Saturday, June 04, 1994

eurodeputati, affare miliardario



LA DOLCE VITA DEGLI EUROPRIVILEGIATI

"Non contiamo niente. Ma che stipendi, ragazzi"

di Mauro Suttora

Europeo, 1 giugno 1994

La sua sigla è MEP V-I. Significa Membro del Parlamento europeo, verde, italiano. Si chiama Virginio Bettini, è nato a Nova Milanese (Milano) 51 anni fa, è docente universitario a Venezia, è stato eletto a Strasburgo nel 1989. Detiene il record di presenze all'Europarlamento: 68 sedute su 68 quest'anno, en plein anche l'anno scorso (60 su 60). Mai una malattia, mai una distrazione. Abbiamo quindi passato una giornata assieme a lui per capire com'è il lavoro di un eurodeputato.

«Bettini sempre presente? La politica non si fa con il sedere»: riferiamo all'interessato questa velenosa battuta rifilatagli da un collega. Lui non si scompone: «Ma io non mi limito affatto a stare seduto e a riscaldare la sedia come fa la maggioranza degli italiani quando è presente. In questi cinque anni ho presentato sei rapporti, e ne avrei fatti altri due se i socialisti non me lo avessero impedito».

Cosa sono i "rapporti", onorevole Bettini? «Sono le relazioni che si preparano prima di discutere in aula un determinato argomento. Bisogna seguirle dall'inizio alla fine, anche nelle varie commissioni parlamentari, e soprattutto difenderle nei confronti del governo comunitario, cioè la Commissione, e del Consiglio, cioè in ministri dei 12 Paesi membri. Un lavoraccio che dura mesi, a volte anni. Tant'è vero che ogni deputato in una legislatura in media ne fa due o tre».

L'onore - e l'onere di preparare un rapporto viene assegnato in proporzione alla consistenza numerica di ciascun gruppo politico. I verdi sono pochi, 30 su 518, quindi si dovevano mettere d'accordo con gli altri partiti della sinistra (i 180 socialisti, soprattutto) per ottenerli. Bettini, da buon ecologista, si è accaparrato quelli sulla conversione a produzioni civili dell'industria bellica e sulle energie pulite (sole, vento, biomasse).

Poi però sono entrato in rotta di collisione con alcuni socialisti, per i quali la "conversione" delle fabbriche d'armi si sarebbe dovuta risolvere semplicemente dando ad esse più quattrini», racconta Bettini, «e così nel '94 la mia commissione, sulle politiche regionali e la pianificazione, importante perché distribuisce molti finanziamenti, ha assegnato nove rapporti ma nessuno ai verdi».

A Strasburgo Bettini ha una stanza all'hotel Terminus, di fronte alla stazione. «Non è caro per i prezzi di qui: 500 franchi francesi a notte, 140 mila lire. Ci sto una settimana al mese. Il calendario delle sessioni viene fissato all'inizio di ogni anno: sono un prenotato fisso».

I soldi. Ne parliamo subito, Bettini? Come mai voi verdi, così attenti agli sprechi, non alzate la voce contro gli stipendi scandalosamente alti degli eurodeputati?
«Attenzione, non voglio difendere nessuno, ma lo scandalo nasce a Roma. Per legge, infatti, le nostre indennità sono agganciate a quelle dei Parlamenti nazionali. Gli inglesi, per esempio, prendono meno della metà di noi. Spagnoli e greci un terzo, un quarto».

C'E' CHI FA ASSUMERE LA MOGLIE O I FIGLI

Sì, ma metà dei 45 milioni al mese che guadagnate ve li dà l'Europa, e con scarsi controlli. «È vero. Qualche collega, specie i democristiani, si è preso come "assistente" parenti, figli, mogli, lasciandoli poi in eredità al Parlamento dopo averli fatti assumere come funzionari. Però anche qui, attenti: chi fa l'eurodeputato a tempo pieno, e quindi sta tre settimane al mese a Bruxelles e una a Strasburgo, spende parecchio».

Bettini è un eurodeputato atipico. Dal suo albergo al Parlamento sono vari chilometri, bisogna attraversare tutta Strasburgo. Lui usa la bici. La mette nel parcheggio sotterraneo, vicino alle Mercedes degli eurodeputati tedeschi. Per tutti gli eletti sono comunque sempre a disposizione le auto del Parlamento: li scarrozzano gratis all'aeroporto, a pranzo, dall'amante. Una ventina di autisti in divisa, aspettando di essere chiamati, ammazza il tempo guardando la tv in una saletta al piano terra.

Un altro benefit sono gli sconti di Air France e della belga Sabena: anche sugli aerei Parigi e Bruxelles si fanno concorrenza, sperando di vincere l'eterna battaglia sulla sede del parlamento. Finora ha prevalso la follia: due sedi lussuosissime, una nella francese Strasburgo, l'altra nella capitale belga. Più una terza (per gli uffici permanenti di migliaia di funzionari e traduttori) a metà strada, a Lussemburgo.

Per non scontentare nessuno, due giorni al mese di seduta plenaria sono stati trasferiti a Bruxelles, dove si riuniscono anche le commissioni (due settimane al mese) e i gruppi parlamentari (una settimana mensile, tranne il prossimo luglio quando si distribuiranno tutti gli incarichi del nuovo Parlamento).

La giornata dell'eurodeputato inizia prestissimo. Alle otto si riuniscono i vari gruppi, che mettono a punto la strategia per la seduta in aula, dove i lavori iniziano alle nove. Per risultare presenti basta firmare un foglio all'entrata dell'aula. Di lunedì la seduta dura fino a mezzanotte. «Così qualcuno arriva verso le undici di sera, firma, va a dormire e si è guadagnato il gettone di presenza da 400 mila lire», commenta perfido Bettini.

In aula cominciano i dolori. Perché a Strasburgo non c'è un Parlamento: c'è una catena di montaggio. Ogni deputato può parlare al massimo un minuto e mezzo, poi si passa al voto. Se ha già parlato uno del proprio partito, si ha diritto a 45 secondi. Dietro al banco della presidenza c'è un enorme tabellone elettronico rosso che fa il conto alla rovescia in secondi al malcapitato che osa prendere la parola.

Di solito sono i greci a sforare. Continuano a parlare, gesticolando e sudando, per due o tre minuti anche dopo che è stato levato loro l'audio, per cui nessuno li può sentire né dal vivo né in cuffia. Incredibile, per i disciplinati deputati tedeschi. I quali hanno proposto di installare una sirena tipo Corrida per zittire i logorroici.

Ai numerosi visitatori dell'Europarlamento (ogni deputato può invitare a spese dell'Europa una ventina di persone l'anno, molti optano per le scolaresche) l'attività in aula, così frenetica, risulta incomprensibile. Gli stessi deputati, che non riescono a passare ogni mezz'ora dalla politica vitivinicola alla Macedonia, per poi planare sulle diagnosi prenatali e i trasporti della Vallonia, votano mansueti seguendo alla cieca la mano alzata del proprio capogruppo.

E IN  OGNI UFFICIO C'È il PIED-A-TERRE...

Pausa di pranzo: Bettini torna nel suo ufficietto moquettato di quattro metri per cinque con bagno e letto (tutti gli eurodeputati ne hanno uno), si cambia, mette la tuta e va a fare jogging. Quando piove scende in sauna (sconti anche lì, ma fra qualche mese, quando la Finlandia entrerà in Europa, diventerà sovraffollata). Il palazzo offre anche due self-service e un ristorante (quest'ultimo riservato agli eletti e ai loro ospiti).

Dalle 15 alle 19 (spesso anche dalle 21 alle 24) di nuovo votazioni in aula. Bettini fa anche parte dell'intergruppo animali, che riunisce tutti gli eurodeputati animalisti. È l'unica commissione alla quale gli inglesi partecipano con impegno, si riunisce una volta al mese per due-tre ore. Uno dei più assidui è un lepenista francese. Su un banco sonnecchia uno spagnolo: «È lì solo per controllare che non si vietino le corride», sorride Bettini.

Al venerdì tutti partono. Pochi per Bruxelles, dove bisognerebbe continuare a lavorare. Molti eletti italiani prendono l'aereo per Roma o Milano. E nessuno li rivede più fino al mese dopo. Riescono così a guadagnare 10 milioni al giorno.
Mauro Suttora

Friday, April 29, 1994

Nasce il tribunale Onu

CRIMINALI DI GUERRA, ARRENDETEVI
COME NASCE ALL’AIA IL TRIBUNALE ONU

dal nostro inviato in Olanda
Mauro Suttora

SOMMARIO: Undici giudici internazionali, guidati da un italiano, processeranno gli assassini dell’ex Jugoslavia. Se funzionerà, la corte diventerà permanente.

L’EUROPEO, 13-20 Aprile 1994

Sopra c’è Dio, che è il giudice universale. Ma subito sotto c’è lui Antonio Cassese, 57 anni fratello del ministro Sabino, docente di Diritto Internazionale all’istituto universitario di Fiesole (Firenze). E’ toccato a un italiano, infatti, il prestigioso compito di dirigere il Tribunale internazionale dell’Onu che giudicherà i criminali di guerra dell’ex Jugoslavia.

Il professor Cassese è una specie di frate trappista, schivo, riservato: a pranzo mangia in mensa, di sera cena con le due banane che si è portato in albergo dalla mensa. E’ imbarazzato perchè il suo ufficio di presidente del Tribunale, all’Aia, gli sembra troppo grande: »Che bisogno c’era di tanto spazio? Con tutti quelli che accusano l’Onu di sprechi, meglio non largheggiare…»

Inorridirà quindi il professor Cassese, uomo di squisita modestia nonostante (o forse grazie a) i suoi insegnamenti a Cambridge a Oxford, al College de France, all’Accademia dell’Aja e all’Istituto di alti studi internazionali di Ginevra, di fronte all’ardito paragone con il Creatore.

Fatto sta che, per la prima volta nella storia, l’umanità si sta dando un sistema giudiziario accettato da tutti per colpire i crimini di guerra. E che il Tribunale di Cassese si occuperà di Jugoslavia, ma può essere in »nuce una Corte Permanente per giudicare tutti i responsabili dei conflitti che insanguinano il pianeta. Niente a che fare, insomma, con il processo di Norimberga, che fu celebrato dai vincitori contro i vinti. La Corte dell’Onu è quanto di più vicino ci sia al sogno che fece duecento anni fa Emanuel Kant, quando immaginò gli strumenti per arrivare alla »Pace perpetua .

Ma, al di là delle speranze e delle dichiarazioni roboanti, come funzionerà in concreto questo tribunale ?

Per la bisogna, l’Onu ha affittato all’Aja il palazzo delle assicurazioni Aegon, in Piazza Churchill. A poche centianaia di metri c’è un’altro edificio caro a tutti i pacifisti: quello della Corte Internazionale di Giustizia, donato al mondo dal miliardario americano Andrew Carnagie. Ma quella serve per gli arbitrati volontari fra nazioni, non per mandare in galera governanti assassini e aguzzini sanguinari.

Al piano terra del Tribunale ci sono le guardie delle Nazioni Unite. Fra queste, due italiani fatti venire apposta dal Palazzo di vetro di New York. Gli uffici degli undici giudici sono al primo piano. E al primo piano verrà ricavata anche l’aula per i processi: ci sono ancora dei lavori da fare, per ragioni di sicurezza il pubblico sarà separato da un vetro antiproiettile da giudici, imputati e avvocati. Sempre per ragioni di sicurezza, Cassese, che sta cercando casa all’Aja ( i giudici sono stati eletti con un mandato di quattro anni rinnovabili per altri quattro) ha dovuto rinunciare ad una villetta: la polizia olandese gli ha imposto di trovare un appartamento ad un piano alto.

Dalla nascita del tribunale, quattro mesi fa, i giudici hanno lavorato senza sosta per mettere a punto il codice di procedura. Non è stato facile armonizzare i due principali sistemi in uso nel mondo, quello inglese di tipo accusatorio e il latino, con i suoi riti inquisitori.

»Non ci saranno procedimenti in contumacia, anche se io personalmente sarei stato favorevole , annuncia Cassese. E non è prevista neanche la pena di morte per i reati più gravi: ci si fermerà all’ergastolo. Funzioneranno due Corti di primo grado con tre giudici ciascuno (presiedute da una americana e da un nigeriano), mentre Cassese guiderà la Corte di appello con cinque giudici.

Ma quando inizieranno i primi processi? E soprattutto: chi saranno gli imputati? »Spero di cominciare entro luglio dice Cassese, il sindaco di Sarajevo ha detto »che ogni giorno è prezioso per mostrare che una giustizia internazionale punisce i criminali . Quanto agli imputati, individuarli non sarà un problema: il Tribunale verrà sommerso dalle testimonianze delle vittime, in gran parte profughi in Europa occidentale.

Milosevic e Karadzic finiranno sotto accusa?

Certo, sarà difficile veder finire sotto accusa Slobodan Milosevic, presidente della Serbia, o Radovad Karadzic capo dei serbo-bosniaci: il Tribunale si trasformerebbe in una corte di tipo politico. Questo è esattamente ciò che non vogliono Paesi dalla coscienza sporca come Birmania o Cina, i cui dittatori temono di finire un giorno di fronte a un tribunale internazionale e che quindi si appellano in continuazione alla »non intromissione negli affari interni di uno Stato membro dell’Onu . Il Tribunale dipenderà quindi dalla disponibilità della Serbia ad estradare i suoi criminali di guerra ormai tristemente famosi in tutto il mondo come il comandante Arkan, il capo ultranazionalista Vojslav Seseli, o anche Jovanka »la jena , famigerata responsabile di stupri di ruppo. Ma anche in altri Paesi le prigioni si vanno riempiendo di pesci piccoli e medi. In febbraio in Germania è stato per esempio arrestato il serbo-bosniaco Dusan Tadic, 38 anni, con l’accusa di aver compiuto sevizie atroci nel lager di Omarska. Lo inchiodano le testimonianze di 145 profughi ospiti nel campo tedesco di assistenza di Tralskirchen.

Il Tribunale dell’Onu avocherà a se tutti i processi per fatti commessi nella ex Jugoslavia dopo il gennaio ‘91. Naturalmente chi è già stato processato non lo sarà una seconda volta. La publlica accusa, nel palazzo dell’Aja, sarà tenuta completamente separata dai giudici. Anche fisicamente i suoi uffici saranno al secondo piano. Il pubblico ministero nominato dal segretario generale Boutros Ghali si è però dimesso, perhcè in febbraio è diventato ministro dell’Interno del suo Paese, il Venezuela. L’accusa, come in America, sarà tenuta allo stesso livello della difesa, e potrà contare su un centinaio di investigatori.

In una prigione dell’Aja, intanto, sono state già preparate numerose celle da sette metri quadri ciascuna per ospitare gli imputati. Altre celle verranno ricavate nel sotterraneo del Tribunale per le pause del processo. L’Olanda si sobbarcherà i costi del trasporto dei prigionieri. Quanto alle trenta guardie penitenziarie previste, costeranno un miliardo e mezzo di lire all’anno. I costi: ecco il punto dolente del Tribunale. Boutros Ghali aveva chiesto all’Assemblea dell’Onu 32 milioni di dollari per un anno. Li sta ottenendo a fatica, ma per due anni. Ciascun Paese, inoltre, può finanziare autonomamente il Tribunale. L’Italia si è comportata bene: nella Finanziaria ‘94 ha stanziato tre miliardi di lire.

»Avremo addosso gli occhi di tutto il mondo»

E una volta condannati, dove sconteranno la loro pena i criminali di guerra? Nei Paesi dell’Onu che metteranno a disposizione le proprie prigioni. »Ma sarebbe meglio che i detenuti stessero per quanto possibile vicini ai loro familiari , dice Cassese, »perchè l’impossibilità di ricevere visite rappresenta una forma di pena supplementare, quasi una tortura… .

E quì si riconosce il giurista che nel ‘79 fu nominato dall’Italia suo rappresentante nel Comitato per i diritti umani, e che negli ultimi quattro anni aveva presieduto il Comitato per la prevenzione e la tortura del Consiglio europeo. »Io personalmente sono contrario anche all’ergastolo, perchè scopo della pena è la rieducazione , dice Cassese. »In ogni caso, è importante che riusciamo a fare giustizia in modo sereno e imparziale, perchè avremo addosso gli occhi di tutto il mondo .

Durante il processo sono previste pene pecuniarie o detentive per due reati: falsa testimonianza e oltraggio alla Corte. Dopo i giudici del Tribunale potrebbero fare anche i magistrati di sorveglianza, seguendo la detenzione dei condannati. Sono previsti perfino gli arresti domiciliari per buona condotta e la grazia.

Insomma, sta nascendo un vero e proprio diritto penitenziario internazionale e molte università del mondo sono in fermento per le novità teoriche e pratiche introdotte dal Tribunale Onu.

C’è da scommettere però, che le varie parti in causa (serbi, croati, bosniaci) cercheranno di strumentalizzare il processo, in cerca di propaganda. »Ma noi perseguiremo singoli individui per gli atti che hanno commesso precisa Cassese, »e questo servirà anche per non colpevolizzare interi gruppi etnici . Pagheranno solo gli esecutori o anche i mandanti? »Il procuratore può mettere sotto accusa anche i dirigenti politico-militari .

E se uno Stato si rifiuterà di consegnare gli incriminati? »Il Tribunale ha il potere di pronunciare ordinanze di arresto o comparizione direttamente vincolanti, e il Consiglio di sicurezza dell’Onu potrà adottare sanzioni contro i governi che si rifiutassero di cooperare , spiega Cassese. E’ previsto proprio tutto. Ma la battaglia sarà egualmente dura. Perchè applicare la legge a una guerra è difficile. »Ma dobbiamo farlo , conclude Cassese, »sia come deterrente per altri crimini sia perchè abbiamo il dovere di reagire sempre contro le atrocità e i massacri.

Mauro Suttora



CHI SONO I GIUDICI DEL TRIBUNALE DELL'ONU PER LA EX JUGOSLAVIA

L'Europeo - 20 aprile 1994

Odio Benito e gli altri giudici

(2) - La vicepresidente, Elizabeth ODIO BENITO, è ministro della Giustizia nel suo Paese, il Costarica, e docente universitario di Legge. Rappresenta l’America latina nel Fondo Onu per le vittime della tortura.

(3) - Jules DESCHENCS, 70 anni, canadese, è stato presidente della Corte suprema del Québec. Ha scritto una dozzina di libri, fra cui uno sui criminali di guerra. Fra il 1989 e il ‘91 ha presieduto una commissione d’inchiesta internazionale sul lavoro in Romania.

(4) - L’egiziano George Michel ABI-SAAB, 60, è di religione copta. Professore di Diritto internazionale a Ginevra, ha risolto varie dispute di frontiera come arbitro alla Corte di giustizia dell’Aja (Libia/Ciad, Egitto/Israele).

(5) - Adolphus Godwin KARIBI-WHYTE, 62 anni, nigeriano, studi a Londra, è giudice della Corte suprema di Lagos. Ha scritto cinque libri e 52 saggi di argomento giuridico.

(6) - Li HAOPEI, 87 anni, cinese, è consulente legale del ministero degli Esteri di Pechino. Professore di Diritto internazionale dal 1939, parla nove lingue fra cui l’italiano e il latino. Ha tradotto in cinese gli atti del processo di Norimberga.

(7) - Gabrielle KIRK MCDONALD, 51 anni, americana, è stata avvocato, giudice e professore di Legge all’università di Houston (Texas).

(8) - Rustam SIDHWA, 66 anni, pachistano ma non musulmano: è di religione parsi (zoroastriano). Giudice della Corte suprema del Pakistan, ha insegnato Legge all’Università del Punjab a Lahore. In precedenza era avvocato di Corte Suprema.

(9) - Sir Ninian STEPHEN, 70 anni, australiano, giudice della High Court of Australia dal 1972 all’82. Presiede vari organismi governativi australiani, e dal ‘92 guida un comitato anglo-irlandese per le trattative sull’Ulster.

(10) - Lai Chand VOHRAH, 59 anni, malese, laureato in Diritto internazionale a Cambridge, specializzatosi all’Accademia di Diritto internazionale dell’Aja, è giudice della Corte suprema della Malaysia.

(11) - Claude JORDA, 56 anni, francese, è procuratore generale presso la Corte d’appello di Parigi. In precedenza è stato un alto funzionario ministeriale arrivando a dirigere i servizi giudiziari francesi. Unico suo difetto: non parla inglese.

Mauro Suttora

Wednesday, January 12, 1994

Pannella svolta a destra

Oplà: Pannella fa un altro giro di valzer

Europeo, 12 gennaio 1994

E BRAVO MARCO CHE SORRIDE A DESTRA

Con Berlusconi e Bossi. Per rinviare le elezioni. E opporsi alla sinistra vincente. Dove vuole arrivare il leader radicale?

di Mauro Suttora

Un tempo la sua arma preferita era il digiuno. Ne ha fatti 16 per le cause più diverse: Cecoslovacchia invasa, divorzio, fame nel mondo. Oggi, invece, ha il telefonino. E alla fine, tempestato per giorni dalle sue chiamate, anche Silvio Berlusconi ha ceduto: è andato in piazza Duomo a Milano a a firmare per i suoi nuovi referendum, lo ha ricevuto nella propria villa di Arcore.

“Rieccolo”. Il soprannome che Fortebraccio aveva appioppato all’eterno Amintore Fanfani oggi si attaglia bene a Marco Pannella. In politica da 48 anni (la prima tessera, liberale, la prese quindicenne nel ‘45), sempre all’opposizione (tranne cento giorni nel ‘92 al Comune di Ostia), il leader radicale sembrava definitivamente tramontato.

Il colpo di grazia gliel’avevano dato le riunioni alle sette del mattino che aveva organizzato lo scorso maggio per difendere il Parlamento degli inquisiti. “Continuate ad essere irriconoscibili, scandalizzate, bestemmiate”: così Pier Paolo Pasolini esortò i radicali prima di morire, nel ‘75. Consiglio preso fin troppo alla lettera, in questi anni, da Pannella.

Invece, per l’ennesima volta, “il nostro Marco nazionale” (come lo chiama il suo peggior nemico, Eugenio Scalfari) è risorto. E’ lui, di nuovo, l’uomo del giorno, il protagonista di queste ultime settimane di vita politica. Il 12 gennaio la Camera è convocata per discutere la sua mozione di sfiducia al governo di Carlo Azeglio Ciampi: è riuscito a farla firmare a ben 150 deputati, quasi tutti della maggioranza.

Perché questa mossa? Il dibattito in Parlamento è un atto dovuto, come ritiene il presidente Oscar Luigi Scalfaro sempre rispettosissimo delle prerogative parlamentari, o è soltanto un espediente degli onorevoli indagati (“i carcerandi”, come li dileggia Gianfranco Miglio) per guadagnar tempo e rimandare ancora di un po’ le inevitabili elezioni?

E Pannella che fa? Di nuovo, forse solo per il gusto autolesionista di apparire al centro dell’attenzione, si mette alla testa del “partito degli inquisiti”, oppure la sua è una strategia lucida con precisi obiettivi?

“Ciampi deve scegliere da che parte stare”

“Pannella è soltanto uno specialista nell’intorbidare le acque, è un politichese fra i più consumati”, taglia corto Scalfari sulla prima pagina di Repubblica. E quasi accusa Scalfaro di essersi fatto plagiare dal capo radicale, visto che il presidente avrebbe potuto sciogliere le Camere già dal 20 dicembre.

Replica Pannella: “Anche votando a marzo, l’attuale governo resterebbe in carica fino a giugno. Ma Ciampi è ormai delegittimato: lui stesso ha dichiarato di aver esaurito il proprio compito dopo la riforma elettorale e la legge Finanziaria. E l’Italia non può certo permettersi di stare per mezzo anno senza un vero governo. Occorre quindi una nuova compagine, guidata dallo stesso Ciampi e con Mario Segni vicepresidente. Io mi propongo ministro degli Esteri”.

Questa è la spiegazione ufficiale, istituzionale. Ma c’è anche un secondo movente, squisitamente politico, nella mossa di Pannella. E’ lui stesso a confessarlo: “Ciampi deve scegliere: o sta con il Pds e il partito di Repubblica, o prende Segni e me. Così gli elettori potranno decidere subito fra due schieramenti”.

Figurarsi se quel vecchio volpone di Ciampi cadrà nella trappola di Marco. Il presidente del Consiglio sa che, se la sinistra vincerà, potrà continuare a stare al suo posto: Achille Occhetto gli ha già offerto quella poltrona. D’altra parte, Ciampi aveva già inserito ministri di area pidiessina in questo governo: soltanto l’assoluzione della Camera a Bettino Craxi provocò le loro immediate dimissioni.

Il terzo motivo, inconfessabile, della mozione Pannella, è infine quello di prender tempo. Non tanto per rinviare le elezioni (“Mi vanno bene ad aprile”), quanto per guadagnare giorni preziosi alla raccolta di firme sui suoi referendum. “Siamo a 100mila, più le 60mila che finora ha preso la Lega”, dicono al club Pannella a Roma. Tutte firme che rischiano di essere buttate.

Lega incinta di liberaldemocrazia.

E’ probabile che ciò accada. Ma i referendum sono serviti a Pannella per allearsi alla Lega Nord. Com’è scoppiato questo nuovo, improvviso amore? Il leader radicale è stato l’unico ospite esterno (applauditissimo) al congresso leghista del 12 dicembre. Pannella, per la verità, si dichiara federalista da sempre. Seguace di Ernesto Rossi, Altiero Spinelli e del loro Manifesto di Ventotene per un’Europa unita e federale, nell’87 ha fatto anche cambiar nome al gruppo radicale della Camera, che da allora si chiama “federalista europeo”.

“Pannella sta mettendo incinta la Lega”, scherza Valerio Zanone. “Le sta inoculando il seme della liberaldemocrazia, e la Lega gode”, precisa Ottavio Lavaggi, deputato pri, anch’egli nuovo fan del Carroccio. Ma c’è anche un dato umano: molti leghisti hanno votato radicale prima di sposare Umberto Bossi.

Pannella ha sempre scelto i propri alleati con pragmatismo spregiudicato: chi ci sta, ci sta. Il divorzio lo conquistò in compagnia del socialista Loris Fortuna e del liberale Antonio Baslini. Contro la fame nel mondo si alleò con i democristiani, per difendere Enzo Tortora con i socialisti.

Questa volta, sui referendum lanciati da lui e da illustri politologi come Angelo Panebianco e Saverio Vertone (Corriere della Sera), Marcello Pera (La Stampa), dal filosofo Giulio Giorello e dall’economista Antonio Martino (preside della Luiss, l’università della Confindustria), c’è stata soltanto la Lega. Ma lui li aveva proposti a tutti i partiti.

Non più tardi di un mese fa, d’altronde, Pannella ha appoggiato, assieme al Pds, il radicale Francesco Rutelli a Roma, Adriano Sansa a Genova e vari altri nuovi sindaci di sinistra. Adesso invece passa il suo tempo ad attaccare Occhetto. Perché? “La sinistra può vincere solo con me e Segni, come a Roma. Altrimenti è un bidone”, risponde lui. Pannella l’indispensabile. Pannella il salvifico. “Ha una concezione tolemaica di se stesso”, è la descrizione ironica di Scalfari, “è lui l’asse della verità gravitazionale, misconosciuto però da tutti. Di qui la sua paranoia vittimista”.

Con Scalfari l’odio è profondo. I due si conoscono da 40 anni: bazzicavano entrambi la corrente di sinistra del Pli. Insieme hanno fondato il partito radicale nel ‘55. Poi però Scalfari ne divenne il vicesegretario, si volle alleare con il Psi (nel ‘60), e cacciò Pannella (allora filo-comunista) all’opposizione.

“Marco è un esibizionista logorroico”, dice Scalfari. E Pannella ricambia: “Scalfari è un libertino mascherato da tartufo: con una mano indica il Dio della democrazia, con l’altra tocca le cosce della corruzione. Ha fornicato per anni con coloro che attaccava”.

Fra Pannella e Silvio Berlusconi, invece, c’è simpatia. Al Cavaliere il leader radicale piace perché è l’uomo politico più spettacolare d’Italia. Una sua intervista a Mixer lo scorso maggio ha conquistato otto milioni di spettatori. E alle comunali di Roma Pannella è stato il più votato (dopo il missino Teodoro Buontempo) fra tutti i capilista: 14mila preferenze, il doppio di Enrico Montesano (il più gradito fra i pidiessini).

Le Tv Fininvest hanno aiutato molto il partito radicale sia nell’86 sia nel ‘92, quando Pannella minacciava di chiudere il Pr se non si fossero raggiunti 10mila e 30mila iscritti. Il leader radicale è un assiduo di tutti i programmi berlusconiani, dall‘“Uno contro tutti” di Maurizio Costanzo fino a “Scherzi a parte”. In questi giorni il Tg di Paolo Liguori (ex redattore di Radio radicale) su Italia Uno lo coccola, intervistandolo spesso.

Amore per Bossi, ostilità con Scalfari, sintonia con Berlusconi. Alle elezioni Pannella finirà nel blocco moderato? Con Mariotto Segni il rapporto è agrodolce: il capo del Pr si vanta di essere stato il primo a proporre, nell’86, il maggioritario uninominale, e di aver convinto lui Segni. Perfino con Gianfranco Fini c’è qualche punto di contatto: vent’anni fa Pannella fu l’unico a difendere il Msi dalla campagna per metterlo fuorilegge: “I veri fascisti oggi sono i democristiani”, sosteneva assieme a Pasolini. E nell’82 fu il primo segretario di partito che parlò a un congresso missino.

“Il Pds è l’erede della partitocrazia”.

Quel che è certo, è che Pannella non è catalogabile. E’ di destra o di sinistra? Domanda antica quanto lui stesso. Negli Anni ‘50, da liberale gobettiano, fece entrare il Pci nel parlamentino degli universitari italiani che presiedeva. Nel ‘59, assieme a Occhetto, cacciò Bettino Craxi dalla guida dell’Unione goliardica. Poi scrisse una lettera aperta a Palmiro Togliatti su Paese Sera, proponendo l’alternativa di sinistra.

Trent’anni fa Giancarlo Pajetta gli offrì un seggio da deputato (rifiutato) come indipendente di sinistra. Poi i rapporti si guastarono, perchè il Pci su divorzio e aborto non voleva attaccare troppo la Dc, mentre Pannella era un anticlericale acceso. “Furgone di immondizia”, lo apostrofò Fortebraccio, il corsivista dell’Unità.

Dopo che Occhetto ha cambiato nome al partito, Pannella è stato un interlocutore attento e speranzoso del nuovo Pds, che però oggi considera come “l’erede principale del regime partitocratico”. E’ stato anche uno dei fondatori di Alleanza democratica, “che adesso non mi invita neanche più alle sue riunioni”, si lamenta. E Leoluca Orlando? “Un piccolo Peron”, taglia corto. Insomma, la deriva a destra di Pannella sembra essere causata soprattutto da dissapori personali.

Dal ‘92 Pannella è il primo politico al mondo a farsi eleggere in liste con il proprio nome. Neanche il generale Charles De Gaulle era arrivato a tanto narcisismo. “Ma questa è la politica del futuro, basata sulle persone e non sugli apparati burocratici di partito. Si vota il singolo candidato, come in America”, si difende Marco. Che però è stato abbandonato da molti dei suoi compagni di un tempo: Massimo Teodori, Gianfranco Spadaccia, Mauro Mellini, Adelaide Aglietta.

In ogni caso, quello di Pannella è l’unico partito, assieme ai Verdi, a non essere mai stato indagato per tangenti. Anche Lega, Rifondazione e Msi hanno dirigenti inquisiti. I radicali no. Pannella l’incorruttibile vive solo per la politica, abita in una soffitta al quinto piano senza ascensore dietro la fontana di Trevi. Passa i Ferragosti a visitare prigioni, e Natali e Capodanni a concionare da Radio Radicale. Riuscirà a far parlare di sè anche dopo il Duemila, c’è da scommetterlo.

Mauro Suttora