Wednesday, June 17, 2015

Toti, Emiliano, Di Maio

POLITICI EMERGENTI: GAS GAS, IL GLADIATORE, DI MAIONESE

Dopo le regionali, emergono questi tre personaggi in Forza Italia, Pd e Movimento 5 stelle

Oggi, 10 giugno 2015

di Mauro Suttora

E pensare che lo consideravano un moderato. «Rifugiati? In Liguria non ne vogliamo neanche uno». Così Giovanni Toti, detto “Gas gas” per la somiglianza col topolino di Cenerentola, ha infranto dopo un solo anno il mito dell’invincibilità di Matteo Renzi.

Gli è bastato calcare un po’ i toni, allearsi con la Lega, approfittare delle divisioni a sinistra, e Genova è tornata al centrodestra dopo dieci anni. Ora i berlusconiani, distrutti nel resto d’Italia, si aggrappano solo a lui.

Il “Gladiatore”, invece, non ha avuto bisogno delle beghe degli avversari per vincere in Puglia. Michele Emiliano col suo 47% ha stracciato tutti: grillini e fittiani fermi al 18%, i berlusconiani dell’ex ministra Adriana Poli Bortone ancora più indietro.

Il Gladiatore ha bisogno di donne

Furbissimo, dichiara di amare i 5 stelle e di volerli imbarcare nella sua giunta. Anche perché lui non ha donne. Incredibilmente, infatti, dei nuovi 50 consiglieri regionali pugliesi solo sei sono del gentil sesso: cinque grilline e una di Forza Italia. Nessuna di Pd e liste collegate, nonostante le candidate fossero ben 85.

Gli elettori del centrosinistra si sono dimostrati insomma orrendi maschilisti. E nei guai è finito il Gladiatore, che aveva promesso una giunta rosa a metà. Ora dovrà nominare due esterne al consiglio regionale (il massimo consentito), ma le altre tre (per arrivare a cinque su dieci) non sa proprio dove pigliarle. Le grilline gli fanno marameo.

Altro che “Dimaionese”, il pupo è un duro

Fa marameo al Pd anche il grillino-capo, il napoletano Luigi Di Maio. Soprannominato “Di maionese” per la sua apparente affabilità, il wonderboy 5 stelle (vicepresidente della Camera a soli 26 anni) non dà segni di ammorbidimento.

Il suo movimento non è andato bene alle regionali, ha perso anch’esso quasi un milione di voti come tutti i partiti, per colpa degli astenuti. Ma i grillini   sono ringalluzziti perché hanno dimostrato di poter comunque contare su uno “zoccolone duro” del 15-18% che ormai li vota a scatola chiusa.

La «scatola di tonno» che promettevano di aprire (le istituzioni marce) sono sempre lì, intatte. Ma gli altri rubano così tanto che a loro basta urlare «onestà» per acchiappar voti.

Niente emergenti fra i leghisti, fa tutto Salvini

Ecco, questi sono i tre personaggi che si sono messi in luce nelle ultime settimane in quel deserto grottesco che è la politica italiana. La Lega, unico partito che ha aumentato i voti, non sta esprimendo volti nuovi dietro all’onnipresente Matteo Salvini. Mentre a Forza Italia, Pd e M5s non resta che sperare in Toti, Emiliano e Di Maio.

La scalata repentina dell’ex direttore di Studio Aperto (il tg di Italia1) e Tg4 al ruolo di salvatore della patria forzista (magari in coppia con l’incantevole Mara Carfagna) ha qualcosa di miracoloso e misterioso.

Questo ragazzone di Viareggio, figlio di albergatori, laurea a Milano in scienze politiche, in politica non era nessuno fino a due anni fa. Sì, si era iscritto ai giovani del Psi, ma il partito fu subito distrutto da Tangentopoli. Comunque una garanzia di affidabilità, quella tessera, quando all’alba dei trent’anni riesce a diventare stagista a Mediaset.

Più che la carriera interna a Studio Aperto, però, a spiegare l’improvviso innamoramento di  Silvio Berlusconi per Toti servono i pochi mesi che quest’ultimo nel 2008 passò come vice capufficio stampa a Mediaset. Quel passaggio in azienda gli diede il timbro di fiducia. 

Non guasta il suo matrimonio con Siria Magri, giornalista di sei anni più anziana, oggi vicedirettrice di Videonews, solida bergamasca che si favoleggia sia stata assunta direttamente da Berlusconi nella tribuna stampa dello stadio dell’Atalanta, folgorato dalla sua avvenenza quando lei lo intervistò per una tv locale (ma niente divani e cene eleganti, a scanso di equivoci: solo stima professionale).
     
Anche Di Maio è legato a una donna più anziana di lui (di 12 anni), la quarantenne cremonese Silvia Virgulti. Che dopo aver cercato di insegnare l’inglese a Beppe Grillo, ha svelato ai parlamentari grillini i trucchi per parlar bene in tv. E Luigi è il suo prodotto meglio riuscito, anche grazie alle tecniche della Pnl (Programmazione neurolinguistica).

Il minuscolo Luigino non potrebbe essere più differente dal ciclopico Emiliano, 120 chili per 1,90 di altezza. Figlio di un calciatore professionista e lui stesso giocatore di basket in serie B, dopo la laurea in legge (Di Maio invece è fuoricorso) il Gladiatore pugliese è diventato avvocato e poi magistrato antimafia fino al 2004, quando lasciò la toga per diventare sindaco di Bari.
 
Aveva cominciato ad Agrigento nel 1988. Suo collega in procura era Rosario Livatino. Da Palermo li seguiva e aiutava Giovanni Falcone. «Giudici ragazzini», li definì il presidente Francesco Cossiga. Nel 1990 Livatino fu assassinato, Emiliano tornò in Puglia. Uno choc.

Xylella e fanatici, il loro fastidio comune
 
Ora il principale nemico di Emiliano si chiama Xylella fastidiosa: è il batterio che rischia di decimare i centenari ulivi pugliesi. Se la domerà com’è riuscito a fare con i bilanci della sua Bari (ha vinto l’Oscar del Sole 24 Ore), potrà ambire a scenari nazionali.

Per Toti, invece, i fastidi sono tutti interni. Lui è riuscito a vincere in Liguria alleandosi alla Lega. Ma molti in Forza Italia (compreso Berlusconi) non sopportano l’estremismo leghista.
Stesso dilemma per Di Maio, agli antipodi per stile e contenuti dall’isteria di altri grillini come Alessandro Di Battista.

Mauro Suttora

Friday, June 12, 2015

Ipermercati o piccoli negozi?

LA SFIDA CONTINUA. BOTTEGHE ALLA RISCOSSA CONTRO I SUPERMERCATI IN CRISI

I grandi centri commerciali in periferia non funzionano più: i loro prezzi bassi non bastano ad attirare clienti che preferiscono la comodità di comprare sotto casa. Anche per evitare il deserto nei centri storici, e ridar vita alle nostre vie 

Oggi, 3 giugno 2015

di Mauro Suttora

Le nostre tasche sono più vuote, e si svuotano anche le nostre vie. Negozi che chiudono per la crisi, incassi che non bastano a tenere aperte le vetrine. Così spariscono i commercianti che allietavano i marciapiedi dei centri storici. Colpiti dalla concorrenza dei centri commerciali in periferia: ne sono stati costruiti 5 mila in dieci anni, dopo il Duemila.

Ora, però, perdono colpi anche gli ipermercati. Le grandi catene francesi Auchan  e Carrefour sono in difficoltà, annunciano centinaia di licenziamenti in tutta Italia. 

Ricetta: specializzarsi e offerta di qualità

E infatti il numero di supermercati, discount e outlet, è sceso dai 29 mila del picco nel 2011 ai 27 mila di oggi. 
Viceversa, i piccoli negozi sono alla riscossa. Specializzandosi e offrendo prodotti di qualità attirano clienti che non hanno voglia di sobbarcarsi lunghi viaggi in auto in periferie intasate per fare la spesa.

Lo confermano i dati controcorrente della Cgia (Confederazione generale italiana dell’artigianato) di Mestre: «Negli ultimi sei anni hanno chiuso 115 mila negozi di vicinato», spiega il segretario Giuseppe Bortolussi, «ma i più colpiti sono stati artigiani ed esercenti di bar. I commercianti al dettaglio, invece, sono diminuiti soltanto dello 0,7 per cento: da 801 mila a 795 mila».

Insomma, la guerra fra supermercati e piccoli negozi è tutt’altro che vinta dai primi. In realtà c’è ancora spazio per chi inventa cose nuove. 

Un esempio concreto è quello di Damiano Giannatempo, che probabilmente detiene il Guinness dei primati per il tempo che passa nella sua bottega di via Anfossi a Milano, sul parco di largo Marinai d’Italia: 70 ore a settimana. La tiene aperta ogni giorno, domeniche comprese, dalle dieci del mattino alle otto di sera. Da solo.

Foggiano, a Milano da 45 anni, Giannatempo vende prodotti tipici meridionali. Dalla mozzarella di bufala al pane casereccio, da primizie di frutta e verdura a bottiglie doc di oli e vini. 
E sua moglie? Non la vede mai. «A lei va bene così», sorride Giannatempo. Che copia i negozi familiari coreani di Manhattan aperti 24 ore su 24: apertura garantita per chi lavora e quindi preferisce far compere con calma nei weekend. Piante fiorite e una panchina allietano il marciapiede davanti al negozio, e così Giannatempo contribuisce anche alla vita sociale della strada.

«È proprio questa la soluzione per i piccoli negozi», dice a Oggi Luigi Rubinelli, direttore di RetailWatch, «non la concorrenza sui prezzi nella quale iper e Internet sono imbattibili. O la velleità di offrire prodotti uguali a quelli dei supermercati. Certo, affitti e tasse colpiscono duro i piccoli esercizi. In Germania e Olanda gli enti locali, quando recuperano i centri storici, offrono spazi a prezzo calmierato per commercianti e artigiani».

Gli artigiani. Sono loro a soffrire di più, anche per la concorrenza degli immigrati, soprattutto i cinesi a basso costo: «Oltre la metà delle 115 mila imprese che hanno chiuso sono legate al comparto casa», calcola Bortolussi. «Edili, lattonieri, posatori, elettricisti, idraulici e manutentori di caldaie stanno vivendo momenti difficili. Ma soffrono anche professioni storiche dell’artigianato. Pochi giovani si avvicinano a mestieri come barbieri, calzolai, fotografi, rilegatori, ricamatrici; artigiani che con le loro botteghe hanno caratterizzato la vita quotidiana di tanti paesi e città, e che stanno scomparendo. Senza dimenticare i norcini e i casari che hanno contribuito a sviluppare una cultura agroalimentare che, in loro assenza, rischiamo di perdere definitivamente».
            
Oltre al danno economico, poi, c’è un aspetto sociale da non trascurare: «Quando chiude la saracinesca un piccolo negozio o una bottega artigiana, la qualità della vita di quel quartiere peggiora. C’è meno sicurezza, più degrado, un impoverimento del tessuto sociale», sottolinea Bortolussi.
Ormai, in molti casi, la vita sociale si è spostata nei centri commerciali. Che ruotano attorno a immensi ipermercati.

«Ma questi soffrono perché le industrie di marca non garantiscono più sconti sui prezzi, a fronte di acquisti all’ingrosso di grandi quantità», spiega Rubinelli. «Anche la benzina non ha più prezzi così bassi. E ormai si trovano prodotti di marca anche in discount come Lidl».

Quindi c’è un ritorno a negozi e supermercati «di prossimità». Si salvano catene italiane come Esselunga, Coop, Conad e Crai che hanno pochi ipermercati. I francesi di Auchan hanno appena trovato un accordo con i sindacati per i loro 9 mila dipendenti di 217 supermercati in Italia: meno soldi e turni più flessibili. Insomma, lavorare di più (senza arrivare agli orari stakanovisti di Giannatempo) e guadagnare di meno.

Inutile fare i romantici, è la legge del mercato

Inutile fare i romantici: «Anche i negozi obbediscono alla legge del mercato, chi non è efficiente chiude», dice Rubinelli. «Per esempio, fra i centri commerciali vanno meglio quelli che offrono dieci-dodici sale di cinema. E sapete quali sono i ristoranti che riscuotono maggiore successo? Quelli dell’Ikea. Perché lì si mangia con 9-10 euro, ma anche perché si può lasciare l’auto all’ombra nei parcheggi coperti, e perché i bimbi sono accuditi. Ormai c’è gente che va all’Ikea non per comprare mobili, ma per mangiare».

Nella grande distribuzione si esercitano strategie di marketing raffinatissime. Anche perché i margini sono assai risicati: su 100 euro di prodotti venduti, le catene riescono a guadagnarne appena 2-3. Ma essendo le quantità notevoli (il valore complessivo della spesa degli italiani è sui 40 miliardi annui), se si imbrocca la strada giusta i profitti arrivano a palate.

Così, non è un mistero che i prodotti con il miglior rapporto qualità/prezzo sono quelli più difficili da raggiungere, in basso negli scaffali. 
Oltre alla fatica di chinarsi per vederli, noi clienti dovremmo farne un’altra: quella di non guardare mai i prezzi scritti in grande, ma quelli veri. Che sono il costo al chilo, o all’etto.
Mauro Suttora



Wednesday, May 27, 2015

Toti-Emiliano, intervista parallela


Il candidato di centrodestra Giovanni Toti (ex direttore di Studio Aperto e di Tg4) forse vincerà in Liguria alle regionali del 31 maggio 2015 grazie alle divisioni del centrosinistra. Il candidato di centrosinistra Michele Emiliano (ex magistrato e sindaco di Bari) vincerà in Puglia grazie alle divisioni del centrodestra.

Due personaggi simmetrici, che quindi meritano un'intervista simultanea con (quasi) le stesse domande.

Oggi, 20 maggio 2015

di Mauro Suttora

Una previsione sul voto: Renzi vincerà 6-1, in tutte le regioni tranne in Veneto?
Toti: «Qui in Liguria avrà una delusione. Merito nostro, e colpa delle divisioni della sinistra».
Emiliano: «Credo di sì, se in Liguria il popolo di sinistra sceglierà il “voto utile” per Paita».

Dopo il 4% a Trento di Forza Italia, ma anche il meno 20% del Pd rispetto alle europee, quanto dureranno Berlusconi e Renzi?
T: «In Trentino Forza Italia paga debolezze che durano da anni. Berlusconi spero duri in politica il più a lungo possibile».
E: «Il primo è durato tantissimo, il secondo è molto ben avviato. Renzi però deve preoccuparsi di più per gli astenuti, rimotivandoli».

Se in Liguria vince Toti ci sarà la scissione a sinistra del Pd?
T: «Non mi riguarda».
E: «No. In Liguria resiste il vecchio Pd industrialista, ma non ha futuro. E le nostre regole permettono di fare un grandissimo casino anche a chi resta dentro».

Di chi è la colpa della divisione della destra in Puglia?
T: «Come in famiglia, quando ci si separa la colpa è un po’ di tutti. Io avevo proposto di candidare in Puglia il nostro eurodeputato più votato [Fitto, ndr], così come abbiamo fatto in Liguria [Toti, ndr]. Ma hanno prevalso interessi personali».
E: «La colpa è mia. Abbiamo un tale vantaggio che a destra non si preoccupano più di vincere. Regolano i loro conti».

Di chi è la colpa della divisione della sinistra in Liguria?
E: «Di un vecchio Pd che non si rassegna. Ma per guarire serve la fisioterapia, anche se è un po’ dolorosa».

Il suo primo atto se vince?
T: «Nominare un commissario straordinario contro il dissesto idrogeologico».
E: «Riunire i migliori studiosi del mondo per combattere la Xylella. Che rischia di propagarsi in tutta Italia e nel Mediterraneo».

Cosa pensa degli “impresentabili” alleati di De Luca in Campania? C’è qualche accusa anche contro Emiliano.
T: «La sinistra ha una doppia morale: quel che serve a loro diventa presentabile. Scaricano le responsabilità dicendo che si tratta di liste collegate, non del Pd. Ma le alleanze si fanno consapevolmente».
E: «Non conosco le cose in Campania. Contro di me, invece, solo balle. Anzi: fuoco amico. Qualcuno a sinistra accusa un candidato Udc, nostro alleato, di essere stato nell’estrema destra un quarto di secolo fa».

Le ruberie non cessano, dall’Expo al Mose, da Mafia Capitale alle Grandi opere: ormai in Italia la corruzione è norma?
T: «Dobbiamo essere durissimi. Ma il primo modo di combatterla è semplificare la selva di leggi dietro cui si nascondono i corrotti».
E: «Certi politici e dirigenti pubblici monetizzano la propria carica. Grande determinazione contro di loro».

Teme Grillo?
T: «Sa raccogliere l’esasperazione, però ha fallito in ogni proposta. Ulula alla luna, ma è velleitario».
E: «Qui in Puglia arriverà secondo, avrà il miglior risultato d’Italia. Ho una vecchia passione per la parte ragionevole e democratica dei 5 stelle».

Se non ci fosse il suo partito, voterebbe Grillo?
T: «Mai».
E: «Sì».

Da governatore, è disposto ad accogliere i migranti? Cosa pensa della Val d’Aosta che ha detto no a 79 “ospiti”?
T: «Hanno fatto bene. Dopo la vittoria ci uniremo a loro e ai sindaci di Lombardia e Veneto, che non ne vogliono neanche uno. Siamo in crisi, i nostri territori non possono sopportare queste sollecitazioni. Renzi risolva il problema a monte, come propone il premier inglese Cameron, senza scaricarlo su di noi».
E: «San Nicola, protettore di Bari, ha la pelle nera. È un dovere accogliere i rifugiati, come ha fatto la mia città nei dieci anni della nostra amministrazione».

Come ridurre le spese sanitarie delle regioni?
T: «Faremo scegliere dirigenti e primari da società di cacciatori di teste, e non dai politici. Potenzieremo l’assistenza domiciliare. Prolungheremo gli orari di ospedali ed esami diagnostici per ridurre le liste d’attesa».
E: «Butteremo fuori i politici. Le nomine le farà un Consiglio superiore della sanità composto dai presidenti degli ordini professionali».

Regioni e Comuni smetteranno di protestare per i tagli imposti dallo Stato centrale, risparmiando invece di scaricarli sui cittadini, con aumenti sull’Irpef regionale?
T: «Abbasserò le aliquote Irpef risparmiando sulle spese. Ma a sua volta lo Stato deve smetterla di tagliare i fondi solo a noi, senza dimagrie anch’esso».
E: «Da sindaco di Bari ho risparmiato 110 milioni in dieci anni. Lo Stato ci ha tagliato il bilancio da 650 milioni annui a 540, ma abbiamo ottenuto l’Oscar per trasparenza e solidità dei conti. Questo è il Sud che funziona».

Continuiamo a cementificare la Liguria, provocando frane, alluvioni e fuga del turismo di qualità verso la Costa Azzurra?
T: «Il dissesto idrogeologico è una priorità assoluta. Bisogna riqualificare le costruzioni, senza tabù né ideologismi».

Vogliamo tagliare gli ulivi malati di Xylella e contagiosi, o basta una sentenza del Tar per bloccare tutto?
E: «Il Tar ha ragione, l’ordinanza del taglio di ulivi centenari era confusa, non c’erano test attendibili».

Ilva: è possibile produrre acciaio in modo pulito, o la chiudiamo con migliaia di disoccupati e aggravio di import di acciaio?
E: «Non so se rispettando le regole si può produrre acciaio senza ammazzare la gente avvelenando gli alimenti: questa è l’imputazione nel processo in corso. Se non si può, con l’aiuto di tutta l’Italia chiuderemo la fabbrica».

Proporrà il reddito di cittadinanza, come Maroni in Lombardia?
T: «No. Bisogna creare occupazione con seri incentivi. La sinistra ha lasciato alla Liguria un 50% di giovani disoccupati».
E: «Sì. Abbiamo già preparato un piano e lo realizzeremo, in cambio di lavori sociali. Che non si potranno rifiutare».
Mauro Suttora

Pippo Civati ed ex grillini contro Renzi

Pippo Civati, uscito dai democratici due settimane fa, è  pronto a tornare in campo contro l’ex amico Renzi. E vuole fargli perdere le elezioni in Liguria

di Mauro Suttora

Oggi, 20 maggio 2015

Cinque anni fa erano grandi amici e alla prima riunione della Leopolda sognavano di rottamare i vecchi dirigenti del Pd. Un anno e mezzo fa, alle primarie democratiche, erano avversari. Matteo Renzi vinse con il 68% contro il 14 di Pippo Civati e divenne segretario (il restante 18% andò all’ortodosso Gianni Cuperlo).

Due settimane fa Civati, dopo mesi di critiche a Renzi, ha lasciato il partito ed è tornato a Verona, dove vive con la  compagna veronese Giulia Siviero e la figlia Nina.

Vale i 400mila voti avuti alle primarie del 2013

Ma il relax è durato poco. Perché, forte dei 400mila voti delle primarie, ora Civati è pronto a nuove avventure. Formerà un gruppo parlamentare con ex grillini (6-7 senatori: Campanella, Bocchino, Casaletto, Orellana, De Pin, Molinari, Pepe) e, forse, qualcuno di Sel (partito per cui vota la compagna). E in vista delle regionali del 31 maggio fa campagna elettorale in Liguria, dove il suo candidato Luca Pastorino potrebbe far perdere Raffaella Paita (Pd) contro Giovanni Toti (Forza Italia).

Pastorino infatti nei sondaggi è al 10%: tutti voti di sinistra, tolti a Renzi. Che perciò lo accusa di attirare un voto «non utile». «Ma come, il potente premier che ci definiva perdenti e inutili ora dice che senza di noi non vince?», risponde Civati, beffardo.
Mauro Suttora

Wednesday, May 13, 2015

I peggiori film della nostra vita

Cinema: sedici personaggi confessano le loro “pellicole-mattone”

Una catena di sale francesi rimborsa il biglietto agli spettatori che escono nella prima mezz’ora. Quanti ne approfitteranno?
FRA REGISTI E ATTORI INSOPPORTABILI, Ecco chi rischia in italia: in testa Lars von Trier, Ben Affleck... e molti mostri sacri

di Mauro Suttora

Oggi, 6 maggio 2015

Quali sono i film da cui siete scappati, nella vostra vita?

Maurizio COSTANZO: «Tutti i kolossal sull’antica Roma».

Paola TAVERNA, senatrice 5 stelle: «Non sopporto i film di Madonna, quelli delle Vacanze di Natale, e comunque ormai non vado più al cinema. Mi rompo le scatole. Mi fece particolarmente schifo Palombella Rossa di Nanni Moretti, un insopportabile radical chic».

Giampiero MUGHINI: «La grande bellezza di Sorrentino».

Massimo FINI: «Uscii dal cinema quando Robert De Niro si arrampicò sulle rocce per venti minuti in Mission, quel film di ormai trent’anni fa dove c’era anche Jeremy Irons, e che vinse la Palma d’Oro a Cannes. Ultimamente ho detestato American Sniper: sembra un western, non un film di guerra. E Bjork che faceva la cieca in Dancer in the dark, il film del 2000 di Lars Von Trier: era insopportabile».

Alba PARIETTI: «The Piano Player, con Christopher Lambert, Dennis Hopper e Diane Kruger (2002). Lo dico con tutto l’affetto che ho per lui». Ma è la vendetta dell’ex? «No, allora ero innamoratissima, stavamo assieme e mi ero messa a vederlo in cassetta. Ma non ce l’ho proprio fatta, stavo per suicidarmi».

Sabina CIUFFINI: «Amore bugiardo, con Ben Affleck (2014). L’ho visto due mesi fa e sono uscita alla fine del primo tempo, cosa molto rara per me. Film fatto bene, ma prevedibile e irritante. Perché l’hanno fatto? Una specie di pozione malefica che ho rifiutato di bere fino in fondo».

Il povero Affleck si prende una segnalazione negativa pure da Michele CUCUZZA per lo stesso film, Amore bugiardo: «Sopravvalutato, scontato».

Martina COLOMBARI: «Le onde del destino, del regista danese Lars Von Trier, 1996. Nonostante avesse vinto il festival di Cannes, e la protagonista Emma Watson fosse stata nominata per un premio Oscar come migliore attrice, lo ricordo soltanto per i suoi interminabili 156 minuti. Fu una prova di forza resistere fino in fondo. E riuscii perfino a trattenere in sala mio marito [l’ex calciatore Billy Costacurta, ndr]».

Beppe SEVERGNINI: «La terra trema di Luchino Visconti mi ha sconfitto: sono uscito a metà, e tremavo più della terra in questione. Il film, mi assicurano, è un capolavoro. Ma forse non era adatto al momento ormonale di un diciottenne. Otto e Mezzo di Fellini è una meraviglia, ma è un film da vietare ai minori di 48 anni: non li riguarda.
Sono rimasto in sala per Allacciate le cinture con Kasia Smutniak di Ferzan Ozpetek, regista di cui ero e rimango un estimatore; e ho fatto male. Coraggio, succede anche ai migliori, caro Fernan».

Elisabetta GARDINI, eurodeputata di Forza Italia: «Non posso vedere gli 007 senza Sean Connery. Mi spiace per i vari Roger Moore o Daniel Craig che gli sono succeduti, ma per me James Bond rimane uno solo. E non c’è la minima possibilità che guardi un film con i supereroi, quelli dei fumetti. Mi sembra di stare in un videogioco».

Luciana LITTIZZETTO: «Paganini, scritto diretto e interpretato da Klaus Kinski (1989). Come film brutti, quello mi basta per l’eternità».

Dalila DI LAZZARO: «L’Imbalsamatore di Matteo Garrone (2002). Film interessante, ma così lugubre che mi ha respinto. Un po’ come l’Urlo di Munch, capisco il genio in quel quadro. Però io al cinema voglio sognare, ho bisogno di allegria, colori».

Antonio POLITO: «The Counselor – Il procuratore di Ridley Scott del 2013, con un cast di star: Michael Fassbender, Brad Pitt, Cameron Diaz, Penelope Cruz, Javier Bardem. Sono scappato, nonostante Ridley Scott sia uno dei miei preferiti».

Giampaolo PANSA: «Ludwig di Luchino Visconti, che pesantezza».

Camilla BARESANI: «Mi irritano i film con pretese intellettuali. Fra i tanti, ricordo Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, Il palloncino bianco di Jafar Panahi, Sotto gli ulivi di Abbas Kiarostami e Ferro 3 del coreano Kim Ki-Duk».

Stefania PRESTIGIACOMO: «Turner di Mike Leigh, sulla vita dell’omonimo pittore inglese. Il protagonista Timothy Spall avrà anche vinto il premio come migliore attore all’ultimo festival di Cannes, io ho resistito fino alla fine ma ho molto sofferto. Pesante, lento, soporifero».
Mauro Suttora

Le multe impazzite


Incubi: decine di migliaia di italiani alle prese con sanzioni impazzite 

La multa esplosa: 
da tre a 268 euro 

Cinque anni fa è passata col rosso. Pagati 159 euro, la signora Bernetti era tranquilla. Ma a gennaio anche lei è rimasta vittima del «risveglio» di molti Comuni, che per rimpinguare le casse ricorrono a trucchi. Ecco quali 

Oggi, 6 maggio 2015

di Mauro Suttora

Si chiamano Can e Cad. Ma non sono personaggi dei fumetti. Le due sigle indicano quelle che per molti italiani sono diventate un incubo: le spese aggiuntive da pagare per le multe. Cifre minime, attorno ai tre euro: “Comunicazione di avvenuta notifica” e “Comunicazione di avvenuto deposito”. Le devono versare, oltre all’importo della multa stessa, chi riceve il bollettino a casa o, se irreperibile, all’ufficio postale più vicino.

È facile, se non si leggono tutte le postille in burocratese, dimenticare di aggiungerli alla somma dovuta. Il rischio? Vedersi recapitare cartelle esattoriali salatissime dopo anni e anni.

È quel che è capitato alla signora Paola Bernetti, che nel 2010 passò col rosso a Corsico (Milano). «Mi arrivò la multa, pagai i 159 euro, ma non mi accorsi che dovevo aggiungere i 3,40 euro del Cad. Infatti avevo ricevuto due bollettini, e pensavo che quello con tre euro di meno fosse per chi pagava subito».

Valanga di sanzioni vecchie a dicembre 2014

Nel dicembre 2014 anche la signora Bernetti, come centinaia di migliaia di italiani, riceve da Equitalia l’ingiunzione a pagare multe vecchie fino a cinque anni. I Comuni infatti, bisognosi di soldi, vogliono rastrellare gli arretrati delle multe stradali (che coprono il 15% dei loro bilanci) prima che scatti la prescrizione. La signora però viene invitata a versare 268 euro: la stessa multa di cinque anni prima con la cifra raddoppiata perché pagata dopo i 60 giorni, e detratti i 159 già versati.

Incredula, la signora va al comune di Corsico dove le confermano che, non avendo pagato per intero la multa del 2010, ora la deve ripagare tutta.

Ovviamente Paola Bernetti fa ricorso, e a giugno sulla vicenda deciderà il giudice di pace. Ma la signora ha già la vittoria in tasca. Il comune di Corsico infatti, in un soprassalto di saggezza, a marzo si è reso conto dell’assurdità della sua pretesa e ha deliberato che sotto una certa cifra le somme dovute per multe arretrate non debbano essere più pagate: «Costa di più la procedura per ottenerle che l’incasso effettivo».

«I Comuni ci provano, e la gente paga»

Contenta, signora Bernetti? «Assolutamente no. Intanto, i comuni ci provano. Se io non avessi conservato per anni le ricevute di tutte le multe pagate, non avrei potuto dimostrare di averlo fatto. Poi, la gente non si ricorda. Arriva un avviso di Equitalia, c’è lo spavento, e per quieto vivere molti pagano. E comunque, non tutti sono così battaglieri da fare ricorso al giudice di pace. Nel mio caso il comune di Corsico ha fatto marcia indietro, ma la giurisprudenza al riguardo è incerta».


COME DIFENDERSI: TENETE LE RICEVUTE DI TUTTE LE MULTE PAGATE

La contestazione delle multe stradali è lo sport nazionale degli italiani. E a ragione: in ballo ci sono due miliardi di euro annui (ma i Comuni riescono a incassarne solo la metà).

Se si ha torto conviene pagare subito.
Se non avete un buon motivo per contestare la multa, conviene pagare subito: da due anni, infatti, la sanzione viene ridotta. Non vale più l’abitudine di tirarla per le lunghe.
  
Non buttate via niente, almeno per cinque anni. 
Le multe si prescrivono dopo cinque anni,ma ora i Comuni stanno bene attenti a non farli trascorrere. E si svegliano poco prima della scadenza.

Non fatevi spaventare dai costi dei ricorsi.
Non lasciatevi spaventare dai costi per le opposizioni. Andate negli uffici a contestare. Poi, il ricorso al giudice di pace costa 40 euro.

Associazioni e avvocati specializzati.
Esistono associazioni dei consumatori e avvocati specializzati per le multe stradali. L’ultima loro vittoria riguarda le multe dei tutor autostradali, nulle se manca la foto dell’infrazione.

Informatevi, leggete, scrivete ai media.
Imitate la signora Bernetti: informatevi sui giornali o online sui casi simili ai vostri, e a vostra volta scrivete. Ma solo se siete sicuri di avere ragione.

Mauro Suttora

Prime impressioni dall'Expo

Prime impressioni dall'Expo
CHE MERAVIGLIA, QUESTI PADIGLIONI SONO OPERE D'ARTE

Ma per visitarli tutti non basta un giorno. Perciò l’ingresso a 39 euro è eccessivo. Guida alle curiosità, dalla foresta austriaca al gelato con vodka bielorusso

di Mauro Suttora e Alice Corti
Oggi, 6 maggio 2015

Munitevi di scarpe comode, perché a fine giornata avrete i piedi come zampogne. All’Expo si cammina molto, i 150 padiglioni sono sparsi su due chilometri. E preferite il passante ad auto e metro: meno di venti minuti da Milano centro.

Complimenti per la volata finale, nessuno si accorge che i lavori erano in ritardo. Ma si penta chi ha deciso biglietti d’entrata così alti: 39 euro, cento per una famiglia con due bambini. Che si aggiungono al cibo. I ristoranti regionali di Eataly sono splendidi, ma dieci euro per un mini-primo su un piattino di plastica e tre per un bicchiere di acqua è troppo. Finisce che si scappa da Coca Cola e McDonalds, un euro e mezzo a cheeseburger.

I padiglioni più belli sono Italia, Cina e Vietnam. Quelli di maggior successo: Brasile (grazie alla maxirete dove si cammina), Austria (per la foresta) e Nepal (per solidarietà). Quasi ogni Paese ha un suo ristorante tipico, ma non abbondano gli assaggi gratuiti.

Fila al ristorante Basmati nel cluster riso. I “cluster” sono padiglioni tematici con più Paesi. Ci sono pure cacao, caffè, frutta, spezie, tuberi. In quello delle isole, oltre a Caraibi, Maldive, Comore e Madagascar, chissà perché c’è uno stanzone per la Corea del Nord.

La povera Regione Sicilia è finita nel cluster Bio-Mediterraneo con Albania, Montenegro, Algeria, Egitto e altri. La pioggia passava dal tetto, hanno dovuto chiuderlo. Auguri.

Propaganda efficiente da Israele («Abbiamo inventato noi i pomodori-ciliegia»), mentre lo stand dell’Iran sta senza problemi davanti agli Usa.

Spingetevi in fondo, fino a Indonesia e Oman

Dall’ingresso principale vale la pena arrivare fino alla fine del Decumano per visitare Oman e Indonesia, mentre la Francia costringe a un fastidioso zigzag per entrare. Code anche per la Germania, perché il controllo è meticoloso, senza entrata libera. Gelato con vodka dalla Bielorussia.

Il dispiacere più grande è lasciare l’Expo avendo potuto visitare, per ragioni di tempo, soltanto la metà degli splendidi padiglioni: quasi tutti sono meraviglie architettoniche.
Mauro Suttora

Renzi: ma dura?


BISIGNANI RACCONTA I SEGRETI DELLA VITA PRIVATA DEL PREMIER

di Mauro Suttora

Oggi, 6 maggio 2015

Luigi Bisignani ha colpito ancora. Dopo le 160mila copie de L'uomo che sussurra ai potenti due anni fa, lui e Paolo Madron sono tornati in testa alle classifiche col loro nuovo libro, I potenti al tempo di Renzi. L'editore è Chiarelettere: lo stesso di Beppe Grillo, Gianroberto Casaleggio, Marco Travaglio e altri giornalisti estremisti di sinistra del Fatto Quotidiano. Sorprendente, per un faccendiere («Preferirei la definizione di triangolatore») democristiano come lui
.
Bisignani torna al mestiere che aveva praticato vent'anni all'agenzia Ansa: il giornalista. Svela un Matteo Renzi privato e segreto grazie alle preziose “gole profonde” che ha conosciuto nei decenni a palazzo Chigi: portinai, camerieri, funzionari anche di modesto livello. I quali, raccontando la vita quotidiana del presidente del Consiglio, riescono con piccoli aneddoti a spiegare il "renzismo" meglio di tanti politologi.

Le camicie bianche, per esempio: Renzi è capace di cambiarne anche sei nella stessa giornata, per mantenere immacolato il suo marchio di fabbrica. Con annesse lampade abbronzanti che gli fanno risaltare il viso sul bianco dei colletti.

Oppure le fiere rivalità che lancinano il suo “cerchio magico”: la povera Simona Bonafè, una volta sua fiera scudiera, ridotta ad autoesiliarsi all’Europarlamento (in cambio di uno stipendio d’oro) dopo essere stata sorpassata e distrutta da Maria Elena Boschi.

La quale, si chiede mezza Italia, avrà ammaliato anche Matteo con i suoi occhioni?
«Sulle donne e sui soldi non riusciranno mai a distruggere Renzi», taglia corto Bisignani. «Anche perché sua moglie Agnese è una gran donna, capace di tenere i piedi per terra. E cerca di farglieli tenere anche a lui: lo sgrida perché prende troppo spesso l’elicottero. “Quando torni a casa prendi il treno”, è il suo saggio consiglio».

Dopo le nove di sera Renzi si barrica nel suo appartamento privato di palazzo Chigi e fa entrare soltanto gli amici stretti. Lontano dai salotti romani carichi di tentazioni (la Boschi invece è stata avvistata chez Carlo De Benedetti, editore di Repubblica-Espresso), le sue serate finiscono spesso con pizze a domicilio e battute scherzose alla Amici miei

Con il fedelissimo Luca Lotti (sottosegretario che ha rimpiazzato Graziano Del Rio come numero due) e l’ex vigilessa avellinese Antonella Manzione, sorella del sottosegretario all’Interno Domenico, Renzi prende in giro avversari e alleati. Angelino Alfano, per esempio, è soprannominato Checco perché assomiglia a Zalone.

Durerà?
«Soltanto se allarga il suo cerchio magico. Ma non so se ne sarà capace, perché da quando aveva 25 anni - quindi da un quindicennio - si comporta allo stesso modo: rottama tutti, tranne gli amici».

Con un’energia impressionante.
«È come Berlusconi. Un rullo compressore. Nel 1984 il Cavaliere aveva già due reti tv, Canale 5 e Italia Uno. Comprò anche Retequattro da Mondadori, e tutti gli dissero: “Sei pazzo, non ti permetteranno di avere tre canali, ti distruggeranno”. Dopo due anni prese anche il Milan, di nuovo contro il parere di molti amici, con folle lucidità. Renzi è uguale».

Per questo Berlusconi lo ha corteggiato.
«Sì, lo avrebbe voluto in Forza Italia. Alla fine del 2010 ci fu il loro famoso incontro ad Arcore. Ma Renzi confidò a un amico: “Se vado nel Pdl, non potrò mai essere il numero uno”».

Da un anno e mezzo lo è.       
«Renzi stravince, ma con gli italiani. Nel Palazzo, invece, il giochino si è rotto. Lo accusano di voler fare “l’uomo solo al comando”, il duce, ma il 60 per cento della gente non capisce queste critiche».

Quindi lui va avanti come un carro armato.
«Con l'Italicum esce vincitore alla grande. Parla al Paese, non al Palazzo. E se c’è un minimo di ripresa economica vincerà le elezioni, a cominciare da quelle del 31 maggio in sette regioni. Sarà facile per Renzi battere i partiti del centrodestra, molto più difficile sconfiggere i suoi avversari interni del Pd, le varie minoranze».

Non era mai successo, nel dopoguerra.
«Oltre a Berlusconi, che però ha creato il suo partito personale, soltanto due politici italiani nel recente passato sono stati accentratori come Renzi: Craxi e De Mita. Ma sono durati pochi anni. E comunque, quello degli anni 80 era un altro mondo».
Mauro Suttora

Thursday, April 30, 2015

Rifugiati, l'esplosione 2014

di Mauro Suttora

Oggi, 29 aprile 2015
 
Ma i Paesi europei, in concreto, che cosa fanno per i rifugiati? Cioè per quei clandestini che approdano illegalmente sulle nostre coste, ma provengono da Paesi in guerra o con catastrofi interne, e quindi hanno diritto all’asilo politico?

Il problema è esploso nel 2014, perché i rifugiati che hanno chiesto asilo all’Europa sono aumentati del 44 per cento, a causa dei siriani: da 435mila a 626mila. È stata l’annata peggiore della storia dopo il 1992, quando la guerra nell’ex-Jugoslavia provocò la fuga di 672mila profughi, soprattutto verso Austria e Germania.

Anche adesso, come si vede dalla classifica che pubblichiamo, questi due Paesi sono le mete preferite dei profughi. Ma, attenzione: la vera graduatoria della «generosità» sta nella seconda colonna. Perché se in cifre assolute Germania, Svezia e Italia sembrano essere i Paesi più accoglienti, bisogna tener conto del numero di abitanti. Ovvio che gli 80 milioni di ricchi tedeschi possano assorbire molti più profughi di Paesi poveri o colpiti dalla crisi, come la Spagna con il suo 25% di disoccupati. Ma in realtà in cima alla classifica «vera» ci sono a sorpresa, oltre alla Svezia, Paesi come l’Ungheria considerata xenofoba e di destra (4.300 profughi per milione di abitanti) o la piccola Malta che non fa granché per soccorrere i barconi dalla Libia (3.180 per milione).

Scandaloso invece il disimpegno britannico. Sia in termini assoluti (31mila profughi, poco più delle piccole Austria e Olanda), sia relativi ai suoi abitanti: soltanto 495, metà dell’Italia, e meno perfino della malandata Grecia.

La quale Grecia è assai più severa di noi contro l’ondata migratoria. Oltre ai respingimenti sulle coste, Atene ha fatto costruire un muro contro i clandestini che cercano di entrare via terra dal confine con la Turchia.

 L’agenzia europea Frontex, che sorveglia le frontiere esterne dell’Unione, ha rifiutato di finanziarlo. Però il muro ha funzionato: le entrate terrestri in Grecia sono crollate. E si sono spostate verso l’adiacente Bulgaria, che infatti nel 2014 ha avuto il doppio dei richiedenti asilo della Grecia.

Un altro Paese a noi simile, ma assai meno accogliente, è la Spagna. La quale ha due enclaves in Africa, Ceuta e Melilla, prese periodicamente d’assalto dai clandestini. Ma le guardie di frontiera spagnole non esitano a respingerli con ogni mezzo.

L’agenzia Frontex, infine: i 36 milioni annui che spende per l’operazione Triton di sorveglianza sotto la Sicilia sono finanziati in base alle percentuali fisse dell’intero bilancio Ue. Quindi l’Italia contribuisce per il 12%, la Francia al 16%, la Germania al 18%, ciascuno in proporzione ai propri Pil. Anche qui, si distingue in negativo la Gran Bretagna. Che dai tempi di Margaret Thatcher ha ottenuto di contribuire all’Europa con appena il 10% del suo bilancio. 



DOMANDE DI ASILO NEL 2014
    
PAESE                TOTALE   PER MILIONE AB.
1) Germania          202.000    2.500
2) Svezia               81.000 8.400 
3) Italia                 64.000 1.065
4) Francia              62.000     955
5) Ungheria            42.000 4.300
6) G.Bretagna         31.000     495
7) Austria              28.000 3.295
8) Olanda              26.000 1.555
9) Svizzera             23.000 2.890
10) Belgio             22.000 2.025
11) Danimarca        14.000 2.600
12) Norvegia          13.000 2.585
13) Bulgaria           11.000 1.530
14) Grecia               9.000     860
15) Polonia             8.000     210
16) Spagna             5.600     120
17) Finlandia         3.600      665
18) Cipro              1.740 2.035
19) Romania           1.540      75
20) Irlanda             1.450     315
21) Malta              1.350 3.180
22) Lussemb.         1.150 2.090
23) Rep.Ceca         1.140    110
24) Croazia              450    105
25) Portogallo          440      40
26) Slovenia            380     185

Mauro Suttora

Wednesday, April 29, 2015

Sinistra, destra? No, la Resistenza è di tutti

«Prima sembrava che i partigiani fossero solo comunisti. ultimamente li hanno dipinti come criminali. La verità è che tutta l’italia si è ribellata ai nazifascisti», dice il giornalista-scrittore Aldo Cazzullo. E lo dimostra con un libro

di Mauro Suttora

Oggi, 22 aprile 2015

Fanno venire i brividi, le lettere dei condannati a morte della Resistenza. «Babbo adorato, se la mia vita fu serena e facile lo devo a te, che mi hai guidato col tuo amore, col tuo lavoro, col tuo esempio. Possa il mio sangue servire per ricostruire l’unità italiana e per riportare la nostra terra a essere onorata e stimata nel mondo intero».

Franco Balbis non era comunista, non faceva politica. Era capitano di carriera dell’esercito, aveva combattuto con valore in Africa e Croazia. Dopo l’8 settembre 1943 era entrato in clandestinità per combattere l’invasore. I fascisti lo presero nel marzo ’44, nella sacrestia del Duomo di Torino.

Tutti fucilati alla schiena
Poche ore dopo quella lettera, Balbis viene fucilato alla schiena con altri otto partigiani comandati dal generale Giuseppe Perotti. Uno solo di loro era comunista.

«In nessuna delle lettere c’è un’espressione di odio o anche solo di rancore verso i loro carnefici», dice Aldo Cazzullo, editorialista del Corriere della Sera.

Possa il mio sangue servire (Rizzoli) è il titolo del suo ultimo libro, che a 70 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale traccia un bilancio «non partigiano» della lotta di liberazione. 

«Gli uomini e le donne della Resistenza avevano ragione», dice Cazzullo, «fecero la scelta giusta, schierandosi contro l’invasore nazista e i suoi collaboratori. Eppure questa ovvietà, mai messa in discussione in nessuno dei Paesi occupati da Hitler, in Italia non viene accettata». 

Perché?
«Prima la Resistenza era considerata solo una “cosa di sinistra”: fazzoletto rosso e Bella Ciao. Poi, negli ultimi anni, i partigiani sono stati presentati come carnefici sanguinari che si accanirono su vittime innocenti, i “ragazzi di Salò”».

E invece?
«La Resistenza è patrimonio dell’intera nazione, non di una fazione. Fu fatta da comunisti, ma anche da cattolici, socialisti, liberali, monarchici, apolitici. E da donne, militari, suore, ebrei, preti, carabinieri. Case che si aprono nella notte, feriti curati nei pagliai, ricercati nascosti in cantina. Migliaia di episodi di eroismo che non si trovano nei libri».

Il 25 aprile ricordiamo 70 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, il 24 maggio cent’anni dall’inizio della Prima.

«Entrambe hanno avuto pagine eroiche e vergognose. Dopo l’8 settembre, su 810mila soldati italiani fatti prigionieri, meno di 200mila si schiereranno con Salò. La grande maggioranza sceglie le sofferenze della prigionia, piuttosto che schierarsi con gli occupanti nazisti».

E la strage di Porzûs, in Friuli?

«Va raccontata anche quella: partigiani comunisti che assassinarono partigiani cattolici come Guido Pasolini, fratello dello scrittore Pier Paolo, e Francesco De Gregori, zio del cantautore che ne porta il nome».
Mauro Suttora  

Wednesday, April 22, 2015

Expo, volata finale

EXPO: SIAMO ENTRATI IN INCOGNITO NEL CANTIERE / FOTO ESCLUSIVE

Per finire serve un miracolo

A 16 GIORNI DALL'INAUGURAZIONE, PALAZZO ITALIA ERA COSÌ. E DOPO LA RIVELAZIONE DI OGGI.IT SONO SCOPPIATE LE POLEMICHE PER I VISIBILI RITARDI. «MA LE PARTI DESTINATE AL PUBBLICO SARANNO PRONTE»

Oggi, 22 aprile 2015

di Mauro Suttora

Speravano che venisse il Papa, perché all'Expo c'è anche un padiglione del Vaticano. Niente da fare. Poi, vista la malparata, ha dato forfait anche il presidente Sergio Mattarella.
 
Ci salverà il camouflage. Parola usata dalle signore che si truccano, e che vuol dire «nascondere». Per far finta che il 1° maggio l'Expo sia pronta, si nasconderanno tutte le parti ancora in costruzione con simpatiche piante, barriere mobili e paraventi. Che costeranno altri due milioni e mezzo di euro, come da appalto approvato in fretta e furia un mese fa. 

IL PREVENTIVO È PASSATO DA 63 A 90 MILIONI 
Insomma, alla fine sarà un problema di soldi. Perché per concludere il Padiglione Italia, visto che non si può aprire un'Esposizione universale con la parte del Paese ospitante incompiuta, servono più operai e più turni. Poi, ci sono le varianti d'opera intervenute nell'ultimo anno. 

Il preventivo iniziale per il Padiglione Italia era 63 milioni di euro. Ora sono stati superati i 90 milioni: +50 per cento. Il commissario Diana Bracco però promette: «I costi supplementari saranno recuperati grazie a nuovi sponsor». 

Le foto che pubblichiamo, scattate di nascosto il 15 aprile nonostante il divieto imposto per quest'ultimo mese di volata finale, sono preoccupanti. Le abbiamo pubblicate immediatamente su oggi.it e, riprese da molti media, hanno rinfocolato le polemiche. 

Saranno parecchie le aree che verranno terminate solo a maggio inoltrato, lavorando di notte dopo l'uscita dei visitatori. Gli industriali bresciani hanno dovuto rinunciare alla prima delle sei giornate dedicate ai loro prodotti, che avrebbe dovuto tenersi il 7 maggio. Rimandata al 4 giugno.

Tuttavia Marco Balich, direttore artistico del Padiglione Italia, è tranquillo: «Ho gestito altri grandi eventi, si arriva sempre a fare le ultime cose la mattina dell'inaugurazione. Poi si parte e tutto funziona».

Ora sono al lavoro 800 uomini, su turni di 24 ore. Il doppio di quanti erano meno di due mesi fa. Non è facile non pestarsi i piedi. «Semplificare il possibile», è la parola d'ordine: magari con un montacarichi in meno, purché il resto funzioni. Tutte le parti destinate al pubblico saranno pronte: la piazza, lo spazio espositivo. E anche il lussuoso ristorante da 350 posti che Peck gestirà al quarto piano. Gli altri piani verranno completati con calma: quelli per gli uffici e per i servizi interni.

L'Albero della Vita, una volta terminato, avrebbe avuto bisogno di dieci giorni di collaudi. I tempi saranno ridotti all'osso, magari ce la si fa in cinque giorni.

Mauro Suttora

Wednesday, April 08, 2015

Fa arrestare il suo usuraio

Drammi sociali: quando il prestito si trasforma in una trappola

«Ho fatto arrestare il mio usuraio »

UNA COMMERCIANTE DI FIORI E PIANTE DI LA SPEZIA TROVA IL CORAGGIO DI DENUNCIARE IL SUO STROZZINO: VOLEVA INTERESSI DEL 147 PER CENTO SU 383 MILA EURO. 
LA SUA BATTAGLIA È DURATA OTTO ANNI, MA ORA IL «FINANZIATORE» È STATO CATTURATO

Oggi, 8 aprile 2015

di Mauro Suttora

Otto arrestati a Roma il 20 marzo: il clan Casamonica prestava soldi con interessi fino al 75 mila per cento. In cambio di 20 mila euro un imprenditore aveva dovuto versare 1,8 milioni. A Torre Annunziata (Napoli) arrestato lo zio del calciatore Ciro Immobile (Borussia Dortmund): accusato di usura ai danni di due avvocati. A Cuneo il 18 marzo iniziato il processo contro due funzionari della Bre Banca di Morozzo: denunciati da due imprenditori che subivano tassi usurari del 100% annuo (25% a trimestre).

Ogni giorno da tutta Italia arrivano notizie su strozzini che approfittano della crisi per prestar soldi con interessi assurdi. È una vera e propria piaga sociale, che si sta aggravando perché non tutti hanno il coraggio di denunciare gli «esattori», a volte mafiosi e camorristi. Quando succede, però, spesso le vittime ottengono giustizia.

«GLI AFFARI ANDAVANO, NON ERO IN DIFFICOLTA» 
È il caso di una fioraia di Varese Ligure (La Spezia), Raffaella Delpoio. È riuscita a far condannare il suo strozzino, Roberto Ceresa di Biella, a tre anni e sei mesi con sentenza definitiva nel 2012. E poche settimane fa Ceresa è stato catturato in Croazia, dov'era scappato. 

La vicenda della signora Delpoio è emblematica. Il suo "finanziatore" si era offerto di sostenerla spingendola ad ampliare la sua attività. Nel 2006 le aveva dato 383 mila euro, salvo pretenderne pochi mesi dopo 472 mila, con un interesse del 147%. «Mi ero fidata perché era un intermediatore finanziario consigliatomi da una banca», racconta la Delpoio, che sulla vicenda ha scritto un libro.

Non si trattava, infatti, di una commerciante in difficoltà: «Anzi, gli affari andavano così bene nella vendita di fiori e piante, che avevo deciso di espandermi nel settore biologico. All'inizio credevo perfino che il mio finanziatore fosse un amico. Invece in poco tempo creò un vorticoso giro di assegni, così l'ho denunciato alla Finanza di La Spezia». 

Aiutata dall'avvocato Luigi Pace e dalla sua amica deputata Paola De Micheli, la signora Delpoio ci ha messo anni per ottenere giustizia: «È stato un incubo, ho dovuto vendere tutto, anche gli oggetti personali, subire uno sfratto. Tornavo a casa da marito e figli e sorridevo facendo finta di nulla. Ora non è finita, attendo ancora un risarcimento, ma almeno ho vinto». Il volume della Delpoio inizia con queste righe: «Dedico questo libro al mio usuraio Roberto Ceresa affinché, leggendolo, possa con dignità chiedere scusa».
  

Come difendersi? Consigli pratici per le vittime dell'usura

Denunciare. Questo è il principale, se non unico consiglio che si può dare alle vittime dell'usura. Anche se quasi sempre assieme allo strozzinaggio ci sono altri reati come estorsione e violenze.
 
CONFCOMMERCIO E CONFINDUSTRIA AIUTANO
Le associazioni di commercianti e imprenditori aiutano i loro soci ad af rontare i processi, anche se è inutile nasconderlo: il coraggio bisogna trovarlo da soli.
 
LASCIARE SEMPRE PROVE, CON GLI ASSEGNI
«Intestate gli assegni dei pagamenti direttamente all'usuraio e non a terze persone», raccomanda la Delpoio nel suo libro, ? Oggi è la religione islamica a vietare non solo l'usura, ma anche i prestiti a interesse «scambiateli in presenza di qualcuno, usate i cellulari con registrazioni».
 
E SE MI ASPETTANO AL BUIO LA SERA?
«Non temete, i vostri aguzzini non verranno più a cercarvi dopo che avrete denunciato tutto alle Forze dell'ordine», dice la Delpoio, «perché sarete tutelati e protetti. Saranno loro stessi ad allontanarsi da voi, perché avete dimostrato che siete più forti. Saranno per una volta loro ad avere paura. Non è un'illusione, è vita vissuta».
 
CERCATE APPOGGI E RENDETE TUTTO PUBBLICO
Oltre a un buon avvocato, le vittime dell'usura devono farsi pubblicità in ogni modo su giornali, tv, Internet.

Mauro Suttora