Luverà, Marco Taradash (inventore delle rassegne stampa radiofoniche), Daniele Bellasio e Christian Rocca del Foglio, Laura Cesaretti (Giornale e Velino), Vittorio Pezzuto (ex segretario nazionale dei club Pannella negli anni ’90, oggi portavoce di Renato Brunetta), Stefano Andreani (cronista parlamentare di Radio radicale, poi potente capo di gabinetto di Andreotti nell'era Caf, ora dirigente Invitalia – la ex agenzia Sviluppo), Roberto Iezzi (ufficio stampa Camera).

Carlo Romeo, oggi capo del "segretariato sociale" Rai, è stato fino al ’95 direttore del mitico tg radicale di Teleroma 56, da cui passarono Mauro Mazza, Michele Plastino, Gianni Cerqueti, Giancarlo Dotto, Fabio Caressa, Paola Rivetta... Infine Iuri Maria Prado, commentatore di Libero: pure lui pannelliano fino al 2006, quando i radicali (ri)svoltarono a sinistra.

Mauro Suttora

Thursday, December 07, 2006

Corriere della Sera: Severgnini su No Sex in the City



GRANDE MELA
La Manhattan degli «affari galanti» raccontata da Mauro Suttora

Non troppo sesso, per favore. Siamo a New York

7 dicembre 2006

di Beppe Severgnini

recensione sul Corsera

Mauro Suttora voleva scrivere un saggio, e per fortuna non c'è riuscito. Ha prodotto invece un romanzo breve e un lungo affresco: e questi gli sono venuti piuttosto bene (No sex in the city - Amori e avventure di un italiano a New York, Cairo Editore, pp. 206, 14 euro).

No sex in the city - dove di sesso ce n' è abbastanza - è uno dei rari ritratti efficaci della città più complicata e nevrotica d' America: New York. Molti italiani hanno provato a dipingerlo, con risultati che vanno dall' infantile al disastroso. Perché quasi tutti, della Grande Mela, hanno una fifa blu (interamente giustificata). Quando la superano - di solito, dopo pochi giorni - cadono in una specie di euforia, che gli impedisce di andar oltre, e capire dove sono finiti.

Le avventure galanti sono, in realtà, una scusa per mettere il naso nelle faccende sociali, mondane e professionali di Manhattan. Talvolta si ha l' impressione che Suttora salisse in casa delle ragazze per studiare l'arredamento, e riferircelo.

Alcuni rapporti sono esilaranti: la ragazza che non vuole baciare, quella che si scatena solo in taxi, quella che lo pianta per email. C'è anche un focoso incontro notturno sul tappeto del Rizzoli Bookstore nella 57esima strada, un luogo dove alcuni di noi si sono limitati a presentare, ogni tanto, un libro.

Ripeto: il sesso, negato nel titolo, esiste. Ma è una scusa, e per l' autore non è una priorità. Più che dalle gambe e dai seni, Mr Suttora è ipnotizzato dalla pancia di Manhattan - in senso metaforico, naturalmente. Corrispondente per il settimanale «Oggi» - i newyorkesi capiscono sempre «orgy», orgia, e restano perplessi - l'autore ha scritto anche per «Newsweek» e «New York Observer», dov'è nata la rubrica che ha dato il titolo al libro.

Per uscire dalla cuccia calda della corrispondenza ci vuole coraggio, Suttora l' ha avuto, ed è stato premiato. Nei media di New York sanno chi è, e non sarei stupito se un editore americano mettesse gli occhi sul volume. Alcune intuizioni sono folgoranti. Il quarantenne Mauro - che è più abbagliato dalla mondanità di quanto voglia farci credere - riesce tuttavia a restare un italiano con gli occhi aperti.
Racconta che troppe donne newyorkesi «parlano con la voce di Topolino» (un fenomeno che la scienza non ha ancora spiegato); che i ristoranti francesi sono in crisi, e quelli italiani no; che la tariffa fissa telefonica (flat rate) è una jattura, perché i taxisti di Manhattan sono sempre al cellulare, e confabulano come zombie in lingue misteriose, disinteressandosi di chi hanno a bordo.

I personaggi del libro vengono attivati a turno con pochi tocchi, e un dialogo che fa invidia a tanti affermati narratori nostrani. Tra le ragazze americane (Marsha, Liza, Maria, Danielle, Paula, Susan, Adrienne, Nicole: dimentico qualcuna?) compare anche qualche collega italiano (Giuliano Ferrara, Guia Soncini, Christian Rocca, Simona Vigna, lo ieratico Cianfanelli).

No sex, per loro: ma contribuiscono a movimentare il racconto, che procede con leggerezza per duecento pagine fino a un finale sorprendente. «Adoro i flip-flop, le ciabatte infradito: sono sexyssime», scrive l'autore appena sopra la parola «fine». Questa, Suttora, devi proprio spiegarmela.

Beppe Severgnini

Sunday, May 09, 2004

Newsweek: My Big Date With Nicole

May 31, 2004

LETTER FROM NEW YORK; Page 11

By Mauro Suttora

https://www.newsweek.com/my-big-date-nicole-127681

"I had dinner with Nicole Kidman." Hmm... I hadn't known my friend Christian, an Italian journalist, was a celebrity hound. Like most New Yorkers, we make a point of ignoring such people. "Where?" I asked. "At the Mercer Kitchen." What did you talk about, I wanted to know. And how did a poor schmuck like Christian meet Nicole? Well, he explained, "we weren't at the same table. Just next to each other. But I was as close as possible."

Christian's boast came to mind when I received this e-mail from another friend, a casting agent: "Looking for protesters on Sunday. Movie: The Interpreter with Nicole Kidman and Sean Penn. Location: the United Nations. All ethnicities welcome. Pay: $75. Bring photo I.D."

Why not? It was my day off. I was curious. And for the rest of my life I'd be able to say I acted with Nicole Kidman. Besides, "The Interpreter" would be an international blockbuster. My mother in Italy would love it, and Christian would die of envy.

That Saturday night I could hardly sleep. Nicole! I rose before dawn, showered, shaved and headed out into the rainy darkness of my new career. Outside a rundown building on 44th Street, not far from the United Nations, a van was unloading doughnuts, and a queue of several hundred would-be extras wound out the front door. We were ushered into a huge room on the third floor, overlighted and full of grubby plastic chairs. Sadly, this was not going to be an intimate thing between Nicole and me. I spent the morning filling out forms.

Around midday, a chorus of less-than-courteous young men and women began shouting that it was time for "the talent" (meaning us) to get out on the set. It had stopped raining, so they herded us into Dag Hammarskjold Plaza. We were issued signs to wave around and told to demonstrate. Nearby, a little group of real demonstrators huddled in a tent, campaigning for a free Tibet. Tourists glared, furious that because of us they couldn't visit the United Nations. "You are the only ones who get TV coverage, huh?" one muttered, eyeing the microphones and the cameras focused on us instead of the soggy Tibetans. "Be professional," a fierce little assistant director barked. The problem was that Sean Penn had shown up, along with legendary director Sydney Pollack. In the movie Penn plays a secret agent, incognito in our midst. Right. Who wouldn't crane their necks to look at him?

After a couple of hours, we were ordered back to our holding pen, where we were again scolded--this time for jumping too enthusiastically on the buffet of turkey sandwiches. Extras may be artists, I learned, but it takes sharp elbows to get your share of free food. During the afternoon shoots, I was selected as a passerby who refuses the leaflets handed out by the protesters. I hope Pollack didn't notice; otherwise, my face will be edited out of close-ups of the demo itself. Either I protest, or I don't give a damn, but I shouldn't be permitted to switch sides so swiftly. I mean, this is not Italian politics--nor Italian B-movies of the '50s, in which Roman slaves could be seen wearing wristwatches.

At 7 p.m. we queued to get our pay. But instead of money we got another form to fill out: "No signature, no pay!" Two weeks later I received a check for $62, after federal, state and city taxes. I calculated that Nicole and Sean every day make 20 times more than all 600 extras combined. My pay amounted to $4 an hour. My maid makes $15. And I got only a glimpse of Nicole. Don't tell Christian.

© 2004 Newsweek