Friday, August 10, 2007

Emma Bonino e la Cina

BONINO E L’IMPRESA IMPOSSIBILE DI CONCILIARE DIRITTI E COMMERCI

Il Foglio, pag II, venerdì 10 agosto 2007

Roma. Povero Palden Gyatso, monaco buddista reduce da 33 anni di carcere cinese, che l’altra sera ha camminato dal Colosseo al Campidoglio attorniato dalle fiaccole della marcia per il Tibet. Come in tutte le capitali del mondo, le organizzazioni dei diritti umani ci hanno ricordato che, a un anno dall’inizio delle olimpiadi a Pechino, la repressione in Cina aumenta. “Il governo di Pechino non solo non mantiene le promesse di maggiore libertà fatte al Comitato olimpico internazionale”, avverte da Londra Irene Khan, segretaria di Amnesty International, “ma la polizia usa il pretesto dei giochi per estendere le incarcerazioni senza processo”.

Povero monaco, se avesse letto l’intervista che Emma Bonino, finora massima paladina italiana della democratizzazione mondiale, ha rilasciato proprio l’altro ieri al Sole 24 Ore. Con una clamorosa inversione a U, la ministra ora si dichiara contraria a sanzioni economiche contro le dittature: “Quando si commercia, circolano anche idee e persone”. È l’usurato argomento che, dalla strage di Tian an men dell’89, i sostenitori del business occidentale brandiscono nel perenne dibattito sulle sanzioni. Soprattutto negli Usa, che però mantengono tuttora ben nove classi di restrizioni commerciali e finanziarie contro i gerarchi comunisti di Pechino. A tutto beneficio dell’Europa, che infatti si batte per l’appeasement non solo verso la Cina, ma anche nei confronti dell’Iran (boicottato integralmente da Washington).

È da mesi che la Bonino ha abbracciato la ‘realpolitik’, rinunciando alla lotta nonviolenta dopo essersi seduta sulla poltrona di ministro del commercio estero. “I rapporti tra Italia e Cina non sono mai stati così buoni”, ha annunciato felice in giugno al forum italo-cinese per la promozione dell’export delle piccole e medie imprese, “le nostre esportazioni in Cina sono cresciute del 25 per cento nel 2006”.

È la stessa persona che negli ultimi vent’anni si era battuta contro le repressioni dei Falun Gong, che invitava ai congressi radicali dissidenti cinesi come Wei Jinsheng, che difendeva i separatisti uiguri dello Xinjang, che protestava per le persecuzioni dei cristiani, che premeva perché i premier italiani ricevessero il Dalai Lama a Roma, che andava a farsi arrestare dai talebani a Kabul e a incontrare la Nobel per la pace birmana Aung San Suu Kyi a Rangoon? Ma, soprattutto, i radicali non si stanno attualmente battendo come leoni contro la pena di morte? E il 95 per cento delle esecuzioni capitali non avviene proprio in Cina?

La Bonino è molto apprezzata dalla business community come ministro. Attiva ed efficiente, come sempre. Ma il suo nuovo ruolo è inesorabilmente incompatibile con i passati ardori. Se fosse stato per lei, avrebbe scelto addirittura il ministero della Difesa. E lì la contraddizione sarebbe risultata plateale: una gandhiana antimilitarista a capo dei militari?

Fra i radicali c’è imbarazzo. Radio radicale cerca di far ingoiare il nuovo realismo governativo trasmettendo a raffica interviste a personaggi che dicono che sì, in fondo le sanzioni non sono molto efficaci. Il deputato Bruno Mellano (incarcerato pure lui in Laos nel 2001) obietta: “Ci domandiamo in che cosa consista il cosiddetto “dialogo critico” con i regimi dittatoriali. Abbiamo un anno di tempo, prima delle olimpiadi, per ottenere dai cinesi qualche miglioramento delle libertà fondamentali, senza attendere i tempi lunghi di un cambiamento culturale frutto delle aperture al mercato”.

Le sanzioni hanno funzionato in Sudafrica, ammette la Bonino. “Ma non contro i militari in Birmania”, aggiunge. E chi sono gli unici protettori della giunta birmana? Quante settimane durerebbe la giunta di Rangoon senza l’aiuto della Cina? La foto in gigantografia della birmana Aung San è sempre appesa sul Campidoglio. Fanno ormai 17 anni da quando vinse le elezioni e fu arrestata. Il sindaco Veltroni dice che la terrà lì finché non verrà liberata. Ma la martire birmana della democrazia ha perso un’alleata: la ex pasionaria italiana Emma, oggi appassionata soprattutto di made in Italy.

Mauro Suttora

12 comments:

il Braccini said...

Il cosiddetto "ricatto democratico" resta un'arma valida. Ma in tutti questi miei sei anni di intensa "attenzione" al mondo radicale, non ricordo di aver sentito nessuno, figuriamoci la Bonino, proporlo nei confrionti della Cina (nei confronti della quale avrebbe qualche chance di successo solo se venisse fatto da uno schieramento globale - e forse nemmeno). Sei un facilone.

Anonymous said...

Con il tempo, purtroppo o per fortuna, tutti i nodi vengono al pettine.

L'inizio della fine, guardando indietro lo possiamo ormai capire retrospettivamente (o perlomeno, sulle prime io non lo capii in maniera compiuta), fu quando i pannelliani decisero di "essere pronti a governare l'italia proprio come sapevano governare loro stessi", perché "il futuro delle persone è nel loro passato". Avevano deciso che non bisognava più semplicemente affermare la verità (a loro dire, atto irenico e di sterile testimonianza), ma che erano maturi i tempi per esserci, per entrare al governo - qualunque governo - al fine di ottenere la visibilità e la forza di incidere. Non più servire la ragionevolezza o la verità, convincere e non vincere, bensì vincere per convincere. Convincere in un secondo tempo, naturalmente: aspetta, aspetta...

In questa evoluzione del loro atteggiamento si legge, in filigrana, l'influenza dei neoconservatori e del loro pensiero sull'area pannelliana. Anche i neoconservatori amano vincere. Sono pronti a qualunque cosa pur di vincere, perché prima si vince e poi si incide. Sono machiavellici, non gandhiani (quell'altro irenico; l'illuso del mezzo che prefigura il fine).

E se le cose poi non vanno per il verso giusto, si può sempre cercare di reinterpretare il passato, la gente tanto dimentica. Anche i pannelliani sono andati al governo, ed ora devono adattarsi. Con un po' di imbarazzo e qualche piccola demagogia, tirano a campare.

Per me, che sono radicale dentro, è da anni che risulta impossibile rapportarmi a quest'area, o finanziarli con la tessera. La demagogia, la rappresentazione semplificata dei fatti ad uso politicante, è quanto di meno gandhiano si possa immaginare. Gandhi ha convinto, perché la ricerca ed il servizio della Verità lui li prendeva sul serio, e ciò gli ha conferito la credibilità che aveva.

Anonymous said...

E per equità, ricordiamo che Anche "Il Foglio" ha appoggiato i neoconservatori, e con loro ha idealmente vinto, ad esempio in Iraq.

Mauro Suttora said...

caro Braccini,
le sanzioni sono la principale arma nonviolenta. Tolte quelle, contro le dittature resta solo la guerra. In questi sei anni e' proseguito a tutti i livelli e in tutto il mondo il dibattito sulle sanzioni alla Cina, fra idealisti e realisti. In questo caso i piu' coraggiosi sono gli Usa, che impongono contro la Cina sanzioni piu' dure di quelle europee, facendo perdere le proprie aziende. Idem per l'Iran.

Che la Bonino ora sostenga che le sanzioni sono inutili (http://www.radicali.it/view.php?id=102028) lo trovo degno di notizia. Sarebbe come ammettere che negli ultimi 18 anni (dalla strage di Tien an men) tutte le organizzaizoni per i diritti umani si sono sbagliate nel chiederle e ottenerle (seppure parzialmente)

Mauro Suttora said...

caro enpi,

con tutti i loro difetti, i radicali sono comunque sempre i meno peggio nella politica italiana. Li voterei anche solo per l'antiproibizionismo e per l'eutanasia. Purtroppo non c'e' nessuno piu' liberista e libertario

Auntie Sam said...

grazie per averlo scritto...

bacioni

il Braccini said...

caro Suttora,
sulla notiziabilità della Bonino siamo d'accordo, sia in generale (e a volte ci si scorda di ringraziarti), sia nello specifico - perché un certo imbarazzo nel dover problematizzare la questione piuttosto che sparare slogan è innegabile. Sul fatto che ci sia stata una inversione a U (o sul fatto che le sanzioni siano la principale arma nonviolenta - e tutta la famosa panoplia di armi di attrazione di massa??), invece no.

Anonymous said...

fa bene dal suo punto di vista, fa il suo interesse personale come tutti i politicanti. che nel suo caso e' corruzione non pecuniaria ma "solo" morale. e' pervasa da una ambizione sconfinata, da anni e anni non sogna altro che il segretariato dell'Onu. da anni e anni scommetto che non ci riuscira'.
e lo spero

Anonymous said...

OT. Mi scuso: il "nuovo nome" dei partito radicale, non suona un po' pesante in inglese? "Nonviolent Radical Party, Transnational and Transparty". Detta così, sembra un gigantesco calco strutturale sull'italiano o sul francese. La base è romanza, hanno solo messo delle parole "inglesi" al posto di quelle neolatine. Ma in vero inglese suona bene?

Se proprio volevano rinominarsi in inglese, non sarebbe stato meglio usare la dizione "Nonviolent Radical Transnational Party"? O se proprio volevano mettercelo, il "transpartito", "Nonviolent Transnational Radical Transparty". Transparty è un neologismo o quasi, ma a questo punto sarebbe apparso palese e dichiarato. Suona meglio e si capisce.

Secondo me, il nome scelto, invece zoppica e dà l'impressione di una frase raffazzonata. Cmq non sono madrelingua inglese, e da molto non ho l'occasione di viere in un ambiente anglofono, quindi può darsi che mi sbaglio.

Mauro Suttora said...

no, non ti sbagli. E' un nome buffissimo, sembra una barzelletta, mette buonumore. "Sempre pittoreschi e creativi questi italiani"

Anonymous said...

"È la stessa persona che negli ultimi vent’anni si era battuta contro le repressioni dei Falun Gong, che invitava ai congressi radicali dissidenti cinesi come Wei Jinsheng, che difendeva i separatisti uiguri dello Xinjang, che protestava per le persecuzioni dei cristiani, che premeva perché i premier italiani ricevessero il Dalai Lama a Roma, che andava a farsi arrestare dai talebani a Kabul e a incontrare la Nobel per la pace birmana Aung San Suu Kyi a Rangoon?"

... E pensiamo quanti scioperi della fame ha fatto fare a voi radicali per tutto questa, la stronza.
Ma non era meglio una bella bistecca?

Anonymous said...

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