Friday, September 23, 2016

Pannella, ritratto non riverente




Pannella, un ritratto non riverente









Sono passati poco più di quattro mesi dalla morte di Marco Pannella. Un tempo in cui la sua creatura politica, il Partito radicale – oggi nonviolento, transnazionale e transpartito – ha attraversato una fase complessa e convulsa, con un congresso discusso e un futuro irto di sfide e problemi, a partire da quelli economici che ingessano l’attività italiana e internazionale (ci si è dati l’obiettivo dei 3mila iscritti da raggiungere nei prossimi due anni). Nel frattempo, il dibattito sulla figura di Pannella – di certo un protagonista della politica italiana, per chi lo ha amato, odiato o ha oscillato tra i due sentimenti – continua: il primo libro uscito dopo la sua morte porta la firma di Mauro Suttora, giornalista di Oggi che sui radicali e il loro leader ha scritto per anni, su varie testate.

https://www.termometropolitico.it/1230419_pannella-un-ritratto-non-riverente.html
Pannella, uscito per Algama in formato ebook, più che un instant book è la terza versione allargata di due altri libri di Suttora, uno per decennio: nel 1993 arrivò Pannella, i segreti di un istrione, nel 2001 Pannella & Bonino Spa. 
I titoli dei precedenti sono già un programma: nessun intento agiografico, nessuna santificazione. Il libro appena uscito, a dispetto del titolo più neutro, resta un ritratto assolutamente irriverente, poco amante dei giri di parole e della diplomazia.

Intervistato, l’autore lascia trasparire anche una parte importante del suo vissuto (ed è normale: “per molti giovani negli anni ’70 – spiega – la politica è nata nelle discussioni in casa – in cucina, diceva Pannella – pro o contro le idee dei genitori) e analizza anche l’evoluzione e il futuro dei radicali. Che sopravviveranno anche alla scomparsa del loro demiurgo e alle difficoltà economiche, perché "rappresentano l’esigenza eterna della libertà".
pannella suttora
Suttora, il suo ultimo libro Pannella può considerarsi una terza stesura dei due volumi del 1993 e del 2001. Come mai l’ha impegnata tanto la figura di Pannella?
Ho sentito parlare di Pannella per la prima volta da mia zia, docente universitaria a Parigi, dove lo aveva conosciuto nei primi anni ’60. Poi confondevo il suo nome con quello di Capanna, leader del ’68. Infine ho incontrato per strada a Bergamo un banchetto radicale per l’obiezione di coscienza nel 1972: avevo 13 anni. Mio padre si abbonò al settimanale Panorama, e probabilmente la Mondadori regalò a Pannella l’indirizzario degli abbonati, perché nel 1973 cominciò ad arrivare a casa gratis il giornale di Pannella Liberazione (la testata che poi cedette a Rifondazione, così come diede generosamente ai verdi il simbolo del Sole che ride). Liberazione era buffo, perché ogni titolo tuonava contro il “regime”.
Lo trovavo interessante ma esagerato: per me i regimi erano ben altri, quelli fascisti in Cile, Spagna, Grecia, Portogallo, e quelli comunisti.  Ma per un ginnasiale come me, educato al laicismo dal mio nonno preside e latinista, i radicali furono fondamentali in quell’inverno 1973-74, con la campagna sul divorzio. Quando il prete gesuita della mia parrocchia bergamasca San Giorgio tuonò dal pulpito contro il divorzio, smisi di andare a messa. E nell’estate ’74 mi appassionai allo sciopero della fame di Pannella leggendo l’articolo di Pasolini sul Corriere della Sera e quelli successivi. Ero refrattario ai gruppuscoli marxisti del mio liceo, gli unici contestatori che vedevo moderni erano i radicali, così kennediani e simili alle proteste di Martin Luther King e degli studenti americani…
E poi?
Poi mi trasferii a Udine, e lì nell’estate ’75 fece tappa l’annuale marcia antimilitarista radicale: fu una serata straordinaria, con un concerto in piazza degli allora sconosciuti Napoli Centrale (con Pino Daniele tecnico del suono). Suonavano per i radicali anche Battiato, Bennato e De Gregori. Io però al liceo di Udine ero l’unico radicale. In Friuli c’erano molte caserme e servitù militari, così invitai a un’assemblea studentesca due obiettori che erano finiti in carcere: il radicale Renato Fiorelli di Gorizia e lo storico del Movimento Nonviolento di Vicenza Matteo Soccio. Ogni sabato pomeriggio c’era una riunione nella sede radicale udinese di via Mantica, ma le discussioni mi sembravano un po’ noiose. Inoltre c’erano troppi omosessuali del Fuori, e io al sabato pomeriggio preferivo uscire con le ragazze. Il 6 maggio 1976 finalmente c’era la prima tribuna elettorale del partito radicale: avrei potuto vedere Pannella in tv. Ma alle 9 di sera, pochi minuti prima dell’inizio, ci fu il terremoto del Friuli.
Un incontro mancato quindi… come continua la storia?
Sono stato un convinto attivista radicale fino al 1981. Mi elessero segretario dell’associazione di Udine a 20 anni, perché i giovani erano molto valorizzati. Partecipai al mio primo congresso radicale nel ’79 a Genova, e lì scoprii che Pannella nella vita interna del partito si trasformava da libertario in dittatore. Lo conobbi personalmente, mi invitò nella sua famosa mansarda a Roma, mi corteggiò non corrisposto, al congresso del 1981 a Firenze intervenni usando i miei 5 minuti per suonare con la chitarra una canzone antimilitarista di Donovan tradotta da me (Universal Soldier). Nel frattempo ero diventato segretario nazionale della Lega per il disarmo di Rutelli e dello scrittore Carlo Cassola. Ero molto impegnato nel coordinamento antimilitarista europeo che organizzava una marcia ogni estate: nel 79 la Carovana Bruxelles-Berlino-Varsavia, nell’80 la Lione-La Spezia-Livorno-Lubiana, nell’81 in Olanda contro gli euromissili, nell’82 in Spagna contro il confine bloccato di Gibilterra (mi arrestarono e finii in carcere).
Dopo l’81 che è successo?
Fra Natale e Capodanno 1982 camminammo da Catania a Comiso (Ragusa), dove gli americani volevano installare i missili Cruise atomici contro gli SS20 sovietici. Centinaia di pacifisti da tutta Europa scesero in Sicilia, dormivano in sacco a pelo nelle palestre delle scuole ad Augusta, Siracusa, Noto, Avola, Ragusa. Infine bloccammo i cancelli della base Usa di Comiso, ci furono arresti, finimmo sulle tv di tutto il mondo. Ma Pannella dal 1979 si era fissato con la battaglia contro la fame nel mondo (anzi lo “sterminio” per fame, come lui voleva si dicesse), e pretendeva che i radicali si occupassero soprattutto di quello. Comunque venne alla conferenza stampa iniziale della marcia a Catania, fu l’unico politico nazionale ad appoggiarci. Nel 1983 cominciai a lavorare a tempo pieno come giornalista (MessaggeroEuropeo) e smisi di iscrivermi al partito radicale per due motivi: innanzitutto non condividevo molto la linea di Pannella (preferivo Melega); in più, pensavo che i giornalisti non dovessero iscriversi a partiti, per rimanere neutrali. Ciononostante rimasi amico di Pannella e dei radicali. Ogni volta che potevo scrivevo articoli su di loro nell’Europeo: sull’obiettore totale Olivier Dupuis, sul congresso antiproibizionista di Bruxelles del 1988. E nel 1993, quando Pier Luigi Vercesi (allora caporedattore della Stampa, oggi direttore di Sette del Corsera) mi chiese di scrivere una biografia per la sua neonata casa editrice Liber, gli dissi che l’unico politico con una storia non noiosa era Pannella, e la scrissi.
Questo per quanto riguarda la “prima puntata”, e le successive?
Dopo il successo della lista Bonino alle europee 1999 (8%, 12% al nord) proposi una biografia di Emma Bonino ai principali editori italiani, ma tutti rifiutarono tranne Kaos. Per il quale quindi scrissi Pannella & Bonino Spa(2001), aggiungendo la storia di Emma a quella di Marco. Continuai a frequentare i radicali e Pannella, e a scriverne soprattutto sul Foglio. Quando Pannella e Capezzone vennero a New York (dove ho lavorato dal 2002 al 2006) ci vedemmo a cena.
Dopo la morte di Pannella nel maggio 2016 Edoardo Montolli, editore di Algama, mi ha chiesto una sua biografia. Così ho aggiunto gli ultimi 15 anni dal 2001, attingendo soprattutto ai miei articoli sul Foglio, su Oggi (quello del 2006 su Piero Welby) e sul settimanale Diario di Enrico Deaglio.
Nell’introduzione leggo: “Alcuni hanno considerato Pannella un genio, altri un impostore. Per molti è stato un profeta, per qualcuno un buffone. Ma tutti concordano su un giudizio: era un artista della politica e un maestro dello spettacolo”. Questa frase era già presente nell’edizione del 2001 (allora riferita pure a Bonino): in 15 anni per lei il ritratto davvero non è cambiato?
No
Dal suo libro – lei stesso parla alla fine di “biografia imparziale” – emerge un’immagine decisamente composita di Marco Pannella: per lei chi era o com’era? Cosa riconoscerebbe come maggior pregio e come maggior difetto?
Era un politico molto intelligente, colto e onesto, ma assolutamente privo della maggior qualità in un politico: la ricerca del consenso. Non gli interessava raccoglierlo, alle elezioni. La percentuale che otteneva il suo partito radicale gli serviva soltanto come podio per i suoi discorsi. O come batteria per il suo megafono. Purtroppo però anche in politica vale il motto dello sport: “Chi vince ha ragione, chi perde è un coglione”. Il suo maggior pregio? La capacità di provocare: ottima in un giornalista (qual era Pannella) o in un intellettuale, pessima in un politico. Maggior difetto: l’esibizionismo. Ricordo quando verso gli 80 anni cominciò a bere la sua pipì, ad addobbarsi con una canottiera nera e a farsi crescere il codone di capelli bianchi. Magnifico e orrendo.
Per Massimo Fini Pannella era “un prete”, per Gianni Riotta è stato prima “profeta”, poi “papa”: la lettera di “commiato” a Papa Francesco è perfettamente in linea con questo? E’ una lettera “tra pari”?
Purtroppo Pannella negli ultimi anni si considerava alla pari con papi e presidenti. Questo non gli impediva di continuare a parlare con tutti, su piazze e marciapiedi, ma avere come interlocutori Napolitano o papa Francesco lo elettrizzava. Il povero Mattarella si è dovuto sorbire un suo monologo di mezz’ora quando ha avuto la malaugurata idea di invitarlo al Quirinale pochi giorni dopo la sua elezione, nel febbraio 2015.
Ammesso che sia possibile distinguere tra la storia di Pannella e quella radicale, esistono battaglie vinte direttamente da Pannella, più che dal partito?
Il tormentone sullo “sterminio per fame nel mondo” con cui ci fracassò i marroni dal 1979 al 1985, e la battaglia suicida per l’amnistia con cui ha imperversato negli ultimi 10 anni della sua vita (dopo la batosta del referendum sulla fecondazione assistita del 2005), alienandosi tutti i radicali tranne qualche centinaio di “pannellati”, i quali dopo la sua morte hanno cominciato a fare la guerra ai radicali normali (Bonino, Cappato, Spadaccia, Cicciomessere, Staderini, Magi).
Nel libro ricorda che fu Pannella il vero inventore della riforma elettorale maggioritaria (e non Segni): quale rilievo ha questo passaggio, secondo lei?
Un rilievo nullo, come tutte le battaglie interne alla partitocrazia. Il metodo maggioritario sarebbe stato importante prima del crollo del comunismo (1989), per sbloccare il sistema politico italiano ingessato per 45 anni dall’impossibilità del Pci di andare al governo (per ragioni di schieramento internazionale).  Dopo, l’alternanza fra schieramenti è venuta automaticamente. E il Parlamento dovrebbe essere lo specchio rappresentativo del Paese, quindi eletto con metodo proporzionale, senza premi di maggioranza che distorcono la volontà popolare. Inoltre, i collegi uninominali maggioritari senza primarie sono una truffa (ricordo il primo voto del 1994, quando tutti gli schieramenti paracadutarono nei collegi amici, colleghi e famigli, nominandoli invece di eleggerli).
La governabilità (garantita automaticamente dal maggioritario che regala la maggioranza a uno schieramento), dev’essere invece assicurata dai politici con trattative per allearsi, dopo voti col metodo proporzionale. E’ il loro mestiere, il compromesso è l’essenza della politica. Infatti i grillini non vogliono allearsi con nessuno, perché sono antipolitici e antidemocratici, intimamente autoritari.
Mi ha colpito leggere che Montanelli disse di Pannella la stessa cosa che una volta disse di (e a) Guareschi: “Non ti spacco la testa solo perché temo di non trovarci nulla”. Mero artificio retorico-giornalistico o c’è qualcosa di più?
Straordinaria frase di Montanelli, che amava-odiava entrambi.
In questo libro il titolo è solo Pannella, ma dalla versione precedente ha mutuato la frase “Una biografia di Pannella non può prescindere dalla Bonino”. Sono davvero figure inscindibili, a dispetto di quanto sarebbe avvenuto negli ultimi due anni?
Sì, perché Bonino rappresenta la parte razionale di Pannella. È falsa la rappresentazione che danno alcuni radicali della divisione, al loro interno, fra ‘radicali-nonviolenti’ (Pannella e quelli che facevano gli scioperi della fame) e ‘radicali-democratici’ (Bonino, Teodori, Melega e tutti quelli alieni da certi metodi da fachiri indiani). In realtà anche Pannella è stato un grande radical-democratico, attentissimo alla “forma” della democrazia, alle procedure interne al partito radicale ed esterne (quelle del sistema politico italiano). Ricordo certi congressi radicali in cui Pannella spaccava il capello in quattro su questioni formali, senza mai scadere nel formalismo. Perché, come lui stesso ripeteva, in politica la forma è sostanza. La Bonino senza Pannella sarebbe una efficiente e banale socialdemocratica. Pannella senza la concretezza della Bonino (e prima di lei di Ernesto Rossi) sarebbe stato un eccentrico santone.
Venendo al partito radicale, nella sua seconda – e più famosa – vita era stato pensato come “uno strumento agile per condurre battaglie su singoli temi”. Cos’è diventato in seguito, cos’è ora e come ha fatto, secondo lei, a diventare così?
Il partito radicale resta quello dello statuto del 1967: partito libertario, senza probiviri, espulsioni, disciplina interna. Ci si iscrive per un anno, e ogni anno il congresso stabilisce una o più priorità. Chi le condivide ci lavora, chi non le condivide non si iscrive, se ne va per un anno, oppure resta preparando una battaglia interna per prevalere al congresso successivo.
Separazione fra eletti e cariche interne. Autofinanziamento.
Dopo la scissione del 1988 fra partito radicale transnazionale transpartito (praticamente una ong) e le varie incarnazioni per la politica interna (lista Pannella, nel 1999-2000 lista Bonino, dal 2001 Radicali italiani, nel 2006 Rosa nel pugno, liste Agl – Amnistia giustizia libertà), il Pr è diventato qualcosa di ideologico (i vaneggiamenti sulla “stella gialla” di un regime simile a quello antiebraico, quello della “peste italiana”). Più laica e potabile la declinazione italiana dei radicali, che però dal 2014 ha messo in minoranza Pannella, causando il dissidio con Bonino.
Come motto del Partito radicale si può scegliere “o ci scegli o ci sciogli”, lanciato da Pannella oltre 50 anni fa (prima ancora della “rifondazione” del Pr) o è meglio scegliere qualcos’altro?
“Se i radicali si sciolgono, da stronzi diventano cacarella”, commentò perfidamente Mastella quando Pannella, come al solito drammatizzando, lanciò il colpevolizzante slogan nel 1986. Lo slogan perfetto per i radicali è “Libertà”. Libertà nei diritti civili (libertari), in economia (liberisti), in politica (liberali), e pure a letto (libertini). Ma agli italiani invece piace arruolarsi in qualche fazione (patrizi/plebei, guelfi/ghibellini, comunisti/fascisti/democristiani, e poi berlusconiani, renziani, grillini) al servizio del buffone di turno (Mussolini, Fanfani, Craxi, Berlusconi, Grillo, Renzi, Salvini).
Nel 1982 Salvatore Sechi scrisse “Il pannellismo ha sepolto il radicalismo”: secondo lei era così e ha continuato a essere così?
Solo in parte. Infatti, nonostante la personalità straordinaria, magnetica e debordante di Pannella (che trattava i suoi con la delicatezza del satrapo mesopotamico), in questi decenni il Pr ha continuato a essere una delle migliori scuole politiche italiane, producendo personalità del livello di Rutelli, Capezzone, Della Vedova, Cappato, Staderini.
Leggendo il suo libro, si ha l’impressione di un partito che ha fatto molto, ma ha capitalizzato poco. È così?
Sì. Se tutti quelli che hanno votato radicale almeno una volta nella vita lo rivoltassero tutti assieme, probabilmente il Pr arriverebbe alla maggioranza relativa. Per decenni i radicali hanno svolto la funzione dei grillini: l’ultima spiaggia prima dello schifo per la politica, e dell’astensione. Ma penso che i radicali ci saranno anche dopo che i grillini saranno spariti, come è già capitato ai sessantottini di Manifesto, Pdup e Dp, ai verdi, alla Rete, ai dipietristi, ai girotondini e a tutti i movimenti di opposizione scomparsi in questi decenni.
La storia di Pannella e dell’area radicale è anche una storia e una carrellata di simboli. Quali sono stati, secondo lei, i più efficaci e i più travagliati? E come illustrerebbe il concetto di “biodegradabilità” dei simboli di cui spesso nella storia radicale si è parlato?
La biodegradabilità è una sciocchezza, perché i simboli devono durare per essere riconoscibili. In questo senso, il simbolo storico dei radicali è la Rosa nel pugno, usata dal 1976 al 1988, e poi nel 2006. Prima c’era la Marianna col berretto frigio della rivoluzione francese, oggi recuperata dall’omonimo movimento del redivivo Giovanni Negri. Le altre invenzioni (liste Pannella, Bonino, Agl) non hanno avuto successo. Il simbolo del partito radicale transnazionale (Gandhi in bianco e nero) non può essere usato in competizioni elettorali, perché perderebbe la sua caratteristica super partes e lo status di accreditamento all’Onu (Ecosoc). Pannella, poi, aveva comprato nel 1977 il marchio del Sole che ride, donandolo agli Amici della Terra, e poi lo regalò ai verdi nel 1985.
Se Pannella, di fatto, è stato il collante che ha mantenuto insieme un gruppo a dispetto della vistosa frattura interna, dopo la sua morte è inevitabile domandarsi: che fine farà il partito e l’area radicale?
Continueranno. Perché i radicali sono gli anarchici della politica, e in una forma o nell’altra rappresentano un’esigenza eterna: quella della libertà, contro i tentacoli dello stato, del conformismo, della disciplina, delle gerarchie, del politicamente corretto.

Wednesday, September 21, 2016

parla lo scienziato Riccardo Gottardi







































La cura per le ossa fragili arriva dallo Spazio

UN'APPARECCHIATURA PER LO STUDIO DELLE MOLECOLE CHE CONTRASTANO OSTEOPOROSI E OSTEOARTROSI.
L'HA MESSA A PUNTO UNO SCIENZIATO ITALIANO. LA NASA LA SPEDIRÀ IN ORBITA. E SARÀ UN BENE ANCHE PER NOI

di Mauro Suttora

Oggi, 21 settembre 2016

Le buone notizie per chi soffre di osteoartrosi (5 milioni di italiani, la metà degli ultrasessantenni) ci arrivano dallo Spazio. E da uno scienziato italiano, Riccardo Gottardi, che ha messo a punto un bioreattore per lo studio delle molecole che curano l'osteoartrosi e l'osteoporosi. Dal suo laboratorio all'università di Pittsburgh (Stati Uniti), finanziato dalla fondazione Ri.MED di Palermo, Gottardi sta per spedire nello Spazio la sua preziosa invenzione.

Casis, l'ente della Nasa che gestisce la ricerca sulla Iss (International Space Station) ha infatti accettato di ospitare il bioreattore e di far condurre esperimenti dagli scienziati-astronauti sulla stazione orbitante. Gottardi è stato addirittura ricevuto alla Casa Bianca per presentare il bioreattore.

«Grazie all'assenza di gravità, non simulabile a terra», ci spiega Gottardi, «studi per la validazione dell'efficacia di farmaci e terapie che richiederebbero anni vengono compiuti in poche decine di giorni, perché nello Spazio i processi degenerativi subiscono una forte accelerazione».

CAPIRE I MECCANISMI

Così, per esempio, si potranno testare in un solo mese gli effetti a lungo termine dei bisfosfonati su ossa e cartilagine. Il bioreattore di Gottardi permette di capire come interagiscono i tessuti delle articolazioni, e di sviluppare nuove cure per bloccare e anche far regredire patologie degenerative come l'osteoartrosi e l'osteoporosi.

Infatti uno dei più grossi ostacoli per capire i meccanismi della malattia e per mettere a punto farmaci che ripristinino la cartilagine, è che quest'ultima interagisce con l'osso, e quindi non può essere studiata separatamente. Il bioreattore crea artificialmente un insieme di ossa e tessuti vascolarizzati in cui si analizzano gli effetti dell'interazione: come reagisce un tessuto osseo quando la cartilagine è rovinata, e viceversa.

RISCHIO DI FRATTURE

L'invenzione di Gottardi è stata apprezzata dalla Nasa perché l'osteoporosi è uno dei principali problemi delle lunghe permanenze in orbita: anche in astronauti perfettamente sani, con la mancanza di gravità si verificano perdite di tessuto osseo, con rischio di fratture e problemi di circolazione. Le ricadute per le applicazioni cliniche sulla Terra saranno notevoli: osteoporosi e osteoartrosi infatti affliggono centinaia di milioni di persone. E il dolore provocato da queste patologie croniche è spesso così invalidante da avere un impatto devastante sulla vita dei pazienti.

«Se riusciremo in un paio di mesi a validare gli effetti a lungo termine di farmaci e terapie», dice Gottardi, «potremmo fare un incredibile passo in avanti nella ricerca, aiutare moltissimi pazienti e ridurre drasticamente i costi sociali legati alla malattia».

VELOCITÀ E SOLDI

Riccardo Gottardi, 39 anni, originario di Lonato (Brescia), laureato in Fisica a Pisa, fino a cinque anni fa conduceva le sue ricerche al dipartimento di Ingegneria biofisica ed elettronica dell'università di Genova. Poi ha ottenuto un finanziamento dalla Fondazione Ri.MED, ed è andato a Pittsburgh.

«In un'università americana ottieni in una settimana quello che in molte realtà italiane se va bene ti impegna per un mese», spiega Gottardi. «Le cose lì sono più veloci, c'è anche maggiore disponibilità economica, e questo aiuta moltissimo la ricerca. La grande sfida della Fondazione Ri.MED è proprio quella di fare leva sulla sinergia con gli Usa per trasferire i migliori meccanismi di eccellenza nella realtà italiana e usarli in particolare come volano per l'economia della Sicilia, proprio come la ricerca biomedica è stata uno degli strumenti a Pittsburgh di conversione dall'industria pesante dell'acciaio a una industria verde della conoscenza».

Mauro Suttora










































Friday, August 19, 2016

La Pascale riaccolta dai Berlusconi

di Mauro Suttora

Porto Rotondo (Olbia Tempio), 19 agosto 2016

Sembrava finita. Prima l’operazione a cuore aperto per Silvio Berlusconi, e le accuse non tanto velate della famiglia e degli amici più stretti alla giovane fidanzata Francesca Pascale di non averlo salvaguardato dallo stress in campagna elettorale.

Poi i commenti sarcastici sulla foto di lei che piangeva da un balcone dell’ospedale San Raffaele nel giorno dell’operazione.
Infine, la quasi reclusione di Francesca a dieci chilometri da Arcore (Monza), dov’era tornato Silvio in convalescenza dopo un mese di ricovero. Berlusconi le aveva regalato la lussuosa villa Giambelli di Casatenovo un anno fa: vicini ma lontani, assieme ma non più in casa.

Tutto superato. Oggi aveva già documentato con foto che in realtà già in luglio i due si erano rivisti a cena a villa San Martino di Arcore.
E ora Francesca, che sta assieme a Berlusconi da quattro anni, è stata accolta da tutta la famigliona riunita per le vacanze a villa Certosa di Porto Rotondo.

Mancava solo la primogenita Marina, che il 10 agosto aveva festeggiato in Sardegna il suo cinquantesimo compleanno. Ma, per il resto, i rapporti di Francesca Pascale con gli altri figli sembrano tornati ottimi.
Silvio, che fra un mese compie 80 anni, è felice per la salute ritrovata, per la quiete famigliare, e anche per la doppia gravidanza delle sue figlie più giovani.

Femminuccia in arrivo

Barbara, triste per la vendita del suo Milan ai cinesi, avrà un terzo figlio dal compagno Lorenzo Guerrieri (5 anni più giovane di lei) dopo quelli con l’ex Giorgio Valaguzza. Ed Eleonora sta per regalare una nipotina al nonno, sempre con il compagno inglese, l’ex modello Guy Binns. 

Wednesday, August 17, 2016

Biografia definitiva di Pannella

IL PRIMO AMORE. I RADICALI CHE SCOPAVANO NEI GABINETTI. I LANCIATORI DI MERDA. LA FUGA DI TONI NEGRI. IL LIBERISMO. LE BATTAGLIE ALL'ONU

di Mauro Suttora

Libero, 5 agosto 2016


alcuni estratti dal libro:

Anni ‘30
Sulla spiaggia di Pescara nel 1938 il piccolo Marco Pannella, 8 anni, scopre il razzismo: «Avevo una compagna di giochi, si chiamava Adria. Era il mio primo amore, avevo preso una cotta gigantesca per lei. Ci vedevamo tutti i pomeriggi a giocare. Ma un giorno, d'improvviso, non si vide più. Scomparsa. Era figlia di ebrei, la sua famiglia era scappata a Tangeri. Allora ho capito cosa vuol dire perseguitare le minoranze. Fatterelli, ma dimostrano che vita privata e vita pubblica sono un tutt'uno. È sempre l'esperienza personale che si trasforma in politica».

Anni ‘40
«Un giorno, nel ‘45, ho visto in edicola il quotidiano Risorgimento liberale, organo del Pli. L'ho comprato, mi ha interessato. C’era dentro quel che più amo, la libera discussione intelligente. Da quel giorno ne ho sempre comprato due copie: una per me e una per i miei compagni di scuola, perché la leggessero e ne discutessero, mi portassero le loro obiezioni ed esponessero le loro idee...» È divertente immaginare il Pannella quindicenne impegnato già allora in una missione di proselitismo permanente.

Anni ‘50
Nel 1950 Pannella diventa capo nazionale degli universitari liberali. Augusto Premoli, senatore pli: «Spiccava per gusto della polemica, qualità degli argomenti e, come avrebbe detto Einaudi, per il felice paludamento verbale con cui difendeva le proprie tesi. A queste doti aggiungeva fantasia, fiuto nello stanare e inventare temi che avrebbero fatto presa sull'opinione pubblica, e uno spiccatissimo senso del teatro. Eravamo spettatori non del tutto convinti, ma certo attratti dal livello della recita».

Anni ‘60
Nel 1965-'66 i radicali attraggono gli hippies che seguono la rivoluzione musicale di Dylan, Beatles e Rolling Stones. «Eravamo 70-80 in tutta Italia», racconta Pannella, «quelli delle marce antimilitariste, dei capelloni e delle canzoni pop, delle sedi dove si scopava nei gabinetti, in cui si ciclostilavano i volantini e si preparavano i cartelli-sandwich, in cui già apparivano attivi gli omosessuali, in cui si riunivano anarchici e situazionisti, iraniani e sudvietnamiti, disertori e latitanti, divorzisti e cristiani anticlericali...»

Anni ‘70
Nel 1979 il segretario radicale Jean Fabre e Angiolo Bandinelli, consigliere comunale a Roma, si fanno arrestare per aver fumato uno spinello: chiedono la legalizzazione delle droghe leggere. Poi Fabre viene incarcerato nella sua Francia. «Andiamo tutti a Parigi in corriera per protesta», propone Pannella. Ma la sua idea viene bocciata dai radicali a congresso: è la prima volta che capita. Sdegnato, il leader definisce «lanciatori di merda» gli oppositori. I quali impediscono l'elezione a segretario di Giovanni Negri, un 22enne beniamino di Pannella.


Anni ‘80
Nel 1983 il parlamento dice sì all'arresto del deputato radicale Toni Negri. Il professore scappa in Corsica da Punta Ala sulla barca di Emma Bonino, con l'impegno socratico di tornare per farsi arrestare in grande stile e suscitare così un «caso». Ma a Parigi Negri cambia idea. Pannella lo va a trovare. Litigano. Racconta Negri: «Due giorni di discussione con il Guru. Faticosissimi. Lui, con cinismo avvoltolato in bistecche di sorrisi, mi fa capire che debbo accettare il suo piano: consegnarmi alla polizia». Missione fallita.

Anni ‘90
Nel 1993 sondaggi danno i radicali al quarto posto dopo Dc, Pds e Lega. A Mixer un‘intervista di Giovanni Minoli a Pannella fa il record: otto milioni di spettatori. Tangentopoli procede, con indagini su centinaia di parlamentari. Pannella organizza un convegno apposito contro Eugenio Scalfari: «È un libertino mascherato da tartufo, che con una mano indica il Dio della Democrazia e con l'altra tocca le cosce dell'autoritarismo e della corruzione. Ha fornicato per anni con coloro che attaccava».

Anni 0
«Porteremo le gigantografie di Roosevelt e di Milton Friedman». Marco Pannella promette una presenza «non banale» dei radicali alla manifestazione pro-Usa del 10 novembre 2001 a Roma, dopo la strage delle Torri gemelle. «Oppure srotoliamo dal Pincio uno striscione con le bandiere di Stati Uniti, Gran Bretagna, Israele e la nostra, quella col viso di Gandhi».
Roosevelt e il capo degli economisti di Chicago non hanno nulla in comune, tranne la nazionalità americana e l’antiproibizionismo: il presidente del New Deal legalizzò gli alcolici, il Nobel liberista voleva liberalizzare anche lo spinello.
Ma i radicali sono i precursori dell’Usa Pride: da 15 anni propugnano istituzioni americane (collegi uninominali), giustizia americana (pubblica accusa distinta dai giudici), economia americana (mercato libero).

Anni 10
La notte del 21 aprile 2014 Pannella, 84 anni, viene ricoverato al policlinico Gemelli di Roma per un aneurisma all’aorta e messo in terapia intensiva. Poi ricomincia uno sciopero della sete contro il sovraffollamento delle carceri e per l’amnistia, che interrompe dopo una telefonata di papa Francesco. Pannella afferma di essere divenuto amico del pontefice argentino, e di ammirarlo.
In estate riprende la protesta nonostante un tumore ai polmoni con metastasi epatica, per cui subisce operazioni e radioterapia. Il 28 luglio si fa fotografare in un ristorante sotto casa mentre mangia un piatto di pasta al pomodoro dopo la prima seduta di chemioterapia. E continua le sue visite nelle prigioni di tutta Italia, anche a Ferragosto, Natale e Capodanno. In autunno viaggia in Niger.
Nascono le sue ultime campagne: per «il passaggio dalla ragion di stato allo stato di diritto», e per il «riconoscimento da parte dell’Onu di un nuovo diritto umano: quello alla conoscenza». 
Mauro Suttora

Saturday, July 30, 2016

Merkel, vacanze in Italia

Anche quest’anno la cancelliera tedesca sceglie l’Italia per le  ferie: val Venosta in Montagna, Ischia al mare. Ecco le sue abitudini e le piccole manie per rilassarsi. Perché il ritorno a Berlino non sarà facile

di Mauro Suttora

Oggi, 30 luglio 2016

Sveglia ogni giorno alle sette. E alle nove, invariabilmente, si parte. Angela Merkel, cancelliera tedesca, è affezionatissima all’Italia. Mare a Ischia e montagna qui in Val Venosta, ai piedi dell’Ortles. Da quasi dieci anni ormai, con un piccolo “tradimento” fugace nella vicina Val Pusteria.

Quest’anno il tempo è stato così così, ma basta che non piova e frau Merkel  trascina ogni giorno il suo secondo marito, l’imperturbabile Joachim Sauer, docente universitario di chimica, in lunghe passeggiate per i sentieri nei boschi.

Ma non sono camminate qualunque: nordic walking, si chiamano quando si usano due bastoni da sci di fondo per agevolare i passi. Usanza recente, nata meno di vent’anni fa ma diffusa ormai ovunque.

Davanti all’hotel di Solda ogni mattina si raduna un piccolo gruppo di agenti in borghese e in divisa, italiani e tedeschi, che sorveglia uno dei bersagli più appetiti dai terroristi.

Ma è una scorta discretissima, niente a che vedere con i cortei blindati di altri potenti del mondo. Anche perché bisognerebbe bloccare accesso e transito per vari chilometri, visto il continuo movimento della placida coppia.

Spesso Angela studia itinerari più impegnativi, e allora ecco seggiovie e funivie per portarla in quota. Ma il disturbo per gli altri turisti è minimo: gli uomini della scorta occupano soltanto il sedile precedente e il successivo a quello della cancelliera.

La quale approfitta di questi giorni per ritemprarsi, dopo un pesantissimo luglio. Gli attacchi dei terroristi islamici hanno violato la quiete tedesca, e a poco vale precisare che i nove morti di Monaco di Baviera sono stati opera di uno squilibrato afghano-tedesco, senza motivi politici o religiosi.

Anche in questi drammatici frangenti la Merkel ha sfoggiato una calma rassicurante. Non si è lanciata in dichiarazioni immediate, come il francese Hollande: ha aspettato molte ore, a volte giorni, prima di rivolgersi pubblicamente ai propri cittadini. Una discrezione agli antipodi del presenzialismo su twitter e facebook.

Un anno fa la cancelliera ha lanciato il suo storico invito: «Profughi siriani e irakeni, venite in Germania. Vi accoglieremo».

Il bilancio non è stato positivo. Su un milione di rifugiati ospitati dai tedeschi, solo una cinquantina finora ha trovato lavoro in una grande azienda. L’economia va bene ma rallenta, e anche in Germania il partito populista cresce. L’anno prossimo si va al voto. Se Angela Merkel vincerà, il mondo  potrebbe essere guidato da tre donne: Hillary Clinton (Usa), Theresa May (Gran Bretagna) e lei.
Mauro Suttora

Thursday, June 30, 2016

Enciclopedia della Brexit

COSA ACCADRA' DOPO IL REFERENDUM CHE HA DECISO L'USCITA DEL REGNO UNITO DALL'UNIONE EUROPEA?

di Mauro Suttora

Oggi, 30 giugno 2016



E adesso, che cosa succederà? Il Regno Unito era nell'Unione europea dal 1973. Non aveva aderito all'euro e non aveva abolito le frontiere, ma stava in Europa. Ecco che cosa cambierà, dall'A alla Z.

ALBANIA. È il primo Paese in lista d'attesa per entrare nella Ue, con Serbia e poi Turchia. Ora sarà più dura, visto che proprio l'adesione 10 anni fa di Romania e Bulgaria, altri Paesi balcanici, è stata una delle cause scatenanti del Brexit (insofferenza verso gli immigrati comunitari).
BANCHE. "No all'Europa delle banche", è lo slogan dei NoEuro. Dimenticano che la Ue si occupa di tante altre cose, dalla protezione dei consumatori a quella dell'ambiente. E che se qualche banca è stata salvata dal fallimento, tanto meglio per i piccoli azionisti e risparmiatori, visti i disastri delle banche Etruria, Vicenza o Marche.
CAMERON. Come un politico può suicidarsi indicendo un referendum. Alcuni augurano lo stesso a Renzi in ottobre. Ma il premier britannico non è stato l'unico a illudersi che il Brexit perdesse: bookmakers e Borse di tutto il mondo ne erano convinti fino all'apertura delle urne.
DANIMARCA. Civilissimo Paese scandinavo modello di accoglienza per i profughi fino a un anno fa. Ma ora, dopo la moltiplicazione degli arrivi, ha chiuso le frontiere. Sequestra i soldi ai migranti, per mantenerli. Sono diventati troppi. Non illudiamoci quindi grandi aiuti per smaltire le migliaia di arrivi in Sicilia di questi giorni.
EURO. La Gran Bretagna non l'aveva voluto. E conservava anche dogane e frontiere, in barba alla libera circolazione del trattato di Schengen. Ma agli orgogliosi sudditi di Sua Maestà non è bastato. E ora molti europei incolpano la valuta comune per la crisi economica.
FINLANDIA. Ha già raccolto le firme per un referendum. Non per andarsene dalla Ue: soltanto dall'euro. Ma l'effetto sarebbe egualmente devastante. Se i Paesi ricchi del nord lasciassero l'Eurozona, rimarrebbero solo i Paesi mediterranei carichi di debiti. Che verrebbero travolti da inflazione e svalutazione, come negli anni 70.
GRILLO. I suoi 5 stelle sono indecisi: alcuni vogliono mollare l'Europa, come l'Inghilterra, altri solo l'euro. Per tenerli buoni, il suo blog un giorno dice una cosa, il giorno dopo un'altra. Ora che hanno conquistato Roma e Torino vorrebbero accreditarsi come politici responsabili. Ma la base è scatenata.


HOTEL. "La Ue non è un albergo, o dentro o fuori". Il presidente della Commissione Juncker forse pensava di intimorire gli inglesi facendo il duro. Ma ha ottenuto l'effetto contrario.
JUNCKER. Vedi Hotel. Un anno fa è riuscito a domare il greco Tsipras e a cacciare il suo compare Varoufakis. Chissà se ora riuscirà a galleggiare (la sua maggiore virtù) nelle turbolenze del Brexit, o ne sarà travolto come Cameron.
KO. Dopo un colpo così forte, si sperava in un'autocritica da parte dei burocrati di Bruxelles. Niente da fare: mantengono i loro superstipendi e privilegi, con sprechi di miliardi. Anzi, alcuni sono felici che quei criticoni di inglesi se ne vadano.
ISIS. Nessuno lo dice, perché è meglio non disturbare il can che dorme. Ma la paura dei terroristi islamici è il maggior propellente degli xenofobi (vedi) in Inghilterra come nel resto d'Europa. E non importa che quasi tutti gli islamisti siano autoctoni.
LE PEN. Marine non vede l'ora che arrivino le presidenziali 2017 in Francia. Sfiderà il presidente socialista Hollande e l'ex presidente di destra Sarkozy, sperando che l'onda nazionalista attraversi la Manica. Intanto, preme per un qualsiasi referendum (contro l'euro o la Ue).
MERKEL. La cancelliera tedesca diventa sempre più padrona dell'Europa senza Londra, uno dei suoi principali contrappesi. Con gli altri (Italia, Francia, Spagna se esprimerà un leader) si sta consultando, per non apparire padrona.
NO. Qualsiasi voto, in tempo di crisi economica e di rivolta contro le elites, premia chi è contro. Se n'è accorto Cameron, cosicché ora gli altri leader europei si guarderanno bene dall'organizzare altri referendum. Tempi duri per la democrazia diretta.
OLANDA. È la prossima candidata all'uscita dall'Europa, nonostante sia uno dei sei Paesi che la fondarono 65 anni fa (Ceca). I nazionalisti del biondo (anche se di madre indonesiana) Geerd Wilders hanno il 17%, e sono in ascesa. L'Olanda è il maggior contributore netto al bilancio Ue dopo la Germania (vedere la tabella a pag.xx).
POLONIA. Ha ricevuto molti contributi dalla Ue dopo la sua entrata nel 2004, ha raddoppiato il Pil, ma gli stipendi sono bassi e l'emigrazione ancora alta. Soprattutto verso la Gran Bretagna, con fastidio inglese. E fastidio polacco verso i profughi che Bruxelles le chiede di accogliere.
QUORUM. Molti i votanti al referendum Brexit: 72%. Ma minimo lo scarto dei sì: 51,9%. Con vittoria dei no in Scozia, Irlanda del Nord, a Londra e fra i giovani. Perciò c'è chi chiede un'altra improbabile consultazione, oppure l'indipendenza per la Scozia. 
RENZI. Ha approfittato del disastro inglese per chiedere alla Germania (pardon: alla Ue) di abbandonare l'austerità. Tradotto: potersi indebitare di più, nonostante il nostro immenso debito pubblico, anche per assicurarsi benemerenze presso gli elettori.
SALVINI. È il capofila degli antieuropeisti italiani. Ma le roccaforti leghiste sono Lombardia e Veneto, legate all'export europeo e quindi refrattarie a una secessione verso nord (verso Roma, magari sì). Infatti Milano ha punito la Lega all'ultimo voto il 5 giugno: solo 11%, contro il 20 di Forza Italia.
TENSIONI. Che fine faranno i duemila funzionari britannici che lavorano per la Ue  a Bruxelles e Strasburgo, ma che diventeranno extracomunitari? In teoria potrebbero essere perfino licenziati, oppure tornare in Gran Bretagna per essere riciclati.
URGENZA. Londra e Ue hanno due anni di tempo per trattare prima della separazione. Ma i capi europei vogliono accelerare, per spaventare e dissuadere altri Stati che intendessero secedere.
VANTAGGI. "Risparmieremo 350 milioni di euro alla settimana uscendo dalla Ue", avevano promesso i nazionalisti inglesi. Falso, sono 80. Ora vari elettori dicono di non aver capito bene. Sui presunti vantaggi del Brexit c'è stata anche propaganda fasulla.
WELFARE. Troppo generoso quello britannico: regala sussidi a tutti i giovani disoccupati che arrivano da qualsiasi angolo d'Europa. È anche per questo che gli inglesi anziani hanno votato a larga maggioranza per Brexit.
XENOFOBI. Gli eurodeputati del partito xenofobo inglese di Nigel Farage (alleato di Grillo) dovranno trovarsi un lavoro. Perderanno infatti il seggio a Strasburgo per aver raggiunto il loro obiettivo: l'"indipendenza".
YOUNG. I giovani inglesi, quasi tutti pro-Europa, dovranno subire la decisione contraria dei loro genitori e nonni per i prossimi decenni. Si apre un conflitto generazionale con i vecchi ex figli dei fiori, ribelli capelloni e fan di Beatles e Stones (Mick Jagger era per il Brexit).
ZAVORRA. Tutti in Europa sono convinti di essere zavorrati da qualcuno: i britannici dai burocrati continentali, i settentrionali dai Pigs meridionali (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna), i meridionali dai tedeschi che beneficiano dell'euro forte.
Mauro Suttora

Wednesday, June 29, 2016

Medaglia al partigiano assassino di Schio (Vicenza)

MA SI PUÒ PREMIARE IL PARTIGIANO ASSASSINO?

di Mauro Suttora

Oggi, 29 giugno 2016



Siete pronti per la prossima battaglia di Schio? Domenica 10 luglio, come ogni anno, pagheremo gli straordinari a decine di celerini e carabinieri. Si piazzeranno fra neofascisti e militanti dei centri sociali, per evitare che si scontrino nel centro di questa altrimenti tranquilla cittadina di 40mila abitanti, la terza più grande in provincia di Vicenza.

Tutti a ricordare la strage del 6 luglio 1945, quando nella notte un commando di partigiani della brigata Garibaldi (comunisti) penetrò nel carcere e ammazzò 54 dei 99 detenuti.
Il motivo? Erano fascisti, oppure parenti di fascisti. Quattordici donne, la più giovane aveva 16 anni. Alcune erano figlie di criminali di guerra, arrestate e tenute in ostaggio solo per spingere i padri a costituirsi. Alcuni erano innocenti.
«Il sangue a rivoli fluisce dalle scale fin sulla strada, fra l’orrore dei primi che accorrono», racconta lo storico Silvio Bertoldi.

La Seconda guerra mondiale era finita da due mesi, ma le vendette private e pubbliche proseguivano in quella prima estate di pace. Un capitolo imbarazzante della nostra storia, sottaciuto fino ai libri di Gianpaolo Pansa che una dozzina di anni fa fecero luce sul “sangue dei vinti”.

Pagato questo tributo alla verità, ristabilito l’equilibrio storico su vicende che per mezzo secolo erano state raccontate dal punto di vista dei vincitori, si pensava che il tempo delle recriminazioni fosse scaduto. Anche per motivi fisiologici: dopo 70 anni, perfino i più giovani protagonisti di quella guerra sono quasi tutti scomparsi.

«La verità solo dopo la mia morte»

E invece no. Perché per il 70esimo anniversario della Repubblica (2 giugno 1946) il ministero della Difesa ha deciso di onorare con una medaglia tutti i partigiani viventi che finora non ne hanno mai ricevute. In provincia di Vicenza sono 84. E fra questi c’è anche il 93enne Valentino Bortoloso, nome di battaglia “Teppa”.

A maggio Bortoloso riceve la medaglia nel salone della prefettura di Vicenza. Ma qualcuno ricorda il suo nome, e scoppia il caso. Teppa, infatti, fu condannato a morte da un tribunale militare alleato per la strage di Schio. Pena commutata in ergastolo, e poi amnistiata nel 1955.

Bortoloso oggi non vuol parlare di quelle vicende: «Ho scritto tutto in un documento che potrà essere aperto solo dopo la mia morte». Il sindaco di Schio è imbarazzato. Nel 2005 proprio qui venne siglato un “patto della concordia” per riconciliare i superstiti e i familiari delle vittime dopo 60 anni. Ma la ferita è stata riaperta dall’onoreficenza per Bortoloso.

Prima della strage a Schio ci furono altri episodi trucidi. Un partigiano, Giacomo Bagotto, fu torturato dalle Brigate nere fasciste, che gli cavarono gli occhi e lo sotterrarono ancora vivo. Poi la strage di Pedescala (Valdastico), un paese vicino: il 30 aprile 1945 i partigiani attaccarono un convoglio tedesco diretto al Brennero. Vennero uccisi sei soldati. Per rappresaglia i nazisti ammazzarono 83 civili.

Gli americani volevano liberare tutti i fascisti?

La guerra finì, ma la voglia di vendetta rimaneva. A inizio luglio a Schio si sparse la voce che gli americani volessero liberare dei fascisti detenuti nel carcere. Quindi i partigiani pensarono di farsi giustizia da sé. Poi si giustificarono dicendo che un fascista incarcerato aveva una pistola, e che avrebbe iniziato lui il conflitto a fuoco che portò alla carneficina.

Tutti orrori risvegliati 71 anni dopo, e rinfocolati da estremisti di destra e di sinistra che si apprestano a confrontarsi di nuovo in piazza il 10 luglio.
Mauro Suttora

Friday, June 24, 2016

Gli inglesi dicono no all'Europa

di Mauro Suttora

Oggi, 24 giugno 2016

Il martirio di Jo Cox non è servito a tenere il Regno Unito dentro all’Europa. La povera deputata laborista ammazzata per strada dal pazzo nazionalista Thomas Mair non ha fatto cambiar segno al referendum Brexit (British exit) di giovedì 23 giugno. Hanno prevalso gli antieuropeisti.

«La verità è che la maggioranza dei britannici non è mai stata pro Europa, fin dall’adesione all’allora Cee nel 1972», avverte Fareed Zakaria, commentatore della Cnn. La Gran Bretagna ha sempre considerato l’Europa come una semplice area di libero scambio, senza tariffe e dazi doganali. Guai a parlare di unione politica.

Per tutti gli anni 80 Margaret Thatcher fece guerra a Jacques Delors, presidente francese della Commissione di Bruxelles, e a Bettino Craxi. Oltre a rifiutare gli accordi di Maastricht che hanno poi portato all’euro, la Lady di Ferro conservatrice detestava i socialisti Delors e Craxi. Quindi nazionalismo inglese contro federalismo, ma anche liberismo thatcheriano contro statalismo.

Il Regno Unito era già l’unico dei 28 Paesi Ue (con l’Irlanda) a non avere abolito passaporti e confini. Rimasto fuori dall’area Schengen, si era guardato bene anche dall’aderire all’euro (assieme ad altri dieci Paesi). «Quindi l’uscita dall’Unione è un trauma solo fino a un certo punto, ai fini pratici», dice Zakaria, «perché i britannici sono sempre rimasti fuori a metà».

E per gli italiani, quali saranno le conseguenze di un’Europa senza Londra? 
I nostri risparmi se ne sono già accorti: le Borse e i fondi azionari (anche pensionistici) sono calati del 10% in pochi giorni fino all’omicidio Cox. L’euro forse si rafforzerà sulla sterlina, ma sicuramente s’indebolirà nei confronti del dollaro e del resto del mondo.

L’Italia non ha un grande interscambio con il Regno Unito: i 31 miliardi di import/export sono un quarto di quelli con la Germania, la metà degli scambi Italia/Francia, e valgono quanto quelli con la Russia.
La bilancia commerciale però è a nostro favore: 21 miliardi di esportazioni (cibo, moda, macchinari, mezzi di trasporto) contro 10 di import. Quindi, se si dovesse scatenare un’improbabile guerra commerciale, ci rimetterebbero le nostre aziende. Soprattutto le lombarde, che da sole coprono un quarto dell’export.

In Italia risiedono 26mila britannici: niente, rispetto al mezzo milione di pensionati inglesi che svernano in Spagna. Ma siamo amatissimi da quattro milioni di turisti che arrivano ogni anno, e che ci portano 2,6 miliardi. L’attrazione è reciproca: fra turisti italiani ed emigrati, il Regno Unito supera la Germania come nostra meta, ed è pari alla confinante Francia.

I nostri emigrati in Gran Bretagna non subiranno contraccolpi dal Brexit. Anche i più accesi xenofobi dell’Ukip (l’United Kingdom Independence Party di Nigel Farage) non ce l’hanno infatti con gli italiani, che da generazioni lavorano duramente e sono rispettati dagli inglesi. Gli antieuropeisti temono di più gli immigrati slavi e balcanici che approfittano dei sussidi in quanto cittadini Ue, e soprattutto l’ondata di africani e arabi degli ultimi mesi, con le strazianti scene a Calais.

I pericoli per l’Italia dall’addio del Regno Unito sono quindi indiretti, e politici. L’esempio del Brexit potrebbe essere seguito da altri Paesi con forti partiti neonazionalisti: Olanda, Grecia, Finlandia. Anche gli antieuropeisti tedeschi di Alternative für Deutschland, già oltre il 10%, si galvanizzeranno, così come i lepenisti francesi e i leghisti e grillini italiani. L’Unione Europea si dimostra debole e friabile: gli speculatori internazionali potrebbero scommettere contro l’euro come nel 2011.

Così lo spread degli interessi sul nostro immenso debito (2.230 miliardi) potrebbe tornare ad allargarsi rispetto a quelli pagati dai tedeschi. L’Italia rimane infatti l’anello debole d’Europa con Spagna, Portogallo e Grecia.

Infine, ci sono anche quelli che reputano vantaggioso un addio di Londra: «Senza gli inglesi che da 40 anni trascinano i piedi», ragionano i federalisti più ottimisti, «il traguardo degli Stati Uniti d’Europa potrebbe rivelarsi più vicino: unione politica, finalmente, e non solo finanziaria ed economica».
Pochi ma buoni, insomma. Magra consolazione

Mauro Suttora

Wednesday, June 22, 2016

Berlusconi vecchio? Adenauer mollò a 87 anni

di Mauro Suttora

Oggi, 15 giugno 2016




«Sono morto così tante volte», mormorò Calvero alla fine di Luci della ribalta di Charlie Chaplin. Altrettante sono le volte che Silvio Berlusconi è stato dato per finito: politicamente, economicamente, giudiziariamente e anche fisicamente. L’ultima tre anni fa, quando arrivò la condanna che lo fece decadere da senatore. La penultima nel 2011, quando perse per la terza volta la premiership.

E poi tumori alla prostata, avvisi di garanzia a Napoli, duomi in testa, sconfitte al voto per sei centesimi di percentuale (nel 2006), sentenze di pretori che oscuravano tutte le sue tv, ulivi, tradimenti di delfini (Casini, Fini, Alfano), distruzioni di protettori (Craxi)…

Fra tre mesi diventa ottuagenario. De Gaulle alla sua età lasciò l’Eliseo, Fanfani Palazzo Chigi. Ma Silvio pensa a Churchill premier oltre gli 80 anni, e soprattutto ad Adenauer cancelliere fino a 87. Sogna di vincere le prossime elezioni contro il 41enne Renzi e il grillino Di Maio, che ha mezzo secolo meno di lui.

In questi giorni guarda fuori dalla finestra, al sesto piano dell’ospedale San Raffaele. Vede la torre con i ripetitori della sua Mediaset, che nonostante stia in un posto chiamato col poco poetico nome di Cologno Monzese da 35 anni fa sognare metà dei telespettatori italiani.

Sotto scorre via Olgettina, e lasciamo stare. Dietro c’è la sua Milano 2, città di 10mila abitanti inaugurata nel 1972. Grazie alla contemporanea nascita del contiguo ospedale dell'amico don Verzè, Berlusconi riuscì a far deviare le rotte degli aerei in decollo da Linate: cosi' decollo' anche la sua fortuna. Più in là c’è il primo villaggio Edilnord di Brugherio, di cui proprio venti giorni fa è andato a festeggiare le 50 candeline.

Insomma, gira tutto qui attorno il mondo di Silvio. Che per la prima volta si affida pubblicamente a Dio, mentre i dirigenti del suo partito devono affidarsi ancora a lui. Ha voglia zio Fedele Confalonieri ad avvertirli: «Forza Italia impari a fare a meno di Berlusconi». Loro senza di lui non sanno che pesci pigliare: anche perché hanno appena pigliato un disastroso 4% a Roma e Torino. Si consolano con la Milano di Stefano Parisi e Maria Stella Gelmini al 20% (il doppio della Lega), Trieste, e Cosenza conquistata col 60%.

Gli unici politici che hanno potuto vedere il Capo in ospedale sono Gianni Letta e Niccolò Ghedini. Ma il primo in qualità di amico personale, il secondo come avvocato. Gli altri si devono accontentare di telefonate. Anche perché la figlia primogenita Marina ha preso in mano la situazione ed è inflessibile. Ha fatto bloccare Denis Verdini e Carlo Rossella che si erano presentati non annunciati al San Raffaele.

Nella suite con nove camere e tre bagni che don Verzè, prima del fallimento e scomparsa nel 2011, fece allestire apposta per lui, Berlusconi riceve solo parenti e amici stretti. È arrivata la figlia Eleonora, che gli sta regalando il suo nono nipotino (il padre è di nuovo il modello Guy Binns), e gli ha portato gli auguri dell’ex moglie Veronica Lario.

Molto presente anche il figlio più giovane, il 27enne Luigi. Al quale due anni fa Silvio aveva passato la storica segretaria Marinella Brambilla, ora 54enne, dopo che questa era entrata in urto con la senatrice Maria Rosaria Rossi. Ora pare che quest’ultima sia finita in disgrazia, accusata da Marina Berlusconi di non essersi accorta che il padre stava male e di averlo spremuto troppo per la campagna elettorale a Roma. Si sussurra anche di uno scontro con la fidanzata Francesca Pascale, che però è sempre presente.

Pare che in questi giorni dentro a Forza Italia stia prevalendo il “clan del Nord”. Aumentano le quotazioni del presidente della regione Liguria Giovanni Toti al toto-successione. Ma non scendono quelle di Mara Carfagna al Sud, visto il buon risultato del candidato forzista Lettieri a Napoli, che ha battuto quella del Pd per il ballottaggio, seppur senza speranza, con il sindaco Luigi De Magistris.

Il Milan ai cinesi, la tv a pagamento al francese Bollorè: Berlusconi si sta alleggerendo dei settori in perdita. In politica invece, dopo le vittorie del 1994, 2001 e 2008, Silvio sta ancora cercando rivincite e coltivando passioni. Quindi, se il cuore sarà d’accordo, la pensione aspetterà.
Mauro Suttora

Wednesday, June 01, 2016

Daria Bignardi contro il sexy

Oggi, 1 giugno 2016

Se andasse in onda su Rai3, Lilli Gruber dovrebbe fare a meno degli enormi orecchini verdi Vhernier che sfoggia a 8 e mezzo, su La Sette. Perché quelli «vistosi» sono stati messi al bando da Daria Bignardi.

La neodirettrice della terza rete pubblica ha convocato costumiste e truccatrici, dettando loro le regole sul modo corretto di apparire sullo schermo. Niente più abiti fascianti, basta tubini, rigorosamente banditi quelli di colore nero: troppo sexy per la Rai. Bandito il tacco 12 (e anche qui Lilli si troverebbe in difficoltà).

L’ordine della Bignardi è perentorio: «Trucco leggero». Nessuna licenza, neanche se la richiede la conduttrice. Il dress code è severo: camicette di «colori tenui», scollature minime (si può soltanto far prendere aria al collo), gonna o pantalone e tacco basso. Insomma, tutte come Daria.

Anche Gianni Scipione Rossi, direttore di Rai Parlamento, si concentra sull’abbigliamento: ha vietato ai conduttori il marrone, le giacche a quadri e le cravatte fantasia.
La Bignardi, forse per dare l’esempio quanto a sobrietà, si è tagliata i capelli. Poi ha annunciato novità per la sua rete, ex Tele Kabul comunista. Ogni giorno alle 20, in contemporanea col al Tg1, ci sarà una «striscia d’informazione». Potrebbe condurla Bianca Berlinguer, se perdesse la direzione del Tg3.

Scelta subito contestata da Michele Anzaldi, commissario pd della Vigilanza Rai: «Sarebbe autolesionista fare concorrenza al Tg1, corazzata dell’informazione Rai, il notiziario che tiene meglio rispetto al calo generale di telespettatori tv».

Nel mirino anche Un posto al sole, la soap più longeva d’Italia: in onda da vent’anni, ha raggiunto 4.500 puntate e alle 20:35 la vedono in 2,7 milioni (10% di share), nonostante la concorrenza di Striscia la notizia e Affari tuoi.

Roberto Saviano, a chi lo accusa di descrivere con Gomorra solo il male di Napoli, ha detto: «Chi vuole racconti positivi sulla realtà napoletana guardi Un posto al sole».
Non era una critica, solo una constatazione. La Bignardi ha precisato: «Un posto al sole è un must di Rai3, e di certo la sua missione non è raccontare il male. Si può sempre migliorare, magari per aggiornare le telecamere, la fotografia, e anche la scrittura».

Ma il vero scoglio per l’ex conduttrice delle Invasioni barbariche è Ballarò: scaduto il contratto di Massimo Giannini, potrebbe approdarvi la giornalista renziana del Corriere della Sera Maria Teresa Meli. «Sicuramente verrà accorciato, basta con i talk show interminabili», anticipa la Bignardi.

Mauro Suttora