Saturday, March 12, 2022

Quanto spendiamo per difenderci? Tanto, ma male



Possibile che l'Europa, col suo tesoretto militare quintuplo rispetto al russo, si senta inferiore a Putin?

di Mauro Suttora

HuffPost, 12 Marzo 2022

Sorpresa: l'Europa, la vecchia imbelle Europa accusata di essere un gigante economico, un nano politico e un verme militare, spende per difendersi cinque volte più della Russia. Secondo i dati Sipri 2020, infatti, le spese per la difesa dei 32 Paesi europei (tutti tranne la neutrale Svizzera e le inaffidabili Turchia, Serbia e Bosnia) ammontano a ben 300 miliardi di dollari annui, contro i 62 dell'aggressivo Putin.

Gli Stati Uniti danno al Pentagono l'astronomica cifra di 778 miliardi. Ma, come dicono i generali, hanno una "proiezione globale" con decine di basi sull'intero pianeta e portaerei in perenne movimento su ogni oceano. Seconda è la Cina, con 252 miliardi. Più che la cifra in sé, impressiona il quasi raddoppio dei suoi stanziamenti bellici nell'ultimo decennio: erano 129 miliardi nel 2010. 

In Europa i tre stati più generosi con i propri generali sono il Regno Unito (59 miliardi, ai livelli russi) e, a pari merito, Francia e Germania con 53 miliardi. Seguono Italia (29), Spagna (17) e Olanda (12). I quattordici Paesi europei dell'Est spendono 32 miliardi. In testa la Polonia con 13, seguono Romania (5,7), Cechia (3,5) e Ungheria (2,4). Macedonia del Nord e Montenegro, gli ultimi arrivati nella Nato, se la cavano rispettivamente con 100 e 200 milioni annui.

E allora, possibile che l'Europa, col suo tesoretto difensivo quintuplo rispetto al russo, si senta inferiore a Putin? Il quale con i suoi 62 miliardi non solo deve difendere un territorio immenso, undici fusi orari da Kaliningrad allo stretto di Bering, ma si lancia in guerre (Ucraina, Siria, Georgia) e finanzia mercenari in Libia o Mali. 

Il vero problema delle forze armate europee non sono i soldi, ma lo spezzettamento. Paghiamo 32 eserciti separati, ciascuno con i propri stati maggiori, apparati burocratici e spese fisse, che non si traducono in "operatività". Scarso coordinamento nonostante la Nato, soldati che parlano lingue diverse, sistemi d'arma spesso non integrati.

Da vent'anni gli Usa chiedono agli alleati europei di spendere di più. Quella per il "burden sharing", la suddivisione dei costi, è la principale guerra combattuta nel quartier generale della Nato a Bruxelles. Guardiamo allora alla tanto declamata quota del 2% sul pil, che secondo Washington noi europei dovremmo raggiungere. Sempre secondo l'istituto di Stoccolma, l'Italia non è messa male: siamo già all'1,6. Superano la quota solo Grecia (2,8%, per fronteggiare la Turchia), Francia, Regno Unito, Portogallo. E all'Est, comprensibilmente, i baltici, Polonia e Romania. 

La più pacifista è l'Irlanda: la sua spesa militare nel 2020 è stata di appena lo 0,3% sul suo pil. Dovranno aumentare anche Austria (0,8%) e Slovenia (1,1%). La Germania ha già rimpolpato il bilancio bellico dall'1,1% del 2015 all'attuale 1,4%. I cento miliardi aggiuntivi annunciati dal cancelliere Scholz le faranno raggiungere il 2%. 

Gli Stati Uniti sono al 3,7%, la Russia al 4,3%, la Cina all'1,7%. Una curiosità: il Paese che spende di più al mondo rispetto alla propria ricchezza è l'Oman, con l'11%. E non ha mai fatto guerre. Come la neutrale Svizzera, che però stanzia appena lo 0,8% per le sue forze armate.

Mauro Suttora

Thursday, March 10, 2022

Putin non rade al suolo solo l'Ucraina, ma ogni regola di guerra

Non ha neanche dichiarato guerra. Quindi non si sente tenuto a rispettare i codici bellici. Come il non attaccare i civili in fuga

di Mauro Suttora

HuffPost, 10 Marzo 2022

Come molti milioni di italiani, ho partecipato a vari cortei per la pace nella mia vita. Eravamo un milione a Roma nel 1981 contro gli euromissili atomici, e di nuovo nell'83. Craxi ci rispose cinico: "Bene, vuol dire che gli altri 59 milioni sono favorevoli". Poi bastò il buon senso di un solo uomo, Gorbacev, per smantellarli in dieci minuti e accordarsi con Reagan. 

Noi nonviolenti eravamo gentilissimi. Non urlavamo "Yankee go home!" ai militari delle basi statunitensi in Italia, ma "Cari soldati Usa, lasciate l'esercito e restate con noi". Visitai Gesualdo Bufalino, scrittore di Comiso, il paese siciliano che doveva ospitare i missili Cruise. Gli chiesi di appoggiarci, ma lui mi rispose: "Voi pacifisti dovete andare anche nei Paesi comunisti a protestare contro le loro bombe nucleari".

Detto fatto: nel 1982 aiutai i radicali a volantinare nelle capitali dell'Est, preparai fogli e ciclostili alla loro partenza in treno da Milano. Tutti arrestati ed espulsi dopo venti minuti di dimostrazioni nelle piazze di Mosca, Berlino Est e Praga. Ma avevamo dato la prova di essere equidistanti, non filosovietici. 

Negli anni '90 altre marce antimilitariste, da Perugia ad Assisi, per Sarajevo martoriata dai serbi. Dopo la strage di Srebrenica la Nato bombardò Milosevic anche con i Cruise, e lì mi vennero i primi dubbi. Bastarono due settimane di raid su obiettivi militari per costringere il capo serbo a firmare la pace di Dayton, dopo quattro anni di guerra civile e centomila morti. Certo, ci furono 27 morti civili. Ma non capii le proteste pacifiste contro la Nato 'umanitaria'. "Quanno ce vo', ce vo'", dicono a Roma. Perfino Gandhi approvò gli indiani che si arruolarono contro Hitler.


Neanche oggi capisco i pacifisti. Come nel 1995 con il fasciocomunista Milosevic, è impossibile essere equidistanti. Quindi sarebbe ipocrita non aiutare gli ucraini aggrediti anche rifornendoli di armi. Putin sta violando ogni legge internazionale violabile. Fin dall'inizio: come ha detto il generale Angioni, non ha neanche dichiarato guerra all'Ucraina. Quindi non si sente tenuto a rispettare i codici di guerra. Come il non attaccare i civili in fuga.

Il trolley della famiglia sterminata a Irpin rimarrà il simbolo del suo porsi al di fuori del consorzio civile. Oppure l'ospedale dei bimbi di Mariupol, ieri. Quando è arrivata la notizia del bombardamento, ho pensato: "Ora qualche figlio di Putin in Italia dirà che gli ucraini si sono autocolpiti". Infatti: Facebook e Telegram zeppi di finti video e obiezioni tipo: "Se fosse vero, come mai 'solo' 17 feriti?". 

Questa volta i nostri  filorussi hanno superato perfino i russi: "Indagheremo", aveva infatti promesso in un primo tempo il portavoce Peskov, senza negare il misfatto. Poco dopo tuttavia, smentendo questo lampo di onestà, il ministro Lavrov ha goebbelsizzato: "In quell'ospedale si nascondevano i fascisti ucraini del battaglione Azov".

Sono tante, purtroppo, le stragi e le scuse assurde che ci aspettano nelle prossime settimane. Perché Putin ha deciso di non rispettare alcuna regola. E di negare ogni evidenza, grazie alla sua secolare esperienza Ceka-Kgb. Ormai abbiamo a che fare con un fuorilegge. 

Il problema siamo noi, se abbocchiamo. Perché non si possono mettere sullo stesso piano le inevitabili esagerazioni bellicose del democratico Zelenski e la gelida disinformazia dell'autocrate Putin. Anche cecoslovacchi e polacchi erano fastidiosi e petulanti nel 1938/39, prima di essere inghiottiti dai nazisti. Ma ottant'anni fa i nostri nonni credevano a Radio Londra e non all'Eiar fascista, che dava Mussolini vincente fino al 24 luglio 1943. Anche se ci volle il bombardamento del quartiere San Lorenzo per convincere qualche irriducibile romano che qualcosa non andava. 

A noi non è bastato il 24 febbraio 2022, replica esatta del 1 settembre 1939, per capire che Putin sta imitando Hitler? Lo ha già fatto vent'anni fa a Grozny in Cecenia, peraltro, e poi ad Aleppo in Siria. È questa l'unica autocritica che il mondo libero deve fare, non certo quella dell'allargamento Nato. Perché, obnubilati dal pericolo dei terroristi islamici, abbiamo lasciato Putin sterminare i civili ceceni e siriani. 

Perciò quando il mio amico Mao Valpiana, dirigente del Movimento Nonviolento, dopo l'invasione dell'Ucraina mi ha invitato a manifestare "per la pace e contro tutte le guerre", ho dovuto rispondergli: "Manca il nome del responsabile. E l'indirizzo dell'ambasciata o consolato russo davanti ai quali protestare".

Mauro Suttora

Tuesday, March 01, 2022

Non sarà facile trovare un Garibaldi nelle Brigate internazionali per Kiev

Per noi italiani, dopo 77 anni di pace, la guerra è diventata impensabile, impossibile, troglodita. Figurarsi crepare per patrie altrui

di Mauro Suttora

HuffPost, 1 Marzo 2022

È nobile che venga voglia di andare in Ucraina a combattere per la libertà. Ma non si illudano i ragazzotti vogliosi di imbracciare un kalashnikov: il governo di Kiev arruola volontari, tuttavia le sue ambasciate e consolati rifiutano chi non è già provvisto di una certa esperienza. Che manca alla quasi totalità dei giovani in Italia, dove la leva obbligatoria è stata abolita 17 anni fa. 

Le Brigate internazionali ucraine nasceranno comunque, e migliaia di stranieri si arruoleranno. Andranno a combattere una guerra sporca, perché in mancanza di una tregua già ora lo scenario è da guerriglia urbana. Non esistono fronti: i russi sono in movimento e hanno paracadutato i loro temibili spetsnaz, le forze speciali, anche dietro le linee nemiche.

Peggio ancora se riuscissero a occupare l'Ucraina, parzialmente o totalmente: gli stranieri dovrebbero aggregarsi a gruppi di partigiani clandestini, con problemi pratici terribili. Basti pensare al cirillico, l'alfabeto incomprensibile per cui risulta ostico perfino decifrare i cartelli stradali. O ai tagliagole ceceni, o ai russi travestiti con divise ucraine. 

Ma tutto ciò non bloccherà i nuovi internazionalisti, che già combattono da anni nel Donbass. Compreso qualche italiano, anche se con scelte comiche. I fascisti nostrani, infatti, non sanno bene da che parte stare: quelli di Forza Nuova danno manforte ai separatisti filorussi, mentre Casa Pound ha scelto gli ucraini. L'importante per molti è soltanto  menare le mani, a volte perfino per l'Isis, anche se nel caso dell'Ucraina aggredita l'afflato romantico è rispettabile.

D'altra parte, il poeta Byron andò a morire in Grecia 26enne, e anche il nostro carbonaro Santorre di Santarosa perse la vita per l'indipendenza ellenica. Fino ad allora le guerre le facevano i re, e gli stranieri che combattevano per bandiere non loro lo facevano di professione. Erano i mercenari, spesso inquadrati in compagnie d'arme, altre volte in solitaria, come il Barry Lindon del film di Kubrick. La stessa parola 'soldato', ignota nell'antichità, significa assoldato, al soldo, a pagamento. 

La figura del volontario idealista nasce nell'800, nutrita dalle guerre nazionaliste in Italia, Grecia, Polonia. Il primo internazionalismo fu quello di Mazzini, antecedente a Marx, e se si cantasse l'inno di Mameli fino alla quinta strofa ci si imbatterebbe nel gemellaggio fra "il sangue d'Italia e il sangue polacco" già allora "bevuti" dai perfidi cosacchi (russi) e austriaci.


Garibaldi è celebrato, con Che Guevara, come l'eroe internazionalista più leggendario del mondo. Ambedue con imprese intercontinentali al limite dell'autolesionismo: il capo delle nostre camicie rosse andò a combattere per la Francia a Digione nel 1870 nonostante questa gli avesse rubato la città natale Nizza dieci anni prima.

Ma oggi "Pulchrum est pro patria mori" è un proverbio desueto: per noi italiani, dopo 77 anni di pace, la guerra è diventata impensabile, impossibile, troglodita. Figurarsi crepare per patrie altrui. O per astratti ideali: "Morire per delle idee? Sì, ma di morte lenta", cantavano sarcastici i libertari antimilitaristi Brassens e De André. 

C'è da vergognarsi, pensando ai coraggiosi che andarono in Spagna nel 1936 per combattere il nazifascismo. Trovandosi però inquadrati sotto i comunisti, i quali non esitarono ad ammazzare, assieme ai nemici franchisti, anche i propri alleati anarchici. 

Insomma, è sempre complicato scegliere la parte giusta. Ancor più quando ci si avventura all'estero: si rischia di bombardare i vietnamiti per conto degli Usa, come fecero i piloti di vari Paesi Nato (Italia compresa) in missioni ancora coperte dal top secret dopo 60 anni. O di essere ammazzati in Mozambico, come capitò al povero giornalista militante Almerigo Grilz nel 1987.

Quindi, ai giovani in cerca di adrenalina non possiamo impedire di partire allo scopo di ottenere emozioni forti in Ucraina. Ma se torneranno mutilati o in bara diano un po' di colpa anche alla propria generosa avventatezza, oltre che a Putin.

Mauro Suttora 

Sunday, February 27, 2022

Ho acceso la tv e ho trovato i figli di Putin sulla Rai

Ho visto un incredibile programma di Rai2 in cui un (finora ottimo) corrispondente da Mosca giustificava Putin, accusando il mondo libero di avere umiliato la Russia dopo il crollo del comunismo

di Mauro Suttora

HuffPost, 27 Febbraio 2022

Ieri sera ho visto un incredibile programma di Rai2 in cui un (finora ottimo) corrispondente da Mosca giustificava Vladimir Putin, accusando il mondo libero di avere umiliato la Russia dopo il crollo del comunismo, e perciò di avergli provocato la frustrazione che ora gli ha fatto invadere l'Ucraina.

Pure io a questo punto sono frustrato: davvero dobbiamo pagare il servizio pubblico per ricevere propaganda putiniana? Inconsapevole, probabilmente. Perché se a un giornalista si chiede non cronaca ma analisi, e poiché ogni misfatto ha il suo antefatto, è possibile che egli si sbizzarrisca andando a ritroso di trent'anni per "capire" e "spiegare" l'invasione dell'Ucraina (anzi dell'Ucrania, secondo la senatrice ex grillina Nugnes).

Un po' come certi ineffabili sociologi tv che commentano i crimini dando la colpa alla società o alla opprimente architettura del Corviale, invece che ai criminali. Lo speciale Tg2 ha illustrato la versione di Putin, accusando gli Usa di avere depredato la Russia negli anni '90.

Abbiamo altri ricordi. Se  gli oligarchi (vero nome: mafiosi) russi hanno approfittato delle privatizzazioni, che c'entrano gli Stati Uniti? Sono stati i vari Berezovsky e Abramovich ad arricchirsi, non miliardari o  società americane. I dirigenti di Mosca si sono fatti corrompere da loro concittadini. 

In ogni caso, è arduo trovare un rapporto causa-effetto fra accadimenti di un terzo di secolo fa e l'aggressione dell'Ucraina, se non nelle personali paranoie di Putin. Che si comporta da psicolabile fuori controllo: il botulino gli avrà dato alla testa. Insulta perfino il capo dei suoi servizi segreti in diretta tv, una scena da Fantozzi. Dà dei "tossicodipendenti" e "nazisti" ai dirigenti ucraini liberamente eletti (diversamente da lui, che incarcera o avvelena i suoi avversari). 

Sono tanti i figli di Putin in Italia: oltre al corrispondente Rai di ieri sera si stanno esprimendo al meglio Travaglio, Salvini, Lerner, Meloni, Grillo, populisti, complottisti, nostalgici fascisti e comunisti. Tutti quelli che "sì, però anche gli Usa, l'Europa, la Nato". Immagino che nel settembre 1939, dopo che Hitler e Stalin invasero la Polonia, avrebbero opinato "sì, però anche Francia e Inghilterra". Insomma: se un bandito internazionale invade l'Ucraina, è pure colpa nostra. 

Lo storico inglese A.J.P. Taylor fece risalire le cause della Seconda guerra mondiale alle angherie subìte dalla Germania col trattato di Versailles. Ma il suo libro uscì nel 1961. Se lo avesse pubblicato nel 1940, mentre le famiglie della Londra bombardata si rifugiavano in metrò così come oggi quelle di Kiev, sarebbe finito linciato dai suoi connazionali. Cari analisti, l'unico Master of war dylaniano in azione adesso è il Ras Putin. Non cercate peli nell'uovo.

Mauro Suttora

 

Tuesday, February 15, 2022

Anche noi garantisti ci arrendiamo, il romanzo di Renzi prevale sul diritto

Tanto inutile a livello processuale, quanto succulento come commedia umana, una mail spiega più della disquisizione di un politologo la politica italiana del terzo millennio

di Mauro Suttora

HuffPost, 15 febbraio 2022

Quanto ci metterà ora un pm qualsiasi ad aprire un nuovo fascicolo contro il giglio magico di Renzi? La notizia di reato c'è: babbo Renzi accusa Boschi, Bonifazi e Bianchi di essere una banda Bassotti (e complimenti per la poetica allitterazione). Al magistrato non resta che ordinare una perquisizione nella sua soffitta per trovare le relative prove sulle annate di Topolino.

Confesso che noi garantisti siamo esausti. Mica vorrete subirvi l'ennesimo predicozzo contro i magistrati che infilano fra gli atti di un'incriminazione l'e-mail privata di un padre al figlio, spacciata per indizio a carico (o a discarico, visto che Renzi senior scrive a Matteo di essersi fatto turlupinare dai soci). 

Dobbiamo invece ringraziare la procura di Firenze, perché essa conferma la superiorità della narrativa sulla saggistica. Un romanzo di Balzac o Dostoevskj vale più di dieci libri di storia su Francia o Russia. E una mail renziana senior spiega più della disquisizione di un politologo la politica italiana del terzo millennio. 

Ringraziamo come giornalisti: ci regalate titoli e copie. E siamo lieti come lettori: le vostre perquisizioni, intercettazioni e intromissioni nel privato dei potenti (come la insuperabile "sguattera guatemalteca" detta dal fidanzato di una ministra poi archiviata) risultano tanto inutili a livello processuale, quanto succulente come commedia umana.

Infatti l'altro passaggio saliente della mail senior-junior è il lamento del padre settantenne: "Quando devo pensionarmi lo decide il buon Dio, non tu". Ecco un doppio dramma: quello del padre ancora pimpante che il crudele figlio vorrebbe ridurre a umarell, a faccendiere sfaccendato. E quello del junior diventato presidente del Consiglio, ma danneggiato dalle imprese del padre.

Mai eleggere governanti troppo giovani. Finora erano i figli a danneggiare i politici: Piccioni, Leone, Donat-Cattin, Bossi, Lupi. Ora invece sono i genitori iperattivi a creare imbarazzo. L'anziano Tiziano Renzi, non contento di essere indagato per la bancarotta della sua ditta, nel 2014 si era messo a scorrazzare per tutta l'Italia, da Sanremo a Fasano in Puglia, allo scopo di propagandare progetti di outlet. Ovvio che il figlio, da palazzo Chigi, gli avesse chiesto di calmarsi: l'accusa impalpabile ma onnicomprensiva di "traffico d'influenze" era dietro l'angolo.

E adesso babbo Tiziano glielo rinfaccia: chi è stato il fesso? Io, o te che ti sei fatto incantare dal bel faccino di Maria Elena? 
Tutte questioni con scarsa o nulla rilevanza giudiziaria. Come il milione elargito dal satrapo saudita a Renzi, d'altronde. Al massimo ci sarà qualche fratello del satrapo assai irritato per codesta dilapidazione delle finanze del regno. Invece di inutili consulenze, si comprasse la Fiorentina. Allora sì che Renzi si solleverebbe dal suo attuale deprimente due per cento, e verrebbe rieletto con trionfi superiori a quelli di dieci anni fa.

Mauro Suttora 

Tuesday, February 08, 2022

Caos M5s, Conte decaduto/ “Un danno anche per il Pd, alle Comunali sarà scontro con Di Maio”

L’elezione di Conte alla guida di M5s è illegittima: lo ha detto ieri un’ordinanza del Tribunale di Napoli. Lo scenario 

intervista a Mauro Suttora

www.ilsussidiario.net, 8 febbraio 2022

È un fulmine a ciel sereno. L’elezione di Conte alla guida del Movimento 5 Stelle del 3 (modifica dello statuto) e 5 agosto 2021 (nomina del presidente) è illegittima. Lo ha detto ieri un’ordinanza della settima sezione civile del Tribunale di Napoli, che ha dato ragione a tre attivisti, Liliana Coppola, Renato Delle Donne e Steven Hutchinson, assistiti dall’avvocato Lorenzo Borrè.

I tre avevano impugnato la decisione di estromettere dal voto gli iscritti da meno di 6 mesi, circa 81mila persone, nella votazione che aveva eletto Conte leader dei 5 Stelle. In violazione dello statuto: “l’assemblea dell’Associazione Movimento 5 Stelle che ha deliberato il 3 agosto del 2021 non era correttamente costituita perché risulta che vi hanno partecipato un numero di iscritti inferiore a quello richiesto in prima convocazione. I 60.940 iscritti che vi hanno partecipato erano di numero inferiore alla metà più uno del totale degli iscritti all’associazione (che come visto era 195.387)” si legge nell’ordinanza. 

Insomma, tutto da rifare. E adesso il reggente è di nuovo Vito Crimi. Un duro colpo per la creatura di Grillo, già provata da rivalità interne, espulsioni, consensi in calo. Il punto di Mauro Suttora, giornalista e scrittore, opinionista sull’HuffPost, attento osservatore della caotica galassia a 5 Stelle.

Oltre ai ricorrenti e all’avvocato Borrè, oggi chi ride in M5s?

Nel M5s nessuno ride. Al massimo i dimaiani possono sghignazzare sulla scarsa abilità di Giuseppe Conte nello scrivere statuti inattaccabili, che non possano essere impugnati e dichiarati nulli. Eppure Casaleggio junior, che Conte e Di Maio avevano appena estromesso dal Movimento 5 Stelle, creatura di suo padre, li aveva avvertiti: quelle votazioni erano irregolari. Anche l’avvocato Borrè ha subito fatto ricorso. Ma Conte aveva sprezzantemente risposto: “Fatelo pure”. 

Si legge sui siti che alla guida di M5s, per effetto dell’ordinanza, tornano Crimi e Grillo. Perché?

Perché tutto torna a luglio 2021. Erano Crimi e Grillo il reggente e il garante dei grillini con la versione precedente dello statuto. E dovranno indire il voto per eleggere un nuovo direttorio, come previsto dal vecchio statuto. Soltanto in seguito, con un’ulteriore votazione, i capi del M5s potranno essere ridotti da cinque a uno, tornando a Conte.

La decisone del Tribunale chi avvantaggia politicamente? Di Maio? Altri con lui?

È un colpo a Conte. Quindi Di Maio e i suoi – Spadafora, Castelli, Di Stefano, Fraccaro – godono.

Però le lancette dell’orologio politico non tornano mai indietro. Si può mettere da parte la leadership contiana come se non ci fosse mai stata?

No. È quasi sicuro che Conte verrà riconfermato capo unico. Però in quest’anno fuori dal potere la sua popolarità si è già dimezzata, nei sondaggi, dal 60 al 30%. Non c’è stato bisogno di Di Maio per logorarlo.

Chi darà la linea politica e con quali iniziative?

Conte continuerà a essere il capo de facto, anche se formalmente verrà riesumato il reggente Vito Crimi.

Cosa puoi dirci dei ricorrenti?

Conosco l’avvocato Borrè dal 2015, cioè da quando fu espulso dal Movimento. Da allora ha giurato di vendicarsi, e ha fatto causa per conto di tutti i dissidenti espulsi che si sono rivolti a lui. È figlio di un romano e di una tedesca, quindi unisce il brio del legale italiano alla metodicità di quello teutonico. È la bestia nera di Grillo.

In tanti hanno scommesso su Conte. Poteri dello Stato, parlamentari, giornali. Cosa faranno i contiani?

I più danneggiati sono i dirigenti piddini, alcuni dei quali – Zingaretti, Bettini – si erano avventatamente spinti a considerare Conte come il prossimo candidato premier del centrosinistra. Invece si tratta di un trasformista che è stato capace di passare da un giorno all’altro dalla Lega al Pd, pur di conservare la poltrona da premier.

Anche Letta ha basato molti calcoli sull’interlocuzione con Conte. Cosa succederà nel centrosinistra?

Il Pd di Letta non si schioda dal 20%. I grillini scivolano verso il 10%. L’estrema sinistra resta al 2-3%. Ci vorrà tutto il centro per eguagliare il centrodestra.

Adesso che cosa accadrà in M5s? Faide interne, repulisti, espulsioni? O una convivenza forzata?

Ne vedremo di tutti i colori. Ormai contiani e dimaiani si odiano. Prossima puntata della faida, le candidature alle amministrative di primavera a Genova, Palermo e in un’altra ventina di capoluoghi di provincia. Un test importante.

I contiani hanno delle contromosse, magari in tribunale?

Dovranno semplicemente ottemperare alle regole sulle votazioni online che conoscevano ma hanno violato lo scorso agosto. Tutte le associazioni devono rispettare i propri statuti, ancora di più se si tratta di partiti che determinano la politica nazionale.

E Grillo? Cosa farà?

Grillo, poverino, ha ben altre gatte da pelare. Il processo per stupro di suo figlio, le accuse di aver preso soldi da Moby Lines. Ha già disdetto la puntata a Roma prevista questa settimana per sedare la faida Conte-Di Maio. Ma, quanto a finanziamenti, non sottovaluterei neanche i 150mila euro dell’Acqua Marcia di Caltagirone incassati da Conte.

Federico Ferraù

Monday, February 07, 2022

Il tribunale ha deciso che i grillini non esistono



Il paradosso di uno statuto scritto e riscritto dall'avvocato del popolo e bloccato da un giudice

di  Mauro Suttora

HuffPost, 7 febbraio 2022

I grillini si confermano inesauribile fonte di buonumore. Il tribunale di Napoli oggi ha addirittura deciso che non esistono. Ne era già convinto Vittorio Sgarbi, per la verità, ma limitatamente a Giuseppe Conte: "È un ologramma", ripete beffardo da tre anni in tv. 

Ma adesso il certificato di non esistenza in vita si estende all'intero Movimento 5 stelle. Irregolarità statutarie rendono nulli i voti online che la scorsa estate promossero Conte re dei grillini. 

"Siamo all'anno zero, il M5s è decapitato", esulta Lorenzo Borrè, l'avvocato che da anni, metodicamente, sta distruggendo la creatura di Beppe Grillo. Causa dopo causa, ha annullato ogni espulsione decretata con metodo stalinista dai capi del movimento. Fra questi a lungo anche Di Maio, che ora se ne dice pentito. Finché era Casaleggio senior a gestire i grillini come proprietà privata, poco male: cosa aspettarsi da uno che si ispirava a Gengis Khan?

Ma che adesso anche l'ennesima versione dello statuto più truffaldino nella storia dei partiti italiani venga giudicata illegittima, è sorprendente: Conte, fine giurista, aveva impiegato mesi ad apparecchiarla. 
E invece, zac. Come nel gioco dell'oca, tutti tornano al punto di partenza. Un tuffo nel passato: ai grillini toccherà riesumare Vito Crimi, loro penultimo capo, la testa più lucida della politica italiana? E come faranno a incassare il 2 per mille del finanziamento ai partiti, visto che non esistono più? 

I giudici napoletani concedono qualche mese di tempo al M5s per rifare tutto, statuto, elezioni, per riagguantare una democrazia interna sempre proclamata e mai attuata. Ma in autunno scatterà la ghigliottina. La quale, peraltro, è in funzione da dieci anni contro ogni dissidente: risale al 2012 la decapitazione a Bologna di Giovanni Favia, primo consigliere regionale grillino, e di Federica Salsi, accusata da Grillo di avere un "punto G" troppo pronunciato solo perché osò farsi intervistare in tv.

Da allora le purghe contro i dissidenti hanno provocato dissenterie continue, centinaia di militanti espulsi. Solo che nelle vere rivoluzioni le vittime si chiamano Marat, Danton, Robespierre. Invece nelle spensierate crociate dei bambini, come quella inventata da Grillo, gli eliminati fanno di nome Pizzarotti, Di Battista, Casaleggio junior. E ora in rampa di lancio c'è perfino Di Maio. Ogni volta, contro di loro, viene usato un garbuglio, un cavillo. Ed è quindi una vendetta del destino che proprio da sentenze azzeccagarbugli arrivi la fine per quel che rimane dei grillini. I quali sbeffeggiavano le burocrazie di partito adottando surreali "non-statuti". Poi, al contatto con la realtà, i loro statuti si sono liquefatti. Rimangono solo i soldi di Moby Lines, Philip Morris, Acqua Marcia. 

Non che gli altri partiti possano festeggiare troppo. Neanche loro sono sicuri di esistere. Dopo il voto per il Quirinale i dubbi sono aumentati. E non hanno neppure un Grillo che cerchi di risolvere tutto con una battuta: "Siamo in crisi di crescita, stiamo diventando adulti". Per carità non fatelo, cari pentastellati. Eravate meglio da giovani, almeno ci allietavate col vostro cabaret.

Mauro Suttora

Friday, February 04, 2022

È razzismo o no? Chi è la vera Lorena Cesarini?

Sei giorni prima della sua partecipazione commossa al Festival aveva dichiarato l'esatto contrario al settimanale Oggi: "Una montatura.. Non sono mai stata vittima di razzismo"

di Mauro Suttora

HuffPost, 4 febbraio 2022 

Sorpresa: Lorena Cesarini, la presentatrice che ha movimentato la seconda serata di Sanremo lamentandosi in diretta per alcuni messaggi razzisti ricevuti, aveva dichiarato l'esatto contrario al settimanale Oggi pubblicato il 27 gennaio: "Parlare di odio razziale per un paio di post mi sembra una montatura. (...) Non sono mai stata vittima di razzismo". 

Cos'è successo nei sei giorni fra la sua intervista e il comizio tv antirazzista? Gli autori dei testi di Sanremo le hanno messo in bocca parole che non le appartengono? Oltretutto l'attrice 34enne, nata a Dakar da un italiano e una senegalese ma cresciuta a Roma dall'età di tre mesi, dopo la sua esternazione davanti a undici milioni di telespettatori è stata presa di mira dal tritacarne social, questa volta per alcuni suoi accenti ritenuti troppo vittimisti. 

Perché Cesarini è stata obbligata a recitare una parte? Forse in nome di un piagnonismo di sistema, quasi ufficiale, per guadagnare audience?

Eppure all'inizio del suo intervento era stata sincera: "In 34 anni non mi sono mai accorta del colore della mia pelle". Peccato che poi il copione sia stato ribaltato, e Lorena abbia mostrato i post di insulti ricevuti dopo l'annuncio, un mese fa, della sua conduzione al festival. Deliranti, ma non più di quelli che a migliaia infestano ogni giorno i social, e soprattutto le pagine di personaggi famosi. A cominciare da Ornella Muti, che ha presentato Sanremo la sera precedente. Cesarini lo sa, perciò non aveva bisogno di una denuncia creata a tavolino dalla Rai.

Mauro Suttora

Thursday, February 03, 2022

Caos M5s/ “Il caso Belloni è più grave della zuffa tra Conte e Di Maio”

intervista a Mauro Suttora

www.ilsussidiario.net, 3 febbraio 2022

Il Movimento 5 Stelle è finora la vittima più illustre del Mattarella bis. Secondo Di Maio è stato Conte ad affossare Elisabetta Belloni, capo del Dis, candidandola senza un accordo condiviso, mentre Conte si difende e accusa Di Maio di “condotte gravi”. 

Lo scontro tra i due sembra frantumare il Movimento, ma questo non avverrà, secondo Mauro Suttora, giornalista, già a Oggi e L’Europeo, inviato, opinionista sull’HuffPost e scrittore. “Non ci sarà alcun vincitore, perché sono due democristiani che alla fine si metteranno d’accordo”. 

La notizia vera è un’altra, fa notare Suttora. “Non si è mai visto un capo dei servizi segreti che pubblica una sua foto a pranzo con un ministro, Di Maio, e proprio mentre questi è in lotta col suo capo partito, Conte. Rischiano entrambi la poltrona”.

È scontro Di Maio-Conte. Qual è la posta in gioco e chi sarà il vincitore?

La posta in gioco è la guida dei grillini, o di quel che ne rimane. L’ultimo sondaggio li dà al 14%, meno della metà rispetto al 2018. Ma non ci sarà alcun vincitore, perché si tratta di due democristiani. Quindi alla fine si metteranno d’accordo, anche perché se Di Maio prevale fra i parlamentari, Conte è più forte fra gli iscritti.

Intanto Di Maio va all’attacco di Conte per come ha gestito il caso Belloni. Dunque non c’è solo questo.

Conte è una creatura di Di Maio, gli deve tutto. È stato lui a candidarlo ministro, e poi a issarlo a Palazzo Chigi come premier. Quindi Di Maio lo considera un ingrato. E non sopporta la sua popolarità.

A proposito della Belloni. Conte l’ha difesa, ma solo fino a venerdì notte: sabato mattina ha bigiato il vertice di maggioranza, e più tardi ha detto sì a Mattarella. Cos’è successo?

Lo stesso che è successo a Salvini: ha cambiato idea appena Mattarella ha detto sì, e ha dato buca alla Meloni che lo aspettava al piano di sopra nel palazzo degli uffici parlamentari. Ubi maior, minor cessat: di fronte a Mattarella, qualunque altra candidatura è sparita.

È dal 4 gennaio che i 5 Stelle erano schierati per il bis di Mattarella. E Zampetti, segretario generale del Quirinale, è in ottimi rapporti con Di Maio.

Il bis di Mattarella aveva bisogno di qualche giorno di sofferenza prima di concretizzarsi, altrimenti non sarebbe stato giustificato come ultima spiaggia. Zampetti apprezza Di Maio perché è un giovane democristiano, tecnicamente perfetto.

Conte si fida di Letta, ma di Battista dice che è meglio non farlo. Chi ha ragione?

Dibba non vuole che i grillini stiano in posizione ancillare rispetto al Pd. Ma se non si torna al proporzionale, è difficile che il M5s da solo possa continuare a fare da terzo polo.

Letta finora ha parlato con Conte. Ma con il M5s nel caos, addio “campo largo”. Come la mettiamo?

Se si sommano Leu, Pd, M5s e verdi, nei sondaggi si sfiora il 40%: questo è il famoso “campo largo” del centrosinistra. Oppure si passa al proporzionale: ognuno per sé, e liberi di allearsi con chiunque dopo il voto.

Belloni è una serissima professionista. Nondimeno sostiene Di Maio, con il quale scambia attestati di stima e si fa fotografare a pranzo con lui. Tu lo avresti fatto?

Belloni e Di Maio hanno commesso un gravissimo errore. Non si è mai visto un capo dei servizi segreti, tranne Beria o Himmler, che pubblica una sua foto a pranzo con un ministro, Di Maio, e proprio mentre questi è in lotta col suo capo partito, Conte, e addirittura gli dà i voti, giudicandolo “leale”. Rischiano entrambi la poltrona.

Non era la candidata di Conte?

Sembra sia stata proposta da lui dopo il disastro Casellati, e avrebbe potuto essere eletta da pezzi del centrodestra, con il sì di Salvini, più i grillini. Ma di fronte a una prospettiva simile Draghi ha convinto Mattarella ad accettare il bis.

Di Maio sente e incontra Raggi, Appendino e molti altri. Davvero pensi che non tiri aria di scissione?

Raggi e Appendino contano poco, sia fra i parlamentari che fra gli iscritti grillini. La più popolare resta Paola Taverna, che sta con Conte. Dopo di lei, solo Fico. Ma per ora Di Maio e Conte troveranno un accomodamento. Anche perché non ci sono differenze di contenuto, fra loro. Sembrano quei bimbi di 5 anni che litigano solo perché tutti vogliono fare il capo. Personalismi. O vanità, come dice Grillo.

Si legge che Di Maio è corteggiato dai centristi. Non se ne fa niente?

Nel centro ci sono Calenda e Renzi, che detestano da sempre il populismo grillino. Hanno rotto col Pd proprio per questo, e ora dovrebbero allearsi con i cascami M5s?

Non è chiaro quali potrebbero essere le possibili ripercussioni della crisi M5s rispetto a Draghi e al governo. Secondo te?

Nessuna ripercussione. Draghi va avanti ancora per un anno. Al massimo si sfila la Lega, per recuperare un po’ di voti dai Fratelli d’Italia.

È a rischio anche un’alleanza più organica con il Pd? Letta potrebbe essere chiamato a fare una scelta?

Letta, col suo partito bloccato al 20%, non può fare troppe scelte. Deve stare con i grillini, chiunque li guidi.

Le fibrillazioni del M5s potrebbero accelerare le elezioni?

Si potrebbe andare al voto anticipato in autunno, dopo che i parlamentari avranno incassato la pensione.

Riuscirà Grillo col suo appello ecumenico a pacificare Di Maio e Conte?

Grillo è un comico, quindi non va preso mai troppo sul serio. Però il titolo del suo appello è illuminante: “Cupio dissolvi”, un desiderio masochistico di autodistruzione che sembra pervadere i due galletti del pollaio. Si sente un po’ Gandhi, però siccome è anche un po’ analfabeta scrive Ghandi. Vorrebbe far fare pace a Conte e Di Maio, ma dimentica che non più tardi della scorsa estate fu Di Maio a metter pace tra lui e Conte, che se n’erano dette di tutti i colori. Cosicché a noi non resta che seguire, abbastanza annoiati, questo cabaret che chiamano politica.

Federico Ferraù 

Tuesday, February 01, 2022

Fratelli contro spinelli. Per loro Muti deve restare muta

L'unica libertà gradita dai nostalgici di Salò è quella di non vaccinarsi

di Mauro Suttora

HuffPost, 1 Febbraio 2022

Fratelli contro spinelli. Per recuperare un po' di buonumore dopo la noiosa settimana di voti a vuoto quirinalizi, ecco la prima polemica della seconda era Mattarella. 

Ornella Muti, sempre splendida a 66 anni, si mostra su Facebook indossando un ciondolo a forma di foglia di marijuana. Accanto a lei l'altrettanto incantevole figlia Naike con un altro ninnolo e ben tre foglie. Totale, quattro foglie. Al di sotto della soglia massima consentita per uso personale, se ci fosse un limite per le foto sui social. E comunque, per parafrasare lo spot Chlorodont di Virna Lisi, Ornella "con quel sorriso può dire di tutto".

Ma i Fratelli d'Italia si sono desti, e due loro parlamentari hanno protestato per lo spinello virtuale della Muti: "Non può fare propaganda per la cannabis!"

Poi è riapparso l'ex senatore Giovanardi, e naturalmente ha ripetuto: "Non si può promuovere la cultura della morte!".

Il problema è che fra poche ore la Muti presenterà con Amadeus la prima serata del Festival di Sanremo. Il quale avrà cinque o sei volte più telespettatori del Parlamento che votava il presidente. Quindi ogni parola lì pronunciata pesa tantissimo. Soprattutto perché, se la Corte costituzionale non lo bloccherà, fra quattro mesi si voterà per il referendum che vuole legalizzare l'erba.

L'accorta Ornella ha precisato: "Sono favorevole alla cannabis terapeutica". Poi ha aggiunto un carico da novanta familiarpopolare perfetto per Sanremo: "È appena morta mia madre, avrei tanto voluto curarla con la cannabis come antidolorifico, invece l'hanno imbottita di psicofarmaci e non mi riconosceva più".

Niente da fare. A giugno vedremo quanti italiani sono favorevoli alla legalizzazione delle droghe leggere. La maggioranza, dicono i sondaggi. Ma i Fratelli, perfidissimi, ricordano che la sorella di Ornella tre mesi fa è stata arrestata per spaccio. Perciò la attenzionavano da tempo. Anche perché lei ha addirittura fondato un'associazione per la cannabis terapeutica. E ora non arretra: "Il vino è legale, perché non l'erba?"

Mezzo secolo dopo il clamoroso errore giudiziario dell'arresto di Lelio Luttazzi e quello di Walter Chiari, proprio ora, nei mesi in cui il proibizionismo sta crollando in tutto il mondo, ecco un dilemma decisivo. E Ornella trasformata in testimonial di sesso, droga e rock and roll (dopo che i Maneskin hanno rockizzato Sanremo).

I Fratelli ex fascisti si adontano se qualcuno ricorda le loro radici, e la fiamma Msi che arde ancora nel loro simbolo. Ma poi sono loro a scivolare, ogni volta che si parla di libertà. L'unica che gradiscono è quella di non vaccinarsi. La Muti deve restare muta. Eppure, con quel cognome lì, per i nostalgici di Salò potrebbe dire di tutto.

Mauro Suttora 

Thursday, January 27, 2022

L'astio dei peggiori da sempre fa fuori i migliori. Stavolta ci prova con Draghi

Che buffi questi nanerottoli che si agitano e rifiutano l'unico gigante. Da Alcibiade a Churchill, da Giolitti a De Gaulle: la politica è piena di personaggi oversize eliminati proprio per la loro eccellenza

di Mauro Suttora

HuffPost, 27 gennaio 2022

Che buffi questi nanerottoli che si agitano e rifiutano l'unico gigante. Ma a pensarci bene è da sempre, da 2.500 anni, che in democrazia vincono i lillipuziani, invidiosi di Gulliver. Lo legano, perché capiscono che è superiore. Poi vorrebbero farsi governare da lui, ma alla fine lo condannano a morte e lo fanno scappare. Da Alcibiade a Churchill, da Giolitti a De Gaulle: la politica è piena di personaggi oversize eliminati proprio per la loro eccellenza. E ora è il turno di Draghi.

Sicuramente Alcibiade fu figlio di buona donna, più spregiudicato di un Renzi. Ma era chiaramente il più intelligente fra tutti gli ateniesi, oltre che facondo, ricco e bello. Quindi, come dicono qui in Lombardia, "dagadóss!", dategli addosso. D'altra parte, cosa aspettarsi da quelli che misero a morte Socrate? Perfino Pericle, il più grande di loro, passò i suoi guai per l'amante Aspasia.

Atene imputò ad Alcibiade la sconfitta a Siracusa, anche se non era lui a comandare la spedizione. Così gli inventori della democrazia finirono per ostracizzarlo: esilio perpetuo. Come Dante. E in fondo come Draghi, che per dimostrare la propria eccellenza è dovuto emigrare otto anni a Francoforte. Ora gli dicono "Vai a Bruxelles quando scade la Von der Leyen, vattene a guidare il Fondo monetario internazionale a Washington". Ma non azzardarti a voler salire sul Colle più alto della nostra Roma.

Anche la repubblica romana mortificava l'eccellenza. Peggio dei grillini: la loro regola era "uno vale mezzo", perché i consoli erano due, duravano un solo anno e non erano rieleggibili. Giulio Cesare pagò con la vita la sua legittima ambizione, e dopotutto anche Napoleone dovette accomodarsi come imperatore per superare le ristrettezze e miserie della prima république rivoluzionaria.

Il più grande politico mondiale del secolo scorso, Churchill, fu tenuto fuori dal governo per tutti gli anni 30 dai suoi acrimoniosi avversari. Risultato: arrivò Hitler. Il tempo di vincere una guerra mondiale, e nell'estate 1945 gli ingrati britannici lo cacciarono di nuovo. Democraticamente. Ci mise sei anni l'indomito sir Winston a ottenere la sua rivincita, tornando a Downing street nel '51.

Idem per De Gaulle, che riuscì a riagguantare il governo solo perché c'era la guerra algerina da risolvere.

Perfino Bismarck, creatore della Germania moderna, dovette più alla nomina imperiale che alla fiducia delle diete elettive il suo trentennio di potere a Berlino. 

E in Italia? Giolitti dovette passare la mano a 'personaggetti' dimenticati come Tittoni, Fortis, Saracco, o non indimenticabili come Sonnino, Salandra, Orlando, Facta. Per i tre cavalli di razza dc (Fanfani, Moro, Andreotti) il Quirinale è rimasto un sogno proibito, e figurarsi Craxi.

Tutto sommato, lo Spirito Santo effettua scelte più meritocratiche degli eletti dal popolo: il cardinale Martini, papa in pectore per vent'anni, nel 2005 invitò il conclave a votare Ratzinger riconoscendone la grandezza, nonostante fossero agli antipodi.

Insomma, l'astio dei mediocri ha rovinato più d'una splendida carriera. Tanto che Aristotele riteneva preferibile la monarchia (se non diventa tirannia) o l'aristocrazia (se non degrada in oligarchia) alla democrazia, quando in questa prevalgono i demagoghi.

Quindi ora non ci resta che contemplare lo spettacolo di Giggino e Matteo non laureati che spiegano a Draghi, master al Mit, qual è il posto che gli compete.

Mauro Suttora

Thursday, January 20, 2022

Guarda un po', Beppe Grillo è diventato una sguattera guatemalteca



Giustizia a orologeria: l’autodifesa dell’Elevato sembra più un’autocaricatura

di Mauro Suttora

HuffPost, 20 gennaio 2022

Beppe, ci deludi. Un tempo avresti inventato qualcosa, qualsiasi cosa, uno sketch, un video per sdrammatizzare. Invece all'avviso di garanzia per i 240mila euro incassati da Vincenzo Onorato, il padrone dei traghetti Moby, hai risposto come tutti i politici: "Sono amareggiato per i tempi dell'inchiesta".

Giustizia ad orologeria, macchina del fango, circo mediatico giudiziario: tutte le frasi fatte con cui i tapini sospettati di dita nella marmellata reagiscono inserendo il pilota automatico mentale. Da 15 anni dall'altra parte della barricata c'eri tu con i tuoi baldanzosi ragazzi, a infierire contro i malcapitati, lucrando i voti che vi issarono al 32% . E ora che i ruoli si sono capovolti, riesci a esprimere solo banalità?

Quali sarebbero i "tempi" sospetti dell'inchiesta? Non c'è alcun voto all'orizzonte, i grillini non rischiano di perdere ulteriori consensi per la notizia delle indagini.

"Sono fiducioso che le verifiche dimostreranno la legittimità del suo operato": così fa finta di appoggiarti, gelido, Giuseppe Conte. Peggio Di Battista: "Gli auguro di uscire pulito da questa inchiesta, per me è sempre stata una brava persona". "Per me".

Certo, con difese d'ufficio così, viene tristezza.

Ma di fronte alle avversità una volta ti saresti divincolato brillantemente. Come nel 2014, quando Renzi prese il doppio dei tuoi voti, 40% a 20, e tu apparisti con un flacone di Maalox. E perfino quando inscenasti un delirio per il tuo figlio accusato di stupro: isterico, ma intanto la palla era finita in calcio d'angolo.

Ora no. Sembri paralizzato dal tuo ruolo, perfino più imbalsamato della Paola Taverna così buffa nella sua nuova autorappresentazione di vicepresidente del Senato, "donna delle istituzioni", un misto incongruo di Tina Anselmi e Nilde Iotti.

Capisco il tuo spaesamento. Ti ritrovi circondato da soavi e perfidi democristiani come Spadafora, Di Maio, Conte, e ti chiedi chi abbia partorito simili creature: lo stesso fiammeggiante comico del Vaffa?

Assaggi l'assurdità del nuovo reato "traffico d'influenze", impalpabile, praticamente indimostrabile: verrai sicuramente assolto, fra dieci anni in appello o in terzo grado. Ma intanto, per colpa del Bonafede giustizialista ai quattro formaggi, vieni pure tu "graticolato" come i candidati grillini alle famose primarie online. Ti senti come una "sguattera guatemalteca", quella ministra renziana che facesti cacciare per il fidanzato "trafficante d'influenze" subito archiviato.

"Com'è che non riesci più a volare?", cantavano De André e De Gregori. Perché ormai ti superano in comicità i seniores di Forza Italia, i quali comprano pagine di giornale magnificando Berlusconi: "Il presidente che ha vinto di più nella storia del calcio mondiale", che per sovrammercato nei ritagli di tempo "mise fine alla guerra fredda a Pratica di Mare", laggiù fra Pomezia e Torvaianica.

Torna, Grillo. Torna in te, abbandona la politica, molla i ragazzi ingrati, disinnamorati di Draghi: non lo vedi che in fondo è solo un rettiliano, di nome e di lineamenti?

Mauro Suttora 

Sunday, January 16, 2022

È morta l’ultima figlia (naturale) di Mussolini

Elena Curti si è spenta a quasi cent’anni nella sua casa di Acquapendente

di 

Mauro Suttora

HuffPost, 16 gennaio 2021

È morta l’ultima figlia (naturale) di Mussolini. Elena Curti si è spenta a quasi cent’anni nella sua casa di Acquapendente (Viterbo): ha fatto in tempo ad arrivare al 2022, centenario della marcia su Roma, ma non al proprio compleanno del 19 ottobre, nove giorni prima dell’impresa fascista.

Era figlia della bellissima Angela Cucciati, una sarta milanese con cui Mussolini ebbe un’avventura alla fine del 1921. Si conobbero perché la donna andò a chiedergli di far uscire di prigione il marito squadrista Bruno Curti.

Elena Curti seppe dalla madre di essere una figlia segreta di Benito solo quando compì 18 anni. Mussolini la volle conoscere, e durante la Repubblica Sociale la riceveva ogni giovedì a Salò. Elena lavorava nella segreteria di Pavolini.

Claretta Petacci, l’amante del Duce, si insospettì: pensava che quella bella ragazza bionda fosse una sua ennesima avventura, e gli ordinò di allontanarla. Ma il 27 aprile 1945, durante la fuga di Dongo, c’era Elena e non Claretta accanto a Mussolini sulla autoblindo nella prima parte del viaggio.

Poi, quando il duce fu invitato dai tedeschi a montare su un loro camion travestito da soldato, sopraggiunse Claretta, che seguiva la colonna dei gerarchi fascisti in auto col fratello Marcello, la cognata e i nipotini. Vide Elena e cominciò a inveire. Si calmò solo quando le spiegarono chi fosse veramente la ragazza. La scena è stata immortalata da Pasquale Squitieri nel suo film ‘Claretta’ (1984).

Dopo cinque mesi di carcere Elena Curti fu liberata. Si sposò, emigrò in Spagna ed ebbe fortuna con un’azienda che produceva mobili. Una ventina d’anni fa tornò in Italia e scrisse le sue memorie: ‘Il chiodo a tre punte’ (2003).

Mauro Suttora

Thursday, January 13, 2022

No alla censura sui dati Covid

Dicono: provoca ansia. È vero il contrario. E comunque non è centellinando settimanalmente le notizie sgradevoli che la si ridurrà 

di Mauro Suttora

HuffPost,13 gennaio 2022

Da due anni tutti i Paesi del mondo pubblicano ogni giorno i dati sul Covid. Uniche eccezioni la Spagna, che raggruppa al lunedì i dati del weekend, e Israele, che rispetta lo Shabbat.

Non so se questa cadenza quotidiana sia richiesta dall’Oms. In ogni caso i dati dell’intero pianeta sono immediatamente disponibili online man mano che arrivano, aggiornati al minuto, su vari siti come quello della Johns Hopkins University, o il Worldometer che consulto io.

Non si capisce quindi perché l’Italia dovrebbe diventare l’unico Paese al mondo che passa dalla trasparenza giornaliera a quella settimanale.

Dicono: provoca ansia. È vero il contrario: proprio consultando questi siti si capisce che, nonostante nelle ultime settimane i casi siano più che triplicati, i decessi sono rimasti uguali. 

Nei suoi ultimi anni di vita Marco Pannella lanciò una campagna per il riconoscimento da parte dell’Onu di un nuovo diritto civile: quello alla conoscenza. Confesso che allora non lo capii. Mi sembrava ridondante chiedere ancora più dati, in un’epoca in cui sui social ne sono disponibili miliardi.

Invece questa strana voglia di censura dimostra che Pannella aveva ragione. Così come fa bene Luca Ricolfi a reclamare più informazione sul Covid, e non meno, da parte della Protezione civile, che lesina i dati e non permette disaggregazioni.

“Vuoi andare a lavorare alla Gazzetta di Goteborg?”, mi chiese beffardo il direttore della Scuola di giornalismo Ifg che frequentavo 40 anni fa. Era nato un dibattito sull’emergenza di allora, il terrorismo: se i media dovessero rimanere neutrali nel pubblicare notizie sulle Brigate rosse, oppure sentissero il dovere di stare dalla parte dello Stato.

Ovviamente io, libertario, non concepivo un arruolamento dei giornalisti “contro” i terroristi. Quindi stavo con Giuliano Zincone, il direttore del quotidiano Il Lavoro di Genova che fu licenziato dalla Rizzoli perché pubblicò un comunicato delle Br, come da loro richiesto in cambio della liberazione del giudice D’Urso.

Che l’Italia non sia un Paese asettico come la mia agognata Svezia di Goteborg lo sappiamo tutti: i nostri media sono da sempre pervasi di faziosità contrapposte. Ma è un bene che adesso sul Covid Il Fatto o La Verità esercitino il loro diritto di critica, anche strampalato. E sarebbe un male che sull’informazione riguardo al virus piombi la ghigliottina della censura quotidiana. 

Non è centellinando settimanalmente le notizie sgradevoli che si ridurrà l’ansia. Perché è vero che “No news is good news”, ma i giornalisti non possono neanche trasformarsi in ragazze pon-pon del Cts. Complottisti e novax non aspettano altro.

Mauro Suttora 

Wednesday, January 05, 2022

Scenario Colle/ “Draghi in pole ma gli ex M5s parlano con Berlusconi. E Casellati…”

intervista a Mauro Suttora

www.ilsussidiario.net, 5 gennaio 2022

Draghi “è sempre il candidato di gran lunga con più titoli, ma anche i lillipuziani legarono Gulliver”. Gli stessi piccoli che aiuteranno Berlusconi 

C’è una data per l’inizio delle votazioni, lunedì 24 gennaio, e ancora tanti giorni nel mezzo. Berlusconi appare il più determinato ed è convinto di fare il capo dello Stato. Il Pd non vuole sentirne parlare: se resta candidato, niente confronto. Vista da Salvini e Meloni, l’operazione ha un suo perché:  usare Berlusconi per tenere tutto fermo. Dalle parti dei 5 Stelle viene un’idea strampalata: il bis di Mattarella. Cioè uno sgambetto a Conte, che annaspa e ora deve vedersela pure con i capigruppo di Camera e Senato (vogliono affiancarlo).

Per Mauro Suttora, giornalista, già a Oggi e L’Europeo, inviato, opinionista sull’HuffPost e scrittore, Draghi “è sempre il candidato di gran lunga con più titoli, ma anche i lillipuziani legarono il gigante Gulliver”. E attenzione a Berlusconi: può farcela.

I 5 Stelle sono diventati mattarelliani? Dopo che Conte ha caldeggiato un tris di donne? Che succede?

Ormai chiunque si sente autorizzato a dire la sua. Aspettiamo l’opinione dei baristi della buvette. I senatori grillini hanno subito smentito Conte il ginofilo (amante delle donne, ndr) con l’originale trovata di chiedere una proroga a Mattarella. Come se il pover’uomo non avesse detto in tutte le salse che a 80 anni non ha più voglia di fare il presidente. Mi sembra di cattivo gusto insistere, a questo punto.

E la trovata dei capigruppo M5s di Camera e Senato che affiancheranno l’ex premier nella partita del Colle? Chi ha avuto l’idea?

Mi sembra giusto che gli eletti grillini, molti dei quali hanno una quindicina di anni di militanza alle spalle, desiderino dire la loro senza delegare tutto a Conte. Il quale fino al 2018 i grillini non li aveva mai frequentati, e probabilmente neanche votati.

È Patuanelli il nuovo leader dei 5 Stelle?

Assolutamente no. Ha il carisma di un ingegnere edile, qual è. Però è una persona seria, affidabile, lontana dalle sparate del grillino medio e dalla vuota logorrea contiana. Ma soprattutto è al suo primo mandato parlamentare, quindi non dovrà brigare per essere rieletto contro il divieto M5s del terzo mandato. 

Hai movimenti da segnalare? Non nei 5 Stelle, ma nei “grandi elettori” fuoriusciti da M5s?

I fuoriusciti grillini sono ormai un centinaio, ma non riescono a mantenere un’identità unitaria di ex. Proprio come i tanti espulsi della scorsa legislatura, vagano disperati fra il gruppo misto e i partiti che hanno accolto qualche profugo. Si offrono al miglior offerente. Non hanno alcun peso politico, perché sono troppo sparpagliati.

Finché Berlusconi resta candidato, niente tavolo, niente confronto, insiste Letta. Ovviamente Salvini e Meloni lo sanno bene. È un escamotage, quello di usare Berlusconi per tenere tutto fermo?

Non ne ho la minima idea. Come il 95 per cento degli italiani sono annoiato da queste manovre di palazzo, che ricordano tanto i bizantinismi dell’impero d’oriente. Quelli avevano gli arabi e poi i turchi alle porte, ma perdevano tempo a disquisire sulla natura della Trinità. Noi abbiamo pandemia e crisi economica, ma i politici e i commentatori politici da mesi ci sfrantumano con “retroscena” sul voto per il Quirinale spesso inventati di sana pianta.

Toti, sul Corriere di ieri: “Non vorrei mai vedere Berlusconi fare la fine di Prodi”. Quando accadrà, e per mano di chi?

Il voto segreto crea un paradiso per i franchi tiratori. Ricordo esattamente mezzo secolo fa, nel dicembre 1971, i candidati ufficiali di Dc e Psi, Fanfani e Nenni, impallinati per giorni. Alla fine fu eletto Leone. Ma confesso che anch’io, se fossi un parlamentare peone, sfogherei sadicamente la mia frustrazione sui preferiti della nomenklatura. Una vigliaccata, ma che goduria umiliare tanti palloni gonfiati.

D’Alema e Bersani attaccano Letta che è pro Draghi. Favoriscono Berlusconi?

È incredibile che D’Alema e Bersani, dopo la trombatura patita alle ultime elezioni, quando raccattarono solo il 3 per cento con Leu, abbiano ancora voce in capitolo.

Berlusconi potrebbe davvero venire eletto?

Sì. Al centrodestra possono aggiungersi di nascosto tanti grillini ed ex grillini, che proprio in questi giorni vengono “lavorati” dai berlusconiani con promesse varie.

Ipotizziamo che Berlusconi venga silurato o ripieghi. A quel punto chi sosterrà? Casellati? Amato?

La Casellati, è già la numero due della Repubblica, e soprattutto è donna.

E Casini? Come lo vedi?

Troppo giovane.

Tu avevi detto – prima della conferenza prenatalizia – “Draghi, puntata secca”. Però i partiti sembrano volerlo al governo. Adesso cosa diresti?

È sempre il candidato di gran lunga con più titoli. Appartiene a un’altra categoria rispetto a tutti gli altri candidati. Ma anche i lillipuziani legarono il gigante Gulliver.

È possibile salvare questo governo? Qual è il suo destino?

Il suo destino è segnato. Draghi o va al Quirinale, o si dimette. Maschererà il dispetto col rispetto: se non lo eleggeranno dirà che per galateo istituzionale rimette il mandato nelle mani del nuovo presidente.

Si comincia il 24 gennaio. Grillo per dire la sua aspetterà il 23?

In tanti speriamo sempre che i comici non parlino più di politica. Ma visto che molti politici sono buffoni, il risultato non cambia.

Federico Ferraù 

Tuesday, January 04, 2022

Berlusconi torna al primo amore: il cemento

Il comune di Olbia gli ha dato il permesso di costruire un hotel a Porto Rotondo 

di 
Mauro Suttora

HuffPost, 4 gennaio 2022


Silvio Berlusconi è candidato presidente della Repubblica, ma intanto è tornato al suo primo amore: il cemento. Il comune di Olbia gli ha dato il permesso di costruire un hotel con 133 posti letto nel centro di Porto Rotondo.

Una variante del nuovo Puc (Piano urbanistico comunale) ha infatti trasformato tredici ettari dei suoi terreni da bosco e macchia mediterranea in edificabili: sono previsti 20mila metri cubi per “insediamenti turistico-alberghieri”. La Siamed (Società iniziative alberghiere Mediterraneo), società con sede a Cagliari, possiede un lotto di 31mila metri quadri. Gli altri appartengono all’immobiliare Idra di Segrate (Milano), cui è intestata l’intera, immensa proprietà berlusconiana di villa Certosa. Da punta Lada i terreni dove ora è possibile costruire si spingono a nordest fino al borgo di Porto Rotondo, inventato negli anni ’60 dai conti Donà delle Rose.

Amministrativamente, l’esclusiva località sarda è solo una frazione di Olbia. Così come la gemella Porto Cervo, all’estremo opposto della Costa Smeralda, fa parte del comune di Arzachena. Entrambe sono amministrate da consorzi, ai quali i facoltosi proprietari di ville e case affidano la gestione di molti servizi. Ma la pianificazione urbanistica resta prerogativa dei comuni. E a Olbia la giunta di centrodestra guidata da Settimo Nizzi, ex parlamentare di Forza Italia appena rieletto sindaco per la quarta volta, ha fatto questo bel regalo a Silvio per i suoi 85 anni.

Assieme alla variante berlusconiana ne sono state approvate altre sei fra Porto Rotondo e l’adiacente golfo di Marinella, per un totale di mezzo milione di metri quadri con costruzioni di centomila metri cubi e una previsione di 600 posti letto.

Una colata di cemento di cui beneficerà anche Sergio Zuncheddu, amicissimo di Berlusconi, proprietario dell’albergo di lusso Abi d’Oru oltre che del principale giornale dell’isola, l’Unione Sarda, e della tv Videolina.

L’espansione preoccupa i consorziati di Porto Rotondo, che già oggi ogni agosto va in collasso. Le spiagge della zona non sono tante, e con questo aumento della capacità recettiva saranno ancora più affollate.

A mordersi le dita resta l’Aga Khan, il principe fondatore di Porto Cervo. A lui il comune di Arzachena e la regione Sardegna hanno sempre bloccato ogni espansione. Il no trentennale al suo masterplan lo ha spinto a vendere sia gli alberghi agli americani, sia la ex Alisarda (poi Meridiana e Air Italy) al Qatar. E proprio in questi giorni gli ultimi 1.300 dipendenti della compagnia aerea sono stati licenziati.

Mauro Suttora 

Saturday, December 25, 2021

Happy Xmas di Lennon compie 50 anni

Ma diventò un classico nel Natale 1980, subito dopo la morte dell'ex Beatle

di Mauro Suttora

HuffPost, 25 dicembre 2021

Compie mezzo secolo oggi quella che è diventata una delle più popolari canzoni di Natale: Happy Xmas di John Lennon. L’ex Beatle la incise infatti nel 1971 a New York, e al titolo aggiunse “war is over” come augurio per la fine della guerra in Vietnam (auspicio esaudito quattro anni dopo con la fuga degli statunitensi da Saigon, simile a quella da Kabul l’estate scorsa).

Per la verità in quel Natale la canzone non ebbe un gran successo. Finì in classifica, ma niente di paragonabile all’esplosione di Imagine, il precedente 45 giri di Lennon che aveva appena sbancato le hit parades di tutto il mondo nell’autunno 1971.

Per diventare un classico Happy Xmas dovette aspettare il Natale 1980, e per una ragione tristissima: pochi giorni prima Lennon era stato assassinato. Sull’onda dell’emozione planetaria il disco venne ristampato e le vendite decollarono. 

La musica della canzone riprende un classico folk inglese: Stewball. Lennon la registrò in un’unica giornata in uno studio di Manhattan. Al piano c’era Nicky Hopkins, il ‘quinto Rolling Stone’. L’inizio è inconfondibile: “And so this is is Christmas, and what have you done?”. L’arrangiamento ha un grandioso effetto eco: la famosa “parete del suono” del produttore Phil Spector, morto undici mesi fa di covid mentre scontava 19 anni di carcere per avere ucciso una donna nel 2003.

Innumerevoli le cover di Happy Xmas in questi cinquant’anni, da Celine Dion ai Maroon 5. In Italia, fra gli altri, i Pooh, Raffaella Carrà, Tiziano Ferro, Elisa.

Mauro Suttora

Friday, December 24, 2021

Il proscioglimento di Rackete condanna la politica di Salvini

L’archiviazione dell’accusa di ‘favoreggiamento dell’immigrazione clandestina’ per la 33enne tedesca della nave Sea Watch dimostra che erano illegali i decreti con cui nel 2019 il governo Conte 1 chiuse i porti italiani 

di Mauro Suttora

HuffPost, 23 dicembre 2021



Salvini e i grillini si mettano il cuore in pace: Carola Rackete è innocente. Lei e tutte le ong che hanno fatto sbarcare migranti in Italia.

L’archiviazione dell’accusa di ‘favoreggiamento dell’immigrazione clandestina’ per la 33enne comandante tedesca della nave Sea Watch dimostra che erano invece illegali i decreti con cui nel 2019 il governo Conte 1 chiuse i porti italiani alle navi dei soccorritori.

L’archiviazione di Agrigento rappresenta la vittoria definitiva per la Rackete, che era già stata prosciolta otto mesi fa dall’altra accusa: quella di resistenza a pubblico ufficiale e violenza a nave da guerra, per il presunto speronamento di una motovedetta nel porto di Lampedusa il 29 giugno 1919.

Anche la nave Mare Jonio è stata prosciolta. Gli unici incriminati restano i ragazzi tedeschi della Iuventa, sospettati di aver preso un appuntamento in alto mare con gli scafisti libici nell’estate 2017 per trasbordare i migranti.

Ma la linea dura dei porti chiusi arrivò solo nel 2018-19, con il governo felpastellato. E ora la gip di Agrigento ha deciso che il decreto con cui i ministri Salvini, Trenta e Toninelli pretendevano di non fare sbarcare i cinquanta migranti della Rackete violava la Costituzione. 

Ci aveva già pensato la Cassazione a stabilirlo, quando non convalidò l’arresto della giovane tedesca: non poteva essere considerato ‘luogo sicuro’ la sua piccola nave in balia delle onde, né ‘porto sicuro’ quello di Tripoli dove i gialloverdi pretendevano fossero riportati i disperati.

Anzi, l’inchiesta è andata avanti e il proscioglimento è arrivato solo adesso perché la procura di Agrigento ha esaminato tutti i migranti e ne ha arrestati tre, ex custodi di un campo di prigionia in Libia.

Insomma, i leghisti la smettano di difendere i respingimenti attuati dal loro governo: se Salvini viene assolto perché aveva il diritto di emanare decreti seppur sconclusionati, anche le ong vengono assolte perché avevano il diritto di rispettare le leggi internazionali marittime. 

Quanto ai grillini, sembrano colpiti da una singolare amnesia: Di Maio accusava le ong di essere “taxi del mare” al servizio degli scafisti libici, Conte non batteva ciglio davanti ai diktat dei suoi ministri, ma ora parlano di accoglienza e solidarietà.

Dopodiché, il problema resta. Gli immigrati clandestini si sono moltiplicati per otto rispetto al 2019. Ma smettete di dare la colpa alle navi ong. La persecuzione contro di loro attuata dal governo Conte-Salvini ha funzionato come deterrente: si sono ridotte di molto. Ma il deterrente contro gli scafisti e i mafiosi libici, ai quali si affidano tuttora decine di migliaia di migranti, dev’essere ancora trovato. E non fuori dalle leggi.

Mauro Suttora 

Sunday, December 19, 2021

La libertà di non vaccinarsi non è un diritto civile

I novax si comportano da free-riders: evasori a sbafo. Come i portoghesi che non pagano il biglietto su tram e treni. I quali circolano lo stesso, tanto pagano gli altri

di Mauro Suttora

HuffPost, 19 dicembre 2021

Libertà, libertà. E i libertari che ne pensano, della libertà di vaccinarsi invocata dai novax?

Libertari in Italia significa radicali, Pannella, Bonino. Sono stati loro a ottenere la libertà di divorziare, abortire, obiettare al servizio militare, praticare la fecondazione assistita. Sono sempre loro anche oggi a chiedere, con gli imminenti referendum, libertà di fumare cannabis e di decidere sulla fine della propria vita (eutanasia).

È radicale pure Davide Tutino, il professore di storia e filosofia che a Roma è diventato il primo obiettore di coscienza contro l’obbligo vaccinale a scuola, perdendo lo stipendio. Una disobbedienza civile in piena regola. Lo abbiamo conosciuto giovedì sera a Piazzapulita (La7), dove si è guadagnato i complimenti di tutti per la pacatezza del suo argomentare.

Ma Pannella cosa direbbe sui vaccini, se non fosse scomparso cinque anni fa? Tutino ha riesumato l’unica occasione in cui si espresse sull’argomento: un convegno radicale nel 1995 a Genova sulla proposta di obbligo vaccinale per i bambini (attuato nel 2017 dalla ministra Lorenzin). Ascoltati i relatori, fra cui un giovane professor Bassetti e il pioniere novax Gianpaolo Vanoli, Pannella disse che era scettico sul ruolo dello stato come “tutore della salute pubblica”. Ovvio per un libertario, ma lontano dalle fiammeggianti intemerate di un Ivan Illich o Michel Foucault.

Difficile comunque ricorrere all’ipse dixit, data la differenza del contesto: un quarto di secolo fa non c’era l’attuale emergenza planetaria. Cosicché oggi i radicali sono, come tutti, schierati in stragrande maggioranza per vaccini e greenpass. 

Tuttavia, il dilemma obbligo/libertà sui vaccini interpella inevitabilmente i libertari. Perché l’intromissione dello stato è evidente. Finché si sperava nell’immunità di gregge, non c’erano problemi: lo spazio per un 10-20% di refrattari era garantito. Ma le varianti hanno cambiato il gioco, e con omicron nessuno più sembra preoccuparsi di salvaguardare neanche una microscopica minoranza di obiettori al vaccino.

Dura da accettare per i radicali, abituati a opporsi alle solidarietà nazionali in nome delle emergenze, dal terrorismo in poi. “Né con questo stato, né con le br”, disse Sciascia (prima dell’omicidio Moro).

E oggi? “Né vax, né novax?” Impossibile, per il partito illuminista di Luca Coscioni, della libertà e fiducia nella scienza, della ricerca sulle cellule staminali, contro gli opposti oscurantismi: “No Vatican, no Taliban”, fu lo slogan pannelliano nel 2005, era pre-Bergoglio.   

E allora? A indirizzare i libertari, ecco l’abc dell’etica laica: l’imperativo categorico di Kant. Ovvero: ogni tua azione sia valida come legge universale.

Quindi coloro che non si vaccinano, come l’ottimo Tutino, immaginino un mondo in cui tutti seguano il loro esempio. È un comportamento replicabile? No. Perché tutti possono divorziare, abortire, far figli in vitro, fumarsi una canna o ricorrere all’eutanasia senza danneggiare gli altri. Non vaccinarsi invece danneggia: seppur in misura minima, se si crede agli scetticismi novax. Quindi la libertà di non vaccinarsi non è un diritto civile.

Insomma, i novax possono esistere solo in quanto rimangono al 5%. Se fossero di più avremmo 50 milioni di morti, non 5. Certo, il vaccino fa entrare lo stato nella nostra vita. Peggio, per un libertario: nel nostro corpo. Ma, anche ammettendo che le immunizzazioni possano essere rischiose o inutili, i novax si comportano da free-riders: evasori a sbafo. Come i portoghesi che non pagano il biglietto su tram e treni. I quali circolano lo stesso, tanto pagano gli altri. 

Questa si chiama irresponsabilità. E fa a pugni con il principio di legalità, ovvero lo stato di diritto. Che è la base della nostra convivenza civile. Ma anche la stella polare di tutti i libertari che praticano la disobbedienza civile. Perché Gandhi e Luther King si appellavano proprio alla legge e alla certezza del diritto, non a una generica ‘libertà’ populista e ribellista. Sulle orme di Antigone, denunciavano ingiustizie e discriminazioni. E pagavano scrupolosamente con arresti e carcere il prezzo delle proprie azioni dirette nonviolente, che violavano leggi da loro considerate sbagliate. Come hanno sempre fatto Pannella e i radicali. E oggi anche Tutino, seppure per una causa fallace.

Mauro Suttora 

Saturday, December 18, 2021

Dietro il Colle/ La doppia incognita Draghi-Berlusconi tra M5s e “poteri forti”

intervista a Mauro Suttora di Federico Ferraù

www.ilsussidiario.net, 18 dicembre 2021

Salvini e Meloni potrebbero usare le prime tre votazioni per fare un sondaggio “esplorativo” su Berlusconi. Per eleggere lui o puntare su Draghi 

Berlusconi farà da cavia: se il suo pacchetto di voti avrà un discreto margine, “Salvini e Meloni potrebbero essere tentati di cercare il colpaccio del 51% dopo la terza votazione”, dice Mauro Suttora, giornalista, opinionista sull’HuffPost e scrittore. Ieri, a Palermo per il processo Open Arms, Salvini ha dato ragione all’Economist: Draghi resti a palazzo Chigi. Pretattica?

Suttora scommette su Draghi al Colle (“puntata secca”), ma a patto che qualcuno lo candidi e che l’ex capo della Bce abbia garanzie sul premier (europeista) per comandare ancora.

Per poter influenzare l’elezione del capo dello Stato occorre governare i gruppi di Camera e Senato. Nel M5s chi ha l’ambizione di farlo? 

Conte, in teoria capo dei grillini. I quali però hanno già perso un terzo degli oltre 300 parlamentari eletti tre anni fa. Finiti soprattutto nel gruppo misto. Ma finora i vari dissidenti come Morra o Lezzi non sono riusciti a organizzarsi come polo alternativo ai 5 Stelle. Non hanno neppure gruppi parlamentari autonomi. Una ulteriore secessione dal partito di Conte si verificherà proprio in occasione del voto per il Quirinale, fra un mese.

Quanto anime ci sono tra gli eletti M5s?

Le correnti principali sono tre. Quella di Conte e Taverna, quella di Di Maio, e infine i movimentisti che guardano ancora a Di Battista.

È ipotizzabile un’iniziativa di Grillo, tra fine anno e gennaio, per tirare le fila del Movimento?

Grillo è il massimo dell’imprevedibilità. Neanche quelli più vicini a lui sanno cosa farà il giorno dopo. È rimasto un uomo di spettacolo, gli piace spiazzare, creare colpi di scena. Ora però è abbacchiato dalle disavventure giudiziarie del figlio, e anche sue.

Vale a dire?

Ha appena perso una causa a Napoli contro il dissidente Angelo Ferrillo, eliminato ingiustamente dalle elezioni regionali campane nonostante avesse vinto le primarie online. E Ferrillo ora gli chiederà i danni.

Conte ha ipotizzato una consultazione sul web. Fedeltà al Dna grillino o idea bislacca fuori tempo massimo?

Può darsi che la facciano. Nel 2013 le cosiddette Quirinarie furono vinte dalla giornalista Gabanelli di Report. Ma lei non accettò la candidatura, cosicché i grillini ripiegarono su Rodotà. Questa volta non hanno un candidato, quindi probabilmente si accoderanno su Draghi.

Esiste il rischio che il voto sul Colle diventi un regolamento di conti interno al Movimento?

Non è un rischio, è una certezza. Di Maio ha definito il suo rapporto con Conte come “franco”. In politichese, “franco” significa che se ne dicono di ogni.

Fabrizio D’Esposito ci diceva la settimana scorsa che i 5 Stelle non voteranno mai Berlusconi, nonostante le sue manifestazioni di stima per Conte e il Movimento. Che ne pensi?

Ha ragione. Nonostante la voglia matta di Conte, Berlusconi non è digeribile dai grillini: “Mi dà proprio un fastidio fisico”, urlava la Taverna.

Pare però che Berlusconi stia facendo una campagna acquisti nel senso vero del termine. E il primo ambito in cui pescare, oltre al centro, è proprio il calderone di M5s. Chi potrebbero essere i più sensibili?

Attenzione: Berlusconi sta pescando fra il centinaio di ex grillini che ora stanno nel gruppo misto. Può promettere loro un futuro politico oppure uno sbocco lavorativo fuori dalla politica. In ogni caso, uno stipendio. Come alle olgettine.

Basterà a Conte il patto con Letta per salvarsi politicamente?

No. Una buona metà dei parlamentari grillini non vuole andare al traino del Pd di Enrico Letta.

Strana l’intervista di Di Maio al Corriere di ieri. Secondo te quali segnali contiene?

Mi sembra avviato anche lui a votare Draghi presidente della Repubblica. In cambio di un’unica garanzia: che come premier gli succeda per un anno un governo qualsiasi, capace di evitare le elezioni anticipate e quindi il massacro dei grillini.

Su una cosa forse Di Maio ha ragione: quando dice che Berlusconi “potrebbe essere affossato dallo stesso centrodestra”.

Il centrodestra voterà Berlusconi come candidato di bandiera nei primi turni. Non verrà eletto, perché il quorum è alto. Però i voti che raccoglierà verranno attentamente contati, e se veramente la campagna acquisti si rivelasse fruttuosa, rivelando un pacchetto di almeno una ventina di voti oltre il perimetro del centrodestra, Salvini e Meloni potrebbero essere tentati di cercare il colpaccio con i quorum successivi del 51%.

Prima l’FT, poi l’Economist: ci sono pressioni molto forti perché Draghi resti al governo per eseguire il Pnrr e dare “stabilità”. Poi però lo stesso pezzo dell’Economist dice che Draghi vorrebbe andare al Colle. A tuo avviso cosa ha in mente?

Ovvio che Draghi miri al Quirinale, anche perché tutti gli altri sono a distanza siderale da lui. Ma certo non si autocandiderà. Dopodiché, sarà sempre lui a comandare. O attraverso un premier di transizione come Franco o Cartabia, oppure, in caso di elezioni, incaricando un premier europeista di sua fiducia: Giorgetti se vince il centrodestra, o Letta, Gentiloni, Sassoli se prevalesse il centrosinistra.

Qual è il tuo scenario?

Draghi, puntata secca. E anche se a Berlusconi dovesse riuscire lo scherzetto di raccattare tanti profughi ex grillini, alla fine il centrodestra ripiegherà su un nome accettabile da tutti. Per esempio Casellati, già oggi numero due della Repubblica come presidente del Senato. E, soprattutto, donna.

Federico Ferraù 

Monday, December 13, 2021

Che nausea i patrioti che hanno bisogno di confini in cui rinchiudersi


 

Perché quando Giorgia Meloni parla di un patriota al Quirinale mi assale un lieve stato di malessere

di Mauro Suttora

13 dicembre 2021
 

La statua di Giuseppe Mazzini nel Central Park di New York sta a 300 metri da Strawberry Fields, il memorial di John Lennon. Ci passavo davanti ogni mattina, per andare al lavoro alla Rizzoli sulla 57esima Strada. Non mi sono mai sentito più patriota e orgoglioso di essere italiano, ammirandola. E anche di fronte alla statua di Dante, poco più in là verso Columbus Circle, e a quella di Garibaldi a Washington Square. Facevo lavare ogni anno la bandiera tricolore che sventolava davanti alla mia finestra alla Rizzoli.

Però resto un fan di Lennon e del suo inno, “Imagine there’s no countries”: immagina che non ci siano Paesi. Sono peggio che europeista: mondialista. Anzi cosmopolita, cittadino del cosmo.

Quindi Giorgia Meloni non mi voterebbe presidente della Repubblica. Vorrei chiederle: nel 1944 chi erano i suoi tanto amati ‘patrioti’? I repubblichini o i partigiani?

“Il patriottismo è l’ultimo rifugio delle canaglie”, disse Samuel Jackson nel ’700. “Quando gli stati si fanno chiamare patria, si preparano a uccidere”, ha ribadito lo svizzero Dürrenmatt, chiudendo la questione. Aggiungerei: quando i sovranisti parlano di patriottismo, si rivelano fascisti. Perché la patria ha bisogno di frontiere, e di soldati per difenderle. O espanderle, come ora minacciano di fare Putin in Ucraina dopo la Crimea, e la Cina con Taiwan.

Sono affascinato dall’argomento. Nel mio libro ‘Confini’ (ed. Neri Pozza) mi consolo: constato che fortunatamente gli attuali neonazionalisti hanno abbandonato l’insalubre tendenza a volerli spostare in avanti, provocando guerre per secoli. Si limitano a proclamare recuperi di sovranità e identità, ma all’interno degli stati esistenti. Isolazionismo, non aggressione. Frontiere con trincee e muri per proteggersi, non per attaccare.

Ma allora, perché quando la pittoresca Giorgia parla di patrioti mi assale un lieve senso di nausea? Forse perché noto ancora la fiamma fascista nel simbolo dei suoi Fratelli. E ricordo la libreria Orion, qui a Milano in via Plinio, dove negli anni ’80 i ‘camerati del terzo millennio’ avevano come loro principale avversario non più il comunismo o le democrazie giudoplutomassoniche, ma il mondialismo. E all’Onu, alla pace universale e a un mondo senza confini contrapponevano una loro buffa paccottiglia subculturale fatta di Hobbit, leggende medievali, Atreju, esoterismo.

Erano contemporaneamente in retroguardia e all’avanguardia, perché negli anni ’90 anche gli estremisti di sinistra, orbati del comunismo, li raggiunsero nella polemica contro la globalizzazione (Seattle, Genova). I no global dei centri sociali si irritavano quando li avvertivo di questa primogenitura fascista sulle loro idee, ma che ci posso fare se Marx invece era globalissimo, e i compagni lavoratori sono sempre stati internazionalisti?

Ora abito in una via dedicata ad Augusto Anfossi, patriota morto nelle 5 giornate. Qui attorno tante vie di patrioti morti giovanissimi: Emilio Morosini (a 19 anni), Enrico Dandolo (22), Goffredo Mameli (21). Eroi che ammiro. Ma il “siam pronti alla morte” dell’inno è una frase necrofila poco in sintonia con la generazione Erasmus che abbatte le frontiere grazie ai low cost, e anche alla mia che scorrazzava per tutta Europa in autostop e treni Transalpino.

“Morire per delle idee? Sì, ma di morte lenta”, cantavano beffardi Brassens e De Andrè. Alla faccia degli ottimi patrioti mazziniani e delle nostalgie ducesche di Giorgia. Che ieri, sventurata, ha detto pure “Siamo dalla parte giusta della Storia”. Aiuto.

Mauro Suttora

Saturday, December 11, 2021

Nicola Chiaromonte, integerrimo politico e quindi necessariamente ‘non politico’

L’intellettuale lucano morto nel 1972 a 67 anni fu iscritto una sola volta a un partito: i neonati radicali, nel 1956 

di Mauro Suttora

HuffPost, 11 dicembre 2021

Google definisce Nicola Chiaromonte “politico”. Niente di più falso. L’intellettuale lucano morto nel 1972 a 67 anni fu iscritto una sola volta a un partito: i neonati radicali, nel 1956. I quali già due anni dopo sparirono dalla scena nazionale, dopo il disastroso debutto elettorale: 1,4% assieme ai repubblicani di La Malfa (il partito radicale si reincarnò poi sotto la guida di Pannella).

Fu questo, nel lungo dopoguerra italiano, il destino di tutti i partiti laici: stritolati dalle due chiese contrapposte, democristiana e comunista. Sorte toccata anche a Chiaromonte e a tanti uomini di pensiero indipendente come lui. E infatti anche la sua memoria è stata cancellata: se si dice Chiaromonte, chi sa un po’ di politica pensa soltanto al suo omonimo Gerardo, senatore Pci scomparso nel 1993 (nessuna parentela).

Invece Nicola Chiaromonte è stato un importante uomo di pensiero, come dimostrano le 1800 pagine del Meridiano che gli ha dedicato Mondadori. Fu anche un integerrimo politico, in realtà, e quindi necessariamente ‘non politico’. Un po’ come il ‘non tessuto’ con cui proteggiamo le nostre piante d’inverno, o come l’unica intuizione degna di nota di Casaleggio, fondatore dei grillini: il quale li definì ‘non partito’ dotandoli di un ‘non statuto’, essendo gli statuti dei partiti perlopiù truffaldini.

Durante il fascismo Chiaromonte stette nell’unico posto dove un deciso antifascista poteva stare: all’estero. Ma anche quando tornò in Italia dall’esilio in Francia e Usa rimase straniero in patria. E infatti fu amico stretto di Camus: il loro carteggio è stato anch’esso appena pubblicato da Neri Pozza.

Diversamente dallo Straniero per eccellenza degli anni ’50, tuttavia, Chiaromonte scampò all’epiteto di ‘rinnegato’: non fu mai comunista. Socialista libertario, negli anni ’30 aderì a Giustizia e Libertà dei fratelli Rosselli, ma la lasciò quando si trasformò da movimento in partito e si avvicinò troppo ai comunisti (che stavano massacrando gli anarchici in Spagna).

Fu tuttavia marchiato dall’accusa di ‘venduto’. Purtroppo vera, perché la sua rivista Tempo presente, fondata nel 1956 con Ignazio Silone (lui sì traditore del Pci), risultò finanziata dagli Usa. Più precisamente dal Congress for cultural freedom, organizzazione che nel 1967 un’inchiesta giornalistica rivelò essere aiutata dalla Cia.

Peccato che oggi ci appare risibile, per due motivi: primo, perché quasi tutti erano ‘pagati’, i comunisti da Mosca, Dc e Psdi da Washington; secondo, perché in tempo di guerra, seppur fredda, è lecito essere aiutati dagli alleati, come lo furono i partigiani contro i nazisti.

Ma Chiaromonte, ignaro dei soldi occulti, soffrì molto quando vennero alla luce e s’imbufalì con l’amministratore del giornale che lo aveva tenuto all’oscuro. Lui personalmente non aveva bisogno di quell’aiuto, poiché sbarcava il lunario come critico teatrale del Mondo e dell’Espresso. E lo ferì essere associato alla Cia, proprio lui che negli anni a New York aveva combattuto con il suo maestro anarchico Caffi non solo il nazifascismo, ma anche l’establishment capitalista Usa. E che su Tempo Presente non aveva lesinato critiche al maccartismo ed elogi a sacerdoti come Balducci e Milani, fautori dell’obiezione di coscienza al servizio militare.

Insomma, in questi tempi di polemiche strampalate contro un supposto mainstream vaccinista, è interessante leggere le pagine scritte da Chiaromonte, che mainstream non lo fu mai perché rifiutò l’arruolamento non in una corrente principale, ma in due contemporaneamente: la maggioranza democristiana e l’opposizione comunista. Lui e pochissimi altri stettero all’opposizione dell’opposizione. E pagarono con la sparizione, in vita e in morte.

Mauro Suttora