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Tuesday, February 26, 2019

I grillini dopo il crollo in Sardegna dal 42 al 10%


26 febbraio 2019

Dopo l’Abruzzo anche la Sardegna: il crollo dei 5 Stelle, dal 42% al 10%, sembra inarrestabile. C’è chi si domanda se si allargherà anche al resto d’Italia.

Per Mauro Suttora, giornalista, scrittore e profondo conoscitore del Movimento 5 Stelle, “si sta ormai andando verso una caduta a livello nazionale. Al Nord ad esempio, “la parte dell’Italia che conta, i 5 Stelle sono oggi intorno al 10% rispetto al 20% che avevano raggiunto”.

Sembra poi sempre più vicina una scissione: da una parte Luigi Di Maio e dall’altra i parlamentari e la base guidata dal presidente della Camera, Roberto Fico, che “è di estrema sinistra” dice ancora Suttora. Il futuro del Movimento 5 Stelle sarà deciso dall’esito delle prossime elezioni europee.

I 5 Stelle sono crollati prima in Abruzzo e poi in Sardegna: sono solo situazioni locali o la tendenza si sta propagando in tutto il Paese?
Questa caduta dei consensi è una tendenza che sta toccando tutta l’Italia. Presto si voterà in Basilicata, ci saranno le comunali in Sicilia e le regionali in Piemonte, queste ultime in contemporanea con le europee, e questi appuntamenti elettorali ci confermeranno il sospetto che si tratti ormai di un trend nazionale inevitabile.

Di Maio sta cercando disperatamente un rilancio dopo queste sconfitte. Da tempo parla di trasformazione del movimento in partito tradizionale. Secondo lei, può funzionare?
Il vero nodo che pongono i dissidenti, cioè quel 41% che ha votato contro Salvini sul caso Diciotti, non è tanto avere venti segretari regionali, come sembra si voglia proporre nei prossimi giorni, ma chi li elegge. Di Maio li vuole nominare lui, mentre giustamente i dissidenti dicono che devono essere eletti dalla base regione per regione.

Questo cosa significa?
E’ una cosa mai successa nel Movimento, perché all’idea di strutturarsi in partito c’è sempre stato prima il rifiuto di Casaleggio padre e ora del rampollo Davide.

Sta dicendo che Di Maio rischia di prendere un sonoro schiaffone dalla base?
Sì, e possiamo già contare i mesi ormai prima che si arrivi alla scissione. Scissione che poi sarà indicata da Casaleggio, a seconda della posizione che prenderà. Lui è di destra, mentre i dissidenti come Fico sono di estrema sinistra. Assisteremo a una guerra totale.

Una scissione tra l’anima di sinistra e quella più governativa?
Secondo me, avverrà più per il metodo che per il merito. L’unico che è rimasto fedele all’anima del Movimento, nel caso del voto su Salvini, è stato Nicola Morra.

In che senso?
Nel senso che nel M5s, che da dieci anni sostiene la politica dei forcaioli, adesso si sono messi a fare i garantisti con Salvini. Hanno tradito la loro stessa anima, è evidente a tutti.

Quanto vale Fico?
Lui cerca di accreditarsi quel 41%, in realtà di coloro che usciranno allo scoperto nella votazione su Salvini sono solo in 4. Fino alle europee staranno tutti zitti per la paura folle di essere espulsi. Rimarranno tutti fedeli a Salvini in nome del potere, della poltrona e dello stipendio.

Insomma, c’è una differenza netta tra gli eletti e la base, è così?
Sì, una differenza totale, sono due cose completamente diverse. Molti degli eletti non sono stati scelti con le parlamentarie, ma direttamente da Di Maio, come nel caso di personaggi come il comandante De Falco, che si è rivelato persona onesta e tutta d’un pezzo, ma neanche questi gli garantiscono fedeltà.

Alle europee che cosa farà il M5s?
Vorrei sottolineare un aspetto curioso: nessun organo di stampa ha approfondito chi sono i personaggi esteri con cui Di Maio ha stretto alleanza in vista delle europee. Forse perché si tratta di signor nessuno, sono una barzelletta. 
Dei quattro alleati, due non sono neppure presenti nei rispettivi parlamenti nazionali, uno è un rocker fascista polacco impresentabile. Sono tutti personaggi assurdi, peggio dei gilet gialli francesi. I 5 Stelle non hanno nulla in comune con nessuno di loro.

E che programma presenteranno i 5 Stelle?
Sono alla disperata ricerca di qualche parola d’ordine forte, che gli faccia recuperare qualche voto, visto che Di Battista, dopo le figuracce che ha fatto da quando è tornato in Italia, è stato messo a tacere.

Lo scenario più plausibile?
Se vanno sotto il 20% sarà un crollo. Se invece riescono a dire che hanno gli stessi voti del 2014, il 21%, potranno sperare di tirare avanti ancora un po’.

Fino a una inevitabile crisi di governo?

La crisi di governo probabilmente ci sarà: quando in una coalizione uno dei due partiti crolla e l’altro raddoppia, nonostante tutta la buona volontà, non si può più stare insieme. E poi il classico centrodestra con Lega e Forza Italia sta funzionando benissimo. Il Piemonte darà un’indicazione decisiva: al Nord i grillini sono ormai al 10% rispetto al 20% raggiunto alle politiche. E quando sei al 10% nella parte che conta dell’Italia sei già morto. 

Tuesday, December 04, 2018

L'agghiacciante video di Di Maio senior

La “confessione” delle sue colpe è stalinista

4 dicembre 2018

Il Sussidiario.net


Salvini li logora fino a quando non sprofonderanno da soli: è questo il parere di Mauro Suttora, opinionista di Libero, sull’attuale situazione del Movimento 5 Stelle, alla luce dello scandalo familiare che ha coinvolto Luigi Di Maio: “Ogni volta che parla fa perdere voti, mentre Salvini quando parla ne acquista di nuovi”. Ecco cosa ci ha detto.

Da dove vengono i guai maggiori dei 5 Stelle? Dal caso personale Di Maio padre e figlio? Da Salvini? O dagli imprenditori che vogliono le grandi opere?
Di Maio è diventato un Re Mida al contrario, tutto quello che tocca diventa un disastro. Il video del padre che “confessa” le sue colpe è agghiacciante.

In che senso?
Sembra una di quelle confessioni che Stalin faceva fare ai suoi oppositori, o Mao ai tempi della Rivoluzione culturale: le autoconfessioni sotto minaccia. C’è questo poveraccio che deve leggere un foglio preparato da chissà chi e dichiararsi il solo colpevole di tutto. Ma la cosa triste è che i grillini non se ne rendono conto, se gli fai queste citazioni storiche non capiscono perché non hanno un minimo di cultura. Colpa anche della scuola dove non si arriva a studiare personaggi come Stalin o Mao, una generazione intera a cui puoi propinare questi video senza che capisca cosa significhino veramente.

E Salvini? Gli porta via consenso o no?
Salvini è il contrario di Di Maio, non ne sbaglia una. In qualunque momento lo becchi sa cosa rispondere. Lo abbiamo visto a un talk show, comodamente seduto a teatro mentre aspettava che iniziasse un concerto di Edoardo Bennato e rispondeva perfettamente, la battuta simpatica sempre pronta. E’ comunicativo, può dire anche cose tremende ma riesce a farsi piacere. Ogni volta che parla acquista voti, Di Maio ogni volta che lo fa li perde.

Perché Salvini da Giletti ha fatto quella specie di endorsement su Di Maio?
Ha detto che lavora benissimo con Di Maio e Conte, ed è vero.  Fin che la barca va, fa bene a fare quello che non rompe, al massimo li provoca come sui termovalorizzatori. Non sarà mai lui quello che manda in crisi il governo, al massimo gli logora i nervi fino a quando i 5 Stelle non sprofondano da soli.

Quali implicazioni ha la differenza tra Di Maio e Fico?
Su Fico bisogna dire che Di Maio ha ragione: lui faccia il presidente della Camera, la politica la fa lui.

Fico ha preso le distanze dal decreto sicurezza.
Lo ha detto a babbo morto, quando la questione era già chiusa.

Però queste prese di distanza e il prossimo arrivo di Di Battista ci fanno pensare che nel M5s ci siano anime diverse, è così?
Il fatto che una nazione si preoccupi del ritorno di Di Battista significa che è un paese spacciato. Che i giornalisti politici dei maggiori quotidiani si preoccupino di analizzare il ritorno di Di Battista fa ridere.

Tra l’altro ha già detto che è pronto a ripartire per il Sudamerica, non c’è un ruolo per lui al governo?
Non potrà mai essere un contraltare di Di Maio. Sono ottimi amici, tra di loro c’è un patto di ferro: a Di Battista le piazze, a Di Maio la politica. Il lavoro di Di Battista è raccattare voti da ogni parte, è il grillo parlante dei 5 Stelle.

Che ne pensa del retroscena su Conte? E’ lui il prossimo capo del M5s?
Può essere, d’altro canto lo hanno proposto loro, era già nella lista dei ministri preparata a febbraio. Ai 5 Stelle che ci siano degli esterni va benissimo. Conte poi sta superando brillantemente l’esame del perfetto politico, quello che accetta i compromessi.
Paolo Vites

Friday, October 19, 2018

Il pensionato d'oro vince la causa

ECCO LA SENTENZA CHE IMPEDIRÀ IL TAGLIA-PENSIONI

di Mauro Suttora

Libero, 19 ottobre 2018




Pessima notizia per Gigi Di Maio e i demagoghi grillini: le pensioni d’oro non si possono tagliare. La sezione centrale d’appello della Corte dei Conti di Roma ha infatti dato ragione a Mario Cartasegna, 77 anni, di Perugia, che con 651mila euro annui guida la classifica dei superpensionati italiani, superato solo dal mitico Mauro Sentinelli, l’ex ingegnere Telecom che incassa 1,2 milioni. 
Cartasegna, a pari merito con Mauro Gambaro e Alberto De Petris, si accontenta di 50mila lordi per 13 mensilità (25mila netti al mese). Segue a ruota Vito Gamberale (ex capo Tim e Autostrade), 45mila.

L’avvocato Cartasegna fino al 2008 era un semplice dipendente pubblico, capo dell’ufficio legale al comune di Perugia. Quindi creò scalpore la rivelazione della sua pensione astronomica, da parte dell’anticasta Gian Antonio Stella sul Corsera nel 2015. Com’è potuto accadere? Semplice: oltre al suo stipendio fisso, l’avvocato percepiva anche parcelle sulle cause vinte, con relativi contributi. Che a fine carriera si sono accumulati in notevole somma. Altra gogna pubblica per Cartasegna quando Mario Giordano lo inserì nel suo libro ‘Vampiri’.

Nel 2016 l’Inps tenta di rimediare, stabilendo col comune di Perugia che gli onorari extra non potevano essere calcolati ai fini pensionistici, perché non erano fissi e continuativi. E decurta drasticamente la pensione: da 25mila a 5.300 mensili netti. Non solo: gli chiede pure 3,6 milioni per gli arretrati di otto anni.

A questo punto si va davanti alla Corte dei Conti. E nel dicembre 2017 la giudice di Perugia in primo grado dà ragione all’Inps: gli onorari non possono essere considerati ai fini del calcolo pensionistico. Ma l’altroieri la sentenza d’appello (e definitiva) ribalta tutto: sono scaduti i tempi per la revisione del ‘montante contributivo’ della pensione, che doveva essere effettuata entro tre anni.

«Inoltre i calcoli erano stati effettuati con criteri fissati dall'Inpdap d'intesa con l'Agenzia delle Entrate, che l'Inps, subentrata all’Inpdap, aveva seguitato ad applicare in base a una sentenza del Tar dell'Umbria del 1997», ci spiega l’avvocato Alarico Mariani Marini, difensore di Cartasegna e luminare del diritto amministrativo.

Così ora il secondo pensionato d’oro d’Italia potrà godersi tranquillamente i suoi 25mila euro mensili. Ed è probabile che ciò accada anche a tutti i suoi fortunati colleghi, dopo le due sentenze della Corte costituzionale (nel 2013 e 2015) che hanno ristabilito i diritti acquisiti, nonostante i tentativi del governo Monti e successivi di sforbiciare le pensioni.

I grillini stanno accumulando una figuraccia dopo l’altra. In agosto avevano presentato un disegno di legge che proclamava la mannaia oltre i 3.500 netti al mese. Ma è impossibile per molte pensioni (soprattutto quelle pubbliche ex Inpdap) calcolare i contributi versati. Quindi hanno ripiegato su un taglio in base all’età di pensionamento. Col risultato assurdo di salvare chi è andato in quiescenza a 65 anni magari con soli 20 anni di contributi, e invece di punire chi ne ha versati il doppio (40 anni) ma è andato in pensione (spesso obbligatoriamente) a 60 anni.

Accortisi dello sfondone, i grillini a settembre hanno alzato il limite a 4.500 mensili (90mila lordi annui), ma continuano a dire il falso: «Taglieremo solo chi non ha versato abbastanza contributi».

Adesso è tutto in alto mare. Non c’è accordo con i leghisti su un testo preciso. Così come per i vitalizi pregressi dei parlamentari (quelli attuali sono già stati aboliti da Monti nel 2011), le probabilità di una bocciatura in giudizio sono alte. Quindi pare che si ripieghi sul solito “contributo di solidarietà”, che però secondo i giudici costituzionali può essere solo temporaneo, ragionevole e giustificato da avvenimenti eccezionali.

Né i giudici costituzionali né quelli della Corte dei Conti sono “eletti dal popolo”. Ma Di Maio si convinca che in uno stato di diritto la legalità e il rispetto delle regole valgono anche per chi vince le elezioni.
Mauro Suttora



Wednesday, September 12, 2018

Travaglio: verità e sciocchezze

L'ottimo Travaglio nel suo editoriale di ieri (11 settembre 2018) sul Fatto mescola verità e sciocchezze.
Espresso e poi Repubblica da quando sono nati (63 anni fa) fanno politica. Sono giornali politici esattamente come il Fatto. 
Scalfari e Travaglio non sono neutrali, vorrebbero influenzare i politici (pd e grillini). Senza riuscirci.

De Benedetti oltre ai giornali (600 milioni di fatturato annuo) ha un'azienda di componentistica per auto (Sogefi, 1,5 miliardi) e gli ospizi Kos (0,5 miliardi).
Non capisco in che cosa interferiscano con i giornali queste attività senza rapporto col potere pubblico.
Al massimo sarà difficile che su Repubblica o Stampa si scriva che guadagnare sull'assistenza ai vecchi non è particolarmente morale.

Quanto agli altri giornali nazionali, il Sole è notoriamente di Confindustria, Messaggero e Gazzettino sono di Caltagirone, ma Travaglio non si è accorto che ora Messaggero appoggia la grillina Raggi.

Libero è leghista, quindi governativo. Idem la Verità di Belpietro (editore puro). 
Solo Il Giornale di Berlu picchia duro, ma anche sul Pd.
E il Foglio, che però vende solo 5mila copie, quindi di che hanno paura i grillini?

Per il resto, gli altri giornali nazionali hanno editori puri: Corsera (Cairo) e Carlino, Nazione e Giorno (Riffeser).

Quindi il problema non esiste. Infatti nessun Paese proibisce agli industriali di pubblicare giornali.

Un'altra sciocchezza scritta da Travaglio è che i tg Rai siano renziani. Solo il tg1 lo è stato un po', in passato. Ma il tg1 è sempre stato governativo. Infatti ora è sdraiato con i legrilli.

La verità è che Di Maio è nervoso come una zitella solo perché i giornali fanno il loro mestiere: criticare i governanti. 
Per questo si chiamano Quarto potere.

E lo statista di Pomigliano vorrebbe, come tutti i politici, metterci la mordacchia, con la sua ridicola velleità di "purificare" i giornali

Tuesday, March 20, 2018

Silenziati i parlamentari grillini

DI MAIO METTE IL VETO SU ROMANI, MA SI RIPRENDE IL SENATORE CHE PAGA 7 EURO D'AFFITTO 

di Mauro Suttora

Libero, 20 marzo 2018

Primo giorno di scuola ieri per i 338 parlamentari grillini a Roma. Le Camere hanno aperto le registrazioni, e loro sono andati a farsi la foto ufficiale e ritirare i tesserini. Disciplinati come scolaretti, ubbidiscono all’ordine della Casaleggio srl: nessuna dichiarazione agli odiati giornalisti. Parlamentari che non parlano. E costretti a ingoiare anche le nomine preconfezionate dei loro dirigenti da parte della ditta milanese.

Sono stati già decisi, infatti, i venti fortunati (fra presidenti, vicepresidenti, segretari e tesorieri) che comporranno i direttivi dei gruppi parlamentari. Prima ruotavano ogni tre mesi, in omaggio alla democrazia diretta. Ora rimarranno imbullonati alle loro poltrone per un anno e mezzo, non più eletti dalla base ma nominati dall’alto dal cerchietto magico di Di Maio. 
Neanche il Pci stalinista era così verticista e antidemocratico, ai gruppi parlamentari lasciava una certa autonomia.
     
L’unico a violare l’obbligo del silenzio (esteso anche ai social) è il senatore Nicola Morra, rimasto capo dei movimentisti dopo la sottomissione a Di Maio di Roberto Fico e Paola Taverna. Con un tweet ha silurato la candidatura del leghista Roberto Calderoli a presidente del Senato: “Anche lui ha problemi con i 52 milioni di Belsito”. Morra dà voce ai tanti grillini, soprattutto meridionali, contrari alla luna di miele con la Lega. E non gli dispiace mettere un bastone fra le ruote dei dimaiani.

Un altro a cui l’onnipotente Rocco Casalino, capo dell’ufficio stampa grillino, concede libertà di esprimersi è Fabio Massimo Castaldo. Ma il vicepresidente grillino dell’Europarlamento, nel tentativo di accreditarsi come forza responsabile ed europeista dopo gli attacchi di Macron e Merkel contro gli “estremisti” italiani, in realtà peggiora la situazione.

Castaldo infatti ribadisce di volere “superare il fiscal compact, archiviando la stagione dell’austerità”. 
Promette di sfasciare i conti: “Serve una spesa pubblica che generi posti di lavoro. Il debito è uno strumento, non il fine. Inutile appellarsi agli zero virgola”. 
Sui migranti, “la riforma del regolamento di Dublino deve includere anche quelli economici”.

E la Russia? 
“Le sanzioni non hanno ottenuto alcun risultato. È una potenza globale da cui dipende la nostra sicurezza energetica”. 
E pazienza se avvelena dissidenti a Londra: “L’unica via è il dialogo con Putin”.

Ma la spallata più grossa al Di Maio in versione democristiana arriva da Beppe Grillo. Il fondatore del movimento lo avverte: “No agli inciuci. Dobbiamo rovesciare gli schemi, cambiare il modo di pensare. Non assisterete a una mutazione genetica del movimento. Possiamo adattarci a qualsiasi cosa, a patto che si affermino le nostre idee. L’Europa è indifendibile, ormai l’epicentro di tutto sono Russia e Cina. Io non mollo, terrò gli occhi aperti su tutto. Anche su di noi. Governare non è dividere le poltrone”.

Dopo aver letto questa intervista incendiaria a Di Maio ieri mattina si è guastato l’umore. Poi si è ripreso, ed è andato a palazzo Madama per cercare di galvanizzare i suoi neosenatori: “Noi abbiamo il sorriso stampato sulla faccia, e con quello li facciamo impazzire tutti. Sono gli altri che si agitano”.

Dopo la girandola di deludenti telefonate di domenica agli altri leader, cerca di autoconvincersi: “Per il governo, credo che abbiamo ottime possibilità. Sono molto fiducioso, perché una forza politica delle nostre dimensioni è difficile metterla nell’angolo”.

Per ora, dall’angolo è stato lui a tirar fuori Emanuele Dessì, il corpulento senatore laziale cacciato dal M5s dopo aver scoperto che paga 7 euro al mese di affitto e che era amico del clan Spada: riammesso nel movimento. Così come le furbette del bonifico, la romagnola Giulia Sarti e la pugliese Barbara Lezzi. Nessuna pietà invece per Paolo Romani, il forzista candidato presidente del Senato: crocefisso per il telefonino imprestato alla figlia.

Mauro Suttora


Monday, March 19, 2018

Di Maio nel Nord che non lo ama

IL CAPO GRILLINO VA A COMO, DOVE HA RACCOLTO SOLTANTO IL 19%

di Mauro Suttora

Libero, 18 marzo 2018

La provincia di Como è stata avara con i grillini, appena il 19% dei voti il 4 marzo. Ma ieri Luigi Di Maio è tornato a Carugo, in Brianza, a trovare l’artigiano marmista Giuseppe Caggiano, fondatore di un’associazione antitasse che lo aveva ospitato in campagna elettorale, e lì ha magicamente moltiplicato la propria forza: «Abbiamo il 36% dei deputati, quindi rivendichiamo la presidenza della Camera».
In realtà il M5s ha preso il 32% dei voti, e anche calcolando la percentuale in seggi si arriva al 35% (222 eletti su 630, escludendo impresentabili, massoni e truffatori del bonifico, già espulsi in pectore).

Ma la matematica traballante non è mai stata un problema per lo statista di Pomigliano. Quindi ora, forte dei sondaggi che approvano un eventuale governo M5s-Lega (favorevoli il 43-46% dei grillini, il doppio di quelli che preferirebbero un’alleanza col Pd), cerca di piazzarsi al centro dei giochi e annuncia magnanimo: «Telefonerò ai principali esponenti dei futuri gruppi parlamentari: Salvini, Brunetta, Meloni, Martina e Grasso. A ognuno di loro dirò che noi vogliamo coinvolgere tutti in questa fase di individuazione delle figure che presiederanno le Camere, naturalmente riconoscendo il peso specifico di ogni vincitore».

Bontà sua. E aggiunge l’ovvio: «Non accetteremo candidati condannati o indagati». Come se gli altri partiti smaniassero dalla voglia di imporre loschi figuri. Ma effettuando così un’ulteriore inversione a u rispetto all’ultimo garantismo appiccicaticcio grillino, che ora deve assolvere i numerosi indagati presenti anche nelle proprie fila.

Infine, il capo pentastellato se la piglia con i vitalizi: «I nuovi uffici di presidenza dovranno abolirli». Peccato che siano già stati cancellati dal governo Monti sei anni fa. Quanto a quelli pregressi, difficile che i tribunali cancellino i diritti acquisiti. E pericoloso per le pensioni di tutti noi.

Insomma, un Di Maio in perenne campagna elettorale ancora mezzo mese dopo il voto, che fa propaganda e gira come una trottola per l’Italia. In mattina si era fatto vedere al Cosmoprof alla Fiera di Bologna, assieme al ras grillino locale Max Bugani.
È l’unico abilitato a parlare, fra le centinaia di parlamentari grillini cui è stata imposta la mordacchia dal figlio di Casaleggio e dal capo della comunicazione Rocco Casalino (che, si scopre ora, si è inventato un master negli Usa).

Così il dibattito si sfoga nei gruppi privati di facebook, dove la fa da padrone la rivelazione di Vittorio Sgarbi: «Mi dicono che Di Maio sia fidanzato con Vincenzo Spadafora, suo collaboratore fatto eleggere senatore in Campania».
Ovviamente tutti precisano che i gusti sessuali dell’aspirante premier grillino sono irrilevanti. «Però sarebbe buffo che per negarli Gigi si circondasse di finte o vere fidanzate», commenta perfida Marika Cassimatis, vincitrice delle primarie a sindaco di Genova poi espulsa dal movimento.

Un altro espulso, Fabio Fucci sindaco di Pomezia (città laziale di 65mila abitanti, grillina da 5 anni), lodatissimo fino a pochi mesi fa come amministratore modello, è stato fatto cadere dai suoi compagni di partito. Non sopportano che, sulle orme di Federico Pizzarotti a Parma (rieletto trionfalmente), voglia ricandidarsi. «Viola la regola dei due mandati», strillano. La stessa regola che centinaia di parlamentari grillini neoeletti si apprestano a violare in caso di ritorno alle urne.

Intanto, nel totonomine per la presidenza della Camera, salgono le quotazioni del 5 stelle ex berlusconiano Emilio Carelli, che sarebbe andato a chiedere una sponsorizzazione personale perfino a Gianni Letta, eminenza grigia dell’ex odiato Cavaliere.

Mauro Suttora


Tuesday, September 19, 2017

intervista a Mauro Suttora su Di Maio

CAOS M5S/ Suttora: primarie e Di Maio, la truffa finale di Casaleggio

"La candidatura di Di Maio è il miglior risultato della finta democrazia che c'è in M5s. La Casaleggio Associati comanda, il movimento risponde" commenta Mauro Suttora, inviato di Oggi

19 settembre 2017

link all'originale su www.ilsussidiario.net

"Questo fa il M5s: dare l'opportunità a chiunque di farsi Stato ed occuparsi della cosa pubblica". E Twitter si scatena: chi le chiama buffonarie M5s, chi scrive "Di Maio contro nessuno: un bel derby".
Ieri sono scaduti i termini per la presentazione delle candidature alle primarie a 5 Stelle. Hanno fatto un passo indietro big pentastellati come Di Battista, Nicola Morra, Roberto Fico, rimangono sette controfigure di contorno, la più nota delle quali è la senatrice Elena Fattori.

Il peggiore schiaffo ai vertici viene dallo sfidante Vincenzo Cicchetti, consigliere comunale a Riccione per M5s: "Io sono rimasto legato a quell'idea di movimento che aveva Grillo nel 2011 — ha spiegato Cicchetti —. Me la raccontò quando lo riaccompagnai a Bologna dopo un suo comizio a Rimini. Mi parlò di meritocrazia, uno vale uno e tutte quelle cose che in questi anni sono state messe da parte perché il leaderismo attuale è lo stesso degli altri partiti che abbiamo sempre criticato".

"La candidatura di Di Maio è il miglior risultato della finta democrazia che c'è in M5s. La Casaleggio Associati comanda, il movimento risponde" commenta Mauro Suttora, inviato del settimanale Oggi. Suttora ha seguito le vicende del mondo pentastellato fin dai suoi inizi.

Sembra che Grillo si farà da parte perché il candidato premier sarà anche il capo politico del movimento. Lei ci crede?

Figurarsi. Sono almeno tre anni che si continua a dire che Grillo si fa da parte. Grillo vorrebbe fare un passo indietro, ma non può farlo, anzi, ieri sera (domenica, ndr) è stato costretto a fare un passo avanti, perché la maggioranza dei parlamentari grillini non sopporta Di Maio. Questa è la verità che nessuno di loro osa dire apertamente.

Forse perché vorrebbero essere al suo posto.

Perché hanno capito che è smodatamente ambizioso e che la sua corsa solitaria va contro la filosofia portante del movimento, che è nato anche per dire no ai personalismi della politica italiana. Non si può, dopo aver tuonato per dieci anni contro Berlusconi e il suo partito padronale, e poi contro Renzi, fare esattamente lo stesso. C'è da dire che da questo punto di vista Di Maio è tecnicamente perfetto: potrebbe fare carriera in qualsiasi partito perché è il classico democristiano.

Un insulto.

Per me no, per i grillini sì. Il peggiore.

Le ricorda più Renzi o Berlusconi?

Ha la lingua sciolta e il cervello fino di entrambi. Con l'aggravante — o il pregio — di avere dici anni in meno di Renzi e cinquanta in meno di Berlusconi.

Si parla di prove sotterranee di intesa tra Salvini e Grillo in vista del dopo elezioni. E' possibile?

Secondo me no. Soltanto il no all'euro e un vago sovranismo accomunano M5s alla Lega, con la differenza che la Lega ha una sua ideologia, ormai più o meno elaborata, e dei princìpi, sbagliati o giusti che siano, mentre M5s ne è del tutto sprovvisto. La Casaleggio Associati segue i sondaggi e decide. Ha visto che ora fa comodo essere contro i migranti e quindi è contro i migranti. E così via.

Idem per la moneta unica e le regole Ue.

Su euro e Ue si sono viste le montagne russe: nel 2014 i grillini si presentarono alle europee dicendo che volevano dare battaglia contro il fiscal compact e contemporaneamente raccolsero le firme per un referendum sull'euro che già sapevano che non si sarebbe mai potuto fare. Dopo il dietrofront di Tsipras, quando è sembrato chiaro che la Ue avrebbe tenuto, hanno messo il referendum in cantina.

E adesso?

Dipende dalla situazione economica. Se le cose andranno bene, non faranno alcunché. Se invece, per ipotesi, dovesse avere un exploit il partito xenofobo e antieuropeo in Germania (AfD, ndr), tornerebbero a tuonare contro Ue ed euro.

Perché Casaleggio jr ha scelto di puntare su Di Maio?

Nell'aprile scorso, quando è morto Gianroberto, Di Maio ha stretto un patto con il figlio Davide facendogli capire che se si voleva il potere serviva un volto istituzionale, spendibile nei salotti. Davide Casaleggio, che queste logiche le capisce perché è un bocconiano, non ha avuto difficoltà a convincersene e a puntare tutto su di lui.

Da chi è fatta oggi la base di M5s?

Direi che la maggioranza è più di sinistra che di destra. Nel sovranismo del movimento si trova un po' di tutto, ma prevale la vecchia matrice ex No global.

Chi vincerà in Sicilia?

Fino a poco tempo M5s era favorito. Oggi il disastro di Roma e la finta elezione di Di Maio potrebbero avvantaggiare il centrodestra. Vedremo.

Insomma alla fine avremo un Di Maio che sembrerà autonomo, invece prenderà ordini da Grillo e Casaleggio.

Attenzione, Grillo e Casaleggio non sono uniti. Casaleggio sostiene Di Maio, mentre Grillo ha un'anima più movimentista ed è più vicino agli "ortodossi", nei quali si rispecchia la maggioranza degli eletti e degli attivisti, che sono tutti anti-establishment. Ma voteranno Di Maio per disciplina.

Grillo però è andato a Roma in extremis per riportare gli ortodossi alla ragione.

Al contrario: non è come si legge in giro. Voleva che Fico si candidasse per evitare la figuraccia di un plebiscito.

Allora che cos'è cambiato? Con chi sta Grillo?

Ha capito che per contare bisogna legarsi ai poteri forti. Sta con la piazza, ma voterà Di Maio.

Federico Ferraù

Thursday, June 22, 2017

Dibba diventa papà



Il deputato 5 stelle sta per diventare padre: sigarette bandite in casa per la gravidanza della compagna. E quando fanno la spesa lei è attenta a riciclare. Quanto alla politica, lui medita di non ricandidarsi

Oggi, 22 giugno 2017

di Mauro Suttora

Alessandro Di Battista, il deputato grillino più popolare, è così entusiasta di diventare padre che medita di lasciare la politica. Almeno per un po’. La sua compagna Sahra Lahouasnia, di origini franco-algerine, partorirà un maschietto (pare) a metà ottobre, e lui non sta nella pelle.

Dibba (come lo chiamano i suoi sostenitori) accarezza l’idea di dedicarsi a suo figlio a tempo pieno, e quindi di non ricandidarsi alle elezioni politiche che si terranno all’inizio del 2018.

Sicuramente non passerà l’estate in moto, come fece l’anno scorso quando girò l’Italia tenendo comizi in spiaggia. Allora non si era ancora messo con Sahra.
Di Battista è il mattatore del Movimento 5 stelle. Bello, simpatico, estroverso, è neutrale fra i grillini “governativi” di Luigi Di Maio e Davide Casaleggio e quelli “di lotta” di Paola Taverna.

Tuesday, April 11, 2017

Totogrillini

Chi potrebbero essere i ministri di un governo grillino. Declina Di Maio, in ascesa Davigo. Quanto a Taverna, Di Battista e Lombardi…

di Mauro Suttora

Libero, 9 aprile 2017

In calo le quotazioni di Luigi Di Maio come candidato premier grillino, dopo il convegno di ieri a Ivrea. Per quanto stimato sia da Davide Casaleggio sia da Beppe Grillo, i due capi del Movimento 5 stelle si rendono conto che l'enfant prodige di Pomigliano (Napoli) a 30 anni è ancora troppo giovane e inesperto per sostenere un peso simile.

Inoltre molti nel M5S storcono il naso di fronte alla malcelata ambizione del ragazzo. Non è ben visto l'eccessivo attivismo del suo principale collaboratore: Vincenzo Spadafora, ex mastelliano (portaborse del presidente campano Andrea Losco), poi con Pecoraro Scanio e Rutelli, infine nominato Garante per l'Infanzia dall'allora ministro Mara Carfagna e dai presidenti delle Camere Fini e Schifani.

Di Maio condivide con Spadafora l'origine geografica e la scarsa propensione agli studi: entrambi non laureati, gli otto esami in cinque anni da fuoricorso rappresentano una piccola zavorra per il vicepresidente della Camera.

Per questo Grillo e Casaleggio sperano in Piercamillo Davigo: sarebbe perfetto come candidato premier 5 stelle. Ma il magistrato non vuole bruciarsi prima delle elezioni: chiede che il suo nome venga fatto solo se e quando il presidente Sergio Mattarella affiderà l'incarico dopo un'eventuale vittoria grillina.

Davigo ritroverà Antonio Di Pietro, che molti 5 stelle avrebbero voluto candidare sindaco di Milano l'anno scorso, era a Ivrea, ha mantenuto buoni rapporti con la società Casaleggio che gli curava il sito web, e fu appoggiato da Grillo alle Europee 2009, con indicazione di voto per Luigi De Magistris e Sonia Alfano: Interni o Giustizia per Tonino.

Altri tre magistrati sono papabili: Nicola Gratteri (bocciato da Napolitano per il governo Renzi), Sebastiano Ardita (messinese, coautore con Davigo del libro 'Giustizialisti', ha fatto una buona impressione a Ivrea), e soprattutto il palermitano Nino Di Matteo.

Finora i grillini hanno avuto rapporti disastrosi con gli intellettuali fiancheggiatori: da Becchi a Pallante, da Di Cori Modigliani a Scienza, tutti quelli una volta valorizzati dal blog di Grillo si sono allontanati per il clima da setta che si è instaurato nel movimento.

Gli unici due a resistere sono Massimo Fini (che ha avuto l'onore di chiudere i lavori ieri) e Aldo Giannuli. Avrebbero dovuto scrivere un libro sulla democrazia diretta con Casaleggio senior se le sue condizioni di salute non lo avessero impedito.

Ma Fini è un anarchico, per lui al massimo potrebbe esserci un seggio da senatore se i grillini ripristineranno la tradizione comunista degli "indipendenti di sinistra" da candidare per chiara fama, senza passare dalle forche caudine delle primarie. Giannuli invece può andare a Interni o Difesa. Il sociologo Domenico De Masi è simpatico ma ingovernabile.

I candidati interni sono tutti deboli. Di Battista e Paola Taverna, i più amati dalla base, sono animali da comizio ma inadatti alla vita istituzionale. Il primo vorrebbe gli Esteri o gli Interni, ma al massimo lo soddisferanno con una onorifica vicepresidenza del Consiglio. La Taverna, ex impiegata in un centro diagnostico, può andare alla Sanità.

Gli unici con la gravitas necessaria per un dicastero, anche per ragioni d'età, sono Nicola Morra (Istruzione), Carla Ruocco (Sviluppo economico) e Roberta Lombardi (Interni). Ma, come Roberto Fico, sono della corrente 'talebana', duramente osteggiata da Di Maio. Toninelli ambisce alle Riforme, il putiniano Di Stefano agli Esteri, Vito Crimi e Barbara Lezzi a qualsiasi cosa li riportino in auge. Ma la società Casaleggio li vede come personaggi un po' troppo folcloristici. E Carlo Freccero non è abbastanza affidabile.

Insomma, i grillini rischiano di replicare a livello nazionale il disastro Roma: per mancanza di competenze interne, finire in mano a furbacchioni dell'ultima ora come Raffaele Marra, ex braccio destro della sindaca Raggi, in carcere da quattro mesi.
Mauro Suttora





Thursday, March 09, 2017

Conti in tasca ai politici



CHI CI HA PERSO, CHI CI GUADAGNA

Abbiamo confrontato le dichiarazioni dei redditi di chi è stato eletto la prima volta nel 2013 con quelle attuali. Alcuni sono miracolati, altri disperati

di Mauro Suttora

Oggi, 9 marzo 2017

Dai 580 mila euro in più di Alberto Bombassei al milione e 600 mila in meno di Yoram Gutgeld, ecco la classifica dei politici più noti che hanno debuttato nel 2013, secondo le loro dichiarazioni dei redditi: chi ha guadagnato e chi ha perso, facendosi eleggere per la prima volta?

Alcuni miracolati sono passati dal reddito zero della disoccupazione agli attuali 98 mila: i capi grillini Di Maio e Fico, i piddini Anna Ascani e Khalid Chaouki. 

La performance stellare dell’industriale Bombassei è merito non della politica, ma dell’exploit della sua società quotata in Borsa (Brembo); quella di Bonifazi (tesoriere Pd) al suo studio di avvocato, Bernabò Bocca ha alberghi. Il più ricco, ma stabile, è Renzo Piano.

È andata bene all’olimpionica Josefa Idem, male alla campionessa di scherma Valentina Vezzali. Disastro anche per i giornalisti Augusto Minzolini (ex direttore Tg1), Corradino Mineo (Rainews) e Massimo Mucchetti (Corriere della Sera).

Enrico Zanetti guadagnava un quarto di milione da commercialista, ora non solo è crollato sotto i 100 mila, ma ha pure perso la poltrona di viceministro. Ci ha rimesso anche il ministro Padoan: all’Ocse guadagnava il doppio.

Luigi Gaetti, ex medico, è l’unico grillino a rimetterci. A Laura Boldrini invece è convenuto buttarsi in politica: da funzionaria Onu guadagnava meno. Bene anche il presidente del Senato ed
ex magistrato Pietro Grasso.

Cecile Kyenge e Simona Bonafé ora sono eurodeputate, e anche a loro va bene. Stabili Boschi, Lotti e Renzi. Quest’ultimo non è eletto (come Padoan).

CLASSIFICA
redditi 2012 – 2016 differenza (in migliaia di euro)

Alberto Bombassei (Civici) 846mila – 1.426mila +580
Francesco Bonifazi (Pd) 67 – 280 +213
Pietro Grasso (Pd ) 176 – 340 +164
Valeria Fedeli (Pd) 41 – 181 +181
Ilaria Borletti (Pd) 89 – 190 +101
Luigi Di Maio (M5s) 0 – 98 +98
Roberto Fico (M5s) 0 – 98 +98
Anna Ascani (Pd) 0 – 98 +98
Khalid Chaouki (Pd) 0 – 98 +98
Alessandro Di Battista (M5s) 3 – 98 +95
Paola Taverna (M5s) 12 – 102 +90
Renzo Piano (senatore a vita) 2.600 – 2.685 +85
Barbara Lezzi (M5s) 20 – 98 +78
Simona Bonafè (Pd) 28 – 102 +74
Carla Ruocco (M5s) 26 – 96 +70
Bernabò Bocca (Fi) 758 – 823 +65
Cecile Kyenge (Pd) 38 – 102 +64
Roberto Speranza (Mdp) 35 – 94 +59
Laura Boldrini (misto) 94 – 146 +52
Alessia Morani (Pd) 47 – 92 +45
Josefa Idem (Pd) 121 – 146 +25
Luca Lotti (Pd) 83 – 98 +15
Maria Elena Boschi (Pd) 90 – 99 +9
Matteo Renzi (Pd) 99 (sindaco) – 105 +6
Luigi Gaetti (M5s) 107 – 101 -6
Stefania Giannini (Pd) 116 – 96 -20
Corradino Mineo (Si) 311 – 250 -61
Massimo Mucchetti (Pd) 348 – 259 -89
Andrea Romano (Pd) 205 – 116 -89
Pier Carlo Padoan 216 – 103 -113
Enrico Zanetti (Scelta Civica) 248 – 93 -155
Edoardo Nesi (Pd) 455 – 174 -281
Augusto Minzolini (FI) 524 – 113 -411
Valentina Vezzali (Sc) 689 – 145 -544

Yoram Gutgeld (Pd) 1.757 – 101 -1.656

Friday, February 10, 2017

Baby Casaleggio si fa pagare dai grillini

UN MILIONE DI EURO IN DIECI MESI

di Mauro Suttora

Libero, 10 febbraio 2017


Le uniche buone notizie per Beppe Grillo, ma soprattutto per Davide Casaleggio, in questi giorni arrivano da Rousseau. La piattaforma lanciata dieci mesi fa, dopo la morte di Casaleggio padre, si sta rivelando una gallina dalle uova d’oro. «Abbiamo incassato un milione di euro», annuncia trionfale Luigi Di Maio.

Microdonazioni da 20-30 euro l’una di militanti grillini, quelli che ancora credono nei vecchi slogan, prima del disastro Roma: democrazia diretta, uno vale uno, l’onestà andrà di moda.

Al ritmo di centomila euro al mese, questo fiume di soldi sta raddrizzando le finanze del Movimento 5 stelle. Casaleggio junior (simpaticamente soprannominato Trotaleggio dalla metà degli attivisti che non lo sopporta) ne aveva bisogno urgente, perché i conti della sua società privata stanno invece andando a catafascio.

L’ultimo bilancio della srl Casaleggio & Associati è in rosso per 123mila euro. Nel 2015 il fatturato è crollato della metà rispetto al 2013: poco più di un milione, contro i due degli anni d’oro. Quando l’utile, una volta distribuiti buoni stipendi ai soci, raggiungeva il quarto di milione.

Ma ormai il giocattolo si è rotto. La società, con sede nel lussuoso quadrilatero della moda, a metà strada fra Mediobanca e via Montenapoleone (curioso, per un movimento che si dice rivoluzionario, stare in una zona da 20mila euro al mq), non “tira” più con la pubblicità del blog di Grillo. L’editrice Chiarelettere ha disdetto un ricco contratto. E anche i siti-civetta come La Fucina e Tze Tze, accusati di propalare bufale, vanno male. Risultato: -28% di utili.

A farne le spese Casaleggio junior, che controlla il 60% del capitale, ma anche il socio Luca Eleuteri con il 20% e gli altri: Maurizio Benzi, Marco Maiocchi e Mario Bucchich. Tutti chiamati a ripianare le perdite. Tutti sconosciuti agli attivisti grillini, mai un discorso in pubblica, mai una parola nelle riunioni. Alla faccia della trasparenza, il secondo partito italiano è guidato da una società privata a scopo di lucro con il culto della segretezza. Ne sa qualcosa Milena Gabanelli, la più votata alle primarie M5s per le presidenziali, respinta maleducatamente quando chiese di visitare la sede di via Morone.

In teoria, la nuova piattaforma Rousseau dovrebbe sganciare i destini del Movimento da quelli della società personale Casaleggio. Ma in pratica, il controllo del giovane Casaleggio sulla Fondazione che la gestisce (e che incassa le donazioni) è ferreo. 

Ha cooptato lui i due fedelissimi che la gestiscono: Massimo Bugani, candidato trombato alle ultime comunali di Bologna, e David Borrelli, l’eurodeputato che di nascosto voleva portare i grillini fra i liberali europei, fino all’umiliante dietrofront verso gli antieuropeisti di Farage.

«Il sistema Rousseau ci costa poche centinaia di migliaia di euro l’anno, molti lavorano gratis», si vanta Di Maio. Dove va il resto del milione raccolto? Mistero. Finora la fondazione non ha pubblicato resoconti.

I parlamentari, intanto, hanno pubblicato i loro ultimi rendiconti. Ormai l’entusiasmo iniziale si è inaridito. Pochi continuano a “restituire” 4-5mila euro mensili sui 14mila di stipendi e rimborsi, come quattro anni fa (un virtuoso rimane il senatore Maurizio Buccarella). Gli altri sono calati a 1.700-2.000. Il minimo indispensabile per non essere espulsi. 

Molti dichiarano di spendere grosse cifre per non meglio precisati «eventi sul territorio». Ma ora che Rousseau macina milioni, che bisogno c’è di fare sacrifici? Se il convento è ricco, anche i frati possono godersi i loro 10mila al mese.
Mauro Suttora