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Saturday, December 24, 2016

Politici non laureati

di Mauro Suttora

settimanale Oggi, 24 dicembre 2016

Probabilmente Valeria Fedeli sarà una brava ministra dell’Istruzione, perché ha l’esperienza più preziosa per quel posto: è una sindacalista, quindi andrà d’accordo con il turbolento mondo dei professori. Non è laureata, ma è finita nei guai per non averlo detto, più che per non averlo fatto. Aveva spacciato come dottorato un corso triennale di assistenti sociali. In più ora si scopre che non ha neanche la maturità: i suoi tre anni di scuola magistrale non gliel’hanno fatta raggiungere.

Ma la simpatica signora bergamasca si trova in folta e ottima compagnia. La metà dei capi dei quattro principali partiti italiani, infatti, non ha la laurea: Beppe Grillo è ragioniere, Matteo Salvini ha la maturità classica. Così come illustri premier del passato: Bettino Craxi si iscrisse a ben tre università (Milano, Perugia, Urbino) senza cavare un ragno dal buco e facendo arrabbiare suo padre; Massimo D’Alema fu ammesso alla prestigiosa Normale di Pisa ma anche lui abbandonò gli studi per la politica a tempo pieno.

La precoce attività di partito ha amputato anche gli studi di Walter Veltroni (diploma di una scuola professionale per la cinematografia), del presidente del Pd Matteo Orfini (pochi esami di archeologia) e di tre ministri colleghi della Fedeli: alla Sanità Beatrice Lorenzin, 50/60 alla maturità classica, al Lavoro l’agrotecnico Giuliano Poletti, e alla Giustizia Andrea Orlando, liceo classico.

Francesco Rutelli si è da poco reiscritto a 62 anni ad Architettura: gli mancano due esami e la tesi, «mi laureo come voleva mio padre». Anche la senatrice grillina Paola Taverna vuole recuperare: si è iscritta a Scienze politiche. Esigenza non condivisa da Umberto Bossi, che per anni fece finta di andare all’università di Medicina a Milano, mentre in realtà andava ad attaccare manifesti della Lega Nord. 
A Giorgia Meloni basta il diploma di liceo linguistico, a Maurizio Gasparri il liceo classico, e anche Francesco Storace non è laureato. Così come il suo successore alla presidenza della regione Lazio, Nicola Zingaretti (Pd, fratello dell’attore Luca), e l’assessore Lidia Ravera, scrittrice.

Michela Vittoria Brambilla ha portato a casa molti randagi, ma solo qualche esame di filosofia. Sempre nel centrodestra, anche l’ex sottosegretaria Michaela Biancofiore si è accontentata del diploma magistrale. Hanno agguantato una laurea triennale Stefania Prestigiacomo a 40 anni nel 2006 (Scienza dell’amministrazione alla Lumsa, Libera università Maria Santissima Assunta), Gianni Alemanno a 46 (Ingegneria dell’ambiente a Perugia), Alessandra Mussolini a 32 (Medicina).

Ma il record della laurea attempata va agli ex ministri Claudio Scajola, Legge a Genova a 53 anni, e Mario Baccini, 110 e lode in Lettere a 52 anni alla Lumsa con tesi su Amintore Fanfani.

Daniela Santanchè, dottore in Scienze politiche a Torino a 26 anni, è scivolata su un «master» alla Bocconi che esibiva sul sito ufficiale del governo: in realtà era un corso serale di 24 giorni per diplomati con licenza media inferiore. Peggio di lei è capitato al giornalista Oscar Giannino, che si è ritirato dalla politica per aver millantato lauree in Legge ed Economia e Master a Chicago. Anche l’ex Fratello d’Italia Guido Crosetto ha sbandierato una finta laurea in Economia.

Marco Pannella si laureò in legge a 25 anni (come Silvio Berlusconi), ma per farlo nel ’55 dovette emigrare da Roma a Urbino e sfangò un 66 grazie a una tesi sul Concordato scritta da amici. La sua collega radicale Emma Bonino invece è bocconiana come Mario Monti e Corrado Passera. Ma è stata una delle ultime a laurearsi nel corso in Lingue straniere, soppresso nel 1972.

Gianfranco Fini ha una laurea in Pedagogia ottenuta a 23 anni con pieni voti a Roma, ma senza frequentare le lezioni: nel 1975 i neofascisti del Msi venivano picchiati se osavano mostrarsi a Magistero, feudo dell’ultrasinistra. Non sono laureati i grillini Luigi Di Maio (otto esami in cinque anni fra Ingegneria e Legge) e Vito Crimi (fuoricorso in Matematica).
Mauro Suttora

Wednesday, April 20, 2016

Casaleggio: parla Massimo Fini

Oggi, 20 aprile 2016

di Mauro Suttora

«Il Movimento 5 stelle non si scioglierà come neve al sole. Ho parlato con Di Battista, Di Maio, il figlio di Casaleggio e gli altri. In realtà, dietro i proclami sono molto scossi dalla scomparsa di Gianroberto. Ma si attrezzano per farcela senza di lui».

Massimo Fini è stato l’unico giornalista ammesso al funerale del capo dei grillini, oltre a Marco Travaglio. È amico personale di Beppe Grillo da un quarto di secolo: «Sua moglie Parvin gli segnalò il mio libro La ragione aveva torto, e lui lo usò per i suoi primi spettacoli politici. Da allora ci frequentiamo, ma parliamo poco di politica. Lo scorso ottobre è venuto a Fucecchio quando mi hanno dato un premio. Nella sua villa di Genova c’è una tribù di sei figli: due del suo primo matrimonio, due del primo matrimonio di lei, e due assieme. Parvin è una donna fantastica. Sperava che la politica non gli prendesse molto tempo. Le è andata male».

E Casaleggio?
«Anche lui ha voluto conoscermi perché ha letto i miei libri. Mi ha ospitato una dozzina di volte sul blog di Grillo. Aveva la fissa della democrazia diretta, che però funziona solo nelle piccole comunità. A me, poi, la democrazia non piace, neanche indiretta: sono un libertario anarchico. Dovevamo scrivere un libro assieme negli ultimi mesi, ma dopo qualche incontro non se n’è fatto nulla. Mi disse che voleva ritirarsi nella sua casa di campagna».
Mauro Suttora

Wednesday, January 20, 2016

Espulsa la senatrice grillina Fucksia

Disastro 5 stelle: dopo le infiltrazioni della camorra

PARLA LA SENATRICE SERENELLA FUCKSIA: “ECCO I SEGRETI DEGLI ELETTI GRILLINI”

«Fico e Di Maio? O complici o incapaci». 
«Noi parlamentari eseguiamo decisioni prese altrove»
«Siamo onesti? No, ipocriti».
L’ultima dei 37 parlamentari fuoriusciti racconta

Oggi, 20 gennaio 2016

di Mauro Suttora



DOPO LE INFILTRAZIONI DELLA CAMORRA NEI 5 STELLE
«Fico e Di Maio? Ripeto loro quel che dissi già nel 2014 ai dirigenti della banca Marche in fallimento: dovete dimettervi, perché o sapevate – e allora siete complici – o non vi siete resi conto di nulla – e allora siete inadeguati e incapaci».

La senatrice Serenella Fucksia è stata espulsa dal Movimento 5 stelle in contemporanea allo scandalo della camorra che ha infiltrato il M5s nell’unico comune campano che governano: Quarto (Napoli), 42mila abitanti.

«Un conto è fare comoda opposizione con slogan e discorsi preparati ad arte da professionisti della comunicazione, un altro è amministrare realtà difficili. Non ci si improvvisa politici. Occorre preparazione, esperienza, consapevolezza dei limiti e anche il coraggio di assumersi responsabilità.
Non dovevano lasciare il cerino in mano alla sindaca 5 stelle di Quarto. L’hanno difesa per un mese, ma dopo un improvviso contrordine l’hanno espulsa».

Come lei.
«Nel mio caso il motivo è pretestuoso e inesistente. Il regolamento del gruppo parlamentare del Senato è stato violato, perché ogni espulsione dev’essere votata dall’assemblea dei nostri senatori. Hanno preso la scusa di un mio ritardo di pochi giorni nella rendicontazione delle spese. Ma tutti sapevano che l’avrei completata entro il 29 dicembre, e così è stato».

La sua espulsione è stata votata sul blog di Casaleggio.
«La rete è stata manipolata e ingannata. Una farsa senza alcuna garanzia per i diritti elementari della difesa».

A chi ha pestato i calli, senatrice?
«A più persone. Da quando è capogruppo l’avvocato Mario Giarrusso sono stata vittima di mobbing da parte sua. Ha ostacolato la mia attività parlamentare».

Di cosa si occupa?
«Semplificazione, tutela animali, salute e sicurezza sul lavoro».

E cos’è successo?
«Giarrusso mi ha cambiato forzosamente di posto in aula. Mi ha tolto a mia insaputa dalla commissione sanità dove sono competente, visto che sono medico, per mettermi in un’altra dove non so nulla. Voleva cacciarmi dal mio ufficio. Lo denuncerò al presidente Grasso. E per chiarezza ho presentato ricorso al comitato d’appello 5 stelle».

Un bell’ambientino, il vostro.
«Dopo la mia espulsione c’è imbarazzo e silenzio. Il dibattito sulle proposte da discutere in aula è inadeguato. Le nostre assemblee, sempre più inconcludenti e disertate, ratificano decisioni prese altrove, da qualche cerchio magico, in parte noto e in parte oscuro».

Quasi 40 parlamentari grillini su 160 se ne sono andati, fra espulsi e fuoriusciti. Continuerà così?
«Il movimento ha ancora un potenziale inespresso enorme, ma il meglio viene coperto da logiche propagandiste e di rivalità elettorale».

Cioè?
«La comunicazione conta più della sostanza, l’arroganza più del merito. All’onestà sostanziale si è sostituita un ipocrita perbenismo di facciata. Oltre alla chat ufficiale ci sono chat segrete parallele per i fedelissimi. Chiediamo trasparenza agli altri, ma al nostro interno regna l’oscurità».

Come si è avvicinata ai grillini?
«Nel 2010 ai ragazzi 5 stelle di Fabriano piacque un mio intervento a un convegno ambientale, e mi coinvolsero. Si vedevano una sera alla settimana in pizzeria. Mi ritrovai riempilista alle comunali. Venne Grillo per un comizio, sul palco mi fece un endorsement fantastico, eleggemmo due consiglieri col 15%, io non passai per un voto. C’era un entusiasmo trascinante, fu un periodo bellissimo».

Nel 2013, il Senato.
«Anche lì, per puro caso. Nelle Marche c’erano realtà 5 stelle più grandi e collaudate: Ancona, Pesaro, Macerata, Civitanova… Nessuno di noi pensava di essere eletto. Invece una sera mentre tornavo da Reggio Emilia, dove seguivo varie aziende come medico della sicurezza sul lavoro, mi telefonano per dirmi che ero capolista al Senato. Quando fui eletta mia madre mi disse: “Lasci il tuo lavoro? Ma sei pazza?” E io: “Mamma, non ho problemi economici, vincoli, mutui, figli. Se non lo faccio io, chi lo deve fare?”»

Quando iniziarono i problemi?
«Con le gelosie dei non eletti. Qualcuno non ce l’ha fatta tre, quattro volte: in comune, alle politiche, alle europee nel 2014 e poi alle regionali lo scorso giugno. Così il clima è diventato infernale. Ma in tutti i gruppi locali ormai è così. Hanno appena espulso un consigliere regionale marchigiano, un ingegnere competente».

E a Roma?
«Dopo pochi mesi in Senato già cominciarono cose strane, qualcuno che contava più di qualcun altro. Poi è scoppiata la guerra fra fedeli e dissidenti. Io ero contraria alle epurazioni. Però con Casaleggio e soprattutto con Grillo non ho mai avuto problemi. Beppe mi ha telefonato anche dopo la mia espulsione, era dispiaciuto…»

Lacrime di cocco… Grillo?
«No, mi è sembrato sincero. Il problema non sono i capi, ma i caporali. Con molti di loro sembra di essere all’asilo infantile».

Eppure il M5s vola nei sondaggi.
«Finora per autogol altrui. I meriti reali sono ancora da dimostrare».

Mauro Suttora

Tuesday, December 22, 2015

Grillini spendaccioni

AVEVANO PROMESSO DI VIVERE CON 2.500 EURO AL MESE. ALCUNI EURODEPUTATI OGGI POSSONO ARRIVARE A 40MILA. NON PUBBLICANO RENDICONTI. A MILANO IL M5S NASCONDE I RISULTATI DELLE PRIMARIE PER IL SINDACO. E A TRIESTE CANDIDANO LA MOGLIE DI UN EURODEPUTATO

di Mauro Suttora
Oggi, 9 dicembre 2015

All’inizio facevano a gara su chi restituiva di più. Due anni e mezzo fa i 163 neoparlamentari grillini (oggi fra espulsi e scappati sono rimasti in 127) rinunciavano con orgoglio a 5-6mila euro mensili, sui 14mila netti che spettano a ogni parlamentare italiano.

Oggi, invece, la media dei tagli di stipendi e rimborsi si è dimezzata a 2-3mila euro al mese. Sono sempre i migliori, intendiamoci: pubblicano sul sito www.rendiconto.it le distinte delle loro spese, e si vantano di versare i milioni di euro così risparmiati in un fondo ministeriale di garanzia per le piccole e medie imprese.

Ora vogliono abitare tutti nel centro di Roma

Ma l’entusiasmo del 2013 è svanito. Ora alcuni di loro riescono a spendere oltre 2mila euro per l’alloggio a Roma. Un tempo politici di alto livello come Togliatti, De Gasperi, Pertini o Nenni si accontentavano di affitti in periferia (Balduina, Garbatella). Oggi anche gli ex francescani 5 stelle, forse in omaggio al loro nome, pretendono di avere un “quartierino” di lusso in centro.

Quando si muovono, disprezzano i mezzi pubblici. Ogni mese spendono anche mille euro in trasporti. Poiché godono di aerei e treni gratis, sono spese per taxi e benzina.

Fino agli anni 80 i portaborse non esistevano. Poi i politici riuscirono a mettersi nello stipendio le spese per i segretari personali. Nanni Moretti denunciò questo simbolo della partitocrazia nel film Il Portaborse di Daniele Luchetti (1991). Niente da fare. Oggi anche gli antipolitici grillini spendono con allegria migliaia di euro in “assistenti”.

Quasi tutti ne hanno assunti due, nonostante la pletora di funzionari di Camera e Senato che forniscono assistenza a ottimi livelli. E malgrado le decine di milioni di euro che anche il Movimento 5 stelle incassa come finanziamento pubblico ai gruppi parlamentari, debordanti di personale.

Un altro modo per aggirare lo sbandierato rifiuto dei soldi statali sono le cosiddette “spese per attività ed eventi sul territorio”. Quasi tutti gli eletti grillini ormai mettono migliaia di euro in questa voce: stampa di “materiale informativo” per comizi e manifestazioni. Luigi Di Maio, per esempio, 1.900 euro solo nel mese di settembre.

Addio movimento dei cittadini, insomma: i 5 stelle si sono trasformati pure loro in un partito con 1.600 eletti e centinaia di burocrati stipendiati. Gli unici a rispettare la vecchia promessa di vivere con 2.500 euro al mese sono i cento consiglieri regionali. Ma anche loro cercano di svicolare, come dimostrano le recenti proteste degli attivisti in Emilia-Romagna.

700 euro di posacenere per un’eurodeputata

I più fortunati sono i 17 eurodeputati. Fra stipendio e rimborsi vari, dispongono di 41mila euro netti mensili: 21 mila solo per i portaborse. È uno dei tanti scandali di Bruxelles. E i grillini si sono adeguati: non tutti usano il totale dei rimborsi, ma si tagliano dallo stipendio solo mille euro mensili. L’unica virtuosa è la lombarda Eleonora Evi: rinuncia a 3.000 euro.

Contrariamente agli eletti nazionali, solo cinque rendicontano parzialmente le spese. Forse è meglio che non lo facciano, visto che una dichiara di aver comprato “posacenere tascabili ecologici” per 700 euro.

Cinque non hanno neppure una pagina web, in barba alla promessa di essere un movimento on line. Due hanno assunto sette portaborse ciascuno. Di questi, quattro sono “assistenti territoriali”: non stanno a Bruxelles, ma in Italia per curare il loro collegio elettorale.

Gli iscritti protestano. I sondaggi elettorali sono ottimi, «ma il Movimento 5 stelle sta diventando un Collocamento 5 stelle», denunciano su Facebook. Manca ancora mezzo anno alle comunali di giugno, ma i grillini già litigano.

A Torino è stato fatto fuori uno dei due consiglieri comunali uscenti, il pioniere Vittorio Bertola: considerato troppo vicino al dissidente Federico Pizzarotti, sindaco di Parma.

A Trieste un eurodeputato vorrebbe candidare sindaco sua moglie. A Bologna niente primarie: un fedelissimo di Gianroberto Casaleggio, Massimo Bugani, dopo avere eliminato due consiglieri regionali e una collega eletta al Comune (Federica Salsi, espulsa perché osò andare in tv, mentre ora ci vanno tutti) si è fatto proclamare candidato sindaco con lista bloccata.

Vette surreali a Milano. Alle primarie hanno votato solo 300 iscritti (su un totale sconosciuto, perché la società commerciale privata Casaleggio srl non divulga gli elenchi neanche ai parlamentari), e ha vinto Patrizia Bedori con 74 preferenze. Ma i risultati sono stati secretati «per evitare strumentalizzazioni». Dalla democrazia diretta a quella senza risultati.
Il (presunto) secondo classificato, pare a un solo voto dalla Bedori, si è disiscritto dal M5s. Un altro degli otto candidati chiede di annullare il voto.

A Livorno il sindaco Filippo Nogarin ha la città invasa dalla spazzatura. «L’azienda della nettezza urbana era in deficit», si giustifica. Anche Pizzarotti ha trovato Parma in rosso. Però lui sta sistemando i conti senza rivolte popolari.

La città più importante dove si voterà il 12 giugno è Roma. Qui i grillini sono in alto mare, anche se i sondaggi li danno in testa come partito (come singoli vincerebbero Giorgia Meloni o Alfio Marchini).
Alessandro Di Battista è popolare, ma non lo candidano per un’astrusa regola grillina che obbliga gli eletti a finire il proprio mandato. Se fosse applicata a tutti, non sarebbero stati eletti né Matteo Renzi né Sergio Mattarella. Ma Beppe Grillo ama divertirci.
Mauro Suttora

Di Battista risparmia, ma gli altri...

Wednesday, June 17, 2015

Toti, Emiliano, Di Maio

POLITICI EMERGENTI: GAS GAS, IL GLADIATORE, DI MAIONESE

Dopo le regionali, emergono questi tre personaggi in Forza Italia, Pd e Movimento 5 stelle

Oggi, 10 giugno 2015

di Mauro Suttora

E pensare che lo consideravano un moderato. «Rifugiati? In Liguria non ne vogliamo neanche uno». Così Giovanni Toti, detto “Gas gas” per la somiglianza col topolino di Cenerentola, ha infranto dopo un solo anno il mito dell’invincibilità di Matteo Renzi.

Gli è bastato calcare un po’ i toni, allearsi con la Lega, approfittare delle divisioni a sinistra, e Genova è tornata al centrodestra dopo dieci anni. Ora i berlusconiani, distrutti nel resto d’Italia, si aggrappano solo a lui.

Il “Gladiatore”, invece, non ha avuto bisogno delle beghe degli avversari per vincere in Puglia. Michele Emiliano col suo 47% ha stracciato tutti: grillini e fittiani fermi al 18%, i berlusconiani dell’ex ministra Adriana Poli Bortone ancora più indietro.

Il Gladiatore ha bisogno di donne

Furbissimo, dichiara di amare i 5 stelle e di volerli imbarcare nella sua giunta. Anche perché lui non ha donne. Incredibilmente, infatti, dei nuovi 50 consiglieri regionali pugliesi solo sei sono del gentil sesso: cinque grilline e una di Forza Italia. Nessuna di Pd e liste collegate, nonostante le candidate fossero ben 85.

Gli elettori del centrosinistra si sono dimostrati insomma orrendi maschilisti. E nei guai è finito il Gladiatore, che aveva promesso una giunta rosa a metà. Ora dovrà nominare due esterne al consiglio regionale (il massimo consentito), ma le altre tre (per arrivare a cinque su dieci) non sa proprio dove pigliarle. Le grilline gli fanno marameo.

Altro che “Dimaionese”, il pupo è un duro

Fa marameo al Pd anche il grillino-capo, il napoletano Luigi Di Maio. Soprannominato “Di maionese” per la sua apparente affabilità, il wonderboy 5 stelle (vicepresidente della Camera a soli 26 anni) non dà segni di ammorbidimento.

Il suo movimento non è andato bene alle regionali, ha perso anch’esso quasi un milione di voti come tutti i partiti, per colpa degli astenuti. Ma i grillini   sono ringalluzziti perché hanno dimostrato di poter comunque contare su uno “zoccolone duro” del 15-18% che ormai li vota a scatola chiusa.

La «scatola di tonno» che promettevano di aprire (le istituzioni marce) sono sempre lì, intatte. Ma gli altri rubano così tanto che a loro basta urlare «onestà» per acchiappar voti.

Niente emergenti fra i leghisti, fa tutto Salvini

Ecco, questi sono i tre personaggi che si sono messi in luce nelle ultime settimane in quel deserto grottesco che è la politica italiana. La Lega, unico partito che ha aumentato i voti, non sta esprimendo volti nuovi dietro all’onnipresente Matteo Salvini. Mentre a Forza Italia, Pd e M5s non resta che sperare in Toti, Emiliano e Di Maio.

La scalata repentina dell’ex direttore di Studio Aperto (il tg di Italia1) e Tg4 al ruolo di salvatore della patria forzista (magari in coppia con l’incantevole Mara Carfagna) ha qualcosa di miracoloso e misterioso.

Questo ragazzone di Viareggio, figlio di albergatori, laurea a Milano in scienze politiche, in politica non era nessuno fino a due anni fa. Sì, si era iscritto ai giovani del Psi, ma il partito fu subito distrutto da Tangentopoli. Comunque una garanzia di affidabilità, quella tessera, quando all’alba dei trent’anni riesce a diventare stagista a Mediaset.

Più che la carriera interna a Studio Aperto, però, a spiegare l’improvviso innamoramento di  Silvio Berlusconi per Toti servono i pochi mesi che quest’ultimo nel 2008 passò come vice capufficio stampa a Mediaset. Quel passaggio in azienda gli diede il timbro di fiducia. 

Non guasta il suo matrimonio con Siria Magri, giornalista di sei anni più anziana, oggi vicedirettrice di Videonews, solida bergamasca che si favoleggia sia stata assunta direttamente da Berlusconi nella tribuna stampa dello stadio dell’Atalanta, folgorato dalla sua avvenenza quando lei lo intervistò per una tv locale (ma niente divani e cene eleganti, a scanso di equivoci: solo stima professionale).
     
Anche Di Maio è legato a una donna più anziana di lui (di 12 anni), la quarantenne cremonese Silvia Virgulti. Che dopo aver cercato di insegnare l’inglese a Beppe Grillo, ha svelato ai parlamentari grillini i trucchi per parlar bene in tv. E Luigi è il suo prodotto meglio riuscito, anche grazie alle tecniche della Pnl (Programmazione neurolinguistica).

Il minuscolo Luigino non potrebbe essere più differente dal ciclopico Emiliano, 120 chili per 1,90 di altezza. Figlio di un calciatore professionista e lui stesso giocatore di basket in serie B, dopo la laurea in legge (Di Maio invece è fuoricorso) il Gladiatore pugliese è diventato avvocato e poi magistrato antimafia fino al 2004, quando lasciò la toga per diventare sindaco di Bari.
 
Aveva cominciato ad Agrigento nel 1988. Suo collega in procura era Rosario Livatino. Da Palermo li seguiva e aiutava Giovanni Falcone. «Giudici ragazzini», li definì il presidente Francesco Cossiga. Nel 1990 Livatino fu assassinato, Emiliano tornò in Puglia. Uno choc.

Xylella e fanatici, il loro fastidio comune
 
Ora il principale nemico di Emiliano si chiama Xylella fastidiosa: è il batterio che rischia di decimare i centenari ulivi pugliesi. Se la domerà com’è riuscito a fare con i bilanci della sua Bari (ha vinto l’Oscar del Sole 24 Ore), potrà ambire a scenari nazionali.

Per Toti, invece, i fastidi sono tutti interni. Lui è riuscito a vincere in Liguria alleandosi alla Lega. Ma molti in Forza Italia (compreso Berlusconi) non sopportano l’estremismo leghista.
Stesso dilemma per Di Maio, agli antipodi per stile e contenuti dall’isteria di altri grillini come Alessandro Di Battista.

Mauro Suttora

Wednesday, December 10, 2014

Grillo ne espelle due e ne nomina 5

di Mauro Suttora

Oggi, 3 dicembre 2014

Con Beppe Grillo non ci si annoia mai. Una mattina si sveglia e decide che avere espulso un terzo dei suoi senatori in un anno e mezzo non gli basta. Decreta che altri due deputati non avrebbero rispettato le regole del suo movimento sui soldi da restituire, e ricomincia con le purghe. Quelli pubblicano su Facebook le ricevute dei versamenti di metà del loro stipendio. Niente da fare.

La sarda Paola Pinna ha osato donare qualche migliaio di euro alla Caritas di Olbia dopo l'alluvione di un anno fa, invece di buttare i soldi in un fantomatico conto ministeriale per le piccole e medie imprese che non ha ancora erogato un centesimo. «Conflitto di interessi, voto di scambio!», tuonano sui siti del Movimento 5 stelle (M5s) gli "influencer", fedelissimi della società Casaleggio & Associati incaricatidi spargere il verbo. Come se la Caritas fosse la mafia, che ricambierà il favore ricevuto dalla “furba” Pinna.

L'altro reprobo è Massimo Artini, un toscano che appena un mese fa ha mancato per soli dodici voti (44 a 32) l'elezione a nuovo capogruppo dei deputati 5 stelle. Un pezzo grosso, quindi, con un largo seguito. Proprio come Luis Orellana, il senatore che prima della cacciata a marzo era il candidato presidente del Senato del movimento, e poi aveva perso di un soffio con Nicola Morra la guida del gruppo. Insomma, appena rischia di emergere un non fedelissimo a Grillo e a Gianroberto Casaleggio, loro inventano qualche scusa per farlo fuori.

I processi sono una farsa. Anzi, non ci sono proprio. Tre millenni dopo Salomone, i grillini non hanno ancora imparato che prima di giudicare bisogna almeno sentire entrambe le campane. Il diritto alla difesa è sconosciuto in Grillolandia. L'ex comico rovescia sul malcapitato di turno una valanga di accuse, e subito dopo chiede agli iscritti di votare immediatamente sì o no all’epurazione sul sito privato della Casaleggio & Associati. Senza preavviso. 

Nessun controllo esterno sulla regolarità del voto. Nessuna distinzione individuale fra gli imputati, da condannare in blocco come infoibati legati fra loro col fil di ferro. Nessun verdetto dell'assemblea dei parlamentari, come richiesto dal regolamento. Si vota solo fino alle 19, e peggio per chi lavora o non sta sempre appiccicato al telefonino. Giustizia-lampo. Il modello è l'ordalia Gesù/Barabba. Ma loro lo chiamano «giudizio della Rete». Inappellabile.

Stessa commedia il giorno dopo. Grillo decide di nominarsi cinque vice. Viola lo statuto del movimento, scritto da lui nel 2009, che all'articolo 4 vieta i dirigenti di partito: «Nessun organismo intermedio fra votanti ed eletti». L'unico non campano è il romano Alessandro Di Battista, ex collaboratore della società Casaleggio. Tutti deputati, nessun senatore.

Quota rosa per Carla Ruocco, bella e borghesissima signora di Posillipo con erre moscia. Gradimento della sua pagina Facebook (termometro della simpatia online): 36mila «mi piace», contro i 185mila della popolana ma popolare Paola Taverna. Gli altri: Luigi Di Maio, Roberto Fico (presidente della commissione Vigilanza di quella Rai che il programma 5 stelle voleva invece privatizzare) e Carlo Sibilia, avellinese complottista convinto che il club Bilderberg governi segretamente il mondo, ma dubbioso riguardo allo sbarco sulla Luna.

Commenta la senatrice marchigiana Serenella Fucksia, soprannominata «Sharon Stone a 5 stelle»: «Il direttorio fantasma diventa ufficiale, da movimento a partito. Passiamo dai successi alla ridicolata degli scontrini, alle espulsioni assurde, ai cambiamenti continui di verso. Le regole? Un po' cambiate, un po' ignorate. Dopo il risultato deludente alle europee e alle regionali il metodo appare fragile, lontano dalla democrazia diretta e di certo non modello esemplare di vera democrazia».

In rete questa volta gli attivisti si scatenano contro i dirigenti nominati dall'alto, non votati, da ratificare in blocco. I server privati della Casaleggio annunciano un sospetto 90% di sì. Ma davanti alla villa di Grillo a Marina di Bibbona (Livorno) i militanti protestano. Fra loro, perfino la compagna del neosindaco 5 stelle di Livorno. Con Grillo non ci si annoia mai. Però i suoi adepti non si divertono più.
Mauro Suttora

Thursday, October 16, 2014

Ora che vuole il M5s, e chi lo guida?

di Mauro Suttora

Oggi, 15 ottobre 2014

Il raduno del Movimento 5 stelle (M5s) al Circo Massimo di Roma ha confermato la leadership assoluta di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Ma ha anche fatto emergere, alle loro spalle, un triumvirato composto da Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e Paola Taverna.
 
I grillini detestano parlare di «capi», ma in tutti i movimenti come i 5 stelle (niente tessere, quote d’iscrizione, congressi, sezioni) si formano gerarchie spontanee, senza voti formali. Ed è importante saperlo, perché il M5s continua a essere, secondo i sondaggi, il secondo partito italiano con il 20%.

L’altra novità del Circo Massimo è che i principali obiettivi del M5s ora sono due: reddito di cittadinanza e uscita dell’Italia dall’euro. Il primo è impossibile da realizzare, perché lo Stato non ha i 20 miliardi annui necessari per regalare 600 euro mensili a tutti i maggiorenni che non lavorano. 

Il secondo accomuna il M5s agli altri partiti euroscettici di destra italiani (Lega Nord, Fratelli d’Italia) ed europei (i principali: Le Pen e l’inglese Ukip, di cui i grillini sono alleati all’Europarlamento). Ma anche il ritorno alla lira appare un obiettivo impossibile, perché non si possono fare referendum su materie economiche e trattati internazionali.

Grillo vuole raccogliere milioni di firme contro l’euro, che però avranno valore solo politico, e non giuridico. Il M5s rischia quindi di finire in un vicolo cieco di estremismo parolaio, che provocherà illusioni e delusioni in chi crede che la colpa della crisi sia l’euro. 

Wednesday, July 16, 2014

Luigi Di Maio indiscreto

Chi è Luigi Di Maio

IL 5 STELLE BON TON PIEGA ANCHE GRILLO

Emergenti: chi è la promessa pentastellata che fa "ragionare" perfino il leader.

Per il troppo lavoro ha perso la fidanzata e continua a rimandare la laurea. Vicepresidente della Camera a soli 26 anni, Luigi Di Maio ora tratta con Renzi e fa rientrare in gioco il movimento

Oggi, 16 luglio 2014

di Mauro Suttora



A 26 anni Giulio Andreotti e Aldo Moro non erano neppure in Parlamento. Bettino Craxi era solo consigliere comunale, Matteo Renzi un oscuro segretario provinciale Ppi. E Silvio Berlusconi non aveva ancora visto un mattone. Luigi Di Maio, invece, è diventato vicepresidente della Camera.

Se c’è un wonder boy della politica oggi in Italia, è lui. Undici anni meno del premier, ma quanto a parlantina e aplomb gli tiene testa. Lo ha notato l’Italia intera, quando il napoletanino del Movimento 5 stelle (M5s) ha affrontato Renzi in streaming. Risultato: ora Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio si fidano solo di Di Maio. Che così è diventato il numero uno del secondo partito italiano.

Ci ha messo appena un’ora e mezza a far fare dietrofront perfino al proprio capo. Grillo aveva di nuovo insultato Renzi: «ebetino», e anche «ebetone». Lui si è messo al telefono, e pazientemente lo ha convinto: la trattativa col Pd continua. Nessuno screzio fra i due, solo fiducia. «Imparo sempre da Di Maio, anche quando sta zitto»: così, come sempre scherzando ma non troppo, il fondatore dei 5 stelle lo aveva incoronato candidato premier prima delle europee.

Poi il disastro, perso un voto su tre, e soprattutto Renzi col doppio dei consensi: 40 per cento a 21. Allora Grillo e Casaleggio hanno aperto furbi al Pd: «Facciamo insieme la riforma elettorale». Obiettivo: far fuori Berlusconi e il suo patto del Nazareno con Renzi. Rimettendo in gioco i sei milioni di voti del M5s, finora congelati in un’opposizione dura ma con pochi sbocchi.

E chi meglio del genietto di Pomigliano d’Arco come volto della svolta costruttiva?
Di Maio ha un padre impresario edile nonché, come il collega Alessandro Di Battista (il suo opposto: esagitato ed esagerato), fascista: prima Msi, poi An. Lui, invece, è troppo giovane per non essere vergine. Mamma Giovanna è prof di italiano e latino allo scientifico. 

Come Renzi, ha cominciato a «rompere le balle» già al liceo. E ha continuato da capetto anche all’università di Napoli: fonda una lista, diventa subito presidente pure lì: del consiglio degli studenti. Oltre a consigliere della facoltà di Legge.

Fanatico dei computer, segue Grillo dal primo Vaffaday del 2007. L’impegno politico gli fa perdere due cose: la laurea (è ancora fuoricorso, ora vuole recuperare online) e la fidanzata (troppo indaffarato, ora pare pratichi l’endogamia con la pentastellata Silvia Virgulti, bella tv coach che gli ha insegnato a ben figurare sullo schermo).

Trombato alle comunali nel 2010 (neppure papà votò per lui, 59 preferenze), due anni dopo alle primarie per diventare deputato gli bastano 189 voti. E pochi minuti per convincere gli altri cento deputati 5 stelle, digiuni di politica, a designarlo vicepresidente della Camera.

Dopo un anno molti, anche negli altri partiti, lo preferiscono alla presidente Laura Boldrini. Ineccepibile, autorevole, equilibrato, ha imparato a memoria il regolamento e infligge espulsioni: su tredici deputati che ha fatto cacciare dall’aula, ben otto sono grillini. Altro che salire sui tetti.

Ciononostante è amato (o almeno non detestato) anche dai 5 stelle oltranzisti. La pantera 45enne Paola Taverna gli è affezionata: «Però col Pd dev’essere meno moscio, sennò sembriamo Fantozzi». Il senatore Michele Giarrusso lo stima ma scherza agrodolce: «La trattativa Renzi-Di Maio? Facciamo giocare un po’ i ragazzini, in realtà il Pd non è cambiato».

Lui procede imperterrito, come certi partenopei più severi e disciplinati degli svizzeri. Mai una parola fuori linea, mai una virgola non sintonizzata col vertice Grillo&Casaleggio. Ma riesce anche a non apparire pedissequo. Con i proconsoli onnipotenti del gruppo Comunicazione, veri guardiani dell’ortodossia (l’ex Grande Fratello Rocco Casalino e l’ex assistente della Taverna, Ilaria Loquenzi), dirige di fatto il M5s. Il cui slogan era «Uno vale uno». Ma Di Maio ora vale tanto.
Mauro Suttora 

Wednesday, May 28, 2014

Flop Grillo. Ma è sempre secondo



Sorprese: i 5 Stelle perdono tre milioni di voti su nove alle Europee

SPERAVA DI SUPERARE RENZI. INVECE IL PD LO HA QUASI DOPPIATO. E ADESSO? IL MOVIMENTO È CRESCIUTO, ORA LO GUIDA UN QUADRUMVIRATO. CON DENTRO UNA DONNA...

di Mauro Suttora 


Oggi, 28 maggio 2014

La più veloce e verace, come sempre, è la senatrice 5 stelle Paola Taverna. A mezzanotte di domenica, dopo le prime proiezioni, intuisce la bastonata: «Me sto a sentì male. Il Pd ci ha asfaltato. Disfatta totale», commenta sincera. Il Movimento di Grillo si attesta al 21 per cento: venti punti sotto Matteo Renzi, tre milioni di voti persi rispetto alle politiche dell’anno scorso. Ne restano comunque 5,8 milioni, e i grillini rimangono la seconda forza politica d’Italia.

Ha quindi buon gioco Beppe Grillo, il giorno dopo, a mimare per scherzo una pugnalata al cuore. Il gesto di un coltello nel petto riesce a sdrammatizzare. Ma non cancella la figuraccia dei suoi parlamentari che la sera prima, interdetti, rifiutano qualsiasi commento. Non era mai successo nella storia d’Italia che un partito, dopo aver perso un voto su tre, restasse muto. «Aspettiamo i dati veri, quelli del Viminale», balbettano alle due di notte, a risultati quasi definitivi.

Nel silenzio dei parlamentari grillini tocca soltanto a Grillo, come sempre, parlare dopo la sconfitta. La mattina trascorre nel silenzio, poi sul suo blog (per diverso tempo irraggiungibile) appare un ringraziamento ai propri elettori con la celebre poesia Se di Rudyard Kipling.

È ormai pomeriggio quando arriva un messaggio che cita Fabrizio De Andrè e fa capire che Grillo non ha alcuna intenzione di arrendersi e ritirarsi (in Rete gli avevano ricordato la sua «promessa» in campagna elettorale): «Verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte», twitta, citando il Sessantotto della Canzone di maggio del cantautore suo concittadino.

Pochi minuti, ed ecco il videomessaggio sul blog nel quale Grillo sfrutta il mestiere di comico consumato per arginare l’amarezza sua e dei suoi. Usa l’ironia su se stesso e sul cofondatore Gianroberto Casaleggio («Ci prendiamo un Maalox»), ma promette che il M5s continuerà e alla fine vincerà. Risponde alle prese in giro affermando che il successo del M5S è solo questione di tempo, che questa volta ha deciso «l’Italia dei pensionati che non vogliono cambiare». E che comunque quella del M5S non è una sconfitta: «Siamo lì...»

Grande illusione, grande delusione

Certo, la grande illusione di superare Renzi (accreditata da sondaggi risultati tutti sbagliati) ora provoca una cocente delusione. Niente più «spallata al regime», addio rivoluzione. E in più la prospettiva di avere di fronte lunghi anni di opposizione a un giovane avversario. Grillo invece ha 65 anni, e il 59enne Casaleggio è malmesso in salute.

Ma comunque gli eurodeputati eletti sono 17, e il «quadrumvirato» spontaneo formato da Taverna, Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio e Roberto Fico sembra in grado di reggere il Movimento.

Wednesday, January 15, 2014

Politici: nuovo stile "povero"


UNA NUOVA CONSAPEVOLEZZA FA RINUNCIARE AI SIMBOLI DEL POTERE




















Oggi, 9 gennaio 2014

di Marianna Aprile e Mauro Suttora

Fra i meriti che ora tutti riconoscono a Pier Luigi Bersani, ora convalescente, c’è quello di non aver mai esibito la pompa del potere. Nessun codazzo di gorilla da segretario Pd, poco uso di auto blu. Era facile incontrarlo solo, senza scorta (neanche un portaborse) sui voli di linea Roma-Milano, seduto in posti non privilegiati.

Con l’aria che tira, non è più l’unico. Diversi politici, in tutto il mondo, esibiscono una nuova consapevolezza. Il nuovo sindaco di New York, Bill de Blasio, è arrivato in metro alla propria cerimonia di inaugurazione. Per la verità anche Mike Bloomberg, suo miliardario predecessore, non disdegnava la subway.

Ma con i politici non si sa mai se le paparazzate di vita sobria siano casuali, combinate, o addirittura sollecitate: magari vanno sempre in elicottero, però l’unica volta che ci rinunciano si fanno fotografare. Quel che è sicuro, è che la cancelliera tedesca Angela Merkel usa ancora sci di fondo vecchi di vent’anni e costruiti nella sua ex Germania Est. È caduta, si è fratturata il bacino.

Pisapia a piedi, fa la spesa da solo

E in Italia? Niente trucchi per il sindaco di Milano Giuliano Pisapia: neanche un vigile di scorta, gli piace andare a piedi, anche al super per la spesa. Quella stessa spesa (all’Ikea) che ha invece distrutto le speranze quirinalizie di Anna Finocchiaro, sorpresa a far spingere il suo carrello da un agente.

Sono le scorte per ragioni di sicurezza la scusa per le auto blu: «Ci rinuncerei, ma me la impongono», è il ritornello. L’attentato dello squilibrato contro il carabiniere di Palazzo Chigi lo scorso aprile ne ha interrotto lo sfoltimento. E provocato qualche segreto sospiro di sollievo fra qualche politico.

Ma non è solo l’auto lo status symbol del potere. C’è la fantozziana metratura dell’ufficio. Megagalattico quello proposto nove mesi fa al neo consigliere regionale lombardo 5 stelle Eugenio Casalino: «Erano 200 metri quadri, mezzo 23esimo piano del Pirellone. Solo perché ho la carica di segretario dell’ufficio di presidenza. Ho rinunciato a tre stanze su sette. Ma qui in regione Lombardia i grandi sprechi avvengono negli staff per gli assessori e nelle società partecipate e controllate: Lombardia Informatica, Infrastrutture Lombarde, Aler (case popolari) e Finlombarda».

Il deputato bresciano Mario Sberna (Scelta Civica) ogni anno fa un fioretto quaresimale: indossa ovunque sandali senza calze. Si presentò così anche in Parlamento, appena eletto. A Roma alloggia in un convento di suore (20 euro al giorno). Cinque figli, Sberna è ex presidente dell’Associazione famiglie numerose. Il deputato francescano trattiene dallo stipendio solo 2.500 euro e le spese per i suoi giorni romani, tutte documentate. Sul suo sito pubblica l’elenco dei versamenti alle associazioni cui va il resto del suo stipendio.

Come lui fanno tutti i 150 parlamentari 5 stelle. Che devolvono la differenza a un fondo per le piccole e medie imprese. Ma solo Paola Taverna si è presentata con le infradito in Senato d’estate.

Ministri Bray, Delrio e Bonino a piedi

E i ministri? Nel maggio 2013 Massimo Bray (Beni culturali), è stato fotografato sulla Circumvesuviana mentre si recava in visita privata a Pompei. Una passeggera lo ha riconosciuto e ha twittato la foto di lui in piedi, con le cuffiette nelle orecchie (ascoltava Asaf Avidan). Poi il treno si è guastato, e il ministro ha chiesto un passaggio a un passeggero per raggiungere Pompei.

Graziano Delrio (Affari regionali), nove figli, ha tenuto la poltrona di sindaco di Reggio Emilia, ma ha rinunciato agli 80 mila euro di stipendio. E alla scorta che il ruolo gli attribuiva automaticamente, contro il parere del ministero degli Interni. Al giuramento al Quirinale è arrivato a piedi, come Emma Bonino. A piedi e senza scorta si muovono anche il due volte premier Romano Prodi e il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio (M5S).

Notoriamente i sindaci di Firenze Matteo Renzi (neosegretario Pd) e di Roma Ignazio Marino vanno in bici. Ma le due ruote nella capitale non fanno notizia: le utilizzava già vent’anni fa il primo cittadino Francesco Rutelli, seppur motorizzato. Ora i motorini sono diventati «scooteroni»: ne usa uno la 5 stelle Roberta Lombardi.

La moda della bici  ha colpito (per poco) persino Daniela Santanchè: all’inizio della legislatura, complice la ventata di low profile grillino, la pitonessa prese ad andare alla Camera in bici. Durò poco: smise causa tacco 12.

Ben 57 mila agenti per le scorte

Ventata di austerity anche ai piani alti: il premier Enrico Letta si è presentato al Quirinale per ricevere l’incarico dal presidente Giorgio Napolitano con la Fiat Ulysse di sua moglie (auto aziendale da giornalista del Corriere della Sera), ha trascorso pochi giorni di vacanze estive nel giardino di casa a Pisa nella piscinetta gonfiabile, e a Capodanno ha preso un volo di linea per la Croazia.

Ma quanti sono i personaggi scortati, in Italia? Mezzo migliaio (dati del sindacato Sap, ottobre 2013), suddivisi in quattro livelli di protezione: 17 di primo livello (tre auto blindate con ben tre agenti per auto); 82 di secondo livello (due auto con tre agenti per auto); 312 di terzo livello con un’auto e due agenti; 102 con un’auto e un agente. Totale: 1900 agenti al giorno (57mila al mese) tra polizia, Carabinieri, Finanza, Polizia Penitenziaria e Corpo Forestale. Costo: 250 milioni di euro l’anno.

Nel 2012 sono state tagliate scorte di quarto livello a 70 parlamentari; nel 2013, invece, nessun taglio. Le auto blu sono 63.700, le grigie (auto di servizio non blindate e senza autista) 54.250, per un costo annuo di 2 miliardi di euro. A usufruire delle auto grigie sono, per esempio, i Prefetti. Quelli delle grandi città, in genere, ne hanno una assegnata “in esclusiva”. Quelli delle città medio-piccole, invece, ne condividono l’uso con gli altri dirigenti delle Prefetture. Dispongono di un’auto grigia, quasi sempre in esclusiva, anche i dirigenti e gli alti burocrati di ministeri ed enti (Csm, Authorities, Corte Costituzionale).

Tra tutti i personaggi (giornalisti, politici o ex politici) scortati, ce ne sono alcuni che più di altri fanno storcere il naso. Qualche esempio? Fonti vicine al Viminale confermano che sono sottoposti a protezione l’ex ministro della Giustizia Clemente Mastella, sua moglie Sandra Lonardo, gli ex ministri Paolo Cirino Pomicino, Oliviero Diliberto e persino Claudio Scajola (che da ministro dell’Interno negò la scorta al giuslavorista Marco Biagi, poi ucciso dalle nuove Br). Ancora sotto scorta gli ex presidenti della Camera Fausto Bertinotti e Pierferdinando Casini, e del Senato Marcello Pera.

Nell’estate 2013 Gianfranco Fini, allora presidente della Camera, finì sui giornali per gli 80 mila euro che costò il soggiorno della sua (legittima) scorta in nove stanze di un hotel nel centro di Orbetello durante le vacanze di Fini e famiglia ad Ansedonia (Grosseto).

Hanno ancora la scorta l’ex presidente del Lazio Renata Polverini, ora deputata, l’ex ministro Elsa Fornero, l’ex pm Antonino Ingroia, l’ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, l’ex presidente della Democrazia cristiana Ciriaco De Mita. Tra i giornalisti sottoposti a tutela, figura Emilio Fede (condannato a 7 anni in primo grado per favoreggiamento della prostituzione).

Piccola nota: gli ex ministri non possono rinunciare alla scorta per i tre mesi successivi alla fine dell’incarico. Prima era un anno, poi un provvedimento dell’ex Guardasigilli Paola Severino ha stabilito fossero tre mesi; dopo, un comitato valuta se la personalità in questione ne ha ancora davvero bisogno.
Marianna Aprile e Mauro Suttora