Thursday, June 22, 2017

Dibba diventa papà



Il deputato 5 stelle sta per diventare padre: sigarette bandite in casa per la gravidanza della compagna. E quando fanno la spesa lei è attenta a riciclare. Quanto alla politica, lui medita di non ricandidarsi

Oggi, 22 giugno 2017

di Mauro Suttora

Alessandro Di Battista, il deputato grillino più popolare, è così entusiasta di diventare padre che medita di lasciare la politica. Almeno per un po’. La sua compagna Sahra Lahouasnia, di origini franco-algerine, partorirà un maschietto (pare) a metà ottobre, e lui non sta nella pelle.

Dibba (come lo chiamano i suoi sostenitori) accarezza l’idea di dedicarsi a suo figlio a tempo pieno, e quindi di non ricandidarsi alle elezioni politiche che si terranno all’inizio del 2018.

Sicuramente non passerà l’estate in moto, come fece l’anno scorso quando girò l’Italia tenendo comizi in spiaggia. Allora non si era ancora messo con Sahra.
Di Battista è il mattatore del Movimento 5 stelle. Bello, simpatico, estroverso, è neutrale fra i grillini “governativi” di Luigi Di Maio e Davide Casaleggio e quelli “di lotta” di Paola Taverna.

Le suocere di Trump



POVERO TRUMP, CIRCONDATO DALLE SUOCERE

La moglie Melania si trasferisce alla Casa bianca col figlio, portandosi dietro i genitori sloveni. E anche la madre della ex Ivana si è piazzata a casa della nipote Ivanka. Ma lui va d’accordo con tutte

Washington, 22 giugno 2017

di Mauro Suttora

Melania Trump ha finalmente traslocato alla Casa Bianca. La moglie del presidente Donald ha lasciato il triplo attico in cima alla Trump Tower di New York, e dovrà “accontentarsi” degli ultimi due piani della residenza di Washington.

Il figlio Barron ha appena finito le elementari a Manhattan, ed è stato iscritto al collegio St. Andrew’s, rompendo con la tradizione che voleva i figli dei presidenti (Obama, Clinton, Nixon) frequentare lo stesso liceo quacchero nella capitale.

A sorpresa, con Melania sono atterrati sul prato della Casa Bianca in elicottero anche i suoi genitori sloveni: l’ex chauffeur Viktor Knavs, che ha una formidabile somiglianza con Trump e soli due anni più del genero, e l’ex disegnatrice in una fabbrica di vestiti Amalia. 
Il nipote Barron è molto affezionato ai nonni, con cui parla sloveno.

Melania ha cambiato il suo cognome da Knavs al più “tedesco” Knauss (e tolto la j di Melanjia) all’inizio della sua carriera di modella, sperando di emulare il successo delle teutoniche Claudia Schiffer e Heidi Klum.

Dopo il matrimonio con Donald nel 2005 i suoi genitori e la sorella Ines hanno cominciato a vivere sempre più spesso in America, fino a stabilirsi nella Trump Tower e a seguire Melania e Barron anche nella magione di Mar-a-Lago in Florida e nella residenza di campagna (con golf) a Bedminster nel New Jersey.

Tanto entusiasmo non è stato ricambiato da Donald: ha visitato la Slovenia solo una sera, nel 2002, atterrando a Lubiana nel suo jet privato con Melania. Dopo 13 minuti salirono su un’auto per andare nel Grand Hotel sul lago di Bled, dove ci fu il primo incontro del futuro presidente con i futuri suoceri. 
Dopo cena Donald chiese a Viktor se l’hotel fosse in vendita, risalì sull’auto, e prima di mezzanotte erano già decollati.

I suoceri Knavs sono apparsi per la prima volta sul palco con tutta la famigliona Trump allargata alla Convention repubblicana della scorsa estate. Ora non si sa se si trasferiranno pure loro dentro la Casa Bianca, come fece la suocera di Obama, o se troveranno una casa a Washington nella vicinanze, come ha fatto a gennaio Ivanka Trump, figlia di Donald.

La quale a sua volta è inseparabile dalla nonna cecoslovacca Marie Zelnickova, 90 anni, mamma di Ivana: è stata lei a crescere Ivanka in seguito al divorzio, insegnandole la lingua ceca, e convive in famiglia anche dopo il matrimonio con Jared Kushner, badando ai tre bisnipotini.

Insomma, fra suocere ed ex suocere slave, Trump è circondato. E, se fosse in vita anche la madre della sua altra moglie, Marla Maples, correrebbe il rischio di ritrovarsi pure lei a Washington. Ma Trump è affezionato a tutte.

I fan del presidente sperano che la ritrovata vicinanza con la moglie aiuti Donald a moderarsi, evitando gli scatti che gli fanno mandare messaggi inconsulti su Twitter. Ma sui veri rapporti fra Melania e il presidente circolano ogni tipo di voci.

L’unica certezza è che la First Lady non si è sottratta alla tradizione che vuole tutti i nuovi inquilini della casa Bianca intraprendere costosi rinnovamenti degli appartamenti presidenziali. 
Melania ha assunto l’architetta laotiana Tham Kannalikham, già arredatrice della maison Ralph Lauren.

Per il resto, l’ultimo spiffero riguarda un misterioso amante di Melania: sarebbe un dirigente di Tiffany, il negozio di gioielli che sta proprio accanto alla Trump Tower. 
Il palazzo di Tiffany, relativamente basso per gli standard di Manhattan, è quello che permise a Donald di costruire la sua Tower con un’altezza superiore alla norma. Il trucco fu di acquistare i “diritti aerei” non sfruttati dai vicini di Tiffany.

Ma ora è tutto più difficile per Trump. I primi turbolenti cinque mesi di presidenza sono culminati con l’indagine sui rapporti con la Russia per cui oggi è ufficialmente indagato e rischia l’incriminazione.

Una delle poche parentesi di tranquillità, per lui e Melania, è stato il viaggio in Italia alla fine di maggio. «Taormina e Roma sono splendide», hanno mormorato entrambi estasiati alla partenza. 
Poi però, tornato negli Stati Uniti, per il bellicoso presidente è subito ricominciata la guerra. Come piace a lui: solo contro tutti.

Mauro Suttora

Thursday, May 25, 2017

Còrea di Huntington

RIDIAMO DIGNITA' AI MALATI

Contro il 'Ballo di San Vito' non esistono ancora farmaci: la priorità è la qualità della vita di chi ne soffre

di Mauro Suttora

Oggi, 18 maggio 2017

La Còrea di Huntington (dal greco ‘danza’), che colpisce un milione di persone nel mondo, è una malattia ereditaria degenerativa del sistema nervoso centrale. Distrugge i neuroni nelle aree cerebrali che controllano il movimento e le funzioni cognitive. È nota anche come Ballo di San Vito.

L’esordio avviene tra i 30 e i 50 anni. Il decorso invalidante è lentamente progressivo e fatale dopo 16-20 anni di malattia. I sintomi: movimenti involontari patologici, alterazioni del comportamento e deterioramento cognitivo. Non esistono farmaci per prevenire, bloccare o rallentare la progressione della malattia. La probabilità di ereditarla da un genitore malato è del 50%.

La diffusione della malattia è di un caso su 10mila persone. Ma nel mondo ci sono zone con una frequenza 500-1000 volte più alta, come la regione del lago Maracaibo (Venezuela). In Italia i malati sono 6mila, e 18mila chi rischia di ereditare la malattia. L’Istituto Besta di Milano, il Gemelli di Roma e il policlinico Federico II di Napoli e altri centri di eccellenza sono sommersi da richieste di diagnosi, cura e assistenza.

Nel 1993 è stato scoperto il gene che mutando causa la malattia: da allora è possibile individuare con un test tra i soggetti a rischio i portatori, che manifesteranno la sintomatologia coreica.
 
Il 18 maggio papa Francesco ha accolto per la prima volta in Vaticano  un gruppo di malati di Corea del Sud America. Coinvolte anche famiglie di malati da tutto il mondo. Il 16 maggio le famiglie sono state in Senato, invitate dal presidente Pietro Grasso e da alcuni parlamentari.

«Gli ospedali italiani», ci dice la senatrice a vita Elena Cattaneo, che da oltre vent’anni dedica i suoi studi all’Huntington, «devono avere a disposizione personale per farsi carico della cura umana e sociale di questa malattia. La scienza non può ancora offrire cure efficaci che rallentino o blocchino la malattia. Ma l’opera delle associazioni, degli psicologi, infermieri a domicilio, gruppi di auto-aiuto, sostegni economici e una buona informazione possono restituire la dignità che spetta a tutti, e contribuire in maniera decisiva a migliorare la qualità della vita di malati e famiglie».

riquadro:

ANCHE IL GRANDE WOODY GUTHRIE NE SOFFRIVA
Il malato più famoso di Corea, Woody Guthrie, autore della canzone This Land Is Your Land, maestro di Bob Dylan, è morto 50 anni fa, nel 1967. Suo figlio Arlo, anch’egli cantautore (Alice’s Restaurant, Coming into Los Angeles al festival di Woodstock) ha fatto il test, ed è risultato immune.

Mauro Suttora


Thursday, May 18, 2017

Il mistero della bellissima Asma Assad



COME FA LA SOFISTICATA MOGLIE DEL DITTATORE A TOLLERARE L'INFERNO SIRIA?

di Mauro Suttora

Damasco, 14 aprile 2017

Ancora più elegante e affascinante di Rania di Giordania, quando nel 2000 la 25enne Asma Assad arrivò a Damasco per sposare Bashar Assad suscitò grandi speranze. «Questa giovane coppia porterà la libertà in Siria», commentarono gli ottimisti.

Dopo trent’anni di dittatura ferrea di Hafez Assad, padre di Bashar, sembrava arrivato il tempo del disgelo. Bashar non era destinato alla politica, era andato a studiare a Londra dove era diventato oftalmologo. E lì si era innamorato della bellissima figlia di un cardiologo siriano e di una funzionaria dell’ambasciata di Damasco in Inghilterra. Asma è più inglese che siriana: nata e cresciuta a Londra, ha studiato francese e spagnolo all’università.

Svolta inspiegabile con la guerra civile

Per 11 anni non successe granché. Il regime siriano non si democratizzò. Però la coppia presidenziale, complice la gioventù e la classe di lei, quando viaggiava all’estero suscitava ammirazione. E la Siria rimaneva fuori dalle turbolenze del vicino Iraq.

Poi, nel 2011 anche a Damasco scoppiò la Primavera araba, come in Tunisia, Libia ed Egitto. I giovani scesero in strada chiedendo riforme. In un primo momento Assad rispose liberalizzando internet. Poi però la polizia represse nel sangue le manifestazioni. E cominciò la guerra civile che dura tuttora.

Si pensava che la moglie occidentale di Assad avrebbe esercitato un’influenza moderatrice sul marito. Invece niente. Il gentile oftalmologo si trasformò in un governante crudele come il padre. E la leggiadra Asma dietro, senza un tentennamento.

Da Rosa del deserto a First lady dell’inferno

La rivista statunitense Vogue di Anna Wintour (quella de Il diavolo veste Prada), che nel 2010 aveva definito Asma «Rosa del deserto», cancellò l’articolo dal suo sito. In questi sei anni di massacri Asma si è prestata alla propaganda di regime, facendosi fotografare accanto al marito e in visita a vittime della guerra. Mai nessuna dichiarazione, neanche dopo le prime accuse ad Assad di aver usato armi chimiche nel 2013.

La Russia, alleata della Siria da mezzo secolo, appoggia il regime di Assad. E lei, nell’unica intervista data a una tv russa lo scorso ottobre, ha detto di appoggiare suo marito, contro i terroristi dell’Isis. I quali però non sono gli unici nemici del governo di Damasco: l’altra opposizione, quella non legata al Califfato, è stata nuovamente bombardata con armi chimiche il 4 aprile.

Le decine di bambini ammazzati hanno provocato la vendetta del presidente americano Donald Trump, che ha fatto lanciare 59 missili Tomahawk sulla base da cui sono partiti gli aerei assassini di Assad.

In questi anni la vita per Asma e i suoi tre figli continua (quasi) come prima. Per sicurezza la famiglia non vive nel palazzo presidenziale, ma in una villa nel quartiere residenziale di Damasco.

Anche lei è colpita dalle sanzioni Ue, e non può più andare a Parigi a fare shopping. In compenso fa comprare on line abiti, gioielli e mobili di lusso da suoi collaboratori.

E-mail riservate: 3 mila euro per le sue scarpe

Sono state pubblicate alcune sue e-mail segrete. In una ordina l’acquisto di un paio di scarpe con tacchi di 16 centimetri da 3 mila euro. In un’altra risponde alla sua amica, figlia dell’emiro del Qatar, che la invita a lasciare la Siria prima che suo marito faccia la fine di Gheddafi o Mubarak. Ma lei rifiuta l’ospitalità.

Sa che, finché i russi lo appoggiano, Assad è sicuro. E può atteggiarsi a difensore della laicità contro l’Isis.  
Mauro Suttora


Thursday, May 04, 2017

Emmanuel e Brigitte Macron

RITRATTO INDISCRETO DELLA NUOVA COPPIA PRESIDENZIALE FRANCESE
Galeotto fu Eduardo
di Mauro Suttora
Oggi, 4 maggio 2017
«Mamma, c’è un pazzo nella mia classe che sa tutto su tutto!». La quindicenne Laurence tornò a casa entusiasta, e fu così che sua madre Bibi (Brigitte) sentì parlare per la prima volta di Manu (Emmanuel).
Era 24 anni fa, 1993. E 24 sono anche gli anni di differenza d’età fra Bibi, prof di francese e latino al liceo gesuita di Amiens, ed Emmanuel Macron, il presidente più giovane nella storia di Francia dopo Napoleone.
Manu è in seconda liceo, figlio di due medici: intelligente, brillante, affamato di cultura. Legge Gide, preferisce Brel e Leo Ferré ai Nirvana. Bibi è la sesta figlia della famiglia Trogneux, catena di pasticcerie, i macaron più rinomati di Francia dopo i Ladurée.
Entrambi appassionati di teatro, lei da regista lo sceglie come attore (qualcuno dice che la sua regista sia ancora lei) per recitare con la compagnia del liceo la piéce di Milan Kundera Jacques e il suo padrone (qualcuno dice che la sua padrona sia ancora lei).
Scatta la scintilla fra Manu e Bibi. Lei lo inizia a Voltaire e Baudelaire, lui è estasiato dagli occhi blu della prof 39enne madre di tre figli, sposata a un banchiere, reputazione impeccabile (fino a quel momento).
L’anno dopo scoppia l’amore grazie a Eduardo De Filippo. «Riscriviamo assieme l’Arte della Commedia per aggiungere qualche ruolo?», propone l’intraprendente Manu a Bibi. Si vedono ogni venerdi pomeriggio per aggiungere dei ruoli. I genitori di Manu pensano che lui vada a casa di Laurence. Invece è della mamma che il ragazzo è innamorato. «Sentivo che scivolavo, e lui anche…», ricorda Bibi.
Scoppia lo scandalo ad Amiens, città di provincia. La dottoressa Macron affronta Bibi a muso duro: «Signora, ma si rende conto? Lei ha già una famiglia. Il mio Manu con lei non potrebbe neanche avere dei figli». La diffida dal riavvicinarsi all’adolescente. «Non posso prometterle niente», risponde l’orgogliosa Bibi. La quale, dalla sua parte, subisce i rimproveri più dei fratelli maggiori che del marito.
Per tagliare, lei chiede a Manu di trasferirsi a Parigi, a finire il liceo e superare la maturità. «Quando torno a 18 anni, qualunque cosa tu faccia ti sposo!», le promette (minaccia) lui.
«Fu uno strazio, eravamo lacerati tutti e due», ricorda Bibi, «ma alla fine ha vinto l’amore e ho divorziato. Impossibile resistere».
Anche lei si trasferisce a Parigi, va a insegnare nel liceo San Luigi Gonzaga del XVI arrondissement, quartiere dei ricchi. Manu il perfetto frequenta tutte le scuole giuste: università a Sciences politiques, specializzazione all’Ena (Ecole nationale d’administration), fucina di tecnocrati. Viene notato da Jacques Attali, grande intellettuale socialista, che lo introduce nei circoli del partito.
Nel 2007 l’ereditiera dei macaron sposa Macron, solo una vocale in meno. I figli di Bibi cominciano ad accettare la nuova realtà. La carriera di Manu parte come un missile. Nel 2010 lascia il ministero delle Finanze e si fa assumere dalla banca Rothschild. Per farsi odiare ancora un po’ di più a sinistra diventa consulente della multinazionale Nestlé. In un anno e mezzo guadagna un milione di euro.
Poi l’Eliseo: consigliere economico del presidente Hollande, nel 2014 ministro dell’Economia. Ma capisce che la barca socialista sta affondando: molla il ministero, poi anche il partito. L’anno scorso ne fonda uno nuovo, tutto suo, con le stesse iniziali: En Marche!
La sera della vittoria al primo turno delle presidenziali Emmanuel Macron pronuncia un discorso con due frasi bellissime. La prima: «Applaudiamo i nostri avversari». Niente politica dell’odio, basta insulti. La seconda: «Ringrazio mia moglie Brigitte. Senza di lei io non sarei io». 
Sotto il palco, Bibi con le sue belle gambe da 64enne in leggings lo applaude commossa. Accanto a lei urlano di gioia due stupende donne bionde: Laurence e Tiphaine, le sue figlie. Manu di figli non ne ha avuti, ma ora sette nipotini lo chiamano daddy.
Ah, anche fra il nuovo presidente Usa Donald Trump e sua moglie Melania ci sono 24 anni di differenza. Che coincidenza. E che differenza con la Première Dame Brigitte Macron Trogneux.
Mauro Suttora

Thursday, April 20, 2017

Film su Stanlio e Ollio

di Mauro Suttora

Oggi, 20 aprile 2017

La somiglianza è incredibile. L’americano John Reilly e l’inglese Steve Coogan saranno Stanlio e Ollio sul grande schermo. La Bbc Films sta girando Stan & Ollie, pellicola biopic su Stan Laurel e Oliver Hardy. Il film è ambientato nel 1953, durante l’ultima tournée del duo in Gran Bretagna.

Stan oberato da debiti per coniugi e amanti

Dopo i fasti degli anni 20 e 30, nel dopoguerra vicissitudini varie colpirono le carriere del duo comico più famoso del mondo. Erano sempre popolarissimi, ma per esigenze di soldi si erano legati a produttori che li costringevano a fare film con copioni scadenti. Stanlio, in particolare, era oberato dai debiti perché doveva mantenere un esercito di ex mogli e amanti.

Così alla fine degli anni 40, abbandonato il cinema, cominciarono a fare tournées nei teatri, registrando ovunque il tutto esaurito. L’ultimo dei loro 107 film lo girarono nel 1951, ormai sessantenni, ma la salute precaria di entrambi provocò lunghe pause nelle riprese.

Stanlio era malato di diabete, Ollio pesava 160 chili e aveva avuto tre infarti. Ciononostante, nel 1953 si imbarcarono per la loro ultima avventura in Europa, dove la loro fama era rimasta intatta, superiore a quella negli Stati Uniti.

E in Italia il successo continua tuttora: sono 2-300mila ogni sera gli spettatori che li seguono nell’appuntamento fisso su Raimovie dalle 20 alle 21.

Stanlio era amico di Charlie Chaplin

Ollio era americano. Stanlio inglese, e nel 1910 a vent’anni si imbarcò verso gli Stati Uniti in cerca di fortuna con una compagnia comica in cui recitava anche un suo amico e coetaneo allora sconosciuto: Charlie Chaplin. Ma il sodalizio artistico lo trovò con Oliver Hardy.

Sbancarono nella nascente industria del cinema con le loro gag, e l’avvento del sonoro non solo non li danneggiò (come capitò ad altri attori), ma addirittura ne accrebbe la fama. In Italia Mussolini e papa Pio XII li adoravano, e Alberto Sordi a soli 19 anni nel 1939 cominciò a doppiare Ollio.

Questo film della Bbc rivela il segreto del loro successo: Stanlio e Ollio erano molto amici anche nella vita privata. Si prendevano cura vicendevolmente della loro salute malferma, si aiutavano, erano quasi commoventi per la reciproca sollecitudine.

Stan rispondeva a tutte le lettere

Ollio è morto nel 1957. Stanlio nel ’65, ma fino all’ultimo rispose di persona a tutte le lettere dei fans dal suo appartamentino di Santa Monica (Los Angeles), e ricevette gli omaggi delle tante star che lo omaggiavano.
Mauro Suttora

Tuesday, April 11, 2017

Totogrillini

Chi potrebbero essere i ministri di un governo grillino. Declina Di Maio, in ascesa Davigo. Quanto a Taverna, Di Battista e Lombardi…

di Mauro Suttora

Libero, 9 aprile 2017

In calo le quotazioni di Luigi Di Maio come candidato premier grillino, dopo il convegno di ieri a Ivrea. Per quanto stimato sia da Davide Casaleggio sia da Beppe Grillo, i due capi del Movimento 5 stelle si rendono conto che l'enfant prodige di Pomigliano (Napoli) a 30 anni è ancora troppo giovane e inesperto per sostenere un peso simile.

Inoltre molti nel M5S storcono il naso di fronte alla malcelata ambizione del ragazzo. Non è ben visto l'eccessivo attivismo del suo principale collaboratore: Vincenzo Spadafora, ex mastelliano (portaborse del presidente campano Andrea Losco), poi con Pecoraro Scanio e Rutelli, infine nominato Garante per l'Infanzia dall'allora ministro Mara Carfagna e dai presidenti delle Camere Fini e Schifani.

Di Maio condivide con Spadafora l'origine geografica e la scarsa propensione agli studi: entrambi non laureati, gli otto esami in cinque anni da fuoricorso rappresentano una piccola zavorra per il vicepresidente della Camera.

Per questo Grillo e Casaleggio sperano in Piercamillo Davigo: sarebbe perfetto come candidato premier 5 stelle. Ma il magistrato non vuole bruciarsi prima delle elezioni: chiede che il suo nome venga fatto solo se e quando il presidente Sergio Mattarella affiderà l'incarico dopo un'eventuale vittoria grillina.

Davigo ritroverà Antonio Di Pietro, che molti 5 stelle avrebbero voluto candidare sindaco di Milano l'anno scorso, era a Ivrea, ha mantenuto buoni rapporti con la società Casaleggio che gli curava il sito web, e fu appoggiato da Grillo alle Europee 2009, con indicazione di voto per Luigi De Magistris e Sonia Alfano: Interni o Giustizia per Tonino.

Altri tre magistrati sono papabili: Nicola Gratteri (bocciato da Napolitano per il governo Renzi), Sebastiano Ardita (messinese, coautore con Davigo del libro 'Giustizialisti', ha fatto una buona impressione a Ivrea), e soprattutto il palermitano Nino Di Matteo.

Finora i grillini hanno avuto rapporti disastrosi con gli intellettuali fiancheggiatori: da Becchi a Pallante, da Di Cori Modigliani a Scienza, tutti quelli una volta valorizzati dal blog di Grillo si sono allontanati per il clima da setta che si è instaurato nel movimento.

Gli unici due a resistere sono Massimo Fini (che ha avuto l'onore di chiudere i lavori ieri) e Aldo Giannuli. Avrebbero dovuto scrivere un libro sulla democrazia diretta con Casaleggio senior se le sue condizioni di salute non lo avessero impedito.

Ma Fini è un anarchico, per lui al massimo potrebbe esserci un seggio da senatore se i grillini ripristineranno la tradizione comunista degli "indipendenti di sinistra" da candidare per chiara fama, senza passare dalle forche caudine delle primarie. Giannuli invece può andare a Interni o Difesa. Il sociologo Domenico De Masi è simpatico ma ingovernabile.

I candidati interni sono tutti deboli. Di Battista e Paola Taverna, i più amati dalla base, sono animali da comizio ma inadatti alla vita istituzionale. Il primo vorrebbe gli Esteri o gli Interni, ma al massimo lo soddisferanno con una onorifica vicepresidenza del Consiglio. La Taverna, ex impiegata in un centro diagnostico, può andare alla Sanità.

Gli unici con la gravitas necessaria per un dicastero, anche per ragioni d'età, sono Nicola Morra (Istruzione), Carla Ruocco (Sviluppo economico) e Roberta Lombardi (Interni). Ma, come Roberto Fico, sono della corrente 'talebana', duramente osteggiata da Di Maio. Toninelli ambisce alle Riforme, il putiniano Di Stefano agli Esteri, Vito Crimi e Barbara Lezzi a qualsiasi cosa li riportino in auge. Ma la società Casaleggio li vede come personaggi un po' troppo folcloristici. E Carlo Freccero non è abbastanza affidabile.

Insomma, i grillini rischiano di replicare a livello nazionale il disastro Roma: per mancanza di competenze interne, finire in mano a furbacchioni dell'ultima ora come Raffaele Marra, ex braccio destro della sindaca Raggi, in carcere da quattro mesi.
Mauro Suttora





Saturday, April 08, 2017

Capo San Raffaele: da bersaglio a eroe grillino

di Mauro Suttora

Lettera43, aprile 2017

Nicola Bedin: wonderboy di Pordenone, bocconiano da 110 e lode, studi in Usa, apprendistato a Mediobanca, a soli 28 anni già issato dal compianto Giuseppe Rotelli sulla poltrona di amministratore delegato del suo impero ospedaliero privato San Donato. Da cinque anni guida anche il San Raffaele, rilevato dai Rotelli per 400 milioni dopo le traversie di Don Verzé.

Qui però un inciampo: nel giugno 2015 la procura di Milano chiude le indagini per una presunta maxitruffa da 28 milioni ai danni del servizio sanitario nazionale. Bedin risulta indagato con il direttore sanitario del San Raffaele e sei primari (fra cui Alberto Zangrillo, famoso come medico personale di Silvio Berlusconi), perché sarebbero stati incassati irregolarmente rimborsi su ben 4mila interventi.
Da allora - e sono ormai passati quasi due anni - tutto tace: né incriminazione né proscioglimento per i dirigenti del San Raffaele.

Ma questo non frena i parlamentari del Movimento 5 stelle dal lanciarsi in un attacco frontale contro Bedin: in un'interrogazione Giulia Grillo (ministra della Sanità in pectore di un eventuale governo grillino) e Paola Taverna (candidata sottosegretaria) chiedono addirittura alla ministra della Salute Beatrice Lorenzin di "sciogliere il consiglio d'amministrazione del San Raffaele e interdire gli indagati".

Chissà cosa pensano oggi la Grillo (nessuna parentela con Beppe), la Taverna nonché Silvana Carcano (che nel 2013, da capogruppo 5 stelle in regione Lombardia, lottò a fianco dei lavoratori del San Raffaele contro la nuova proprietà), scoprendo che il tanto detestato Nicola Bedin è stato invitato come relatore al convegno che Davide Casaleggio, figlio di Gianroberto, organizza sabato 8 aprile in memoria del fondatore del M5S morto un anno fa.

A Ivrea l'ospite d'onore Bedin, "managing director" del San Raffaele, disquisirà di sanità. Dopo che per anni i poveri parlamentari grillini si erano sgolati contro le "speculazioni" degli ospedali privati, e a favore della sanità pubblica. Contrordine compagni. Finché si trattava di scaldare le piazze, andava bene la demagogia dei Di Battista e Di Maio. Ma quando si sente profumo di governo, inversione a U: entrano in campo i cervelloni di Casaleggio junior. E per gli attivisti non c'è più posto ai convegni del suo Think tank, che li ha esautorati.
Mauro Suttora

Wednesday, March 29, 2017

La Raggi in vacanza a sciare

di Mauro Suttora

Oggi, 29 marzo 2017

Nell’hotel Emmy di Fié allo Sciliar (Bolzano), dove hanno trascorso cinque giorni, avevano una suite con due stanze. Quindi niente autorizza a dire che si siano rimessi insieme. Ma queste foto che pubblichiamo in esclusiva dimostrano che fra la sindaca di Roma Virginia Raggi e il suo marito separato Andrea Severini (regista a Radio Dimensione Suono) è tornato il bel tempo.
Sarà per il bene del figlio, sarà perché lui l’ha sempre difesa in questi mesi tribolati, ma la coppia sembra aver ritrovato l’affiatamento.

E di calma la Raggi ha proprio bisogno. Nei giorni drammatici dopo l’arresto del suo braccio destro Raffaele Marra (in carcere da tre mesi e mezzo) e le rivelazioni sulle polizze assicurative da 30mila euro intestatele dal dirigente grillino Salvatore Romeo, Virginia aveva avuto un crollo nervoso ed era finita in ospedale.

Inquisita per tre reati, non si è dimessa

Si mormorava anche di una relazione con l’uno o con l’altro, vista la testardaggine con cui lei li difendeva dalle critiche del suo stesso Movimento 5 stelle.

E invece niente: con Marra la Raggi condivide soltanto due avvisi di garanzia (abuso d’ufficio e falso in atto pubblico) per avere promosso il fratello di Marra alla guida della direzione Turismo.

Con Romeo invece la sindaca è indagata per un terzo reato (abuso d’ufficio), dopo averlo nominato capo della sua segreteria triplicandogli lo stipendio, da 40 a 110mila euro annui.
Ma lei nega di aver saputo che Romeo le avesse intestato le tre polizze. E grazie a un cambio delle regole del suo movimento, non deve più dimettersi.

No alle olimpiadi, sì allo stadio

In questi nove mesi le decisioni più importanti prese dalla Raggi sono state il no alle Olimpiadi 2024 e il sì alla costruzione di un nuovo stadio di calcio per la Roma.

Altre vicende burrascose hanno fatto allontanare dal governo grillino una dozzina fra assessori e dirigenti. Cosicché la Raggi è vista più come un peso che come un aiuto in vista del prossimo voto politico nazionale: «Prima cade, meglio è», disse la senatrice 5 stelle Paola Taverna già nel luglio 2016.

Le ‘Iene’ accusano: “Firme irregolari”

Neanche fra le nevi, tuttavia, la povera sindaca ha trovato pace. È stata inseguita da un inviato del programma tv Le Iene (Italia 1), che le ha chiesto conto di irregolarità scoperte sulle firme raccolte per presentare la sua candidatura l’anno scorso: un modulo postdatato con un migliaio di sottoscrizioni raccolte successivamente, e autenticatori insufficienti.

Le Iene hanno già fatto passare i guai ai grillini palermitani, svelando firme false e facendone inquisire 14 di loro (fra cui tre deputati, sospesi dal M5s).

La Raggi ha scaricato ogni responsabilità sui due avvocati grillini incaricati della raccolta firme.
Ma molti sostenitori del movimento la sostengono, accusando i giornalisti di essere troppo severi con lei.

Mauro Suttora

Thursday, March 09, 2017

Conti in tasca ai politici



CHI CI HA PERSO, CHI CI GUADAGNA

Abbiamo confrontato le dichiarazioni dei redditi di chi è stato eletto la prima volta nel 2013 con quelle attuali. Alcuni sono miracolati, altri disperati

di Mauro Suttora

Oggi, 9 marzo 2017

Dai 580 mila euro in più di Alberto Bombassei al milione e 600 mila in meno di Yoram Gutgeld, ecco la classifica dei politici più noti che hanno debuttato nel 2013, secondo le loro dichiarazioni dei redditi: chi ha guadagnato e chi ha perso, facendosi eleggere per la prima volta?

Alcuni miracolati sono passati dal reddito zero della disoccupazione agli attuali 98 mila: i capi grillini Di Maio e Fico, i piddini Anna Ascani e Khalid Chaouki. 

La performance stellare dell’industriale Bombassei è merito non della politica, ma dell’exploit della sua società quotata in Borsa (Brembo); quella di Bonifazi (tesoriere Pd) al suo studio di avvocato, Bernabò Bocca ha alberghi. Il più ricco, ma stabile, è Renzo Piano.

È andata bene all’olimpionica Josefa Idem, male alla campionessa di scherma Valentina Vezzali. Disastro anche per i giornalisti Augusto Minzolini (ex direttore Tg1), Corradino Mineo (Rainews) e Massimo Mucchetti (Corriere della Sera).

Enrico Zanetti guadagnava un quarto di milione da commercialista, ora non solo è crollato sotto i 100 mila, ma ha pure perso la poltrona di viceministro. Ci ha rimesso anche il ministro Padoan: all’Ocse guadagnava il doppio.

Luigi Gaetti, ex medico, è l’unico grillino a rimetterci. A Laura Boldrini invece è convenuto buttarsi in politica: da funzionaria Onu guadagnava meno. Bene anche il presidente del Senato ed
ex magistrato Pietro Grasso.

Cecile Kyenge e Simona Bonafé ora sono eurodeputate, e anche a loro va bene. Stabili Boschi, Lotti e Renzi. Quest’ultimo non è eletto (come Padoan).

CLASSIFICA
redditi 2012 – 2016 differenza (in migliaia di euro)

Alberto Bombassei (Civici) 846mila – 1.426mila +580
Francesco Bonifazi (Pd) 67 – 280 +213
Pietro Grasso (Pd ) 176 – 340 +164
Valeria Fedeli (Pd) 41 – 181 +181
Ilaria Borletti (Pd) 89 – 190 +101
Luigi Di Maio (M5s) 0 – 98 +98
Roberto Fico (M5s) 0 – 98 +98
Anna Ascani (Pd) 0 – 98 +98
Khalid Chaouki (Pd) 0 – 98 +98
Alessandro Di Battista (M5s) 3 – 98 +95
Paola Taverna (M5s) 12 – 102 +90
Renzo Piano (senatore a vita) 2.600 – 2.685 +85
Barbara Lezzi (M5s) 20 – 98 +78
Simona Bonafè (Pd) 28 – 102 +74
Carla Ruocco (M5s) 26 – 96 +70
Bernabò Bocca (Fi) 758 – 823 +65
Cecile Kyenge (Pd) 38 – 102 +64
Roberto Speranza (Mdp) 35 – 94 +59
Laura Boldrini (misto) 94 – 146 +52
Alessia Morani (Pd) 47 – 92 +45
Josefa Idem (Pd) 121 – 146 +25
Luca Lotti (Pd) 83 – 98 +15
Maria Elena Boschi (Pd) 90 – 99 +9
Matteo Renzi (Pd) 99 (sindaco) – 105 +6
Luigi Gaetti (M5s) 107 – 101 -6
Stefania Giannini (Pd) 116 – 96 -20
Corradino Mineo (Si) 311 – 250 -61
Massimo Mucchetti (Pd) 348 – 259 -89
Andrea Romano (Pd) 205 – 116 -89
Pier Carlo Padoan 216 – 103 -113
Enrico Zanetti (Scelta Civica) 248 – 93 -155
Edoardo Nesi (Pd) 455 – 174 -281
Augusto Minzolini (FI) 524 – 113 -411
Valentina Vezzali (Sc) 689 – 145 -544

Yoram Gutgeld (Pd) 1.757 – 101 -1.656

Thursday, March 02, 2017

Dalla Guardia di Finanza al carcere

Dalla Guardia di finanza al carcere, passando per la politica

2 marzo 2017

di Mauro Suttora

Il grillino Raffaele Marra non è il primo ex ufficiale della Guardia di Finanza datosi alla politica e arrestato per tangenti in ambito immobiliare.

Massimo Maria Berruti, 67 anni, lucano, deputato di Forza Italia dal 1996 al 2013, lascia l’arma nel 1980 dopo un’ispezione alla Edilnord di Silvio Berlusconi, e si mette in proprio con consulenze Fininvest. 

Cinque anni dopo viene arrestato per una tangente da 150 milioni sull’Icomec (lo scandalo che distrugge il segretario Psdi Pietro Longo): assolto in Cassazione. Poi, negli anni 90, otto mesi per favoreggiamento alla Fininvest
.
Le traversie giudiziarie di Berruti si sono concluse nel 2012 con 2 anni e 10 mesi per riciclaggio annullati per prescrizione. E ricompare nelle cronache quattro mesi fa, quando vende a Berlusconi 420metri quadri in un indirizzo romano dal nome prestigioso: via delle Zoccolette
.
Marco Milanese, 57 anni, irpino, nel 1994 lavora con Antonio Di Pietro su Tangentopoli. Tenente colonnello della Finanza, è distaccato al ministero dell’Economia, dove nel 2002 diventa il braccio destro del ministro Giulio Tremonti. Due anni dopo lascia l’arma e si laurea. 

Deputato Pdl nel 2008, è vice di Nicola Cosentino, a capo del partito in Campania. Nel 2011 la richiesta di arresto per corruzione (negata dalla Camera), l’anno seguente è condannato a 8 mesi per la casa romana di Tremonti, di cui pagava l’affitto.

La via crucis di Milanese continua nel 2014 con un altro arresto, per traffico di influenze nell’inchiesta Mose di Venezia: condannato a due anni e mezzo, è in corso l’appello.

Mauro Suttora

Tomba di Claretta Petacci

Nella palude della burocrazia

ANCHE LA TOMBA DI CLARETTA È RIMASTA ORFANA

L'unico erede dei Petacci ha scritto dagli Usa alla direzione del Verano per pagare la manutenzione, senza però ricevere risposta. Intanto fa scalpore la prima biografia in inglese dell'amante del duce

di Mauro Suttora

Libero, 2 marzo 2017

Più che minacciare di demolire la tomba di Claretta Petacci al cimitero Verano di Roma, bisognerebbe demolire la burocrazia che impedisce di ripararla.
Da due anni, periodicamente, qualcuno lancia l'allarme sullo stato d'abbandono in cui versa la cappella che custodisce i resti dell'amante di Benito Mussolini. Si è anche formato un comitato di nostalgici disposti a raccogliere i fondi necessari ai lavori.

L'unico erede della famiglia Petacci, Ferdinando, ha 74 anni e vive vicino a Phoenix, Arizona. È figlio di Marcello, fratello di Claretta, ed era con i genitori e il fratellino in un'auto del convoglio di gerarchi fascisti che fuggivano lungo il lago di Como alla fine dell'aprile 1945. Ha visto suo padre trucidato dai partigiani mentre cercava di fuggire a nuoto nel lago a Dongo. Sua madre, la bellissima Zita Ritossa, rimase prigioniera dei comunisti per tre giorni assieme ai figli. Non ha mai voluto parlare di quel che le fecero. Ma il fratello maggiore di Ferdinando non si riprese più dallo choc. Zia Claretta aveva lasciato l'Alfa Romeo per riunirsi al suo Benito, e farsi ammazzare assieme a lui.

"Ho scritto un anno fa alla direzione del cimitero Verano fornendo il mio recapito, e dichiarandomi disponibile ad affrontare tutti i lavori necessari per la manutenzione della tomba", ci ha risposto esasperato Ferdinando Petacci dall'Arizona dopo che gli abbiamo riferito dell'ennesimo allarme sullo stato della cappella. Ha allegato fotocopie della sua lettera e della ricevuta di ritorno.

Il personaggio di Claretta continua ad appassionare gli storici. Proprio un mese fa e' uscita la sua prima biografia in inglese, scritta dal professore australiano Richard Bosworth per la Yale University Press. Hanno fatto scalpore su tutti i giornali britannici e americani i dettagli sugli aspetti animaleschi del rapporto che legava Mussolini alla esile ventenne, figlia del medico del Papa.
"A letto con le donne sono una belva", si vantava il duce con lei, magnificando le proprie doti sessuali. E lei, ossessionata dall'amore cieco per il suo Benito, ogni sera scriveva sul suo diario tutto quello che lui le diceva.

Per questo i veri diari di Mussolini non sono quelli apocrifi acquistati da Marcello Dell'Utri e avventatamente pubblicati da Bompiani nel 2010, ma quelli di Claretta Petacci dati alle stampe da Rizzoli un anno prima. Sicuramente autentici: l'Archivio di stato li sequestrò nel dopoguerra, ne studiò e garantì la veridicità, e ne permise la pubblicazione solo a 70 anni di distanza dalla loro compilazione, per proteggere la privacy dei tanti personaggi citati (fra cui insospettabili amanti dell'inesauribile Benito che la gelosissima Claretta via via scopriva, con tanto di figli segreti).

Su questi diari della Petacci si basa la biografia di Bosworth, e sulle tante inedite e clamorose confidenze di Mussolini ("Sterminerò gli ebrei", "La principessa Maria Jose' tentò di sedurmi", "Hitler è pazzo e inaffidabile"). Tutte notizie non reperibili ai tempi della pur ottima prima biografia di Claretta, scritta da Roberto Gervaso negli anni '80.

Altra coincidenza: proprio dieci giorni fa e' scomparso Pasquale Squitieri, regista del film Claretta (1984), interpretata dalla sua Claudia Cardinale. Una delle prime volte in cui non si demonizzava il capo del fascismo. Per questo Squitieri, fino ad allora di sinistra, fu criticato dai comunisti. È da lì maturò la sua svolta a destra, fino all'elezione come senatore di An.

Una delle scene madri del film Claretta la vede fronteggiare quella che lei pensava fosse l'ultima amante di Mussolini, Elena Curti, una bella bionda 23enne che era accanto a lui nell'autoblindo in fuga da Como. Claretta le urla contro, finché i gerarchi le spiegano che si tratta della sua figlia segreta.

Oggi la 95enne Elena Curti, lucida e combattiva, vive ad Acquapendente (Viterbo). È l'ultima sopravvissuta di quella generazione. Che, per quante disgrazie e distruzioni abbia causato all'Italia, incarna un tipo di vita avventurosa che affascina lettori, appassionati di storia e semplici curiosi. Non capita tutti i giorni che una donna giovane, bella e intelligente come Claretta si innamori a tal punto di un dittatore da volersi far uccidere assieme a lui a 33 anni. Per questo le traversie della sua tomba fanno ancora notizia.
Mauro Suttora

Saturday, February 11, 2017

Il M5s odia la libertà e bastona i giornalisti

UN PARTITO INTOLLERANTE AL SUO INTERNO, CHE LANCIA MINACCE ALL'ESTERNO

di Mauro Suttora
Libero, 11 febbraio 2017

Il problema dei grillini non è né Virginia Raggi, né il caos Roma. È la struttura segreta-paranoica del loro movimento a produrre disastri a getto continuo. Da due settimane, disperato, Grillo vieta ai suoi adepti di scrivere addirittura sulle proprie pagine facebook. «Taci, il nemico ti ascolta», è il suo mussoliniano avvertimento.

Eppure il mestiere dei parlamentari è parlare, lo dice la parola stessa. Nessun partito al mondo può impedirlo. Tranne il partito comunista cinese. Ma perfino il Quotidiano del Popolo di Pechino ora boccia i grillini: «Sono i peggiori populisti d’Europa».

Come tutti i bocconiani, il figlio di Casaleggio non sa cos’è la democrazia. La cultura aziendale è il contrario della libertà. Nelle imprese comanda il Capo. Le aziende hanno un’organizzazione dittatoriale: agli ordini dei manager si obbedisce. In nome dell’efficienza, il dibattito è tollerato solo se sollecitato dal vertice.

Così nel Movimento 5 stelle. «Una formica non deve sapere come funziona il formicaio, altrimenti tutte le formiche ambirebbero a ricoprire i ruoli migliori e meno faticosi», teorizza Casaleggio baby. E Grillo tratta i suoi discepoli con la delicatezza del satrapo mesopotamico. 

I grillini sono un misto di caserma, oratorio, convento e asilo infantile. Fra loro i dossieraggi da setta poliziesca sono sempre esistiti, ben prima di quelli di un anno fa contro Marcello De Vito, il candidato sindaco a Roma fatto fuori dalla Raggi.

Ai primi, nel 2013, contribuii anch'io. Un dirigente romano mi chiese informazioni su certi senatori monzesi che erano riusciti a farsi eleggere in blocco, eliminando tutti i milanesi. In teoria le cordate erano proibite. Spiegai che una era stata eletta solo perché moglie di un consigliere comunale grillino: fino a pochi mesi prima non sapeva neanche chi fosse Grillo. Altri casi di parenti infestavano la Lombardia.

Tutto fu scrupolosamente registrato. Dopo qualche mese partirono le epurazioni contro chi osava dissentire. I 40 parlamentari espulsi in questi quattro anni sono stati ricattati con pettegolezzi riservati.

Ormai, dopo la pubblicazione delle loro chat Whatsapp, fra i grillini si è sparso il panico. Parlano solo di persona, non lasciano più tracce scritte. Alcuni si illudono che le chat Telegram siano più sicure. Sembra di essere a Mosca o a Berlino negli anni 30. 
   
L’unica libertà di parola la esercitano contro i giornalisti. Sventolano una pseudoclassifica sulla libertà di stampa che vedrebbe l’Italia al 77° posto al mondo. Non capiscono che la graduatoria si riferisce alle minacce contro la libertà di stampa. E ci mancherebbe, in un paese per metà in mano a mafie e ’ndranghete, e in cui i politici possono mandare i cronisti in carcere o intimidirli con querele campate in aria. 

Questo non impedisce che l’Italia abbia fior di giornali e tv. Ma loro auspicano il genocidio dei giornalisti: «Verrete sostituiti dalla rete», jellano. 

Di Maio si appella all'Ordine dei giornalisti. Non ricorda che il M5s nel 2008 raccolse mezzo milione di firme per un referendum sulla sua abolizione (furono buttate perché il figlio di Casaleggio sbagliò le date della raccolta). Ma per bastonare la libertà, tutto va bene. 

Lo scoop della polizza di Romeo regalata alla Raggi è opera in tandem di Fatto ed Espresso. Però nell’elenco dei giornalisti da punire, quello del quotidiano pro-Grillo magicamente sparisce.

 Intolleranti al loro interno, i grillini moltiplicano le minacce all’esterno. «Siamo il cambiamento che proponiamo», era il loro slogan. Speriamo di no.

Mauro Suttora