Wednesday, January 18, 2017

Il presidente più imprevedibile del mondo

di Mauro Suttora

Oggi, 18 gennaio 2017

Non si era mai visto nulla di simile. «Sarà un grande presidente, come Reagan», dicono i sostenitori. «È come un bambino di dieci anni che ha avuto in regalo un miliardo di dollari e un aereo», lo dipinge invece David Owen sulla rivista New Yorker.

Il 20 gennaio iniziano i quattro anni (rinnovabili) del presidente Donald Trump. Ecco alcuni suoi lati curiosi.

QUANTO CI COSTI
Nessun presidente Usa è mai stato ricco quanto Trump. Ma questa sua condizione di miliardario non farà risparmiare le casse pubbliche. I viaggi, per esempio. Donald si muove come una trottola: weekend invernali in Florida, estivi in New Jersey. 
Possiede tre aerei e tre elicotteri, ma contrariamente a Berlusconi non potrà usarli: il presidente dev’essere protetto e deve comunicare in ogni istante, esigenze soddisfatte solo dall’aereo Air Force One e dall’elicottero Marine One. E se torna nella sua Trump Tower di New York ogni venerdì, ogni corteo presidenziale dall’aeroporto a Manhattan costerà un milione di dollari per la sicurezza.

CINA
Il simbolo del capitalismo è contro il libero mercato: vuole proteggere i prodotti made in Usa con tariffe doganali. Viceversa, gli autocrati comunisti cinesi si trovano a difendere il liberismo globalista. Incredibile.

PACIFISTA NOGLOBAL
Trump è contro la Nato: «Obsoleta». Realizzerà il vecchio sogno pacifista di chiudere le basi atomiche Usa in Italia? E resusciterà i noglobal, spariti dopo le proteste di Genova 15 anni fa?

PERLE DI SAGGEZZA
Le frasi celebri di Trump sono raccolte in ben tre libri. «Siate impertinenti, sicuri di voi, brillanti, spiritosi, e avrete tutte le donne che volete». «In politica come nella vita, gli amici vanno e vengono, ma i nemici si accumulano». «Amo schiacciare la controparte e portare a casa affari miliardari. Non c’è nulla di più bello. Meglio del sesso, che pure apprezzo molto». «Se qualcuno vi offende, fategliela pagare. Altrimenti si passa per codardi». «Non concedetevi il tempo per dubitare. Quando pensate “Non sono sicuro di poterlo fare”, trasformatelo in “Mi sentirò grande quando l’avrò fatto!”.

3 MILIONI DI VOTI IN MENO
Trump ha avuto due milioni e 865mila voti meno di Hillary Clinton. Ha vinto soltanto grazie al sistema maggioritario dei collegi statali.

MERKEL
Trump detesta la cancelliera tedesca Angela Merkel. È il simbolo dell’Europa, e ha aperto la porta ai migranti.

IL MIO AMICO PUTIN
«Voglio vivere in pace con la Russia. Che c’è di male? Via le sanzioni»

DUE SUOCERE
Trump ha due suocere slave, molto presenti nella vita di famiglia. La ceca Marie Zelnickova, 89enne, ha cresciuto Ivanka al posto dell’indaffaratissima figlia Ivana. E oggi la aiuta con i tre bisnipoti. Sicuramente la seguirà a Washinton. Anche la slovena Amalia Knavs Ulcnik, 71, madre di Melania, è spesso a New York col marito Viktor. Con entrambe le suocere il presidente ha ottimi rapporti.

PRIMA I FIGLI
Scelte opposte ma simmetriche: Melania Trump non segue il marito a Washington perché rimane a New York fino alla fine dell’anno scolastico del figlio Barron; Obama invece abiterà nella capitale per almeno due anni, finché la figlia Sasha finirà il liceo, che non vuole cambiare. 
È la prima volta da quasi cent’anni che un ex presidente continua ad abitare a Washington dopo il mandato. E non era mai successo, in 217 anni, che la Casa Bianca non avesse una First Lady.

SANITÀ
La riforma sanitaria di Obama ha dato l’assistenza medica a 23 milioni di statunitensi. Trump vuole abolirla, perché i costi delle polizze sono aumentati del 27%. Ma è una misura impopolare. Quindi, per abbassare i costi, dice che obbligherà le case farmaceutiche a ridurre i prezzi delle medicine.

Mauro Suttora

Thursday, January 12, 2017

Ong complici degli scafisti?

FRONTEX ACCUSA: ALCUNE PRENDONO ADDIRITTURA APPUNTAMENTO IN MARE. MA LORO REPLICANO: “SALVIAMO SOLO VITE”

di Mauro Suttora

Oggi, 12 gennaio 2017

Complici dei trafficanti libici di uomini? L’incredibile accusa alle navi delle Ong (Organizzazioni non governative) arriva da Frontex, l’agenzia europea delle frontiere. La quale in un rapporto riservato dice che ai migranti potrebbero essere date «chiare indicazioni prima della partenza dalla Libia sulla precisa direzione da seguire per raggiungere le navi Ong».

Ci sarebbe stato addirittura un «caso in cui le reti criminali hanno trafficato migranti direttamente su una nave».

Le organizzazioni umanitarie respingono le accuse: «La nostra missione è quella di salvare vite umane», dice a Oggi Marco Bertotto di Medici senza Frontiere, «stiamo davanti alla Libia e interveniamo solo su indicazioni della Guardia costiera italiana, o su nostri avvistamenti di barche in difficoltà».

«Abbiamo l’obbligo di salvare uomini, donne e bambini che rischiano di morire in mare, svolgiamo esclusivamente operazioni di ricerca e soccorso», ci dice Daniela Fatarella, vicedirettore di Save the Children Italy.

Fra Sicilia e Libia operano varie flotte. Una decina di navi della missione Triton di Frontex, che però non si spingono vicino alla Libia. Fino a dieci navi delle Ong, che da uno-due anni stazionano al limite delle acque territoriali libiche (12 miglia, circa 20 km). Cinque navi militari della missione Sophia. Più altre navi della Nato e della nostra Guardia costiera. Alla quale arrivano le telefonate di richiesta di soccorso al numero 1530, tutte smistate alla centrale di Roma dove ci sono perfino traduttori.

Itinerari sospetti

È possibile che alcune chiamate siano fatte dagli scafisti, per prendere addirittura appuntamenti in mare?

È quello che sostiene la fondazione olandese Gefira, che monitora i movimenti di tutte le imbarcazioni col sistema Ais: «Un esempio? Il 12 ottobre 113 migranti sono stati recuperati alle nove di sera a otto miglia dalla Libia, da quattro navi Ong: Astral, Iuventa, Phoenix e Golfo Azzurro. Queste ultime due sono state avvisate dieci ore prima». 
Quindi, prima che i gommoni degli scafisti salpassero dalla Libia.

Chiediamo lumi al comandante della Guardia costiera Filippo Marini. Che esclude rendez-vous con i trafficanti: «Le telefonate che riceviamo sono sempre molto concitate, di gente in difficoltà, a volte sentiamo rumori di motori in sottofondo».

Ma è impossibile sapere se a chiamare siano i migranti o gli scafisti. «La società di telefoni satellitari Thuraya ci localizza in breve tempo la chiamata. E noi giriamo le informazioni alla nave di soccorso più vicina».

Però tutte queste navi a poche miglia dalla costa possono essere un incentivo per il traffico, quasi una calamita. 
«Ma qual è l’alternativa? Lasciarli affogare? Se un piromane dà l’allarme per un incendio che ha appiccato lui, i pompieri non rifiutano certo di intervenire», ci dice Bertotto.

Mauro Suttora

Tuesday, January 10, 2017

I liberali non vogliono Grillo



MENTRE IL COMICO SVACANZA IN KENYA CON BRIATORE, I SUOI ADEPTI COMBINANO PASTICCI ALL'EUROPARLAMENTO

di Mauro Suttora

settimanale Oggi, 10 gennaio 2017

Come messaggio di Natale aveva propinato ai suoi adepti un Elogio della povertà anticonsumista dello scrittore Goffredo Parise. Salvo poi volare in Kenya, come ogni Capodanno, nel resort di lusso dove passa le vacanze con la moglie Parvin. 

Ma la lontananza dall’Italia non ha impedito a Beppe Grillo di fare notizia ogni giorno. Prima proponendo un’improbabile Corte popolare che dovrebbe processare i giornalisti. Accusati tutti, senza eccezioni, di dire bugie sul suo Movimento 5 Stelle, diventato ormai il secondo partito del Paese. Enrico Mentana, direttore del Tg7, annuncia querela e lui fa marcia indietro.

Subito dopo, dietrofront anche sugli indagati. Finora i grillini si scagliavano contro qualsiasi politico ricevesse un avviso di garanzia: «Dimissioni!». Se capitava a uno di loro, lo usavano per regolare conti interni: salvi i fedelissimi, condannati i dissidenti come il sindaco di Parma Federico Pizzarotti.

Ora che si profila un avviso anche per la tribolata sindaca di Roma Virginia Raggi (è ancora in carcere il suo braccio destro Raffaele Marra), contrordine: «Dimettersi non è più obbligatorio, valuteremo caso per caso». 

I grillini si sono evoluti da forcaioli a garantisti? Macché: «Non cambia nulla!», assicurano loro. Anzi: ora verranno giudicati direttamente da Grillo, che nelle faccende interne è capriccioso come un satrapo mesopotamico. E nulla di buono attende la povera Raggi: «T'appendemo per le orecchie ai fili de li panni», promette la bellicosa sorella della senatrice Paola Taverna.

Ultima giravolta: l’Europa. Di colpo la società Casaleggio organizza un voto on line, senza preavviso, sul passaggio dei 17 eurodeputati grillini dal gruppo più antieuropeista (dell’inglese Farage) a quello più europeista: i liberali. All’insaputa degli stessi eurodeputati. Votano sì appena 31 mila sui 130 mila iscritti. E alla fine la beffa: i liberali non li vogliono.

«Trasformista come Razzi e Scilipoti»

«Un trasformismo così non si vedeva dai tempi di Depretis, o del Mussolini passato dal socialismo al fascismo. O di Razzi e Scilipoti», commentano gli ex grillini epurati.

Ma al simpatico comico poco importa. L’importante è fare notizia. Ci riesce anche stando al caldo di Malindi, nell’appartamento in un resort di lusso acquistato qualche anno fa e intestato, pare, alla cognata. Quest’anno niente foto con Briatore. Ma Beppe ha sofferto lo stesso. Perché lui in realtà detesta l’aereo, in Costa Smeralda ci va sempre in moto con il traghetto. Vola in Kenya solo per amore di Parvin.
Mauro Suttora


Thursday, January 05, 2017

Ultimo duello Obama-Trump

LA TRANSIZIONE TRA I DUE PRESIDENTI USA DIVENTA UN INCUBO

di Mauro Suttora

Washington, 5 gennaio 2017

Nessuno aveva immaginato i fuochi d’artificio degli ultimi due mesi. Barack Obama e Donald Trump se le stanno dando di santa ragione. Fortuna che il 20 gennaio il primo se ne va e il secondo gli subentra alla Casa Bianca, altrimenti la commedia dei due presidenti Usa andrebbe avanti e non si saprebbe più chi comanda negli Stati Uniti.

Obama fa condannare dall’Onu gli insediamenti di Israele in Palestina? «Non preoccupatevi, tenete duro che fra un mese arrivo io», twitta Trump al governo israeliano. 

Il presidente uscente espelle 35 diplomatici russi da Washington, accusati di essere spie? Quello russo fa il magnanimo e rinuncia a vendicarsi, perché sa che dopo il 20 gennaio l’amico Trump annullerà tutto. 

Obama proibisce di estrarre petrolio dall’Artico? Donald nomina ministro dell’Energia un texano lobbista dei petrolieri.

Al di là del colore dei capelli e della pelle, Obama e Trump sono uno l’opposto dell’altro. Per idee politiche, carattere, stile. Un democratico di sinistra e un repubblicano di destra. Un intellettuale compassato e un miliardario esuberante. Un politico riflessivo e un uomo d’affari imprevedibile.

Obama non ha mai nascosto la sua disistima per Trump: «Sfrutta rabbia, frustrazione e paura. È inadatto a fare il presidente. In gioco c’è la democrazia». 
E Trump ha detto peste e corna di Obama (mettendo perfino in dubbio che fosse nato negli Stati Uniti), salvo poi ringraziarlo dopo il primo loro incontro «per la cordialità e l’utilità». 
Ma la faccia schifata di Obama nella foto è sembrata quella di Enrico Letta mentre dava il campanellino a Renzi.

Sepolto ogni galateo. Da 220 anni gli Stati Uniti eleggono il presidente all’inizio di novembre, e dopo 70-80 giorni c’è la cerimonia di inaugurazione. Due mesi e mezzo di interregno che non avevano mai causato problemi. Neanche quando si sono dati il cambio avversari agli antipodi, come Carter e Reagan nel 1980 o Clinton e Bush vent’anni dopo.

Questa volta invece la transizione è drammatica. «Un capo alla volta», la regola che vige a Washington e che viene rispettata perfino a Roma, con l’inedita coabitazione fra due Papi e l’assoluto rispetto dell’emerito Ratzinger per il successore Bergoglio, è saltata. 
Anche perché i democratici sono furibondi: Hillary Clinton in realtà ha avuto quasi tre milioni di voti più di Trump, ma ha perso a causa del sistema elettorale frazionato in collegi.

Luttwak: «Casa Bianca patetica»

Di chi è la colpa della frattura? «Il presidente eletto deve tacere, senza intromettersi nelle ultime decisioni di quello uscente», dice Wolf Blitzer, il giornalista più famoso della Cnn. 
«Però quello uscente deve mostrare eguale rispetto per il successore», ribatte il commentatore Edward Luttwak, «quindi non può prendere decisioni importanti. Obama si è limitato all’ordinaria amministrazione su Israele e Russia? No. Le sue provocazioni sono patetiche».

Ma cos’è successo esattamente? Su Israele, da 40 anni l’Onu condanna le colonie israeliane che continuano a sorgere nel territorio del futuro stato di Palestina. Ma per la prima volta gli Usa non hanno messo il veto, e quindi la risoluzione è passata. Con grande scorno del premier di Tel Aviv, Benjamin Netaniahu.

«Anche gli israeliani più intelligenti sanno che costruire su suolo palestinese allontana la pace», ha rincarato il segretario di Stato John Kerry. 
Trump invece è così vicino alla destra israeliana da avere già annunciato il trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme (non riconosciuta come capitale di Israele).

Vladimir Putin è inoltre accusato da Obama di aver mobilitato hacker per danneggiare la campagna elettorale di Hillary Clinton. Un’interferenza gravissima, mai avvenuta neppure al culmine della Guerra fredda. Sono state pubblicate mail in cui i capi democratici favoriscono Hillary contro l’avversario delle primarie Bernie Sanders.

Chi le ha fornite a Wikileaks? La Cia è sicura: i russi. I quali ospitano a Mosca anche Edgar Snowden, l’ex agente segreto Usa che ha rivelato le manovre della Nsa (National security agency)
.
Anche qui, Trump non si è fatto scrupoli nel contraddire la Cia. Per “ripulirla” ha nominato l’italoamericano del Kansas Mike Pompeo. Un conflitto con pochi precedenti fra un presidente e i propri servizi segreti, che ingoiano ogni anno l’astronomica cifra di 500 miliardi di dollari. 

Obama invece ha ritenuto l’intromissione russa così grave da meritare una rappresaglia immediata: via 35 finti diplomatici di Mosca.

E avanti così, in un’interminabile sequenza di ripicche fra i due presidenti Usa. L’“anatra zoppa” Obama e Trump la scorsa settimana si sono telefonati. Gli addetti stampa assicurano che il colloquio è stato «tranquillo e costruttivo», ma la realtà degli attacchi via tweet di Trump dice il contrario.

Altro che anatre: questi sono due galli che si azzuffano nello stesso pollaio.

Mauro Suttora

Saturday, December 24, 2016

Politici non laureati

di Mauro Suttora

settimanale Oggi, 24 dicembre 2016

Probabilmente Valeria Fedeli sarà una brava ministra dell’Istruzione, perché ha l’esperienza più preziosa per quel posto: è una sindacalista, quindi andrà d’accordo con il turbolento mondo dei professori. Non è laureata, ma è finita nei guai per non averlo detto, più che per non averlo fatto. Aveva spacciato come dottorato un corso triennale di assistenti sociali. In più ora si scopre che non ha neanche la maturità: i suoi tre anni di scuola magistrale non gliel’hanno fatta raggiungere.

Ma la simpatica signora bergamasca si trova in folta e ottima compagnia. La metà dei capi dei quattro principali partiti italiani, infatti, non ha la laurea: Beppe Grillo è ragioniere, Matteo Salvini ha la maturità classica. Così come illustri premier del passato: Bettino Craxi si iscrisse a ben tre università (Milano, Perugia, Urbino) senza cavare un ragno dal buco e facendo arrabbiare suo padre; Massimo D’Alema fu ammesso alla prestigiosa Normale di Pisa ma anche lui abbandonò gli studi per la politica a tempo pieno.

La precoce attività di partito ha amputato anche gli studi di Walter Veltroni (diploma di una scuola professionale per la cinematografia), del presidente del Pd Matteo Orfini (pochi esami di archeologia) e di tre ministri colleghi della Fedeli: alla Sanità Beatrice Lorenzin, 50/60 alla maturità classica, al Lavoro l’agrotecnico Giuliano Poletti, e alla Giustizia Andrea Orlando, liceo classico.

Francesco Rutelli si è da poco reiscritto a 62 anni ad Architettura: gli mancano due esami e la tesi, «mi laureo come voleva mio padre». Anche la senatrice grillina Paola Taverna vuole recuperare: si è iscritta a Scienze politiche. Esigenza non condivisa da Umberto Bossi, che per anni fece finta di andare all’università di Medicina a Milano, mentre in realtà andava ad attaccare manifesti della Lega Nord. 
A Giorgia Meloni basta il diploma di liceo linguistico, a Maurizio Gasparri il liceo classico, e anche Francesco Storace non è laureato. Così come il suo successore alla presidenza della regione Lazio, Nicola Zingaretti (Pd, fratello dell’attore Luca), e l’assessore Lidia Ravera, scrittrice.

Michela Vittoria Brambilla ha portato a casa molti randagi, ma solo qualche esame di filosofia. Sempre nel centrodestra, anche l’ex sottosegretaria Michaela Biancofiore si è accontentata del diploma magistrale. Hanno agguantato una laurea triennale Stefania Prestigiacomo a 40 anni nel 2006 (Scienza dell’amministrazione alla Lumsa, Libera università Maria Santissima Assunta), Gianni Alemanno a 46 (Ingegneria dell’ambiente a Perugia), Alessandra Mussolini a 32 (Medicina).

Ma il record della laurea attempata va agli ex ministri Claudio Scajola, Legge a Genova a 53 anni, e Mario Baccini, 110 e lode in Lettere a 52 anni alla Lumsa con tesi su Amintore Fanfani.

Daniela Santanchè, dottore in Scienze politiche a Torino a 26 anni, è scivolata su un «master» alla Bocconi che esibiva sul sito ufficiale del governo: in realtà era un corso serale di 24 giorni per diplomati con licenza media inferiore. Peggio di lei è capitato al giornalista Oscar Giannino, che si è ritirato dalla politica per aver millantato lauree in Legge ed Economia e Master a Chicago. Anche l’ex Fratello d’Italia Guido Crosetto ha sbandierato una finta laurea in Economia.

Marco Pannella si laureò in legge a 25 anni (come Silvio Berlusconi), ma per farlo nel ’55 dovette emigrare da Roma a Urbino e sfangò un 66 grazie a una tesi sul Concordato scritta da amici. La sua collega radicale Emma Bonino invece è bocconiana come Mario Monti e Corrado Passera. Ma è stata una delle ultime a laurearsi nel corso in Lingue straniere, soppresso nel 1972.

Gianfranco Fini ha una laurea in Pedagogia ottenuta a 23 anni con pieni voti a Roma, ma senza frequentare le lezioni: nel 1975 i neofascisti del Msi venivano picchiati se osavano mostrarsi a Magistero, feudo dell’ultrasinistra. Non sono laureati i grillini Luigi Di Maio (otto esami in cinque anni fra Ingegneria e Legge) e Vito Crimi (fuoricorso in Matematica).
Mauro Suttora

Friday, December 23, 2016

Sopra la panca, Ivanka



IL PRESIDENTE TRUMP SCEGLIE LA FIGLIA COME SUO NUMERO DUE

di Mauro Suttora

settimanale Oggi, 23 dicembre 2016 

Il nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump sostituirà la First Lady con la First Daughter? Sua moglie Melania non si trasferirà con lui alla Casa Bianca il 20 gennaio. Ufficialmente perché non vuole far interrompere al figlio l’anno scolastico a New York. Ma in realtà tutti sanno che all’ex modella slovena, terza moglie di Trump, la politica interessa poco. E quando ha cercato di aiutare il marito spesso ha combinato disastri. Come alla Convention democratica della scorsa estate, quando ha copiato un discorso di Michelle Obama.

La figlia Ivanka Trump, invece, è sempre accanto al presidente da quando, 40 giorni fa, è stato eletto. Addirittura partecipa assieme a lui a vertici internazionali come quello con il premier giapponese Shinzo Abe.

Finta bionda come mamma Ivana, naso e seno rifatti, tre figli, la 35enne Ivanka non si limita a presenziare. L’arrembante daughter, infatti, è capace di organizzare scherzi orrendi a politici e vip che, dopo aver insultato il padre, ora si recano in mesta processione a baciargli la pantofola nella Trump Tower di Manhattan.

La prima vittima è stato l’ex vicepresidente Al Gore, premio Nobel e Oscar. Dopo un colloquio di mezz’ora con lei e cinque minuti col padre è sceso nell’atrio magnificando le idee “ecologiste” di Ivanka. Risultato: tre giorni dopo Trump ha nominato ministro dell’Ambiente un tizio che nega il cambiamento climatico.

Poi è stato Leonardo DiCaprio a finire nella rete della furba figlia. Anche lui democratico e ambientalista militante, è andato a Canossa senza ottenere alcun risultato.

L’ultimo incredibile voltafaccia propiziato da Ivanka col marito Jared Kushner è stato quello dei big del computer. Bill Gates di Microsoft e i capi di Apple, Google e Amazon, tutti supporter di Hillary Clinton fino a novembre, si sono lanciati in un coro di adulazioni per il «nuovo John Kennedy» (così lo sprovveduto Gates ha definito Trump). «Dobbiamo collaborare con chiunque sia al potere», si giustificano i neopatrioti.

«Mio padre mi ha insegnato a colpire per prima gli avversari, così capiscono subito con chi hanno a che fare»: parola di Ivanka a David Letterman nel suo show tv pochi anni fa. La ragazza non è cambiata. E ora si appresta a trasferirsi a Washington con il “first genero” Jared per essere la principale scudiera di Donald.

Dribbleranno la legge del 1967 contro il nepotismo che vieta al presidente dinominare parenti (come fece Kennedy col fratello Bob procuratore generale), evitando di percepire compensi. A Ivanka basterà incassare i 4 milioni di dollari del suo appartamento su Park Avenue messo in vendita a New York per rientrare nelle spese.

Lei non è stupida: ha frequentato il liceo di Jackie Kennedy a Manhattan, si è laureata a 23 anni in Economia nella stessa università del padre, la Wharton business school in Pennsylvania. E il marito Kushner continuerà a fare l’eminenza grigia on line di Trump, con la sua strategia di bufale per bypassare gli odiati giornalisti.
Mauro Suttora


I POTENTI IN GINOCCHIO DAVANTI A LORO

Questa foto fa capire subito il nuovo clima che si è instaurato negli Stati Uniti verso il nuovo presidente Donald Trump. Osteggiato e insultato durante la campagna elettorale, quando nessuno pensava potesse vincere, ora i potenti di Wall Street (finanza) e Silicon Valley (computer) fanno a gara per ottenere un incontro con i Trump nella sua Tower di New York. E a tutti i vertici c’è Ivanka (qui sotto indicata dalla freccia, accanto al fratello Eric), che spesso promuove in prima persona gli incontri.

Questo, in particolare, ha visto presenti i big californiani di Apple (Tim Cook, fuori dall’inquadratura), Facebook e Amazon (Jeff Bezos, quinto da sinistra). La California ha votato contro Trump al 70 per cento, e New York all’80, ma adesso i cosiddetti “poteri forti” mettono le vele al vento, e si rassegnano a collaborare con quello che ritenevano soltanto un personaggio folkloristico. La Borsa sembra approvare: da quando Trump è stato eletto, è ai massimi storici.
Mauro Suttora


Friday, December 09, 2016

Gli scandali Vatileaks

di Mauro Suttora

dicembre 2016 - speciale Oggi per gli 80 anni di papa Francesco

Il 19 maggio 2012 Gianluigi Nuzzi, giornalista del quotidiano Libero, pubblica il libro Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI. È il suo secondo volume sugli intrighi della Santa Sede, dopo Vaticano S.p.A. (2009).

Il libro rivela lotte di potere attorno alla banca del Vaticano, lo Ior (Istituto per le opere di religione). Viene scritto grazie a una fuga di documenti interni riservati su irregolarità finanziarie che coinvolgono l'allora segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone. Altri documenti rivelano addirittura un presunto piano per uccidere papa Benedetto XVI.

Lo scandalo prende il nome «Vatileaks» dall’inglese leaks (fughe di notizie), per assonanza con le rivelazioni di Wikileaks, l’organizzazione di Julian Assange che dal 2007 aveva pubblicato un’enorme quantità di documenti segreti di governi occidentali.

Papa Benedetto XVI istituisce una Commissione d’inchiesta composta da tre cardinali per individuare la spia interna. Il 24 maggio la Gendarmeria vaticana arresta per furto aggravato Paolo Gabriele, aiutante di camera del Papa da sei anni, uno dei suoi uomini di maggior fiducia: aveva carteggi riservati personali del Papa. Nello stesso giorno viene allontanato Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello Ior.

Un “corvo” (termine ripreso dalla “stagione dei veleni” di vent’anni prima a Palermo, che aveva nel mirino il magistrato Giovanni Falcone) rivela che le persone coinvolte nello scandalo sarebbero una ventina.

Il 30 maggio Benedetto XVI, al termine della sua udienza settimanale, definisce «esagerate» le rivelazioni, che «hanno offerto una falsa immagine della Santa Sede. Gli eventi degli ultimi giorni riguardo alla Curia e ai miei collaboratori hanno portato tristezza nel mio cuore». L’amarezza è tale che nove mesi dopo si dimetterà (non solo per Vatileaks, naturalmente).
  
Nell’autunno 2012 Paolo Gabriele e l’informatico Claudio Sciarpelletti, dipendente della segreteria di Stato, vengono processati dal tribunale della Città del Vaticano. Dopo una settimana Gabriele è condannato a tre anni di carcere, ridotti a un anno e mezzo. Il 22 dicembre Benedetto XVI lo visita e lo grazia. Sciarpelletti viene condannato a 4 mesi, ridotti a 2 e infine condonati.

Un secondo scandalo Vatileaks avviene nel novembre 2015. Vengono arrestati due “corvi”: monsignor Lucio Angel Vallejo Balda, 54enne spagnolo che papa Francesco aveva nominato nel 2013 segretario di una commissione per la riforma della struttura economica-amministrativa della santa Sede, e Francesca Immacolata Chaouqui, 34enne calabro-marocchina, sua collaboratrice nella stessa commissione. La Chaouqui, soprannominata “la papessa”, viene rilasciata perché collabora alle indagini.

L’accusa è ancora di sottrazione di informazioni riservate dello stato del Vaticano, e sempre per un libro di Nuzzi: Via Crucis. Da registrazioni e documenti inediti la difficile lotta di Papa Francesco per cambiare la Chiesa. Un altro beneficiario dalle rivelazioni è il giornalista del settimanale Espresso Emiliano Fittipaldi, che sullo stesso argomento scrive il libro Avarizia.  Le informazioni riguardano le spese della Santa Sede, già messe sotto indagine da papa Francesco.

I due giornalisti vengono processati dal Vaticano e assolti nel luglio 2016 per «difetto di giurisdizione»: la consegna dei documenti segreti non è avvenuta nel territorio della Santa Sede. E comunque il tribunale afferma che «il diritto divino garantisce la manifestazione del pensiero e la libertà di stampa nell’ordinamento giuridico vaticano».

Nello stesso processo monsignor Vallejo Balda è stato invece condannato a un anno e mezzo di carcere che sta scontando, nella speranza di un perdono papale; la Chaouqui a dieci mesi, con pena sospesa. Non sono mancati particolari piccanti, come una relazione fra la Chaouqui e il monsignore smentita da quest’ultimo.
Mauro Suttora

Come funziona la Curia vaticana

di Mauro Suttora

dicembre 2016 - speciale Oggi per gli 80 anni di papa Francesco

È la più grande e potente multinazionale del mondo: un miliardo e 300 milioni di fedeli, 415mila preti e religiosi, 5.200 vescovi. La Chiesa cattolica opera su cinque continenti, ed è amministrata dalla Curia romana.

Non è un mistero che uno dei motivi delle dimissioni di papa Benedetto XVI sia stato l’enorme peso di questa responsabilità organizzativa. Perciò papa Francesco sta dedicando grande attenzione alla riforma della “macchina burocratica” della Chiesa. Il Vaticano ha vari “ministeri”.

Il più importante è la Segreteria di Stato, guidata dal 2013 dal giovane cardinale vicentino Pietro Parolin (61 anni). È lui il più stretto collaboratore del Papa per le questioni politiche e diplomatiche: una specie di ministro di Interni ed Esteri. Sono ben 214 i nunzi apostolici (ambasciatori) nei Paesi del mondo (non ci sono relazioni solo con Cina, Afghanistan, Bhutan e Corea del Nord).

Per le questioni religiose, invece, l’organo principe è la Congregazione per la dottrina della fede (ex Inquisizione e Sant’Uffizio). È retta dal cardinale tedesco Gerhard Müller, 68 anni, nominato da papa Ratzinger nel 2012 ed elevato cardinale da papa Francesco due anni dopo.
Nel temibile palazzo di piazza Sant’Uffizio una sessantina fra funzionari e consulenti assistono i 25 cardinali e vescovi che vigilano sul rispetto della dottrina, esaminano aperture e condannano eresie.

Fra le nove Congregazioni, un’altra molto importante è quella per il clero, guidata dal 2013 dal cardinale 75enne Beniamino Stella, anch’egli veneto come Parolin, e come lui con grande esperienza internazionale: nunzio a Santo Domingo, Malta, Africa, Cuba, Colombia.
È il dicastero che segue i sacerdoti in tutto: vocazione, formazione nei seminari, vita privata, assistenza sanitaria, pensioni, stipendi, ministero nelle parrocchie.

Per i vescovi invece esiste una Congregazione apposita, di cui è prefetto il cardinale canadese Marc Ouellet, 72 anni. Papabile al conclave del 2005, nominato prefetto nel 2010 e confermato da papa Francesco, Ouellet è un conservatore: vorrebbe tornare all’adorazione eucaristica e reintrodurre il canto gregoriano.

La sua Congregazione seleziona e nomina i nuovi vescovi, erige nuove diocesi, vigila sul loro governo e organizza i viaggi che tutti i vescovi devono compiere a Roma ogni 5 anni per riferire sul loro operato.

Papa Francesco vorrebbe delegare di più queste funzioni alle conferenze episcopali dei singoli Paesi. Oggi infatti, fra tutte le religioni del mondo, soltanto quella cattolica è così accentrata a Roma. Questo garantisce unità della Chiesa ed evita spinte centrifughe, ma produce anche intasamento burocratico e verticismo.

L’organismo più delicato della Curia è l’Apsa (Amministrazione patrimonio sede apostolica). Papa Francesco non perde occasione per ammonire: i soldi servono a far funzionare le chiese, al sostentamento del clero, ma devono andare soprattutto in carità. A Natale 2014 ha elencato le 15 «malattie» della Curia: burocrazia, perdere di vista gli obiettivi spirituali, accumulare denaro e potere, «profitto mondano», «terrorismo delle chiacchiere».

Con sottile senso dell’umorismo, perfino sentirsi indispensabili e lavorare troppo: «Come Marta nel racconto evangelico, qualcuno si immerge nel lavoro, trascurando, inevitabilmente, “la parte migliore”: il sedersi sotto i piedi di Gesù. Il quale invece chiamò i suoi discepoli a “riposarsi un po’” perché trascurare il necessario riposo porta stress e agitazione».

Stress e agitazione hanno provocato in Vaticano alcune rivelazioni sull’Apsa (guidata dal 2011 dal cardinale Domenico Calcagno, che ha una strana passione per le armi da fuoco), come quella del banchiere Giampiero Fiorani che nel 2007 versò in nero all’Apsa 15 milioni di euro su un conto svizzero dove, secondo lui, il Vaticano avrebbe posseduto «due o tre miliardi di euro».

Due anni fa papa Francesco ha trasferito a una nuova Segreteria per l’economia molte competenze dell’Apsa, lasciandole la gestione dei fondi dell’8 per mille incassati ogni anno con le nostre denunce dei redditi: circa un miliardo di euro per mantenere 95mila chiese e 1.500 monasteri in Italia.

La nuova segreteria è guidata da George Pell (australiano, 75 anni) e Reinhard Marx (tedesco, 63enne), suoi cardinali di fiducia per la riforma della Curia. Altro uomo chiave è il cardinale filippino Luis Antonio Tagle, 59 anni, presidente della Caritas Internationalis che fa opere di carità per circa due miliardi di euro annui.
Mauro Suttora

Wednesday, December 07, 2016

Melania Trump in privato

di Mauro Suttora

Oggi, 7 dicembre 2016

«Ma allora siamo diventati poveri!» Questa, narra la leggenda, è la frase ironica che avrebbe pronunciato Melania Trump dopo la sua prima visita alla Casa Bianca.
In effetti, le stanze della residenza del presidente Usa non brillano per magnificenza. E certo non possono competere con i tre piani di attico e superattico per un totale di 3.000 metri quadri dove abita attualmente la coppia presidenziale.

Ma com’è nel privato la futura First Lady? Una donna arguta e dotata di senso dell’umorismo, come testimonierebbe la battuta sull’austera modestia della sua nuova dimora washingtoniana, o soltanto la terza “moglie trofeo” di un miliardario zotico, come insinuano gli avversari di Trump?
Lo abbiamo chiesto all’italiana che conosce meglio Melania e Donald: Susi Mion, signora originaria del Veneto, da dieci anni loro amica e vicina di casa nella Trump Tower di New York. Lei al 32esimo piano, loro dal 66esimo in su.

«Ho conosciuto prima Donald, per alcune questioni di condominio», ci dice la signora Mion, scovata a Manhattan dal quotidiano Libero. «Gentilissimo, ha voluto invitarmi a casa loro per presentarmi sua moglie. Così sono salita su, e mi ha accolto una giovane signora che, ho scoperto, oltre alla bellezza, possiede un dolce sorriso, eleganza e fascino».

Le vicine hanno subito legato, e Melania ha invitato Susi nella loro magione di Mar-a-Lago in Florida: «L’unico motivo per cui non ho accettato, è che temo che la mia cagnolina maltesina disturbi durante il viaggio nel loro aereo privato».

Che tipo di moglie è Melania?
«Una donna molto tranquilla, quasi imperturbabile. Le piace stare a casa, non esce molto. Direi che è la classica casalinga: cucina per Donald i piatti tipici del proprio Paese, la Slovenia, si dedica alle faccende domestiche. Uno potrebbe pensare: la bellissima ex modella capricciosa e presenzialista che passa il tempo a rompere le scatole al marito ricco con 24 anni di più. Invece è l’esatto contrario: una moglie devota. Capace di restare silenziosa, ma anche di ascoltare Donald, e soprattutto di dargli un consiglio al momento giusto. E di volare sopra le critiche, a lei e a lui».

Gli unici attacchi che Melania non sopporta sono quelli al figlio Barron. Che durante il discorso della vittoria del padre, alle due del mattino del 9 novembre, si stava quasi addormentando in piedi. Normale, per un bambino di dieci anni (anche se ne dimostra di più, è altissimo). Hanno detto che ha i sintomi dell’autismo, diffondendo video che lo proverebbero. Mamma Trump ha subito diffuso una violenta diffida del suo avvocato. Hanno dovuto scusarsi.
«Come madre Melania è affettuosa e piena di premure. Spesso accompagna il figlio a scuola, e lo va a prendere. Crea attorno a lui e a Donald quel clima di serenità che è fondamentale in ogni famiglia. Lei sarebbe anche un’abile imprenditrice, e lo ha dimostrato. Ma da anni ha deciso di dedicarsi alla famiglia. Anche molto del suo tempo libero lo trascorre a casa: invita amiche, legge, fa ginnastica pilates».

Barron frequenta una delle scuole private più costose d’America: la Columbia Grammar Prep, sulla 93esima Strada dell’Upper West Side, dall’altra parte di Central Park. Costa 45mila dollari l’anno (42mila euro), come l'università di Harvard.

Melania, contrariamente a Michelle Obama che si trasferì subito con le figlie a Washington, resterà a New York fino a giugno, per non far cambiare scuola a Barron durante l’anno scolastico. Con relativi brontolii dei genitori degli altri alunni, in un quartiere che ha votato Hillary Clinton al 90%: «All’ultima riunione di classe gli agenti dei servizi segreti ci hanno bloccato l’ascensore, siamo dovuti salire a piedi!».

«Ma Melania è tutt’altro che arrogante», assicura Susi Mion, «anzi la definirei timida: non urla mai, non eccede. Riesce ad avere un ottimo rapporto anche con Ivanka e gli altri figli di Donald». 
Il che non è facile, poiché la differenza d’età con loro è di pochi anni, e Ivanka non è la più mansueta delle creature.

Insomma, signora Mion, lei ci dipinge Melania come una donna praticamente perfetta.
«Ma se è vero, perché dovrei mentire? Guardi, un anno fa, all’inizio della campagna elettorale, il New York Times mi intervistò con altri vicini di casa. Chiesi l’anonimato, e dissi questa frase: “Se Trump ha scheletri nell’armadio, la Clinton ne ha il doppio”. Ma il giornale mi identificò come una “signora con la maltesina”. Il giorno dopo Donald mi mandò un biglietto di ringraziamenti».

Quindi neanche un punto debole in Melania? 
«Senta, quant’è bella lo vedono tutti. In più è intelligente e simpatica. Posò senza vestiti da modella? Meglio lei nuda che Hillary vestita. Con le altre donne non è competitiva, anzi è solidale e garbata. Parla sei lingue: sloveno, serbo, inglese, italiano, tedesco, francese. Se la si conosce la si ama. Piano piano conquisterà il cuore di tutti. Sarà una splendida First Lady».
Mauro Suttora

Thursday, December 01, 2016

Bob Dylan snobba la cerimonia del premio Nobel

Il 10 dicembre diserterà la cerimonia del Nobel. Ma è da mezzo secolo che questo misantropo conduce una vita riservatissima. Fa lunghi tour, ha avuto otto figli, due mogli, non va mai a feste, tiene tutto segreto. Qui un elenco delle sue manie

Los Angeles (Stati Uniti), 1 dicembre 2016

di Mauro Suttora (Oggi)

Un vecchio scorbutico, e anche un po’ cafone. Questa è la figura che ha fatto Bob Dylan rifiutando di andare a Stoccolma il 10 dicembre per ricevere il premio Nobel della Letteratura. Ma era prevedibile. Da mezzo secolo il cantautore statunitense conduce una vita da misantropo, evitando qualsiasi contatto sociale. E dal 1988 passa mesi e mesi ogni anno in tournée in giro per il mondo, come uno zingaro senza radici.

«È arrivato con tre bus, parcheggiandoli nei vicoli dietro al teatro Manzoni», racconta Giorgio Zagnoni, presidente del teatro di Bologna dove Dylan si è esibito in concerto un anno fa. «Ha voluto che il camerino fosse arredato con divani in pelle nera, e che dello stesso colore fossero 70 asciugamani per lui e lo staff di 45 persone. Ha un cuoco privato, che si porta dietro una cucina da campo con tutti gli ingredienti. Abbiamo dovuto allestirgliela nel camerino accanto».

Le solite stranezze da rockstar. Che, nel caso di Dylan, si assommano a una segretezza maniacale. Per anni non sono circolate foto della prima moglie, Sara Lownds, ex coniglietta di Playboy. Le dedicò due famose canzoni, Sad Eyed Lady of the Lowlands (che ne richiama il nome) e Sara nel 1976, quando il matrimonio era a rotoli. Col divorzio dovette darle 36 milioni e metà dei diritti d’autore. Lei s’è impegnata al silenzio a vita.

La seconda moglie è la sua ex corista di colore Carolyn Dennis, sposata nel 1986. Ma la notizia delle nozze filtrò solo 15 anni dopo: la casa comprata per lei e la figlia avuta assieme era a Los Angeles, ma lontana dalla sua residenza di Malibu con sei camere e sei bagni dove vive dal 1973.

Dylan ha avuto otto figli. Quattro da Sara, fra cui Jakob, pure lui musicista. Gli altri da relazioni più o meno lunghe, con una preferenza per coriste di colore. Il sito maggiesfarm.eu elenca una trentina di amanti, fra cui la cantante francese Françoise Hardy.

Dylan passa metà anno on the road, e metà nelle sue case di Malibu o nel natio Minnesota. A Malibu ha uno studio di registrazione privato, dove alla fine degli anni 80 nacque per gioco il famoso gruppo dei Travelin’ Wilburys (con l’ex beatle George Harrison, Tom Petty e Roy Orbison).

Lo sgarbo al Nobel («Grazie, sono onorato, ma non posso venire per impegni precedenti») arriva dopo che Dylan ha vinto tutti i premi del mondo: dall’Oscar (nel 2000 per la canzone del film Wonder Boys con Michael Douglas) al Pulitzer, dai Grammy alla Legion d’Onore francese.

Ma come lui si senta poco a suo agio durante le cerimonie lo si capisce guardando la foto che pubblichiamo, con Obama che gli conferisce la massima onorificenza statunitense e lui che poi scappa senza neanche salutare.

Strano, per un uomo abituato a stare sul palco. Sono quasi 4mila i concerti della sua carriera, tutti minuziosamente elencati nel suo sito e con la lista delle canzoni suonate: prima in classifica è All Along the Watchtower, 2.257 volte, poi Like a Rolling Stone, 2.011 e Blowin’ in the Wind, 1.412.

Negli anni 70 la prestigiosa università di Princeton ebbe l’avventata idea di dargli una laurea honoris causa.
Lui poi descrisse la cerimonia nella canzone The Day of the Locusts. Piaga biblica per Bob, un incubo:
"I banchi erano macchiati di lacrime e sudore / non c’era molto da dire,
niente conversazione / mentre salivo sul palco a ricevere la laurea /
Era tutto buio, puzza di tomba / volevo andarmene, faceva caldissimo/
al tipo vicino a me esplodeva la testa/ pregavo che i pezzi non mi finissero addosso/
Mi tolsi la toga, presi il diploma / scappai con la mia ragazza /
verso le colline del Dakota / felice di esserne uscito vivo".
Mauro Suttora

Vita privata dei Trump

di Mauro Suttora


New York (Stati Uniti), 1 dicembre 2016


È già scivolata due volte. Ivanka Trump, figlia del nuovo presidente degli Stati Uniti, sta usando la politica per fare pubblicità ai suoi affari personali. A luglio, dopo il suo discorso alla Convention repubblicana che incoronò il padre, si affrettò a mandare un tweet in cui invitava a comprare il vestito da lei indossato: meno di cento dollari ai grandi magazzini Macy’s, con tanto di link alla sua linea di vestiti.

C’è ricascata pochi giorni fa. La vicepresidente della sua società di vendita di gioielli ha pubblicizzato via mail il braccialetto indossato dalla First Figlia durante la prima intervista tv del padre da presidente a 60 Minutes, il programma politico più visto in America. Questa volta il prezzo online sul sito di Ivanka è di 10.800 dollari.

«Ma è una piazzista? Inaccettabile!», si è scandalizzata metà America, quella che non ha votato Trump. E anche qualche repubblicano, come la mitica Peggy Noonan che scriveva i discorsi di Ronald Reagan.
Dovranno abituarsi. Perché se noi italiani siamo ormai avvezzi allo stile Berlusconi, cioè a quello di un miliardario sceso in politica (ma senza mai scendere ai livelli di Ivanka), per gli Stati Uniti è la prima volta.

A imbarazzare Donald non c’è solo la figlia avuta dal primo matrimonio, quello con la cecoslovacca Ivana famosa anche in Italia. Anche il marito di Ivanka, il First genero Jared Kushner, è piuttosto ingombrante. Figlio di un ricchissimo immobiliarista (quasi quanto il suocero), non ha esitato a vendicare il padre facendo fuori dalla squadra presidenziale un pezzo da 90: Chris Christie.

Cassetta a luci rosse per vendetta familiare

La sua colpa: aver inflitto a Kushner senior due anni di carcere quand’era procuratore in New Jersey. Fra i reati commessi: aver assoldato per 10mila dollari una prostituta che portò il cognato di Kushner senior in un motel e filmò l’incontro. La videocassetta fu poi recapitata alla zia di Jared, colpevole di aver tradito la famiglia confessando finanziamenti illeciti ai partiti.

Ora Jared è il consulente politico più stretto di Trump. Abita con Ivanka e i tre figli nel palazzo Trump Park Avenue, a due isolati di distanza dalla Trump Tower, sulla Quinta Avenue: il presidente all’altezza della 57esima Strada, loro sulla 59esima.

Vivono nell’ex hotel dei Beatles e di Dylan
Il grattacielo Trump Park (“soltanto” 32 piani) ha una storia curiosa. Costruito nel 1929, era l’hotel Delmonico. Nel 1964 ci alloggiarono i Beatles durante il loro secondo tour degli Usa, e nelle loro stanze accolsero Bob Dylan che li iniziò agli spinelli.

Nel 2002 Trump lo acquistò per 115 milioni di dollari, pagò gli inquilini per andarsene, e lo ristrutturò. Oggi sfavilla nel quartiere col metro quadro più costoso del mondo (50mila dollari). E Ivanka anche lì fa da testimonial alle vendite, con le foto delle stanze arredate sul sito di Elle Decor.

Meno conosciuta è l’altra figlia del presidente, Tiffany, avuta dalla seconda moglie Marla Maples. Neolaureata, il padre le ha appena regalato un attico con vista su Central Park. Ha debuttato pure lei in politica con un discorso alla Convention, e sembra determinata a continuare l’impegno pubblico a fianco del padre.

Così la First Lady slovena, Melania, si trova in famiglia due concorrenti al femminile. Riusciranno ad andare d’accordo, o si scateneranno le gelosie? 
Per ora Melania non si trasferisce a Washington: «Mio figlio Barron deve finire l’anno scolastico a New York».

Ma la vita della tribù Trump è comunque piena di trasferimenti. Per i week-end c’è il palazzo affogato nel verde in mezzo al campo da golf privato del New Jersey. Per le feste invernali la famiglia si trasferisce in blocco a Mar-a-Lago, la favolosa residenza da sette ettari nella città dei miliardari, Palm Beach.

Florida: incredibile predestinazione

Una storia curiosa anche questa: costruita negli anni 20 da un’ereditiera che alla sua morte la diede al governo Usa, con la clausola che fosse destinata a residenza per presidenti.
Guarda caso, Trump la comprò nel 1985 e la trasformò in club di lusso. Qui si sono sposati Michael Jackson con la figlia di Elvis Presley, e lo stesso Trump con Melania. E oggi Mar-a-Lago può finalmente ospitare un presidente.
Mauro Suttora