Friday, August 16, 2013

Oman


UN DESERTO 'SVIZZERO' DALLA DOPPIA ANIMA

Ci sono gli aflaj che portano acqua ai villaggi senza sprecarla, e le piattaforme petrolifere. Le auto pulite per legge, e gli aerei che decollano in ritardo per motivi religiosi. E poi dune sfumate di terra dorata o rossa, spiagge di un bianco accecante e un lusso non sfacciato. In Oman, oasi felice del mondo arabo, che sta vivendo un boom turistico

di Mauro Suttora

Sette (Corriere della Sera), venerdì 9 agosto 2013



Immaginate Dubai senza i grattacieli, Abu Dhabi senza la Formula Uno, il Qatar senza Al Jazeera. Dune di sabbia fine come in Arabia Saudita, canyon rocciosi come nello Yemen, spiagge immense come alle Maldive (che stanno lì di fronte, nell'oceano Indiano). Ma l'Oman assomiglia soprattutto alla Svizzera: ti multano se non lavi l'auto, il pavimento del suk di Mascate è lucidato con la cera, le autostrade a quattro corsie hanno l'asfalto perfetto. E non succede mai niente.

"No news, good news": l'Oman non fa notizia. Niente rivoluzioni, guerre, estremisti. La 'primavera araba'? Sì, alcuni studenti due anni fa hanno manifestato e qualche testa calda è finita in commissariato. Poi il sultano ha ordinato alle imprese di assumere migliaia di giovani regalando loro buoni stipendi. E tutto si è chetato.
Un Paese noioso? "No, tranquillo. Quindi felice", sorride Aisha, giornalista con velo che incontro nella hall del resort Crowne Plaza a Salalah. Avevo letto un suo articolo nel sito online di uno dei maggiori quotidiani in lingua inglese. E quando mi sono imbarcato sull'aereo dalla capitale Mascate a Salalah, seconda città del Paese, ho scoperto che aveva ragione. 
Aisha raccontava infatti delle difficoltà che affrontano le hostess a ogni partenza. Le donne musulmane non possono sedersi vicino a uomini non parenti. Ma le prenotazioni attribuiscono i posti alla cieca, per cui il mischione è matematico. Tutti i voli vengono ritardati perché almeno una decina di donne vagano nella carlinga, pretendendo dalle assistenti di volo una sistemazione alternativa. Inconvenienti pratici dell'Islam.

"Perché non mettono le donne da una parte e gli uomini dall'altra, come nelle nostre chiese fino a 50 anni fa?", chiedo ad Aisha. "Impossibile", spiega lei, che ha approfondito il problema, "viaggiano molte famiglie intere con i maschi che vogliono sedere accanto a mogli, sorelle, madri o figlie. L'unica soluzione, insomma, è non assegnare i posti".

L'unica soluzione per evitare le turbolenze del mondo arabo, invece, sembra essere l'assolutismo illuminato. Come quello del sultano Qabus, saldo sul trono dal 1970. Ci arrivò con un piccolo golpe; ma la vittima fu suo padre, e quasi nessuno si accorse della successione forzosa. Qualche sciabola sguainata nel segreto del palazzo reale, niente morti. Il papà detronizzato finì esiliato fra i lussi dell'hotel Dorchester a Londra.

Così oggi Qabus, sovrano piuttosto liberale, è il secondo governante più longevo del mondo: superato di soli tre anni dal sultano del Brunei (la regina Elisabetta e il re di Thailandia non contano, regnano ma non governano). 
Si dirà: facile essere tolleranti quando l'unica preoccupazione è come distribuire i proventi del petrolio. Vero. Ma decine di satrapi, da Saddam a Gheddafi, hanno dimostrato che la manna nera non garantisce buon governo e pace. Invece la dinastia di Qabus detiene un altro record mondiale: quello della stabilità nei secoli. Di padre in figlio, solo quattordici sultani dal 1749. Ognuno riesce a durare in media una ventina d’anni. Immaginate l'Italia ai tempi di Maria Teresa, e fate un paragone con la volatilità dei nostri governanti a scadenza annuale.


Il 72enne Qabus ha portato in 43 anni il suo Paese dal feudalesimo medievale (l'Oman è stato il penultimo stato del mondo ad abolire la schiavitù, prima della Mauritania) a un'assai confortevole modernità. Nessuno dei due milioni di omaniti fa lavori pesanti. Per quelli ci sono un milione di immigrati indiani, pakistani o filippini.
All'aeroporto di Mascate uno dei voli internazionali diretti più frequenti è per Thiruvananthapuram. Città che ho scoperto essere la Trivandrum dei nostri due marò, nel sud dell'India. Immigrati sì, e anche poco pagati (oltre alla piaga delle colf preda di padroni omaniti lussuriosi). Ma si spostano con l'aria condizionata: non più barconi da Iran e Pakistan o tratta di neri da Zanzibar, colonia dell’Oman fino al 1861.
Inutile dire che viaggiare per l'Oman è affascinante e sicuro (contrariamente all'attiguo Yemen). Quindi raccomandabile. I turisti internazionali impauriti dai disordini egiziani e tunisini (ora pure turchi) e dalle stragi siriane, arrivano qui. Ma Mascate, patria della noce moscata, non è un ripiego. Il boom turistico si spiega perché l'Oman è il Paese arabo più a Est, seimila chilometri dal Marocco. E bisogna andare proprio in questi due estremi per trovare l'anima più incontaminata e raffinata del modo arabo.
Le deprimenti baraccopoli delle altre capitali islamiche appaiono lontanissime mentre si percorrono i 50 chilometri in cui si dipana Mascate, stretta fra le montagne e il lungomare della Corniche. Certo, è tutto nuovo, magari mancano le antiche tradizioni e il savoir-faire in fatto di ospitalità che offrono Tangeri, Marrakesh o la Beirut rinata dopo la guerra civile. Ma è un 'nuovo' di buon gusto, lontano da certe tragiche pacchianerie simil-occidentali degli Emirati. Nessun edificio supera i pochi piani di altezza, quasi tutti rinnovano i classici stilemi architettonici arabi. E il sultano, appassionato di musica classica, nel 2011 ha inaugurato il teatro dell'Opera: il più grande del mondo arabo dopo quello cairota. Il muftì ha storto il naso: la musica, in particolare occidentale, non è ben vista dai fondamentalisti. Ma Qabus lo ha regalmente ignorato (dopo averlo innaffiato di soldi, finanziando la costruzione di altre moschee).


Da un quarto di secolo ormai l'albergo Al Bustan di Mascate è installato nella top 20 degli hotel mondiali. E da dieci anni si è aggiunto il Chedi, dell’omonima catena supercool obbligatoria fra le celebrità. 
Fuori dalla capitale, invece, c'è ancora cammino da fare: l’exclave Musandam a nord, davanti alla Persia, e Salalah a sud, con le sue palme e spiagge vergini, offrono albergoni Hilton o Marriott dignitosi, in teoria a 4 stelle, ma in realtà a tre. Buoni per i grupponi che arrivano con 6-7 ore di charter da Scandinavia, Inghilterra e Germania, o per i tecnici delle piattaforme petrolifere in libera uscita, ma che non giustificano i 200 euro a notte. Chissà che fra le decine di joint ventures economiche che stanno fiorendo con l'Italia non ci sia un po' di export del nostro prezioso know-how turistico.

Buona parte dei turisti che arrivano qui, però, non sono attratti dalla costa. Perché il tesoro nascosto dei 300 mila quadri dell'Oman (esattamente quanto quelli italiani) è il deserto. Nelle sue due fantastiche versioni: quella d'oro di sabbia, quella rossa delle montagne. E in mezzo al nulla, ecco improvvisamente decine di oasi rigogliose di verde e acqua dove approdano i trekking in fuoristrada. 

Da ammirare i 3.000 'aflaj', prodigioso sistema d'irrigazione unico al mondo che da mille anni plasma la vita dei villaggi. Neanche una goccia d'acqua va sprecata: prima arriva al fortino della guarnigione, poi alle case, ai lavatoi, agli abbeveratoi per gli animali; infine l'irrigazione dei campi. Molti 'aflaj' sono conservati bene, funzionano ancora alla perfezione e sono protetti dall'Unesco.

L’unica incognita di questo paradiso terrestre è l’età del sultano: l’ultrasettuagenario Qabus, celibe, non ha designato alcun erede. Gode di ottima salute, è attivissimo, ogni estate fugge con le sue due navi private (altro che yacht) dal caldo opprimente di Mascate e dai monsoni di Salalah per farsi un giretto in Europa. In Italia le sue mete sono sempre abbastanza eccentriche. Cinque anni fa era approdato a Bari, e i pugliesi ne approfittarono per farsi dare un po’ di soldi: tre milioni al conservatorio, due al policlinico. L’anno scorso è rimasto ormeggiato una settimana a Cagliari, snobbando chissà perché la Costa Smeralda.
Alle latitudini dell’Oman è probabilmente saggio non indicare con troppo anticipo il successore al trono. A Qabus potrebbe capitare lo stesso destino che lui riservò al padre: un esilio dorato per opera di qualche impaziente nipote. C’è però il rischio di lotte di fazioni fra cugini alla sua scomparsa. Mentre sembrano sopite le velleità indipendentiste del Dhofar, la regione meridionale di Salalah dove negli anni ’70 infuriò una guerriglia finanziata dai sauditi.

L’altro problema, come in tutto il mondo arabo, sono gli estremisti salafiti. La versione omanita dell’islam è sempre stata moderata e tollerante. Nei ristoranti frequentati dagli stranieri e negli alberghi si può bere il vino, contrariamente al divieto assoluto di Arabia Saudita, Kuwait, Iran e Gaza. Ma nella sala d’aspetto dell’aeroporto di Salalah ammetto di avere subìto uno choc culturale: mi sono trovato circondato da donne completamente velate in nero. Uniche eccezioni (stupendemente sexy): occhi curiosi e piedi nudi nei sandali. 

Chiedo ad Aisha: è sempre stato così? “Assolutamente no. Dopo la fine della colonizzazione inglese, nel ’71, le donne occidentalizzate non si velavano. E quelle del popolo usavano colori sgargianti: rosso, blu, verde”. Poi cos’è successo? Qui non ci sono sciiti, cos’è questo nero lugubre alla hezbollah? “È diventato di moda. Ma senza valenze politiche”. Speriamo.
Mauro Suttora 

Wednesday, August 14, 2013

L'ottava resurrezione di Berlusconi

DOPO LA CONDANNA A TRE ANNI PER FRODE FISCALE: A 77 ANNI HA ANCORA VOGLIA DI COMBATTERE

di Mauro Suttora

Oggi, 7 agosto 2013

«Io sono qui. Resto qui. Non mollo». Chi si illudeva che la carriera politica di Silvio Berlusconi fosse terminata con la condanna definitiva a quattro anni di carcere, è servito. Tante volte è stato dato per morto, altrettante è resuscitato. «Anche gli avversari, al di là di tutto, devono ammetterlo», dice a Oggi Daniele Capezzone, presidente Pdl della commissione Finanze della Camera, « ha un’energia obiettivamente impressionante. Sembra una rockstar».

Silvio ha 76 anni, 77 fra sette settimane. Il presidente americano Richard Nixon era un ragazzino, al confronto, quando dovette andarsene per lo scandalo Watergate: aveva ‘soltanto’ 61 anni. Pure lui sotto i colpi di magistrati che stavano mettendolo sotto impeachment. Evitò l’umiliazione dimettendosi nell’agosto 1974.

Berlusconi è sette volte nonno. Potrebbe essere perfino bisnonno: sua nipote Lucrezia, prima figlia di Piersilvio, ha 23 anni. Ma non ha alcuna intenzione di ritirarsi. Dove trova la voglia di combattere ancora? Da un po’ di tempo ha smesso di vantarsi della propria giovanilità. Anzi, ha addirittura preso il vezzo di aumentarsi gli anni: «Ne ho quasi 78», ha detto al direttore del quotidiano Libero Maurizio Belpietro qualche giorno fa. Svista o esagerazione per sembrare più anziano? «Mente perfino sull’età», ringhiano i nemici sulla rete.

Odiato, amato. Due curve di tifosi contrapposti. Dieci milioni di voti presi cinque mesi fa. Sei milioni di voti persi in cinque anni. Ma comunque ancora capo del primo partito italiano. O secondo partito, se si sapesse chi è il capo del primo (il Pd). Ha governato l’Italia per 3.340 giorni: il terzo per durata dopo Benito Mussolini e Giovanni Giolitti. Ma il primo della storia repubblicana: più di Alcide De Gasperi, Giulio Andreotti, Aldo Moro, Bettino Craxi.

Il record di cui si parla in questi giorni, però, è quello giudiziario. Processi subiti in vent’anni: 27. Processi in corso: sette, come i nipoti. Quelli più fastidiosi: i due civili. Perché rischia di dover  pagare oltre mezzo miliardo di euro all’odiato Carlo De Benedetti (editore dei giornali Repubblica ed Espresso), e centomila al giorno alla seconda ex moglie Veronica.

Finora, sempre assolto o prescritto. Per la prima volta il primo agosto è stato condannato. Entro il 15 ottobre deve scegliere se scontare un anno (tre sono svaniti con l’indulto 2006, per cui può ringraziare Romano Prodi allora premier) in affidamento ai servizi sociali o agli arresti domiciliari.
 
Già il fratello Paolo vent’anni fa dovette trascorrere l’estate 1993 ‘recluso’ nella propria villa a Porto Rotondo, accanto alla Certosa di Silvio. Ma le umiliazioni per l’ex premier sono già cominciate. I carabinieri gli hanno ritirato il passaporto. I grillini premono per cacciarlo subito dal Senato. I suoi rispondono che la legge sulla decadenza dei parlamentari pregiudicati è del 2012, e non ha valore retroattivo (la frode fiscale da nove milioni di euro di Mediaset risale a dieci anni fa). 

In ogni caso, gli avversari ora possono definirlo «delinquente» senza diffamarlo. Per il Financial Times è un «buffone». Per l’Economist un «clown», seppure alla pari con Beppe Grillo. Due giornali liberali, non comunisti.

Ma per il Grande Combattente processi e condanne sono solo medaglie: la dimostrazione di essere un Grande Perseguitato. E i giudici sono solo impiegatucci statali, «che hanno fatto un compitino vincendo un concorso». Altro che giustizia uguale per tutti: lo hanno preso di mira solo perché è sceso in politica.

I giudici di Milano lo avevano anche interdetto dai pubblici uffici per cinque anni. Troppi, ha concesso la Cassazione: facciamo tre, ha suggerito il procuratore generale. Rideciderà Milano. Nel frattempo, niente candidature. E allora, per conservare il nome Berlusconi sulla scheda, ecco la figlia Marina. Ha partecipato a tutti i vertici degli ultimi giorni. E si è schierata con i ‘falchi’ accanto a Capezzone, Renato Brunetta, Daniela Santanchè e Denis Verdini. 

Dall’altra parte, i ‘moderati’ Gianni Letta, Fedele Confalonieri, Angelino Alfano e Renato Schifani. In mezzo, la fidanzata napoletana Francesca Pascale e la ‘badante’ casertana Mariarosaria Rossi. Quest’ultima ha ormai sostituito la segretaria storica Marinella Brambilla (diventata madre a 48 anni) e perfino il maggiordomo Alfredo Pezzotti. Per parlare con Berlusconi bisogna passare da lei.

«Ma alla fine le decisioni le prende solo lui», dice Capezzone, «e mi impressiona la sua apertura alle novità. È un perfezionista, capace di arrivare un’ora prima sul palco di un comizio a provare i microfoni. Ma gli piacciono anche i colpi di scena, le improvvisazioni che spiazzano». Una potrebbe essere la drammatizzazione del momento dell’arresto. Chiedere di finire in carcere nonostante l’età. Il martirio porta voti.
Mauro Suttora 

Wednesday, August 07, 2013

Pd: parlano Moretti e Serracchiani


Oggi, 31 luglio 2013

di Mauro Suttora

Ma esiste ancora il Partito democratico? Ogni testa una corrente, non sono mai uniti su nulla. Passano il tempo a litigare. 
«Ci siamo, ci siamo, anche se un po' a pezzi e in difficoltà», assicura a Oggi Alessandra Moretti, deputata di Vicenza. Volto nuovo del Pd, lanciata come portavoce lo scorso autunno dal segretario Pier Luigi Bersani. «Ci sono soprattutto i milioni di cittadini che ci hanno votato: chiedono una rigenerazione del partito, un'autocritica serena e severa. E poi dobbiamo parlare di contenuti, di progetti».

«Confusione molta, certezze poche», ammette Debora Serracchiani, da tre mesi presidente della regione Friuli-Venezia Giulia dopo quattro anni da eurodeputata.

Le discussioni ruotano sempre, ormai da un anno, attorno al nome di Matteo Renzi. Prima delle elezioni di febbraio voleva la candidatura a premier, e prese il 40 per cento alle primarie. Ora, forte di una popolarità al 60% (a quei livelli solo Enrico Letta, Giorgio Napolitano ed Emma Bonino, nei sondaggi) mira invece alla guida del Pd, lasciata da Bersani a Guglielmo Epifani fino al congresso di fine anno.

Il problema è che i dirigenti democratici non riescono a mettersi d'accordo neppure sulle regole del congresso che eleggerà il nuovo segretario. Epifani, Bersani e Dario Franceschini vogliono seguire le regole classiche di ogni associazione: votano solo gli iscritti. In questo caso, però, Renzi rischia di non farcela. Perché il sindaco di Firenze è apprezzato più fuori che dentro il suo partito. 
«La nostra gente vuole primarie aperte», dice la Moretti, «in un momento di disaffezione come questo dobbiamo spalancare porte e finestre». Gli iscritti infatti sono un tasto dolente: appena 600 mila, rispetto al milione di Pds e Margherita prima della fusione nel 2008. E agli 800 mila del 2009.

Ma voi e gli altri che propongono di far votare anche i simpatizzanti, lo fate per favorire Renzi? Moretti: «Non so se deciderà di candidarsi. So che il Pd deve dimostrare di essere una forza che attrae non solo i militanti e gli iscritti, ma anche il popolo dei delusi: quel 40 per cento che alla politica non crede più». Serracchiani: «Il primo articolo dello statuto Pd dice che votano gli iscritti, ma anche gli elettori. Sia per il premier che per il segretario».

Quindi, onorevole Moretti, per lei un'altra rottura con Bersani dopo il suo no a Franco Marini da lui proposto al Quirinale? «Con Bersani mantengo un rapporto di stima e lealtà autentica. Che significa anche saper manifestare il proprio dissenso. E non è sempre una scelta facile. La candidatura di Marini non era sbagliata in sè: era sbagliato il metodo con cui si è arrivati a quel nome, che ha determinato la rottura della coalizione di centrosinistra».
  
Le danno dell'ingrata, però. «A tradire Bersani sono stati quelli che lo hanno mal consigliato, non certo io. Un vero leader evita di circondarsi di yes men, che per fedeltà non osano mai contraddire il capo. Con altri quaranta deputati, soprattutto giovani e neoeletti, ora sono una dei "non allineati", fuori dalle correnti interessate solo alla spartizione di incarichi e poltrone».

Letta ha definito «fighetti» i “giovani” pd emergenti che prendono sempre le distanze per farsi notare dai media: Pippo Civati, Matteo Orfini, voi due… «Ma per carità, io non ho mai criticato tanto per criticare né il partito, né il governo Letta», si difende Moretti. «Al contrario, lo sostengo e apprezzo la capacitá del premier di ascoltare e rispettare anche posizioni differenti». 
Serracchiani: «Non mi sento tirata in causa: alle europee e alle regionali si viene eletti con le preferenze. Quindi i voti ho dovuto cercarli, e me li sono guadagnati uno a uno».

Allora, Letta premier e Renzi segretario? Moretti: «Letta sta procedendo bene in condizioni difficilissime. All'inizio avevo creduto nel tentativo di Bersani di coinvolgere i 5 Stelle. Ma Grillo ha dimostrato di voler fare solo battaglie mediatiche di scontro: niente proposte costruttive, tanta demagogia». 
Serracchiani: «I 5 Stelle non vogliono prendersi responsabilità. Per esempio, hanno detto di condividere il 90 per cento del mio programma in Friuli, ma sono rimasti all’opposizione».

Ma se Renzi conquista il partito, quanto durerà Letta? Prodi nel 2008 cadde, dopo che Veltroni divenne segretario Pd. Serracchiani: «Possono tranquillamente convivere. Magari Renzi come premier, visto che ha già governato un comune e una provincia: ha esperienza amministrativa. Sono complementari, perché dovrebbero farsi la guerra? Il Pd è un grande partito, c’è spazio per tutti e tanti. Però ci vuole un profondo ricambio». 

Moretti: «Le manovre di potere ci porterebbero al suicidio, sono vecchia politica. Oggi in Italia la prioritá è il lavoro, per creare occupazione bisogna abbassare le tasse su chi il lavoro lo produce». E l'Imu? «Trovo iniquo toglierla a tutti: io, per esempio, è giusto che la paghi. E lo faccio volentieri se quelle risorse vanno ai Comuni che garantiscono i servizi essenziali alle persone. Questi sono i problemi concreti. Tutto il resto è chiacchiera».
Mauro Suttora

Tuesday, July 30, 2013

Il cittadino Grillo in traghetto


Il capo del Movimento 5 stelle torna in Sardegna da Genova. Senza scorta, mangia da solo al ristorante. Gentile con chi lo riconosce, sembra un altro rispetto al tribuno aggressivo che tuona dai palchi
di Mauro Suttora

Oggi, 23 luglio 2012

Venerdì sera, ore 22, il velocissimo traghetto Genova-Olbia Moby Drea è partito. Pienissimo, inizio ponte di mezza estate. Un uomo massiccio con zazzerona argento-grigia mangia solitario nel ristorante à la carte. È lui o non è lui? Ma sì che è lui.
I passeggeri se lo additano a vicenda: Beppe Grillo. Il comico diventato cinque mesi fa capo del primo (o secondo, comunque al massimo terzo) partito italiano: il Movimento 5 stelle.

Nessuno osa avvicinarsi a disturbare la sua tranquillità. Non ha la scorta, non ha parenti o amici attorno. Solo. Nessun altro politico della sua importanza in Italia (al mondo?) va in giro così, senza un minimo di protezione. Lui sì.
Cena rapidissima. Poi scompare in cabina. Riappare al mattino, in prossimità della costa sarda. Seconda sorpresa: non viaggia in auto. Ha una moto Suzuki, blu fiammante. Nel garage, aspettando che si apra il portellone, una famiglia si avvicina. Poi un’altra. Lui, cordialissimo, parla con tutti.

Destinazione Porto Cervo
Infine, uscito rombando dal traghetto, si avvia verso la sua casa di vacanza. Che da trent’anni è al Pevero di Porto Cervo. Lì lo aspettano la moglie Parvin, i figli e qualche amico. Sono arrivati a inizio luglio.
Il precedente viaggio in traghetto, con l’auto, fu più movimentato. Mentre navigava, infatti, gli arrivò una convocazione improvvisa da parte del presidente della Repubblica al Quirinale: «Può venire a Roma venerdì alle 11». Lui fece rispondere che non poteva. Era appena arrivato in Sardegna, che diamine, rinviamo di tre giorni.

A Roma, per la prima volta c’è andato con Gianroberto Casaleggio, il suo socio-guru di Milano. «Una persona gentile»: così, senza sbilanciarsi, Casaleggio ha descritto Napolitano a Gianluigi Nuzzi, primo giornalista italiano che lo ha intervistato in video qualche giorno fa.
Un’altra primizia, a Roma: Grillo, senza togliersi giacca e cravatta, sudando abbondantemente, ha debuttato al Senato con una conferenza stampa che come sempre si è subito trasformata in comizio: urla, accuse, insulti, vaticini apocalittici («In autunno la gente prenderà il fucile»).

È incredibile come quest’uomo, così mite  e gentile quando viaggia solo in traghetto, possa trasformarsi in tribuno feroce appena ha sotto di sé un palco o di fronte  a sé una telecamera.
Intanto, gli altri partiti lavorano per lui. Non vogliono più tagliare i costi della politica. Il finanziamento pubblico è ancora in piedi: tutti noi siamo costretti a dar soldi ai partiti, anche a quelli che detestiamo. Mentre i parlamentari 5 stelle, come promesso, si sono ridotti lo stipendio a 2.500 euro mensili e restituiscono la differenza: un milione e mezzo nei primi tre mesi
Così nei sondaggi Grillo rimane al 20-25%. Alle comunali di Messina, in giugno, era crollato dal 20 al 2%. Ma al secondo turno a Ragusa ha conquistato il sindaco col 70%. E ora torna in vacanza in moto, solo e tranquillo.

Berlusconi: parla Brunetta


intervista di Mauro Suttora

Oggi, 24 luglio 2013

1) La sentenza del 30 luglio sarà veramente l'atto finale del confronto ventennale fra magistrati e Berlusconi?
“Magari l’assoluzione, che io ritengo logica, spegnesse i fuochi di guerra accesi da una certa parte della magistratura! Ci sono però altri processi se possibile più assurdi che hanno appena superato il primo grado. Di certo, se a fine luglio ci fosse una condanna, essa sarebbe nelle intenzioni dell’ala eversiva delle toghe la parola fine su Berlusconi. Comunque vada, costoro si illudono”.

2) Perche' il processo sui diritti tv e' cosi' importante?
“Se fosse confermata la sentenza della Corte d’Appello di Milano Berlusconi verrebbe estromesso dalla vita pubblica e forse anche dalla libertà. Si butterebbe nella pattumiera il voto di otto milioni di italiani. Lo sfregio alla vita democratica e alla sovranità popolare sarebbe difficilmente sanabile”.

3) Berlusconi e' un perseguitato politico? Altri imprenditori non sono stati presi cosi' di mira.
 “È un fatto evidente. Finché  Berlusconi è stato semplicemente un imprenditore, nulla gli è mai stato imputato. Da quando non si occupa più della sua azienda si sono accumulati contro di lui una trentina di processi, per intimidirlo e screditarlo. Non è solo un record tra gli imprenditori, ma un primato universale: Berlusconi è suo malgrado un campione mondiale, a prescindere dalla professione d’origine”.

4) I parlamentari Pdl esagerano nel contestare i magistrati?
“Noi non contestiamo la magistratura o la totalità dei magistrati in astratto. La questione riguarda un’ala eversiva di pm e di giudici. Alla loro battaglia politica rispondiamo con lotta politica. Quei magistrati però dispongono di armi letali, che si chiamano libertà e reputazione dell’avversario. Non dimentichiamo che Magistratura democratica ha teorizzato esplicitamente l’uso dei processi per scopi politici. E Berlusconi è il loro nemico giurato. Ma questo è limitato a un settore preciso, e dunque sbaglia chi fa di ogni toga un fascio. La divisione dei magistrati in correnti politicizzate non favorisce la percezione dell’imparzialità, per usare un eufemismo.
Adesso l’obiettivo del Pdl è quello di riformare la giustizia attraverso i sei referendum radicali: responsabilità civile dei magistrati, separazione delle carriere, fine dell’obbligatorietà dell’azione penale, basta con l’ergastolo, stop all’abuso della custodia cautelare. Ci sarà una grande mobilitazione per raccogliere le firme e per cambiare finalmente la giustizia grazie al voto popolare. Un grande segnale di democrazia”.

5) Sarebbe grave se Berlusconi fosse interdetto dai pubblici uffici? Non sarebbe il primo leader politico a essere condannato.
“Ripeto: l’interdizione dai pubblici uffici non sarebbe soltanto la negazione dei diritti politici di un uomo, ma l’eliminazione del leader che è la voce e l’anima del popolo di centrodestra, il quale sarebbe così defraudato irreparabilmente nella competizione politica, con un vantaggio clamoroso assegnato dai giudici alla sinistra”.

6) Da una condanna Berlusconi ci guadagnerebbe, elettoralmente?
“Non sono nella condizione di rispondere a una domanda che suppone un grado di cinismo che non possiedo. So che c’è chi si figura un Berlusconi il quale, estromesso dal Parlamento e da cariche pubbliche, continua a far politica dall’ufficio. Non ci voglio nemmeno pensare. Sono convinto lo assolveranno. E se non accadesse decideremo con lui il da farsi. Di sicuro il popolo dovrà essere chiamato alle urne. La crisi istituzionale impedirebbe a noi parlamentari e ai nostri ministri di continuare a lavorare dopo che ci hanno tagliato il capo, la testa”.

7) Il governo Letta cadrebbe? Nuovo voto? Governo senza Pdl?
“Non faremo cadere il governo Letta, non è questo il punto. La condanna innescherebbe una crisi istituzionale, il cui rimedio sarebbe solo l’urna elettorale.  Escludo che la sensibilità democratica del presidente Napolitano gli detti un comportamento diverso dalla convocazione dei comizi elettorali”.

8) Che fine farebbe il centrodestra senza Berlusconi?
“Non ho nessuna voglia adesso di prefigurare scenari da day after. Berlusconi comunque non sarebbe mica morto. Non smetterebbe di pensare e di essere un riferimento morale e dunque politico per milioni di italiani. Il progetto di Forza Italia sarebbe più attuale che mai, avrebbe le impronte di Berlusconi comunque”.

9) Chi glielo fa fare a Berlusconi di rimanere in politica a 77 anni?
“L’amore per l’Italia. Lo disse diciannove anni e mezzo fa: “l’Italia è il Paese che amo”. Spero non si stufi, come pure sarebbe legittimo. Ma lui ha una tempra incredibile, unica. Lo dico io, che non credo certo di essere uno che si piega. Ma il nostro Presidente non ha paragoni”.

10) Dopo Silvio, Marina Berlusconi?
“Se vuole, avrebbe un bellissimo nome e una grande esperienza imprenditoriale di successo da giocare in politica. Ma, come tutti, dovrebbe dimostrare di meritarsi la leadership. Non per diritto dinastico, questo è certo. Senza essere calata con le corde dall’alto, magari da chi fa qualche calcolo interessato sulla successione”.
Mauro Suttora 

parla Paolo Flores d'Arcais


intervista di Mauro Suttora

Oggi, 24 luglio 2013

1) La sentenza del 30 luglio sarà veramente l’atto finale del confronto ventennale fra magistrati e Berlusconi?

Non ci può essere nessun atto finale di un “confronto ventennale” che non è mai esistito. Ci sono magistrati che perseguono dei delitti, come impone loro la legge, che dovrebbe essere “eguale per tutti”. E Berlusconi di reati ne ha commessi a bizzeffe, anche se molti prescritti (ma riconosciuti come crimini!) e molti depenalizzati (con le sue “leggi ad personam”!). In Usa, Francia, Germania, ecc. Berlusconi sarebbe in galera da un pezzo.

2) Perchè il processo sui diritti tv è così importante?

Perché è uno dei pochissimi per i quali Berlusconi, malgrado tutte le “leggi ad personam”, le false testimonianze, gli avvocati che la tirano in lungo (in Usa si chiamerebbe “ostruzione di giustizia” e si andrebbe in galera) per arrivare alla prescrizione, rischia la condanna definitiva. Ma Berlusconi si dice sicuro che la Cassazione lo salverà, evidentemente sa che gli amici fra gli alti magistrati non gli mancano.

3)Berlusconi è un perseguitato politico? Altri imprenditori non sono stati presi così di mira.

“Ma mi facci il piacere”, come direbbe Totò. Berlusconi è solo un persecutore politico, nel senso che vuole ridurre la politica italiana non dico a “cosa nostra” ma a “cosa sua”. Per questo vuole fare a pezzi la Costituzione italiana che è (tranne l’art.7) tra le migliori del mondo. Se altri imprenditori hanno meno processi è perché delinquono di meno.

4) I parlamentari Pdl esagerano nel contestare i magistrati?

Non è che esagerano, si comportano proprio in modo eversivo. In nessun altro paese d’Occidente le destre avrebbero un comportamento simile, non sarebbe proprio pensabile. Ma il modello (e l’amico) di Berlusconi è Putin. Che in effetti ha giudici e giornalisti “al guinzaglio”.

5) E’ grave se Berlusconi fosse interdetto dai pubblici uffici? Non sarebbe il primo leader politico a essere condannato.

Sarebbe gravissimo se non fosse condannato, vorrebbe dire che davvero ha amici in Cassazione pronti a disattendere la legge. E l’interdizione dai pubblici uffici segue automaticamente la condanna. Comunque non sarebbe il primo, c’è già stato il suo amico Craxi.

6) Da una condanna Berlusconi ci guadagnerebbe, elettoralmente?

Domande del genere vanno fatte a Nostradamus. Se ci guadagnasse vorrebbe dire che quasi la metà dei cittadini che vanno a votare sono pregni di umori fascisti e amano la corruzione e le mafie pur di poter evadere il fisco. Sarebbe un segnale di inciviltà che dovrebbe spaventare e che ci getterebbe fuori dall’Occidente.

7) Il governo Letta cadrebbe? Nuovo voto? Governo senza Pdl?

Il governo Letta, che sarebbe più esatto chiamare governo Napolitano-Berlusconi, prima cade e meglio è.

8) Che fine farebbe il centrodestra senza Berlusconi?

Nella sua forma attuale, di centro-destra berlusconiano cioè putiniano, lepenista, antidemocratico, una bruttissima fine, spero. Per la destra democratica sarebbe invece un’occasione imperdibile, perché in Italia il problema da un quarto di secolo è proprio la sua mancanza (ma questa destra esiste?).

9) Secondo lei chi glielo fa fare a Berlusconi di rimanere in politica a 77 anni?

Quando è entrato in politica ha spiegato chiaramente il perché: “Altrimenti finisco in galera” (lui sa tutto quello che ha combinato di crimini, noi conosciamo solo la punta dell’iceberg). Un motivo che permane.

10) Dopo Silvio, Marina Berlusconi?

Sono da tempo arrivato alla conclusione filosofica che l’unica legge universale in campo storico è: “al peggio non c’è mai fine”. Ma non credo che tutti coloro che si acconciano volentieri a fare i servi di Berlusconi Silvio replicherebbero il fervore della sudditanza anche con Berlusconi Marina.
a cura di Mauro Suttora

La famiglia Ligresti in prigione


Oggi, 24 luglio 2013

di Mauro Suttora

Arrivavano con aerei ed elicotteri al Tanka Village, il loro resort di lusso a Villasimius (Cagliari). Ecco le ultime immagini felici della famiglia Ligresti, finita tutta agli arresti il 17 luglio (qualcuno è superstizioso?). Il patriarca Salvatore, le figlie Jonella e Giulia, il figlio Paolo: accusati dai magistrati di avere dilapidato decine di milioni della Fondiaria/Sai, terza società assicurativa italiana. I reati: falso in bilancio e aggiotaggio.

Salvatore, data l'età ultraottuagenaria, confinato nella sua villa milanese di San Siro. La primogenita Jonella trasferita dalla sua villa in Sardegna al carcere di Cagliari. La bellissima Giulia arrestata a Milano e trasferita nella prigione di Vercelli. L'unico a evitare le sbarre è stato Paolo, grazie alla residenza in Svizzera ottenuta appena tre settimane fa.

Non è la prima volta che un'intera famiglia di imprenditori finisce nei guai: i Tanzi di Parmalat, i Riva dell'Ilva di Taranto, i Cragnotti del crac Cirio. Ma la dolce vita dei rampolli dell'ingegnere di Paternò (Catania) emigrato a Milano mezzo secolo fa era leggendaria. Avevano una corte di 32 persone, fra cui undici segretarie e nove autisti per 23 auto. 

Jonella, appassionata di equitazione (anche il secondo marito, bergamasco, è campione di dressage), comprava i migliori cavalli del mondo con milioni e milioni, esibendosi nei concorsi ippici da piazza di Siena a Roma a Montecarlo. 

Giulia invece, oltre a essere mamma della ventenne Ginevra Rossini (già fidanzata di Luigi Berlusconi, ultimogenito di Silvio), si era lanciata nella moda con il marchio Gilli (le sue iniziali) e boutiques in via della Spiga a Milano e piazza di Spagna a Roma.

I magistrati però ora accusano la famiglia di avere finanziato tutti i propri capricci prosciugando la casse della Fonsai (risultato della fusione fra Fondiaria e Sai): ben 253 milioni finiti nelle loro tasche dal 2002 al 2009, al ritmo di 'stipendi' individuali annui di 10-15 milioni ciascuno. Ottenuti sottovalutando la riserva per la liquidazione dei sinistri che ogni assicurazione è tenuta ad avere. Sono stati infatti arrestati anche tre alti dirigenti compiacenti. 

Perfino il capo dell'ente statale che dovrebbe controllare tutte le assicurazioni è accusato di avere chiuso un occhio. Risultato: i risparmiatori hanno perso l'80 per cento del valore delle loro azioni. E Fonsai, in rosso profondo, ha dovuto essere venduta alla Unipol. Fra le clausole della buonuscita, oltre a contratti milionari, i Ligresti avrebbero preteso anche un'ospitalità futura illimitata nel Tanka Village.

«I miei figli non c'entrano, non sapevano nulla», geme ora Ligresti. Ma tutti ricoprivano cariche nelle società del gruppo. Naturalmente le holding finanziarie stavano in Lussemburgo per motivi fiscali. E non è la prima volta che il discusso costruttore siciliano ha a che fare con la giustizia. Vent'anni fa era finito in cella addirittura per oltre tre mesi: soldi all'Eni durante Tangentopoli. Per questo, dopo la condanna definitiva a due anni e quattro mesi (scontati con l'affidamento ai servizi sociali), non poteva ricoprire cariche nelle assicurazioni, proibite ai pregiudicati. Era presidente 'onorario' di Fonsai, ma egualmente ha percepito 42 milioni in 'consulenze'.

Ligresti diventò famoso nel 1981 quando dovette pagare un riscatto di 600 milioni di lire per il sequestro della moglie. Due dei sequestratori vennero poi trovati morti, del terzo non si è saputo più nulla. In quegli anni, grazie agli ‘agganci’ con il Psi di Bettino Craxi, gli unici che riuscivano a costruire nel milanese erano lui e Berlusconi.

Oggi neppure il Tanka Village è uscito indenne dal crac. Costruito nel 1976, avrebbe bisogno di ristrutturazioni. I prezzi sono troppo alti per il servizio offerto, e decine di lavoratori stagionali sardi sono stati licenziati.
Mauro Suttora    

Monday, July 29, 2013

Renzi odiato dai dirigenti Pd


Oggi, 23 luglio 2013

di Mauro Suttora

Nell’ultimo mese è riuscito a superare nei sondaggi Swg sui gradimenti dei singoli politici perfino il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Impresa mai riuscita, negli ultimi anni, neanche all’ex premier Mario Monti quand’era ancora in stato di grazia a fine 2011.

Così Matteo Renzi ora veleggia sicuro attorno al 60 per cento dei consensi: un buon 5-10 più dell’attuale premier Enrico Letta, ex democristiano come lui (e come il vicepremier del Pdl Angelino Alfano). Dall’alto del trono di politico più popolare (e giovane) d’Italia, il sindaco di Firenze si gode qualche giorno di vacanza in famiglia a Punta Ala.

Eppure, non è detto che questi sondaggi stratosferici gli permettano di conquistare la segreteria del Pd. Anche perché non si conosce ancora la data del congresso. Fine anno, pare. Ma Renzi conosce bene i bizantinismi della politica italiana. Almeno quanto il suo nuovo “amico” Massimo D’Alema, che gli consiglia di puntare al governo invece che alla guida del partito.

Lo scorso autunno Renzi ha conquistato quasi il 40 per cento alle primarie Pd contro l’allora segretario Pier Luigi Bersani. Secondo molti, attirando simpatie anche fuori dal suo partito avrebbe potuto vincere le elezioni, perse invece da Bersani per un soffio a febbraio. Si pensava perciò che fosse il candidato naturale a segretario del Pd dopo le dimissioni di Bersani. Per essere eletti, tuttavia, ci vuole un congresso. E qui sorgono i problemi.

Di norma, infatti, il segretario del Pd diventa anche il candidato premier. E un Renzi capo dei democratici farebbe fatalmente ombra al premier Enrico Letta. Come nel 2007, quando l’elezione di Walter Veltroni portò in pochi mesi alla caduta del governo di Romano Prodi.

Vuole tagliare i soldi ai partiti
Renzi assicura sempre di non voler fare concorrenza a Letta, però non lesina le critiche al governo. Sul finanziamento pubblico ai partiti, per esempio, è sulle posizioni di radicali e 5 stelle: abolirlo subito. Mentre i partiti oppongono una sorda resistenza.
Anche sulle pensioni e sugli stipendi d’oro è drastico: tagliarli, in barba alla Corte Costituzionale che ha annullato le diminuzioni del 5 e 10% introdotte da Silvio Berlusconi e Monti nel 2011.

Insomma, sui sacrifici da imporre alla Casta dei politici e degli alti burocrati Renzi non riscuote ovviamente le simpatie dei diretti interessati. Ma, per gli stessi motivi, nei sondaggi vola.
Nella sua voglia di piacere a tutti, il sindaco di Firenze ha cercato di convincere perfino l’ostico giornalista Marco Travaglio durante una recente trasmissione di Enrico Mentana su La7. C’è riuscito solo parzialmente. Ma il vero ostacolo, per lui, sono i burocrati del suo stesso partito. Quelli che voleva “rottamare”.
Mauro Suttora

Wednesday, July 17, 2013

Al mare con Grillo

Cronaca di una giornata al mare (Costa Smeralda) con il capo del Movimento 5 stelle

MEGLIO MIA MOGLIE DI NAPOLITANO
Il presidente lo aveva convocato al Quirinale. Ma Grillo ha preferito stare al mare con la moglie e rinviare l'appuntamento. Noi l'abbiamo incontrato in spiaggia. «Sono fiero dei nostri parlamentari», ha detto, «hanno restituito un milione e mezzo di euro. Se facessero tutti così, risparmieremmo 40 milioni l'anno».

dall'inviato Mauro Suttora

Oggi, 5 luglio 2013
«Mentre nuotavo uno mi ha fermato e mi ha chiesto: “Scusi, è questa la strada per Arbatax?” Gli ho detto: “No, guardi, deve svoltare e andare verso là, molto più a destra».

È rilassato e di buonumore Beppe Grillo mentre esce dall’acqua dopo la sua abituale nuotata giornaliera. Un’ora con pinne, occhiali, boccaglio e muta. 
Venerdì 5 luglio, Liscia Ruia, spiaggia di Porto Cervo (Olbia). In questo momento lui dovrebbe essere al Quirinale dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Che lo aveva convocato all’improvviso dopo che lui aveva chiesto un incontro, con i soliti toni polemici: «Il Paese sta andando a rotoli, in autunno ci sarà una crisi economica terribile, decine di piccole imprese chiudono ogni giorno. E il presidente che fa? Perché non dice la verità agli italiani?»
 Il problema è che quando è arrivato l’improvviso e inaspettato appuntamento Grillo era già sul traghetto Genova-Olbia con auto e famiglia, per una settimana di vacanza programmata da tempo. E fra la moglie Parvin e Napolitano, ha scelto la prima. Per una volta, la politica ha aspettato. 
L’incontro al Quirinale è slittato di cinque giorni. Sì, in teoria il capo dei 5 stelle avrebbe potuto prendere l’aereo da Olbia, fare un salto a Roma e tornare in giornata nella sua villetta (a schiera) al Pevero di Porto Cervo. Ma perché darla vinta al segretario generale del Quirinale Donato Marra, che l’ha invitato fissando giorno e ora con un comunicato pubblico, senza neanche una telefonata prima per chiedere se la data andava bene? Sottili questioni di galateo istituzionale. E di orgoglio personale.
Così ora Grillo se ne sta sdraiato tranquillo sotto l’ombrellone di bambù in prima fila che ha affittato per la giornata (45 euro con due lettini). In quello accanto ci sono amici con i bambini, che giocano con il figlio più piccolo del comico genovese. Parvin prende il sole vicino a un’amica, con il lettino spostato verso la battigia.
Il capo di uno dei tre partiti più importanti d’Italia non ha scorta. 
Mi avvicino, lo saluto e gli chiedo se non è imprudente. Lui la butta come sempre sullo scherzo: «Ho già mia moglie, come scorta».
Sta all’ombra, dormicchia, ogni tanto legge un libro. Nessun giornale o rivista, niente sguardi impazienti a smartphone, ipad, computer portatili. Relax completo, una sola telefonata in parecchie ore. 
Gli altri bagnanti lo riconoscono, ma nessuno va a disturbarlo. Privacy rispettata a livelli scandinavi. Penso al turbinio di scorte e segretari che circonda gli altri politici italiani del suo rango, anche in vacanza.
Gli chiedo che libro sta leggendo. Mi fa vedere la copertina: è di George Johnson, giornalista americano, divulgatore scientifico. Grillo ne parla entusiasta anche con la vicina di ombrellone: «Le grandi scoperte che hanno cambiato la storia sono avvenute quasi tutte per caso. Gutenberg adattò un torchio per schiacciare l’uva, e nacque la stampa. Anche la rete, oggi, è governata dal caso: milioni di informazioni che creano conoscenza. Spontaneamente, come il traffico di una città coreana: hanno fatto un esperimento, provando a levare tutti i semafori e i divieti. Funziona lo stesso, le auto si fermano, danno la precedenza, fanno attraversare i pedoni…»
L’unica che sembra refrattaria alle catechizzazioni è la moglie. La quale però lo aiuta con affetto quando lui si mette la muta (la stessa della traversata dello stretto di Messina, con il simbolo 5 stelle) per andare in acqua. Signora, non è preoccupata che qualche motoscafo gli vada addosso? 
«Ma no, nuota chilometri però resta sempre sottocosta». Perché non va all’arrembaggio fino alla villa di Berlusconi? È proprio lì di fronte, a Porto Rotondo…
Parvin sorride. All’amica Carla Signoris, moglie di Maurizio Crozza, nella rubrica tv Ho sposato un deficiente ha confessato di non seguire i consigli del marito per la spesa («Lui vorrebbe biologico, hard discount») e le pulizie («Un solo detersivo: l’acqua»). Ha aggiunto che, quando il marito inizia a parlare del suo blog, in casa c’è il fuggi-fuggi.
Quando Grillo torna, gli chiedo di venire a fare una foto con me e la mia compagna. Lui, gentile e disponibile, accetta subito: «Ma è sicuro che sia la sua compagna?»
Come va con i 5 stelle? 
«Bene, sono contento. Ieri abbiamo dato indietro un milione e mezzo di euro. Se lo facessero tutti i parlamentari, sarebbero quaranta milioni risparmiati all’anno». 
E le liti, gli espulsi? «Siamo giovani, stanno imparando. Nessuno si aspettava un successo simile, neanch’io. Ora ci stiamo assestando, stiamo crescendo. Se ne sono andati in pochi, quelli che forse non avevano capito la nostra novità e diversità». 
Ma è vero che fra voi ci sono anche estremisti dei centri sociali?, domanda una signora. 
«I centri sociali mi contestano ai comizi!» 
E non si stanca con tutti questi comizi?, gli chiedo. «Ma è un’intervista?» Grillo sa che sono giornalista, e lui ci detesta tutti. «Però Oggi è un bel giornale…»
Verso le sei superBeppe (gli ultimi sondaggi lo danno sempre sul 24%, a Ragusa ha conquistato il sindaco col 70%) si incammina da solo verso casa, passando per l’hotel Cala di Volpe: 300 metri a piedi fra i cespugli. Moglie, figlio e amica invece vanno all’auto nel parcheggio polveroso. Frequentano questa spiaggia da vent’anni. 
Grillo ci saluta: «Voi invece ve lo godete tutto il sole oggi, eh?» «Io non devo andare da Napolitano», gli rispondo.
Mauro Suttora

Thursday, July 11, 2013

La naia dei ministri

VOGLIONO SPENDERE 12 MILIARDI PER GLI AEREI DA GUERRA F-35. MA QUANTI DEI NOSTRI MINISTRI HANNO FATTO IL MILITARE? SOLO DUE SU 15

Oggi, 3 luglio 2013

di Mauro Suttora

Su quindici ministri maschi, soltanto due hanno fatto il servizio militare: Mario Mauro, titolare della Difesa, e Flavio Zanonato (Sviluppo economico). Gli altri sono tutti riformati o imboscati. Uno ha assolto gli obblighi di leva nella Guardia di Finanza. Due obiettori di coscienza.

«Sono stato riformato per una miopia fortissima, sette gradi e mezzo, che poi ho cercato anche di correggere con un'operazione senza riuscirci»: così dichiara a Oggi il premier Enrico Letta

Il vicepremier e ministro dell'Interno Angelino Alfano dopo la laurea alla Cattolica di Milano è tornato nella sua Agrigento e si è subito dato alla politica: niente leva, consigliere regionale siciliano per Forza Italia a soli 25 anni. Stessa età del ministro per i Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini quando ottenne l'«avvicinamento» alla sua città, Ferrara: era già consigliere comunale Dc da due anni. Una legge permetteva a tutti gli eletti in politica di fare la naia vicino casa. Lui, assegnato in teoria all'artiglieria contraerea leggera, finì centralinista nel distretto militare a quattro passi dalla famiglia. Il giornalista Gianni Pennacchi (fratello dello scrittore Antonio) lo accusò di essere un «imboscato» quando scoprì che dormiva in caserma un solo giorno alla settimana.

«Ho svolto il servizio civile alla cooperativa universitaria Studio e lavoro di Milano: 18 mesi nel 1982-83», ci dice Maurizio Lupi, ministro delle Infrastrutture. Obiettore di coscienza anche Andrea Orlando, spezzino, ministro dell'Ambiente. Quello degli Affari regionali Graziano Delrio, invece, è stato esentato dal servizio perché allo scadere degli studi universitari (medicina, specializzazione in endocrinologia) era già padre di due dei suoi nove figli, quindi doveva mantenere la famiglia.

Riformati per ragioni di salute i ministri della Coesione Carlo Trigilia e della Cultura Massimo Bray («Non ho svolto il servizio di leva per importanti problemi di vista, a causa dei quali ho subìto anche due interventi»). 

Niente militare anche per Fabrizio Saccomanni (Economia), Enrico Giovannini (Lavoro) e Gianpiero D'Alia (Pubblica amministrazione). Fiero invece della propria naia nella Guardia di Finanza il ministro per gli Affari europei Enzo Moavero: «Dal 1977 al '79 ho prestato servizio con il grado di tenente, ricevendo un encomio solenne».

Alla fine, però, il militare nell'esercito lo hanno fatto solo il padovano Zanonato («Alpino, Car a Belluno e poi a Tarvisio, provincia di Udine») e Mauro (caporal maggiore di fanteria nel reggimento Col di Lana). 

L'unico che non ha risposto alla nostra richiesta d'informazioni è stato il ministro per le Riforme costituzionali Gaetano Quagliariello. Il quale però, in età di naia, era vicesegretario del partito radicale: cioè proprio degli antimilitaristi che nel 1972 ottennero la legalizzazione dell'obiezione di coscienza. Difficile, quindi, immaginarlo in divisa.

Come sono cambiati i tempi. Una volta il servizio militare veniva citato con orgoglio in tutti i curriculum vitae, alla pari della laurea. Ora invece l'unico che lo esibisce è Moavero. E dal 2005 il servizio di leva (militare e civile) non è neanche più obbligatorio.

Insomma, a giudicare dall'esperienza personale dei suoi componenti, l'attuale governo italiano è il più "pacifista" del mondo. Nonostante i controversi 12 miliardi di euro che vorrebbe spendere per acquistare dagli Stati Uniti 90 aerei da guerra F-35: l'unico ministro a esprimere qualche perplessità è Delrio. 
E le spedizioni militari all'estero da un miliardo l'anno (Afghanistan, Libano, Kosovo) sono state anch'esse ereditate dai governi precedenti senza discussioni.
Mauro Suttora