Wednesday, November 26, 2014

Rottamate quel sindaco


ROMA, GENOVA, CARRARA: ORMAI RISCHIANO IL LINCIAGGIO. PERCHÈ SONO I POLITICI PIÙ RAGGIUNGIBILI DAI CITTADINI ESASPERATI

di Mauro Suttora

Oggi, 19 novembre 2014

Ormai rischiano il linciaggio. Il sindaco di Roma Ignazio Marino se l’è vista brutta quando si è avventurato nella borgata di Tor Sapienza a fronteggiare i cittadini scatenati contro i centri per gli immigrati. Quello di Carrara Angelo Zubbani ha subìto un assalto in piena regola nel proprio municipio dopo i disastri dell’alluvione. E quello di Genova, il nobile di estrema sinistra Marco Doria, non osa più mostrarsi in strada dopo gli insulti incassati dagli esasperati in mezzo al fango.

Sono loro i più esposti all’odio popolare che monta contro la casta politica. I più raggiungibili, il bersaglio più facile e concreto. Così, mentre fino a qualche anno fa la carica di sindaco era un buen retiro per dirigenti di partito anche di livello nazionale (Francesco Rutelli, Walter Veltroni e Gianni Alemanno a Roma, Massimo Cacciari a Venezia, Piero Fassino a Torino), oggi la poltrona di primo cittadino è fra le più scomode.

Qualcuno poi ce ne mette di suo, per aggravare la situazione. Il napoletano Luigi De Magistris si aggrappa ai cavilli del Tar per sfuggire alla stessa legge Severino che ha fatto fuori Silvio Berlusconi dal Senato: i condannati devono mollare la carica. Si sente vittima di complotti (ma questo da sempre), avrà anche ragione, ma poteva aspettare la sentenza d’appello accettando una sospensione temporanea. 

Il leghista Massimo Bitonci ha trionfato a primavera nella sua Padova: che bisogno aveva di esasperare gli animi rifiutando di dare udienza al console marocchino del Triveneto? Cioè proprio al rappresentante di uno dei Paesi arabi più tolleranti e pacifici?
  
E il giovane Massimo Zedda di Cagliari, volto pulito diventato sindaco a soli 35 anni: non poteva stare più attento a non intervenire nella nomina della nuova sovrintendente al teatro lirico, che ha provocato una richiesta d’incriminazione per abuso d’ufficio?

I guai se li è tirati addosso anche Maurizio Zoccarato, primo cittadino di Sanremo (Imperia). È stato visto prendere a calci il cestino di un mendicante rumeno nella centrale via Matteotti all'ora dello struscio: «Volevo solo farlo allontanare». Poi ha aggravato la situazione: «Rumeno? No, era uno zingaro», come se le due cose fossero incompatibili.
 
Le traversie del sindaco a 5 stelle Federico Pizzarotti derivano da un fax ricevuto nel suo ufficio vuoto di sabato pomeriggio: avvertiva del pericolo di straripamento di un torrente che poi ha provocato grandi danni. In più non è riuscito a far chiudere l’inceneritore come promesso in campagna elettorale, e continua a fare la fronda al suo capo Beppe Grillo.

Anche l’altro primo cittadino grillino Filippo Nogarin di Livorno ha aperto innumerevoli fronti: litiga con spazzini, consorzi di acqua e case popolari. Vuole ristrutturare il vecchio ospedale invece di costruirne uno nuovo.

Nella vicina Pisa Marco Filippeschi è contestato per avere tagliato di 400 euro i salari ai dipendenti comunali, che occupano il suo ufficio. Potrebbe anche aver ragione, ma loro lo accusano di non avere toccato gli altri costi della politica.

Il veneziano Giorgio Orsoni è stato arrestato a giugno per lo scandalo Mose (dighe contro l’acqua alta): gli viene rifiutato il patteggiamento, sarà l’unico a finire sotto processo.

Ad Avellino Paolo Foti è indagato per omicidio plurimo colposo, omesso controllo e disastro ambientale per cinque operai morti dell'ex fabbrica Isochimica, e i 232 che hanno subìto lesioni.

Leopoldo Di Girolamo di Terni è accusato di avere incassato 3,6 milioni di euro per la radio privata del suo movimento politico come contributo pubblico all’editoria.

Il potente Vincenzo De Luca a Salerno è invece incriminato per il Crescent, mostro di cemento dell’architetto Ricardo Bofill costruito sul Lungomare, che ostruisce la vista.

Franco Susino di Scicli (Ragusa) ha ricevuto un avviso di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa: presunte infiltrazioni in municipio di una cosca catanese.

A Manfredonia (Foggia) Angelo Riccardi ha subìto un obbligo di dimora con l’accusa di avere cercato di comprare esami da un professore dell’università di Pescara, per ottenere la laurea in Scienze manageriali.

Potevano infine mancare gli odiati autovelox? Pietro Caberletti di Bagnolo Po (Rovigo) è indagato per abuso d'ufficio (aggiudicazione indebita e illeciti profitti) su appalto, installazione e gestione dei rilevatori di velocità nel suo comune.
Mauro Suttora


RIQUADRO: LA GIUNGLA DEGLI STIPENDI

4.500 euro netti al mese (9.700 lordi): questo è lo stipendio del sindaco di Roma Ignazio Marino. Quello di Milano Giuliano Pisapia, invece, se l’è ridotto a 3.600 mensili. Poco, rispetto ai 5.800 del primo cittadino di Bari. O ai 4.100 di Luigi De Magistris a Napoli.

• Come mai queste differenze? La giungla degli stipendi deriva dalla facoltà concessa a ogni consiglio comunale di aumentare o diminuire le indennità del 30% rispetto a quelle fissate per legge, in base a parametri sfuggenti come numero degli abitanti, bilanci in attivo o percentuale delle entrate proprie sul totale.

• In teoria i sindaci delle città oltre il mezzo milione di abitanti dovrebbero guadagnare tutti poco più di 4.000 netti al mese, quelli oltre i 250 mila abitanti 3.500, sopra i centomila 3.000 euro e oltre i 50mila 2.700. Il minimo, per i paesi fino a 3 mila abitanti: mille euro al mese. Ma, nella realtà, c’è ampio margine per rimpinguarsi.

Wednesday, November 19, 2014

Eutanasia a Paradiso


Dopo la morte di Brittany: sta per aprire la prima clinica per la «dolce morte» nella Svizzera italiana

dal nostro inviato Mauro Suttora

settimanale Oggi, 12 novembre 2014

Benvenuti in Paradiso. Qui, in questo ricco sobborgo a sud di Lugano, 15 chilometri dal confine con l’Italia, sta per aprire la prima clinica per l’eutanasia in Svizzera italiana. Un palazzone moderno in via delle Scuole. Nessuna targa all’entrata, potrebbe essere un ufficio qualunque. La gestirà Liberty Life, associazione che rispettando la legge elvetica offre la «dolce morte».

Qui sarebbe venuta Brittany Maynard, la 29enne americana ammalata di cancro al cervello terminale, se fosse stata italiana. «Anche lei, per ottenere l’eutanasia il primo novembre, ha dovuto trasferirsi», spiega Mina Welby, paladina della dolce morte, «perché negli Stati Uniti lo si può fare solo in Oregon». In Europa è legale in Svizzera, Olanda, Svezia, e da qualche mese anche in Belgio.

Sono una cinquantina gli italiani che negli ultimi tre anni hanno scelto la Svizzera per morire. Due al mese. Un caso famoso nel 2011: Lucio Magri, fondatore del movimento comunista Il Manifesto. Finora bisognava andare nei centri Dignitas a Zurigo o a Berna (quelli di Losanna, Ginevra e Basilea non sono aperti agli stranieri). Fra qualche settimana, con l’apertura dell’ambulatorio di Paradiso, per gli italiani sarà più semplice ed economico.

Mina Welby è vedova di Piergiorgio, il famoso malato di distrofia progressiva che si fece morire nel 2006. Un mese fa ha camminato per venti ore attorno alla Camera dei deputati. Sollecita la discussione della proposta di legge dell’associazione Coscioni, con 60 mila firme, che introduce l’eutanasia. Niente da fare. In Italia sono favorevoli solo i radicali, Sel, qualche grillino e rari parlamentari del Pd come Luigi Manconi, anche lui firmatario di una proposta.
Eppure secondo i sondaggi sei italiani su dieci sono per l’eutanasia. «Che comunque è praticata di nascosto in tutti gli ospedali, come cessazione dell’accanimento terapeutico», dice Mina Welby. Lei è cattolica. Ma la Chiesa rifiutò i funerali a suo marito.

«Diceva Indro Montanelli: “Voglio essere io a decidere il come e il quando della mia morte”», spiega Emilio Coveri, presidente di Exit, l’associazione che indirizza i malati ai centri svizzeri: «Se la legge lo consentisse, aiuterei le persone a morire. Ma chi lo fa in Italia è imputabile di omicidio. Non possiamo neppure accompagnare al confine chi va in Svizzera».
Infatti gli articoli 579 e 580 del codice penale italiano puniscono sia l’omicidio del consenziente, sia l’aiuto al suicidio. «Eppure proponiamo una cosa paragonabile alla legalizzazione dell’aborto e del divorzio. Una conquista sociale».

Anche per Coveri, come per Mina Welby, c’è stata un’esperienza personale drammatica: «Ho deciso che mi sarei impegnato per l’eutanasia quando vidi mio padre morire dopo mesi di atroci sofferenze».

Ma come funziona, nei centri svizzeri? Basta la ricetta di un qualsiasi dottore per ottenere un flacone del micidiale Nap (Natrium Pentobarbital) che, bevuto con un sonnifero, provoca la morte indolore in pochi minuti. C’è però la distinzione fra «aiuto al suicidio», permesso in Svizzera, e l’eutanasia, proibita anche qui.
Perciò è lo stesso suicida che deve portare alla bocca con le proprie mani il bicchiere con il farmaco letale. Se lo fa un altro, è omicidio. Per dimostrare che la legge viene rispettata, tutte le fasi dell’operazione vengono filmate.

La procedura è rigorosa. All’inizio c’è l’incontro col medico per un colloquio preliminare, la presentazione della cartella clinica e la prescrizione della ricetta. La malattia incurabile dev’essere accertata da tre dottori, che verificano anche se il malato è in pieno possesso delle sue facoltà mentali.

I medici hanno l’obbligo di convincere gli aspiranti suicidi a recedere dal loro proposito. E nella maggioranza dei casi ci riescono. Dignitas non accetta casi di semplice depressione. La legge svizzera non lo proibisce, ma non si è mai trovato uno psichiatra che la certificasse come «malattia terminale».

Poi inizia la fase finale. Quasi sempre il malato è accompagnato da un familiare o un amico. Può scegliere come colonna sonora per il congedo fra varie canzoni. Le preferite: God only Knows (Solo il Signore sa) dei Beach Boys, How Can I Tell You di Cat Stevens e For My Lady dei Moody Blues. Può sembrare agghiacciante addentrarsi in particolari musicali. Invece le canzoni sono importanti per affrontare questi momenti tremendi. Welby scelse un brano di Bob Dylan.

Poi il malato lascia gli accompagnatori ed entra in una seconda stanza, dove alla presenza di un medico legale si procede. Gli si domanda ancora se è convinto della sua decisione. Si somministra un antiemetico per evitare il vomito.
Dopo mezz’ora, sempre che il suicida non abbia cambiato idea in extremis, gli viene portato il cocktail letale sciolto in acqua o succo di frutta. Per berlo può usare anche una cannuccia. Dopo pochi minuti si addormenta, all’anestesia subentra il coma, infine entro 20-30 minuti sopraggiunge l’arresto cardiaco o respiratorio.

Il costo è 3 mila euro, che aumentano fino a 7-8 mila se si arriva fino alle urne con le ceneri spedite a domicilio all’estero. In Svizzera sono pratici, niente dibattiti ideologici sul diritto alla vita e alla morte. Nel 2011 il cantone di Zurigo ha votato sull’eutanasia per gli stranieri. Ha votato soltanto il 30 per cento, e 80 su cento hanno confermato il sì. Ma più che altro qualcuno voleva far pagare una tassa ai «turisti del suicidio».
Mauro Suttora

Wednesday, November 12, 2014

Chi sono gli anti-Renzi


I NEMICI? IN CASA
Le opposizioni fanno il loro mestiere. Ma le vere minacce per il premier arrivano dalle minoranze Pd e dai sindacalisti di sinistra Camusso e Landini. I "rottamati" ex comunisti potrebbero andarsene e fondare un nuovo partito

Oggi, 5 novembre 2014

di Mauro Suttora

«Dagli amici mi guardi Dio, che dai nemici mi guardo io». I problemi, per il premier Matteo Renzi, arrivano più dai suoi compagni del Partito democratico che dagli avversari. Di qualunque cosa si discuta, infatti - riforma del Senato, nuova legge elettorale, articolo 18 dello Statuto dei lavoratori - le resistenze più forti, fastidiose e inaspettate giungono dall’interno del Pd.

Gianni Cuperlo, suo avversario alle primarie per la segreteria un anno fa (prese il 18% dei voti, contro il 67% di Renzi): «Il progetto di Renzi è vecchio, ma resto nel partito per rilanciare la sinistra», ha detto, preferendo andare alla manifestazione Cgil contro il governo del 25 ottobre, piuttosto che a quella contemporanea dei renziani all’ex stazione Leopolda di Firenze.

Anche Pippo Civati, forte del suo 14% alle primarie, è in odore di scissione: potrebbe confluire in un nuovo partito di sinistra con quel che resta di Sel (Sinistra, ecologia e libertà) di Nichi Vendola, gli ex grillini, la Fiom di Maurizio Landini e dissidenti Pd come l’ex giornalista Corradino Mineo o l’ex magistrato Felice Casson. Il suo prossimo campo di battaglia è il Jobs Act (riforma del lavoro): «È di destra. Voterò contro».

Punto debole: il senato

Alla Camera Renzi può permettersi che qualche dissidente non voti le numerose fiducie che il suo governo impone (strozzando i dibattiti) per stare nei tempi dei decreti legge: 60 giorni dalla loro emanazione. Ma al Senato la maggioranza Pd-Ncd-Udc-Scelta civica ha solo una ventina di senatori in più dell’opposizione, quindi i voti sono spesso sul filo del rasoio.

Ormai gli ex pesi massimi del Pd sono stati rottamati e umiliati in ogni modo da Renzi: da Massimo D’Alema a Pier Luigi Bersani, da Rosy Bindi a Walter Veltroni ed Enrico Letta. Normale, quindi, che non perdano occasione per criticarlo. Ma le loro correnti ormai si sono sfaldate: chi è passato dalla parte del segretario-premier è stato premiato (con la presidenza del Pd Matteo Orfini, con il ministero della Cultura Dario Franceschini). Quelli che resistono, come l’ex viceministro dell’Economia nel governo Letta, Stefano Fassina, si sentono sempre più stranieri in casa loro.

Forte del 40,8% ottenuto alle Europee di cinque mesi fa, e dei sondaggi che lo vedono sempre con una popolarità personale del 50-60%, Renzi avanza baldanzoso, noncurante delle critiche. Che però cominciano ad arrivargli da personaggi che finora lo avevano guardato con simpatia. Ferruccio de Bortoli a settembre lo accusò di inconcludenza. Da allora comunque il suo Corriere della Sera non si è accanito contro il governo, pur avendone il motivo: il raddoppio delle tasse sulle pensioni integrative previsto dalla legge di stabilità. L’altro grande quotidiano, Repubblica, continua a pubblicare ogni domenica le reprimende del fondatore Eugenio Scalfari.

Ma, in campo giornalistico, è soprattutto la tenaglia fra la sinistra del Fatto (Antonio Padellaro e Marco Travaglio) e la destra di Libero (Maurizio Belpietro) ad angustiare Renzi. Non passa giorno senza che questi due quotidiani lo accusino come minimo di golpismo e bancarotta.

Anche Il Giornale di Alessandro Sallusti non è tenero, ma deve tener conto della posizione del proprio editore. E la famiglia Berlusconi, dopo il famoso patto del Nazareno siglato a inizio anno fra Silvio e Renzi, è gentile con il premier. Conta su di lui per non arrivare a elezioni nel 2015, che vedrebbero il tracollo di Forza Italia (data al 15-17% nei sondaggi). Ma, soprattutto, c’è la simpatia personale di Berlusconi verso Renzi. «Peccato che sia di sinistra», ripete spesso il Cavaliere. Il quale tende a considerare il premier quasi un figlioccio, più affidabile dei vari traditori Fini e Alfano.

Così, sulla scia del capo anche i berlusconiani - in teoria all’opposizione - sono benevoli con Renzi. Alcuni addirittura entusiasti (Giuliano Ferrara e Denis Verdini, che tiene i contatti giornalieri col governo). Altri con scetticismo, come Vittorio Feltri e Daniela Santanchè. Irriducibili antirenziani rimangono solo il presidente dei deputati Renato Brunetta, Raffaele Fitto e Daniele Capezzone. Ma, in caso di difficoltà del governo con i numeri al Senato, i forzisti potrebbero arrivare in aiuto.

Insomma, alla fine gli unici veri oppositori di Renzi sono Susanna Camusso, segretaria della Cgil lanciata verso lo sciopero generale, Beppe Grillo, Matteo Salvini della Lega e Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia. Ma è normale che facciano il loro lavoro. Più insidioso, per Renzi, è il fronte interno. Quello di un Pd che si sta sfaldando (iscritti crollati dai 500 mila di un anno fa ai 200 mila di oggi), di giornali del suo partito che chiudono (Unità, Europa), e di suoi parlamentari che non vedono l’ora di logorarlo sui singoli provvedimenti, come fece Vannino Chiti a luglio sulla riforma del Senato.

Per questo è possibile che a gennaio, finito il semestre europeo e con un presidente Giorgio Napolitano stanco per ragioni d’età, Renzi rompa gli indugi e convochi un voto anticipato primaverile. Con qualsiasi legge elettorale, sperando di replicare il 41% dello scorso maggio. E di piazzare in Parlamento dei veri amici.
Mauro Suttora

Thursday, October 16, 2014

Ora che vuole il M5s, e chi lo guida?

di Mauro Suttora

Oggi, 15 ottobre 2014

Il raduno del Movimento 5 stelle (M5s) al Circo Massimo di Roma ha confermato la leadership assoluta di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Ma ha anche fatto emergere, alle loro spalle, un triumvirato composto da Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e Paola Taverna.
 
I grillini detestano parlare di «capi», ma in tutti i movimenti come i 5 stelle (niente tessere, quote d’iscrizione, congressi, sezioni) si formano gerarchie spontanee, senza voti formali. Ed è importante saperlo, perché il M5s continua a essere, secondo i sondaggi, il secondo partito italiano con il 20%.

L’altra novità del Circo Massimo è che i principali obiettivi del M5s ora sono due: reddito di cittadinanza e uscita dell’Italia dall’euro. Il primo è impossibile da realizzare, perché lo Stato non ha i 20 miliardi annui necessari per regalare 600 euro mensili a tutti i maggiorenni che non lavorano. 

Il secondo accomuna il M5s agli altri partiti euroscettici di destra italiani (Lega Nord, Fratelli d’Italia) ed europei (i principali: Le Pen e l’inglese Ukip, di cui i grillini sono alleati all’Europarlamento). Ma anche il ritorno alla lira appare un obiettivo impossibile, perché non si possono fare referendum su materie economiche e trattati internazionali.

Grillo vuole raccogliere milioni di firme contro l’euro, che però avranno valore solo politico, e non giuridico. Il M5s rischia quindi di finire in un vicolo cieco di estremismo parolaio, che provocherà illusioni e delusioni in chi crede che la colpa della crisi sia l’euro. 

Wednesday, October 15, 2014

Come si vive sotto l'Isis


VITA QUOTIDIANA A RAQQA, NUOVA CAPITALE DEL CALIFFATO

di Mauro Suttora

Oggi, 8 ottobre 2014

Fino a due anni fa Raqqa era una tranquilla città di 200mila abitanti in mezzo al deserto siriano. Sulle rive dell'Eufrate crescevano le palme, l'acqua irrigava i campi di cotone. Gran traffico di camion di contrabbandieri fra Siria, Iraq e Turchia. Poi è arrivata la guerra civile contro il dittatore Assad. E nel 2013 sono arrivati gli estremisti musulmani. Prima quelli di Al Nusra, sezione siriana di Al Qaeda. Poi, ancora peggio: i guerrieri santi dell'Isis (Stato islamico di Iraq e Siria). Che hanno l'obiettivo di tornare indietro di 1.400 anni. Al Califfato fondato da Maometto.

Raqqa fu capitale di quel Califfato per tredici anni, a cavallo dell'800 dopo Cristo, quando da noi c'era Carlo Magno. Il califfo Rashid la fece diventare più bella e più grande di Bagdad e Damasco. Poi piano piano la sabbia la inghiottì. Oggi è ridiventata capitale del Califfato. Quello dei tagliagole di ostaggi occidentali e degli sterminatori di cristiani e curdi.

Da mezzo mese Raqqa viene bombardata da aerei americani, sauditi e degli Emirati arabi. «Ma non fanno molti morti fra i civili», dicono gli abitanti sui blog che sfuggono al controllo degli estremisti. «Le bombe, diversamente da quelle di Assad, sono precise e colpiscono obiettivi militari e dell'Isis. Però i jihadisti li hanno abbandonati per nascondersi fra noi. Le loro famiglie le hanno già spedite via».

Di giorno, la vita continua. Una misteriosa donna completamente velata tranne una fessura sugli occhi (è il niqab nero) ha messo su internet un video di due minuti girato con telecamera nascosta. La si vede mentre viene bloccata in strada da un'auto della polizia. Un uomo armato la ammonisce: dovrebbe comportarsi meglio in pubblico. La ragione dell'avvertimento? Il suo viso, seppure nascosto dal velo, si vede ancora troppo. Lei prontamente si scusa per la troppa trasparenza, e l'uomo a sua volta replica: «Bisogna prestare molta attenzione nel coprirsi. Dio ama le donne che sono coperte».

Non è un avvertimento bonario. Come in Arabia Saudita e in Iran (i due feudi contrapposti di sunniti e sciiti che si stanno combattendo in Medio Oriente), anche l'Isis ha introdotto nei territori occupati di Siria e Iraq la sharia, la legge religiosa. A Raqqa la corte islamica che la somministra si è installata nel centro sportivo. Ma i tagliagole hanno dovuto importare dall'Egitto, per le preghiere e le prediche del venerdì, un imam abbastanza estremista per loro: evidentemente nei laici Siria e Iraq non ne hanno trovati.

«In qualsiasi momento una persona normale può essere presa e giustiziata senza validi motivi», avverte Abu Ibrahim Raqqawi, abitante di Raqqa. «L’Isis incassa le tasse dai cittadini e controlla che tutti paghino. Chi evade le imposte viene ucciso nella piazza principale: l’esecuzione è pubblica e si svolge il venerdì dopo la preghiera».

Poi i fanatici appendono i cadaveri ai crocifissi, oppure ne tagliano le teste e le infilzano sulle inferriate del giardino pubblico in centro. Allo «spettacolo» assistono famiglie con bambini.

I peccati più gravi commessi dalle donne (adulterio) sono puniti con la lapidazione. Quelli veniali con la frusta. Le donne in pubblico non possono fare quasi più nulla. Se sono sposate devono essere accompagnate dal marito, e mostrare il certificato di matrimonio agli agenti. Oppure devono farsi scortare dal padre, da un fratello, da un cugino. Guidare un'auto non se ne parla, come in Arabia Saudita. Le femmine, piccole e grandi, non possono neppure sedersi sulle altalene: provocazione che spingerebbe gli uomini a molestarle.

I ristoranti che non separano uomini e donne, osano offrire vino (anche solo ai clienti stranieri non musulmani), o ancora peggio superalcolici, vengono bruciati e chiusi. Vietate le tv satellitari: con la scusa di controllare se ci sono i poliziotti possono piombare nelle case private a qualsiasi ora. Segregazione uomo/donna in tutti gli ambienti pubblici e di lavoro. L'Isis ha installato molte telecamere per sorvegliare perfino i marciapiedi.
     
Alcuni divieti sono grotteschi: niente elemosina ai mendicanti durante il Ramadan, proibito pregare per la propria squadra del cuore o indossare cravatte, usare cosmetici, bikini in spiaggia per le donne e stare a torso nudo per gli uomini. A San Valentino, per ostacolare la festa degli innamorati, i fiorai hanno dovuto tenere chiusi i negozi, le rose rosse non potevano essere vendute neppure per strada, e così i peluches e i cioccolatini. Nel mirino anche i commercianti che espongono manichini, proibiti perché "provocano" bassi istinti. Niente trucco per le donne che appaiono alla tv di Stato.

L'Isis ha emanato quattro decreti appositi per vietare musica, sigarette, pipe (anche i narghilè al semplice vapore acqueo), e far chiudere i negozi dieci minuti prima dell'inizio delle preghiere. I pochi cristiani non fuggiti devono pagare una tassa per praticare, ma non in chiesa: solo in privato. Anche le altre minoranze (alauiti, drusi) sono scappate.

«Non pochi si sono rifiutati di obbedire», dice Abu al-Bara’a al-Furati, studente di 22 anni. «Ma la gente tutto sommato è contenta perché l'Isis garantisce ordine pubblico, sicurezza, acqua, pane da quattro forni diversi ed elettricità: prima dei bombardamenti non c'erano più di sei ore di blackout giornaliero». I commercianti apprezzano che siano svanite le stecche che dovevano pagare ai funzionari corrotti di Assad.

A Raqqa anni fa un originale aveva aperto un casinò. Ovviamente i fondamentalisti lo hanno chiuso subito. I weekend andavano dal venerdì al sabato, ora sono giovedì e venerdì per distinguersi da cristiani ed ebrei. Gruppi di educazione islamica organizzano festival nelle moschee per incoraggiare i giovani a unirsi alla causa. Ai ragazzi sono mostrati video di decapitazioni per abituarli alla violenza, e avvertirli delle conseguenze se resistono ai jihadisti.
 
Nel filmato si vedono uomini armati con fucili d'assalto e kalashnikov andare ovunque in città. Anche una donna, che porta i bambini al parco, è armata di fucile: pronta a difendere, come tutti gli altri, il loro rigido e spaventoso regime. Centocinquanta donne francesi hanno scelto spontaneamente di lasciare la patria per vivere nello Stato Islamico. Entrando in un internet cafè si sente una di esse parlare con la famiglia: «Non voglio tornare indietro, mamma, ve lo dico senza mezzi termini. Dovete farvene una ragione, io non torno. Non c'è nulla di cui aver paura, sto bene qui. Tutto quello che si vede in tv è falso. La tv esagera sempre».

I combattenti stranieri che infestano Raqqa, spesso più crudeli e fanatici dei locali, vengono da Sud Africa, Olanda, Australia, Cecenia, Inghilterra, Germania, Balcani, e anche dagli Stati Uniti. Dicono che siano loro a tenere prigionieri gli ostaggi internazionali, fra i quali potrebbero esserci le due ragazze italiane Greta Ramelli di Varese e Vanessa Marzullo di Bergamo. Ma la voce più agghiacciante è che il boia che ha segato la gola a tre ostaggi opererebbe in periferia, in un campo vicino a un cimitero, non lontano dall’università Altihad, ateneo della città.
Mauro Suttora

Friday, October 03, 2014

Andiamo a vedere come fanno in Svizzera

di Mauro Suttora

3 ottobre 2014

numero speciale di Dissensi e Discordanze, direttore Mauro della Porta Raffo

articolo originale su Dissensi e Discordanze

Quando avevo quattro anni, i pedalò sul lago a Lugano.
E la parola Monteceneri scritta sulla grande radio a valvole di mio padre.
Quarant’anni dopo, Fox Town e Serfontana.
Questa è la Svizzera che ci fa sognare.
Noi lombardi che almeno una volta abbiamo votato Lega sperando che, senza la zavorra Roma+Sud, la Lombardia diventi un grande Canton Ticino.
Noi cinefili che ogni agosto ci siamo consolati delle mancate vacanze correndo una sera a Locarno per una magica proiezione in piazza.
Noi ecologisti che festeggiammo il no svizzero alle centrali atomiche nel referendum del 1990 (Vittorio Feltri, allora mio direttore all’Europeo, nuclearista disarmante: «Radioattività? Tanto di qualcosa bisogna morire»).
Noi anarchici sulle orme di Bakunin e Kropotkin, noi libertari in pellegrinaggio steineriano al monte Verità di Ascona.
Noi federalisti che ammiriamo l’autonomia dei cantoni (Glarus può decidere addirittura che non desidera immigrati slavi).
E perfino noi grillini (scettici), studenti di democrazia diretta negli unici due posti al mondo dove si vota in piazza alzando la mano: Glarona e Appenzello.
Poi, ovviamente, abbiamo anche letto Jean Ziegler, e sappiamo che le banche svizzere “lavano più bianco”.
Abbiamo passeggiato nelle città elvetiche dopo le sei del pomeriggio o al sabato, la domenica: c’è più vita in un cenotafio.
Ma l’amore per la Svizzera resta immenso.
Da trent’anni, una volta al mese, come giornalista propongo: “Andiamo a vedere come fanno lì”.
Così nel 1987 feci vincere un premio a Gianfranco Moroldo, fotografo di Oriana Fallaci, che riuscì a inquadrare un soldato svizzero appostato accanto a una mucca durante una nostra inchiesta dell'Europeo sull’esercito ‘di popolo’. [articolo sull'Europeo]
Poi, nel 1999, il beatle George Harrison che scelse Lugano per farsi curare il tumore.
Due anni fa un’altra occasione triste: visita alla clinica della dolce morte dove Lucio Magri si fece eutanasizzare.
Ogni volta che posso mi faccio invitare dalla mia amica Januaria Piromallo nella sua villa di Gstaad.
Lì, acquattati negli hotel, stanno tutti i miliardari greci che, se riportassero i loro patrimoni a casa, risolverebbero la crisi del loro Paese.
Durante l’ultimo viaggio tornando da Strasburgo, aprile 2014, una fantastica scoperta: l’ascolto guidato, alla radio Svizzera italiana, di una sinfonia di Mendelsohn.
Sono questi i piaceri della vita, oltre all’erba rasata a zero e i fiori perfetti nelle aiuole.
Mauro Suttora

Thursday, September 25, 2014

Quanti colpi di sole, dottoressa Lorenzin!


LA POLITICA DI PUNTA DELL'NCD TRA GAFFES E POLEMICHE

Scandalo Avastin, fecondazione eterologa, figli dei gay: sono tanti i terreni scivolosi per il ministro della Salute. Che dice di avere «il dono dell'obliquità». E dà consigli medici senza essere laureata

Oggi, 24 settembre 2014

di Mauro Suttora

Per carità, un lapsus può sempre scappare. Ma si sono guardati perplessi i senatori della commissione Salute quando il ministro Beatrice Lorenzin (Nuovo Centrodestra) ha detto testualmente, chiudendo il proprio cellulare che squillava: «Abbiamo il dono dell’obliquità», scambiandola con l’ubiquità (per vedere la gustosa scenetta, andate qui).

Quell’audizione era piuttosto delicata, perché la ministra doveva difendersi dalle accuse di inerzia di fronte allo scandalo Avastin/Lucentis: un farmaco contro la maculopatia degli occhi fatto pagare al servizio sanitario nazionale cento volte più dell’equivalente concorrente. C’è voluta una multa di 180 milioni di euro da parte dell’Antitrust per sanzionare la manovra di due multinazionali ai danni dell’erario: il ministero della Salute, retto dalla Lorenzin già dal 2013 nel governo Letta, non aveva bloccato la speculazione.

Non è l’unico terreno scivoloso che la giovane, simpatica e bella ministra Lorenzin (praticamente una sosia di Meg Ryan) ha affrontato negli ultimi tempi.

Francesca Vecchioni, figlia gay del cantautore Roberto, si è risentita perché la Lorenzin è contro le adozioni nelle coppie omosessuali. La ministra infatti ha detto: «La letteratura psichiatrica, da Freud in poi, riconosce l’importanza di avere un papà e una mamma per la formazione della personalità del bambino. Non aspettiamo che lo Stato ci risolva i problemi».
Ribatte la Vecchioni, senza infierire sulla  confusione fra psichiatria e psicanalisi di Freud: «Per lei le mie bambine, figlie mie e della mia ex compagna, sono “problemi”».

Un altro episodio, per il quale la Lorenzin è stata accusata di non avere una laurea in Medicina, né una laurea purchessia, sono le rubriche di consigli medici (prevenzione delle smagliature comprese) che tiene sui settimanali Visto e Tutto: «Temi di competenza esclusivamente sanitaria», l’ha attaccata Melania Rizzoli, responsabile Sanità di Forza Italia, aggiungendo con perfida ironia: «Mi sento di escludere che sia così imprudente da tenere una rubrica specialistica».

Anche sulla fecondazione eterologa la Lorenzin è criticata: non ha preparato rapidamente una direttiva nazionale, lasciando così spazio a regole diverse in ogni Regione.
Insomma, bersagliata a destra e a manca, aveva proprio bisogno di un po’ di relax al mare.
Mauro Suttora

Wednesday, September 24, 2014

L'orsa Daniza

DOPO LA SUA MORTE, CHE FINE FARANNO I SUOI CUCCIOLI?

Oggi, 15 settembre 2014

dall'inviato a Trento Mauro Suttora

Morta l’orsa Daniza, ora tutta l’attenzione è per i suoi due cuccioli. Sopravviveranno all’inverno? Riusciranno a trovare un posto tranquillo dove accomodarsi nel loro primo letargo? Stanno accumulando abbastanza grasso per non morire d’inedia?

L’Italia intera sembra diventata esperta di plantigradi. Il più pessimista è Cesare Patrone, capo del Corpo Forestale dello Stato, che da Roma avverte: «I due piccoli sono in grave pericolo, non sono svezzati. Rischiano di morire».

E allora, tutti gli animalisti della penisola a controllare su enciclopedie e Google: a quanti mesi le mamme orse smettono di allattare? Cinque. Quindi i cuccioli, nati a febbraio e pesanti già 28 chili, sarebbero salvi. Però il latte materno si affianca al cibo normale per molto tempo ancora, addirittura fino ai due anni e mezzo. Quindi gli orsacchiotti ne saranno deprivati. E in ogni caso: come faranno a procurarsi il cibo da soli? Era Daniza a provvedere, con i raid su pecore e galline che l’hanno inguaiata. «Ma gli orsi sono onnivori. E la carne rappresenta solo una piccola parte della loro dieta. In realtà sono per tre quarti vegetariani», ribattono gli ottimisti.

La Provincia di Trento, barricata nel palazzo di fronte alla stazione, emette comunicati ufficiali a ritmo giornaliero: «Il personale forestale ha accertato, tramite avvistamento diretto, che i due cuccioli dell’orsa Daniza si sono riuniti e vengono monitorati in queste ore in maniera continuativa mediante la radiotelemetria». Uno, infatti, è stato catturato con la mamma e gli hanno applicato un microchip prima di rilasciarlo.

In città c’è un clima surreale. Da un momento all’altro si temono blitz degli animalisti più aggressivi, la polizia è all’erta, i vigili danno un’occhiata perfino ai cestini dei rifiuti: forse temono petardi a orologeria. In realtà alla manifestazione di domenica in piazza Duomo si sono sdraiate per terra poche persone, qualche decina, e la metà provenienti da fuori.

Ma il furore collettivo che si è scatenato online dopo la morte di Daniza ha spaventato diverse persone. Daniele Maturi, innanzitutto, il cercatore di funghi di Pinzolo (Trento) aggredito dall’orsa a Ferragosto. Soprannominato «Carnera» per la stazza, ma soccombente con graffi nel duello. Stefano Fuccelli, presidente del Pae (Partito animalista europeo), adombra addirittura un complotto: «Maturi è dipendente delle funivie, e guarda caso c’è un progetto per ampliare l’area sciistica dopo il collegamento con Madonna di Campiglio». Il povero Maturi è distrutto: «Continuo a ricevere insulti e minacce, non ce la faccio più».

Ha invece reagito Ugo Rossi, presidente della Provincia di Trento, di fronte alle richieste di dimissioni e agli attacchi di politici nazionali, da Michela Vittoria Brambilla a Beppe Grillo: «Bieca demagogia. Siamo gli unici in Italia ad aver accettato il progetto di reintroduzione dell’orso. Ci dispiace per Daniza, ma ora abbiamo 40-50 esemplari di una specie che quindici anni fa stava per estinguersi».

Daniza, 19 anni (50/60 in termini umani), è una dei dieci orsi sloveni liberati nel parco Brenta-Adamello attorno al 2000. Ambientatasi benissimo, era la più prolifica: ben 17 cuccioli in sei parti. Però era anche la più vivace.
 
Scherza lo psicologo Giuseppe Raspadori: «Dopo un anno si era già liberata del radiocollare, vagava liberamente nella selva, faceva perdere le sue tracce, si accoppiava compulsivamente nella promiscuità delle zone più impervie. Poi ricompariva portando al proprio seguito due cuccioli, a volte tre, evviva la fertilità selvaggia, nei confronti dei quali mostrava inadeguate capacità genitoriali, tanto che uno dei suoi piccoli finiva i suoi pochi giorni in mezzo alla provinciale della val Rendena.

«Insomma, Daniza era affetta da iperattività, ed era portatrice di sintomi di disturbo borderline di personalità. In una società in cui si sottopone a screening psichiatrico l’adattabilità dei bambini alla didattica degli insegnanti, è più che legittimo che anche l’orso debba pagare il suo ticket al privilegio dell’antropizzazione. Daniza, purtroppo, non aveva fatto alcunché per acquisire una più consona competenza emotiva, e dopo essersi sottratta all’amplesso con il fungaiolo lasciandolo ferito e spaventato, si sfogava negli ovili con le pecore».

Scherzi a parte, la fucilata che doveva solo addormentarla con l’anestetico l’ha ammazzata. E adesso mezza Italia minaccia addirittura di boicottare il turismo nel «Trentino assassino».
Mauro Suttora

Friday, September 19, 2014

Catalogo dei viventi 2015



MAURO SUTTORA

• Milano 8 settembre 1959. Giornalista. Scrittore. Inviato di Oggi (corrispondente da New York dal 2002 al 2006), collabora con Sette, in passato con L’Europeo, Il Foglio, Libero, Newsweek; columnist di The New York Observer. Tra i suoi libri: Pannella & Bonino Spa (Kaos, 2001), No Sex in the City (Cairo, 2006), Mussolini segreto, diari di Claretta Petacci (Rizzoli, 2009). 
«Mi sono imbattuto per caso nella vicenda dei diari. Nel 2003 andai a intervistare Ferdinando Petacci, il nipote di Claretta, a Phoenix, dove vive. Lui mi parlò di queste carte chiuse negli archivi di Stato. Dovevano passare 70 anni prima di poterle leggere. Abbiamo aspettato e poi visionato e trascritto quelle pagine che non sono più coperte da segreto, e cioè quelle che arrivano fino al 1938. Il risultato? Sorprendente».

• «Dopo aver “frequentato e votato sessantottini e radicali, verdi, leghisti e dipietristi”, come scrive su Sette, si è “affidato abbastanza disperato a Grillo”, infiltrandosi da “interno” alle riunioni e constatando che ai meet-up “non c’è mai tempo per parlare guardandosi negli occhi. Solo Web, computer e Smartphone per gente sempre connessa. Ma connessa a cosa, mi domando…”» 
(Marianna Rizzini) [Foglio 10/12/12].

• «Per uscire dalla cuccia calda della corrispondenza ci vuole coraggio, Suttora l’ha avuto, ed è stato premiato. Nei media di New York sanno chi è (...) Alcune intuizioni sono folgoranti. Racconta che troppe donne newyorkesi “parlano con la voce di Topolino” (un fenomeno che la scienza non ha ancora spiegato); che i ristoranti francesi sono in crisi, e quelli italiani no; che la tariffa fissa telefonica (flat rate) è una jattura, perché i taxisti di Manhattan sono sempre al cellulare, e confabulano come zombie in lingue misteriose, disinteressandosi di chi hanno a bordo» (Beppe Severgnini).
Giorgio Dell’Arti
Catalogo dei viventi 2015 (in preparazione)
scheda aggiornata al 18 settembre 2014
da Lorenzo Stellini

Wednesday, September 17, 2014

"Il governo Renzi dura poco"


INTERVISTA A LUIGI BISIGNANI

di Mauro Suttora

Oggi, 10 settembre 2014

«È probabile che il prossimo presidente della Repubblica sia una donna. E che venga eletto nel 2015. Per questo il mio prossimo libro, che uscirà l’anno prossimo, s’intitolerà Il presidente: la donna del Colle».

Ogni tanto Luigi Bisignani viene arrestato. La prima volta vent’anni fa (tangenti Enimont, di cui era dirigente, condanna a due anni e mezzo), l’ultima sei mesi fa (frode fiscale sui computer di palazzo Chigi, patteggiati due mesi). 

Ciononostante, o forse proprio per questo, è ritenuto «una delle persone più potenti d’Italia». Sicuramente una delle più informate: il suo libro L’Uomo che sussurra ai potenti, scritto con Paolo Madron nel 2013, ha venduto 100mila copie. E 30mila ne ha raggiunte il successivo giallo-verità Il Direttore.
Spesso Bisignani nelle previsioni ci azzecca.

Chi sarà la prossima Presidente?
«Pare che Renzi spinga Roberta Pinotti, ministro della Difesa, che piace anche a Napolitano».
Quindi è fatta.
«Macché. Il voto per il Quirinale è il più imprevedibile d’Italia».
Come quello per il Papa.
«O per il Grande Fratello. I più nominati all’inizio sono sempre gli ultimi a uscire».
Quindi se lei li nomina li brucia.
«Esatto».
Emma Bonino l’ha già bruciata Renzi.
«Troppo esperta di Europa e Medio Oriente».
Proprio quel che servirebbe.
«Ma gli avrebbe fatto ombra».
Renzi preferisce le mezze figure?
«Questo governo ne è pieno. In compenso, uno prezioso come D’Alema viene tenuto fuori dall’Europa».
Si è impuntato sulla Mogherini come ministra degli Esteri Ue.
«Sbagliando. Era più utile avere il commissario all’Agricoltura».
Quanto dura Renzi?
«Questo governo, pochi mesi».
Perché?
«La crisi economica non finisce, quindi finisce la luna di miele. Deve andare subito al voto per incassare il consenso che gli rimane».
Ha avuto il 40,8% alle europee.
«Era un voto drogato dalla paura di Grillo».
Grillo dura?
«No. Come tutti i movimenti di sola protesta».
E Berlusconi?
«È già morto. Politicamente. Stava affogando, ora cercano di rianimarlo nella camera iperbarica».
Il suo successore a destra?
«I figli».
Non vogliono.
«Allora nessuno. I suoi voti li piglia Renzi».
Che quindi diventerà fortissimo.
«E potrà permettersi di perdere l’ala sinistra del Pd. Il sindacato, per esempio».
Intanto però si logora.
«Ha una maggioranza troppo risicata. Per questo andrà al voto».
La riforma del Senato è stata una vittoria o una figuraccia?
«Renzi scricchiola ogni volta che lo attaccano».
Galli della Loggia dice che non sa far squadra.
«Vero. Certe stanze di palazzo Chigi non parlano con le altre».
E i ministri?
«Peggio. Li delegittima lui. Non vuole delegare, non sa coordinare».
Ma i sondaggi lo premiano.
«Ha straordinarie capacità mediatiche. E l’energia dei giovani».
Il meno giovane di tutti, Napolitano, se ne va nel 2015, allora?
«Sarà stanco, vorrà godersi un po’ di vecchiaia».
È vero che è potentissimo?
«Sì. Ormai siamo in repubblica presidenziale».
Colpa di Napolitano?
«No. Assenza dei partiti e dei politici».
Anche il prossimo presidente sarà potente?
«Sì. Per questo lo deve indicare Renzi. Ma ora non ha abbastanza voti. Perciò deve andare a elezioni anticipate».
Chi sono i politici migliori nei vari partiti?
«In Forza Italia Verdini e la Bernini».
Nel Pd?
«Boschi e D’Alema».
Nei 5 stelle?
«Pensavo Di Battista, ma è caduto clamorosamente sui terroristi».
E in Europa?
«La Merkel. La Germania dopo la riunificazione è stata straordinaria. I tedeschi danno lezioni a tutti».
Mauro Suttora

Sunday, September 14, 2014

Silvia Giordano (M5S) lancia Slasfida

Dopo le docce gelate: ecco la vita quotidiana di una malata

“MIA MAMMA HA LA SLA: È UN INCUBO”

«Noi familiari siamo lasciati soli», denuncia Silvia Giordano, deputata 5 stelle. «La ricerca è importante, ma intanto bisogna assistere i pazienti. Perciò propongo di raddoppiare i fondi»

di Mauro Suttora

Oggi, 10 settembre 2014

«Quattro anni fa, un dolore al piede destro». Da allora è iniziata la via crucis. Silvia Giordano, 28 anni, deputata 5 Stelle dal 2013, assiste a casa a Salerno la mamma 62enne, colpita da Sla (Sclerosi laterale amiotrofica). La malattia, che paralizza progressivamente i muscoli e non lascia scampo, si è manifestata quattro anni fa. La signora ha dovuto sottoporsi a tracheotomia per respirare e a gastrostomia per essere nutrita. «Per parlare chiude gli occhi quando le mostriamo la lettera giusta con le dita». 

La Giordano ora lancia la campagna «SLAsfida» (www.slasfida.it) per la raccolta fondi sia per la ricerca, sia per l’assistenza, e chiede al governo di portare il Fondo per la non autosufficienza da 300 a 600 milioni annui.





La vera «doccia fredda», per la famiglia Giordano di Salerno, arrivò quattro anni fa. «Mia madre iniziò ad accusare dolori al piede destro», racconta Silvia, 28 anni, deputata 5 Stelle dal 2013. «Ogni tanto perdeva l’equilibrio, cadeva. Io la prendevo in giro pensando che fosse solo più distratta del solito. Con la testa tra le nuvole. Ma le cadute continuavano, e una le causò una frattura. 
All’epoca vivevo solo io con lei. Pensavo: “È una frattura, passerà”. Un giorno, però, voleva dirmi di non mettere troppo caffè nel latte. Aprì la bocca, emise dei suoni, ma non riuscivo a capirla. Pensavo che anche quello fosse un semplice momento, ma giorno dopo giorno mi accorsi che le cose peggioravano. Parlava male e controllava sempre meno il suo corpo. Facemmo dei controlli. Era la Sla, sclerosi laterale amiotrofica».

E lì cominciò l’incubo.
«Sì. Chiamai mia sorella e mio fratello per capire cosa fare. Ci ritrovammo soli, del tutto soli. Non sapevamo a chi rivolgerci, cosa aspettarci. A Salerno sembrava impossibile trovare un aiuto. L’unico dottore che ci aiutò a capire vagamente cosa sarebbe accaduto fu un neurologo,che dopo i vari esami disse: “Signora lei ha la Sla, presto non si muoverà più, non riuscirà a parlare, le dovranno fare la tracheotomia per respirare e nel giro di tre anni probabilmente morirà”».

Fu così diretto?
«Quelle furono le sue parole. Mia madre cadde in depressione. Noi figli cercavamo di darle forza, di farla uscire, facevamo di tutto per vederla almeno sorridere. Nulla. Da allora decise di non uscire più di casa, se non per le visite mediche. La vedevo ogni giorno piangere o bloccarsi. Ogni tanto provava a parlare, ma si innervosiva perché non riuscivamo a capir- la. A luglio 2013 pesava 43 chili, per respirare aveva una mascherina collegata a una macchinetta che le copriva il volto. Decidemmo di farle fare una tracheo e una Peg, cioè una gastrostomia endoscopica percutanea, perché non riusciva più a mangiare normalmente. Da allora migliorò, mise peso, respirava meglio. Un sollievo, si era stabilizzata. Ma poi sono iniziate le avventure più assurde».

Cioè?
«Dottori che non si trovano, assistenza domiciliare praticamente assente, perso- nale dell’Asl che non sa usare i nuovi sistemi informatici e quindi non possono prescrivere l’ossigeno, infermiere che sbagliano il cambio del catetere, per non parlare dei laboratori che sbagliano a prelevare l’urina per l’esame. Mi sono sentita dire che il problema è che in Campania c’è “abuso d’ossigeno”».

Che vuol dire?
«Non si sa. E poi, il semplice permesso per disabili per l’auto. Per averlo devo andare con mia madre all’ufficio di medicina legale. Lì c’è un solo parcheggio per disabili perennemente occupato, il che è ovvio. L’ufficio è al primo piano. C’è l’ascensore, ma dopo sei scalini. Ma fa nulla, questo è il minimo. Gliene dico un’altra: hanno aggiustato le strade del quartiere dove abito, un bel lavoro davvero, mi hanno messo anche una palma sotto casa. Peccato che il parcheggio per disabili che prima avevo sotto il portone adesso sia scomparso. Ma sdrammatizziamo, è solo folklore. Perché altrimenti dovrei dire incompetenza, mancanza di rispetto...»

La sua mamma non parla più?
«No. Ora ha 85 di pressione massima, l’emoglobina a 8, e un’infezione batterica di 100.000 germi/ml. Non parla. Parliamo noi per lei utilizzando le dita della mano. Ogni dito è una lettera dell’alfabeto, quando pronunciamo quella che lei ha in mente chiude gli occhi. E poi ripartiamo. Lettera per lettera, parola per parola».

Non ci sono i puntatori oculari?
«Dovrebbe passarlo l’Asl, ma qui a Salerno nessuno conosce la procedura. Comprarlo? Impossibile. Costa attorno a 20 mila euro, e i nostri soldi li impieghiamo per alcuni medicinali, ma soprattutto per pagare persone che possano aiutarci, visto che l’assistenza, l’Italia in genere, e la Campania in particolare, non sa neanche cosa sia».

Insomma, assistere migliaia di malati non autosufficienti costa.
«Io nonostante tutto mi ritengo fortunata, ho una famiglia che mi aiuta, ho uno stipendio e ringraziando il cielo mia madre ha una pensione. Ho lo sguardo di mia madre, che vale più di mille altre cose. Ma soprattutto ho la coscienza pulita e non ho bisogno di pulirla con una secchiata di acqua gelida».

Che cosa propone?
«Avere i servizi che ci spettano, non vedere calpestati i diritti dei malati perché il governo preferisce dare soldi per gli aerei da guerra F35 o per gli azionisti della banca d’Italia. Capisco che cantanti o attori facciano pubblicità per le donazioni con l’Ice bucket, ma chi è al governo ha il potere di cambiare le cose».

Quindi, in concreto?
«Ho lanciato la campagna SLAsfida (www.slasfida.it) con il Movimento 5 stelle per raddoppiare a 600 milioni di euro il tetto minimo del Fondo per la non autosufficienza. Dal sito si possono fare donazioni all’Aisla, l’Associazione italiana per la Sla. Affinché anche i malati che non hanno i mezzi per farsi assistere, o una famiglia facoltosa alle spalle, possano essere trattati decentemente».
Mauro Suttora


LE CIFRE: MALATI, SOLDI, POLEMICHE

• In Italia non si sa quanti siano i malati di Sla, perché non esiste un registro nazionale: le stime variano da 4 a 6 mila. L’unica certezza è che ogni anno ci sono un migliaio di nuovi casi (due ogni 100 mila abitanti).

• «In un mese abbiamo ricevuto quanto raccogliamo in un anno», dice Alberto Fontana, tesoriere dell’Aisla (Associazione Italiana Sla), «una vera sorpresa che aiuta la ricerca medica perché, come spesso accade, su questo tipo di malattie le case farmaceutiche non hanno un interesse commerciale». In concreto, il tormentone delle secchiate di acqua gelida ha fruttato finora un milione e mezzo di euro in Italia e oltre cento milioni negli Stati Uniti. La raccolta continua almeno fino al 21 settembre, Giornata nazionale della Sla. 

• L’Aisla, presieduta dall’ex calciatore, dirigente sportivo e deputato Pd Massimo Mauro, nel 2013 ha raccolto 1,8 milioni. Di questi, 1,1 milioni sono andati a ricerca e assistenza. Il personale è costato 373 mila euro. I dirigenti non percepiscono stipendio. 

• Negli Usa la Sla Foundation è accusata di destinare solo il 27% dei fondi in ricerca, e il 20% in assistenza ai malati. Il resto va alla formazione professionale (32%), al fundraising (14%) e al personale (7%). La presidente Jane Gilbert ha uno stipendio di 339 mila dollari. 

• Malati di sla sono stati il calciatore Stefano Borgonovo e Luca Coscioni, fondatore dell’omonima associazione radicale che si batte per la libertà di ricerca e l’adeguamento del «nomenclatore tariffario» (ausili per i disabili). La Fondazione Vialli Mauro finanzia ricerche su Sla ma anche sul cancro, e opera nello sport.

Wednesday, September 03, 2014

I segreti dei capolavori

QUANTO EROTISMO IN QUESTA VENERE!

Li abbiamo visti mille volte. Ma siamo sicuri di conoscerli? Philippe Daverio, nei nuovi fascicoli del Corriere della Sera, spiega i particolari nascosti di 35 grandi opere

di Mauro Suttora

Oggi, 27 agosto 2014

Lo sapevate che la Nascita di Venere di Sandro Botticelli è il primo dipinto su tela di grandi dimensioni nella storia? Che il Tondo Doni di Michelangelo fu la prova generale della Cappella Sistina? E che il Moulin de la Galette di Renoir, a Montmartre, nel 1814 fu l’ultima trincea contro i soldati russi che sconfissero Napoleone? Queste e altre curiosità vengono svelate nei fascicoli di Philippe Daverio sui Capolavori dell’arte allegati al Corriere della Sera dal 28 agosto.

Botticelli, quante allusioni
Nonostante la bionda nuda sul conchiglione sia fra le immagini più celebri dell’arte di tutti i tempi, la sua storia viene raccontata da Giorgio Vasari soltanto 50 anni dopo. «La Nascita di Venere viene appesa in pendant nel 1486 accanto alla Primavera nella villa di Lorenzo de’ Medici, cugino minore di Lorenzo il Magnifico», scrive Daverio. «In Botticelli le allusioni erotiche non mancano. la Venere riprende con i capelli sciolti un mantello tenuto con la mano sinistra, mentre le signore già sposate tengono il loro a mo’ di fiocco aperto per far capire che ciò che la fanciulla promette, loro l’hanno già vissuto. L’eleganza degli equivoci».

Caravaggio, i simboli nella Canestra di frutta
Il minuscolo olio su tela del 1599, conservato nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano, rappresenta il debutto delle nature morte nella pittura italiana. Caravaggio ne aveva già dipinte, ma all’interno di quadri con umani, come il Bacco o il Giovane con canestra di frutta. Qui, invece, per la prima volta la natura morta è il soggetto principale, e finisce nella collezione del cardinale Federico Borromeo. 
«La frutta è rappresentata con straordinario realismo, come mai prima di allora: un leggero pulviscolo copre gli acini d’uva, un verme ha bacato la mela, insetti hanno smangiucchiato le foglie della pesca». 
Ogni particolare è simbolico: le foglie della vite, secche e accartocciate, evocano l’inesorabile scorrere dell’esistenza umana, destinata a fine certa.

Renoir, i dipinti e la salute
Spiega Daverio: «Sosteneva con la sua sottile ironia Alberto Savinio che l’Impressionismo è nato quando i pittori di Parigi s’accorsero ch’era più proficuo per la salute dipingere all’aria aperta piuttosto che in quella viziata degli studi. 
C’è del vero in questa battuta: fu di grande utilità nell’ultimo trentennio dell’800 l’invenzione dei tubetti di colore, che permisero un’agilità fino ad allora insperata per la pittura da cavalletto». Pierre-Auguste Renoir è, con Monet e Manet, il più famoso degli impressionisti, e il Bal au Moulin de la Galette è la sua opera più nota.

Michelangelo vince su tutti
È l’unico dipinto di cavalletto di Michelangelo, l’unico esibito nel museo degli Uffizi a Firenze. Non piacque al committente, che lo criticò, tirò sul prezzo e alla fine non pagò la cifra pattuita. Stendhal lo detestava: «Un Ercole non può ridursi a cucire sottane». Ma fra tanti immensi affreschi, statue gigantesche e capolavori architettonici, Daverio sceglie il Tondo Doni come il non plus ultra di Michelangelo. 

Eseguito nel 1504 dall’artista 29enne, dopo la Pietà e prima del Mosè, secondo Daverio rappresentò una scommessa: «Dipingere per il ricco banchiere Agnolo Doni, sposato con una Strozzi, un’opera in grado di competere con quelle del concorrente Banco dei Medici, spazzati dalla scena finanziaria ed entrati in politica».

Ma la competizione fu duplice: «Quella con Sandro Botticelli, concorrente giovanile, eroe mondano della generazione precedente a quella di Michelangelo, suo opposto». E insuperato “tondista”, con «i personaggi adagiati nel cerchio del dipinto seguendone le linee curve»: come nella Madonna del Magnificat del 1480, anch’essa agli Uffizi. Michelangelo, 25 anni dopo, vince il confronto con Botticelli grazie alla modernità dei colori: intensi, squillanti, perfino stridenti, come l’arancione di San Giuseppe accanto al rosa della Madonna.
Mauro Suttora

Le donne più pagate

Classifiche: ecco le signore che hanno guadagnato di più nel 2013

SIAMO NOI LE DONNE D'ORO

Tra le dieci più ricche, le manager sono solo due (e Madonna non la batte nessuno)

La “material girl” con le colleghe cantanti Beyoncé e Lady Gaga incassano il doppio delle attrici Sandra Bullock e Jennifer Aniston. Solo una top model in graduatoria: Gisele Bundchen. Le boss e le atlete restano indietro. Vediamo quanto è entrato nelle loro tasche

di Mauro Suttora
 
Oggi, 27 agosto 2014

Galline vecchie fanno buon brodo. Due cinquantenni guidano la classifica mondiale delle donne di spettacolo più pagate: la cantante Madonna Ciccone, che il 16 agosto ha festeggiato i 56 anni con una grande festa nella sua villa di Cannes, e l’attrice Sandra Bullock, 50.
Cantanti e attrici, però, sono divise dalle cifre che guadagnano. Le prime, infatti, incassano più del doppio rispetto alle seconde.

Madonna è irraggiungibile. Grazie ai concerti, nel solo 2013 ha messo insieme ben 94 milioni di euro fra biglietti, merchandising, dischi e download. La sua fortuna dura da più di trent’anni: è del 1983, infatti, Holiday, primo successo planetario
La signora ha accumulato un patrimonio di un miliardo di dollari (755 milioni di euro) con i 350 milioni di dischi venduti in tutta la carriera: quarta dopo i Beatles, Elvis e Cliff Richard.

Beyoncé ha cantato per Obama
Dopo di lei, Beyoncé. Il 4 settembre compie 33 anni, e nel 2013 ha incassato 86 milioni di euro. Le sue esibizioni hanno toccato la cifra di 117 mila dollari al minuto (circa 88 mila euro). Versatile come Madonna, Beyoncé è diventata stilista e attrice, con due nomination ai Golden Globe per il film Dreamgirls.

Nel 2013 ha raggiunto l’apice, cantando all’inaugurazione del secondo mandato del presidente Obama e al Superbowl (finale di football americano). I biglietti dei suoi concerti vanno esauriti on line in pochi minuti.

L’altro fenomeno canoro dell’anno scorso è stata Lady Gaga, 28 anni, anche lei come Madonna di origini italiane: il suo vero nome è Stefani Germanotta. Incassi per 60 milioni di euro provenienti non solo da dischi e palco, ma anche come modella e stilista. 

Soltanto al quarto posto fra le donne che hanno guadagnato di più nel 2013 si trova un’attrice: Sandra Bullock. Ha appena festeggiato i 50 anni con 38 milioni di euro guadagnati grazie al successo del suo ultimo film: Gravity. Che ha incassato ben 540 milioni di euro, conquistato dieci nomination all’Oscar e vincendone sette.

Sandra ha preso un cachet di “appena” 15 milioni, in cambio di una percentuale del 5% sugli incassi. Un rischio, per un film che la vedeva galleggiare sola nello spazio come astronauta per un’ora e mezzo. Ma ha vinto la scommessa: Gravity è un raro esempio di successo sia di critica sia di pubblico. Peccato che a tante soddisfazioni sul lavoro non ne corrispondano altrettante nella vita privata. La Bullock ha lasciato il cantante tatuato Jesse James nel 2010, dopo cinque anni di matrimonio, perché ne ha scoperto una tresca clandestina con una pornostar. E da allora non le si conoscono altri fidanzati. 

Al quinto posto fra le donne più pagate del mondo, ecco la modella brasiliana Gisele Bundchen con 37 milioni di euro. È l’unica supermodel rimasta, tutte le altre sono sotto i dieci milioni: Miranda Kerr (7 milioni), Adriana Lima e Kate Moss (5,7 milioni). E bisogna arrivare al sesto posto con 28 milioni per trovare finalmente una donna manager: Martine Rothblatt, 60 anni, ad di United Therapeutics, società di biotecnologia. Solo che Martine è un ex uomo: nasce Martin, poi cambia sesso.

Seguono due Jennifer attrici: la giovane Lawrence e la stagionata Aniston. La prima a soli 24 anni, dopo l’Oscar per Il lato positivo ha sbancato con Hunger Games e American Hustle: 25 milioni. La seconda, 45enne, ne ha guadagnati 23 per lo stupendo Come ti spaccio la famiglia, e poi Life of crime e Come ammazzare il capo e vivere felici 2.

Adele continua a vendere
Al nono posto un’altra cantante, l’inglese Adele. Voce potente, sovrappeso, si era presa un po’ di tempo per sé ritirandosi dalle scene. Ma continua a vendere dischi.

Segue, con 19 milioni, la capa 39enne di Yahoo Marissa Mayer. Laureata in informatica a Stanford, è stata la prima ingegnere donna assunta da Google. Poi è passata alla concorrenza.

Per trovare le atlete bisogna scendere all’undicesimo e dodicesimo posto: le tenniste Maria Sharapova e Serena Williams, con 18 e 16 milioni di euro. Lo sport resta il regno dei maschi, con campioni di basket, golf, automobilismo e calcio che guadagnano parecchio grazie agli sponsor. Ma per le donne il piatto piange.

Infine, dal 12esimo al 15esimo posto, un trio di attrici anch’esse non di primo pelo: Gwyneth Paltrow, 41 anni (14 milioni grazie al film d’azione Iron Man 3), la 39enne Angelina Jolie (13 milioni per Maleficent) e la 41enne Cameron Diaz, che ha agguantato 13 milioni con la con commedia romantica Tutte contro lui-The other woman.
Mauro Suttora

Mare nostrum o Frontex?

IMMIGRATI: CHI SE NE DEVE OCCUPARE?

di Mauro Suttora

Oggi, 27 agosto 2014

Da dieci anni l’Unione europea ha un’Agenzia apposita per fronteggiare gli immigrati clandestini: la Frontex (nome completo: Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne). Sede a Varsavia, 317 dipendenti, 90 milioni di bilancio annuale. 

All’Italia l’operazione Mare Nostrum per salvare i disperati dei barconi è costata 110 milioni questo primo anno. Il 19 ottobre scade, e il nostro governo chiede che del problema si occupi tutta l’Europa, senza scaricarlo sugli Stati mediterranei (oltre a noi, Grecia, Malta e Spagna). Ma la Frontex è in grado di subentrare a Mare Nostrum?

In teoria, l’Agenzia ha 21 aerei, 27 elicotteri e 116 navi. «Ma solo sulla carta, perché appartengono ai 28 Stati della Ue che li mettono a nostra disposizione», ha spiegato Ilkka Laitinen, direttore dimissionario finlandese di Frontex. «Se li usassimo tutti contemporaneamente, esauriremmo i nostri fondi in due settimane».

In realtà il problema è politico. Queste navi, chiunque le paghi, devono respingere i migranti o accoglierli? La Ue è più severa dell’Italia. Il nostro governo varò Mare Nostrum dopo la strage di 300 clandestini annegati un anno fa, di fatto cessando la politica dei respingimenti. Che invece molti governi europei vorrebbero applicare contro chi non ha diritto all’asilo politico. 

Frontex destina solo 21 milioni annui a operazioni marittime, e il suo bilancio è stato ridotto di 25 milioni rispetto a tre anni fa. Sarà una dura battaglia, a Bruxelles.

Wednesday, August 27, 2014

Gaza: vero e falso

di Mauro Suttora

Oggi, 20 agosto 2014

Le propagande contrapposte di Israele e Palestina usano argomenti a effetto. Verifichiamone alcuni.

1) «Lo statuto di Hamas vuole la distruzione di Israele». Vero. Ma al voto del 2006 questa parte venne tolta. I suoi capi hanno detto che riconoscerebbero Israele a determinate condizioni (ritorno dei profughi, capitale palestinese a Gerusalemme Est). In ogni caso, anche Al Fatah voleva distruggere Israele. Il che non impedì al suo leader, Yasser Arafat, di firmare gli accordi di Oslo (1993) che prevedono due popoli in due Stati.
  
2) «Missili e tunnel palestinesi minacciano Israele». Falso. I razzi sono poco più di scaldabagni sgangherati che hanno provocato in tutto tre morti. Vengono neutralizzati dallo scudo aereo israeliano. E anche le uscite dei tunnel sono facilmente scopribili dall’avanzatissima tecnologia di Tel Aviv.

3) «Genocidio: Israele ha ucciso 500 bambini». Falso. I «bambini» sono minorenni, quindi anche bellicosi 17enni caduti con le armi in pugno o morti perché non sgomberati da zone che gli israeliani avvertivano con anticipo di voler bombardare.

4) «Gaza è bloccata da Israele». Falso. Gaza confina anche con l’Egitto, Stato «fratello arabo», il quale potrebbe permettere il transito.

5) «I palestinesi capiscono e rispettano solo il linguaggio della forza». Falso. Israele si è accordata con tutti i suoi vicini: Egitto, Giordania e, di fatto, perfino con la Siria degli Assad. 
Quanto ai palestinesi, Abu Mazen e la Cisgiordania rispettano gli accordi di Oslo e vorrebbero reciprocità da Israele.

6) «Il muro e le colonie ebraiche impediscono la pace». Falso. Il muro ha eliminato gli attacchi suicidi. E le colonie potrebbero sopravvivere se nascesse un clima di fiducia reciproca.
Mauro Suttora

Glenn Close in W la Gente!

La sigla finale di Techetechetè su Rai1 ogni sera ci mostra l'attrice di Attrazione fatale mentre cantava ventenne nel coro del musical americano

di Mauro Suttora

Oggi, 20 agosto 2014
Ogni sera su Rai1, dopo le nove,  la sigla finale di Techetechetè mostra il coro gioioso dei ragazzi di Viva la gente! Era un musical americano approdato nel 1968 in Italia, che lanciava un contagioso messaggio di fratellanza. E fra i giovani statunitensi in tournée per il mondo, c’era Glenn Close. Facile riconoscerla: è la prima a destra in prima fila.
L’attrice diventata famosa negli anni 80 con Il Grande Freddo e Attrazione Fatale era entrata nel cast di Up With People! (titolo originale del musical) già nel 1964, 17enne, e vi rimase per cinque anni. Fu anche ricevuta da Paolo VI quando il Papa onorò il cast di passaggio a Roma con un'udienza nel 1969.

Quel che pochi sanno, però, è che Glenn Close, impegnata politicamente a sinistra, nel 2012 ha rinnegato quell'esperienza: «Era una setta, il braccio musicale di un movimento di destra che si chiamava “Riarmo morale”. La mia famiglia vi aderì quando avevo sette anni, e ci rimasi fino a quando andai all'università. Era un culto, tutti dovevano pensare allo stesso modo. Devastante. Però quell’esperienza mi è servita per riuscire a osservarmi dal di fuori, e questo per un'attrice è fondamentale».

Concorrenza a «Hair»
Viva la gente! faceva concorrenza ad altri musical dell'epoca come Calcutta, Godspell e Hair, ispirati dalla moda hippy. Che però, in base al motto «Pace & Amore», era anche piena di musica rock, droga e controcultura antimilitarista. Erano infatti gli anni delle proteste contro la guerra in Vietnam, che fece 50mila morti fra i giovani americani di leva obbligati a combattere.

Niente di tutto questo nel movimento Up With People, rigorosamente apolitico e anzi ossequioso verso le autorità. Un movimento peraltro attivo ancor oggi, con sede a Denver in Colorado, che continua a organizzare tournée del fortunato musical. Gli interpreti sono giovani provenienti da tutto il mondo, e in questo mezzo secolo si sono avvicendati in migliaia per cantare l’inno che fu della giovane soprano Glenn Close.
Mauro Suttora

Friday, August 01, 2014

Giancarlo Perna vs Sallusti

1 agosto 2014
Giancarlo Perna se ne va dal Giornale in polemica con Alessandro Sallusti

La firma storica del quotidiano non ha accettato che una sua intervista all’ex ministro Antonio Martino non sia stata pubblicata. E sottolinea: “Questione di stile. Neanche Montanelli mi censurò mai”

È stata un’intervista all’ex ministro e fondatore di Forza Italia Antonio Martino la goccia che ha fatto traboccare il vaso fra Giancarlo Perna, firma storica del Giornale, e il direttore Alessandro Sallusti. Così, dopo più di 30 anni uno dei giornalisti più corrosivi d’Italia lascia il quotidiano della famiglia Berlusconi e passa a Libero

UNA QUESTIONE DI STILE – Perna non ha accettato che la sua intervista a Martino non sia stata pubblicata dopo essere stata concordata, ma soprattutto non ha apprezzato il silenzio di Sallusti: “Questione di stile. Neanche Montanelli mi censurò mai. L’unica volta che lo fece, per un mio ritratto di Andrea Manzella, se ne pentì al punto che mi riscrisse un suo articolo su Menichella, per mostrarmi come secondo lui andavano trattati i grand commis: in punta di penna, altrimenti – mi disse – l’Italia non avrebbe neanche uno scheletro cui appoggiarsi”.

CURRICULUM DOC – Perna, 74 anni, che è stato anche inviato nei settimanali Europeo e Panorama, ha scritto una biografia al vetriolo di Eugenio Scalfari: Una vita per il potere (ed. Leonardo, 1990).

Wednesday, July 16, 2014

Luigi Di Maio indiscreto

Chi è Luigi Di Maio

IL 5 STELLE BON TON PIEGA ANCHE GRILLO

Emergenti: chi è la promessa pentastellata che fa "ragionare" perfino il leader.

Per il troppo lavoro ha perso la fidanzata e continua a rimandare la laurea. Vicepresidente della Camera a soli 26 anni, Luigi Di Maio ora tratta con Renzi e fa rientrare in gioco il movimento

Oggi, 16 luglio 2014

di Mauro Suttora



A 26 anni Giulio Andreotti e Aldo Moro non erano neppure in Parlamento. Bettino Craxi era solo consigliere comunale, Matteo Renzi un oscuro segretario provinciale Ppi. E Silvio Berlusconi non aveva ancora visto un mattone. Luigi Di Maio, invece, è diventato vicepresidente della Camera.

Se c’è un wonder boy della politica oggi in Italia, è lui. Undici anni meno del premier, ma quanto a parlantina e aplomb gli tiene testa. Lo ha notato l’Italia intera, quando il napoletanino del Movimento 5 stelle (M5s) ha affrontato Renzi in streaming. Risultato: ora Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio si fidano solo di Di Maio. Che così è diventato il numero uno del secondo partito italiano.

Ci ha messo appena un’ora e mezza a far fare dietrofront perfino al proprio capo. Grillo aveva di nuovo insultato Renzi: «ebetino», e anche «ebetone». Lui si è messo al telefono, e pazientemente lo ha convinto: la trattativa col Pd continua. Nessuno screzio fra i due, solo fiducia. «Imparo sempre da Di Maio, anche quando sta zitto»: così, come sempre scherzando ma non troppo, il fondatore dei 5 stelle lo aveva incoronato candidato premier prima delle europee.

Poi il disastro, perso un voto su tre, e soprattutto Renzi col doppio dei consensi: 40 per cento a 21. Allora Grillo e Casaleggio hanno aperto furbi al Pd: «Facciamo insieme la riforma elettorale». Obiettivo: far fuori Berlusconi e il suo patto del Nazareno con Renzi. Rimettendo in gioco i sei milioni di voti del M5s, finora congelati in un’opposizione dura ma con pochi sbocchi.

E chi meglio del genietto di Pomigliano d’Arco come volto della svolta costruttiva?
Di Maio ha un padre impresario edile nonché, come il collega Alessandro Di Battista (il suo opposto: esagitato ed esagerato), fascista: prima Msi, poi An. Lui, invece, è troppo giovane per non essere vergine. Mamma Giovanna è prof di italiano e latino allo scientifico. 

Come Renzi, ha cominciato a «rompere le balle» già al liceo. E ha continuato da capetto anche all’università di Napoli: fonda una lista, diventa subito presidente pure lì: del consiglio degli studenti. Oltre a consigliere della facoltà di Legge.

Fanatico dei computer, segue Grillo dal primo Vaffaday del 2007. L’impegno politico gli fa perdere due cose: la laurea (è ancora fuoricorso, ora vuole recuperare online) e la fidanzata (troppo indaffarato, ora pare pratichi l’endogamia con la pentastellata Silvia Virgulti, bella tv coach che gli ha insegnato a ben figurare sullo schermo).

Trombato alle comunali nel 2010 (neppure papà votò per lui, 59 preferenze), due anni dopo alle primarie per diventare deputato gli bastano 189 voti. E pochi minuti per convincere gli altri cento deputati 5 stelle, digiuni di politica, a designarlo vicepresidente della Camera.

Dopo un anno molti, anche negli altri partiti, lo preferiscono alla presidente Laura Boldrini. Ineccepibile, autorevole, equilibrato, ha imparato a memoria il regolamento e infligge espulsioni: su tredici deputati che ha fatto cacciare dall’aula, ben otto sono grillini. Altro che salire sui tetti.

Ciononostante è amato (o almeno non detestato) anche dai 5 stelle oltranzisti. La pantera 45enne Paola Taverna gli è affezionata: «Però col Pd dev’essere meno moscio, sennò sembriamo Fantozzi». Il senatore Michele Giarrusso lo stima ma scherza agrodolce: «La trattativa Renzi-Di Maio? Facciamo giocare un po’ i ragazzini, in realtà il Pd non è cambiato».

Lui procede imperterrito, come certi partenopei più severi e disciplinati degli svizzeri. Mai una parola fuori linea, mai una virgola non sintonizzata col vertice Grillo&Casaleggio. Ma riesce anche a non apparire pedissequo. Con i proconsoli onnipotenti del gruppo Comunicazione, veri guardiani dell’ortodossia (l’ex Grande Fratello Rocco Casalino e l’ex assistente della Taverna, Ilaria Loquenzi), dirige di fatto il M5s. Il cui slogan era «Uno vale uno». Ma Di Maio ora vale tanto.
Mauro Suttora