Thursday, October 16, 2014

Ora che vuole il M5s, e chi lo guida?

di Mauro Suttora

Oggi, 15 ottobre 2014

Il raduno del Movimento 5 stelle (M5s) al Circo Massimo di Roma ha confermato la leadership assoluta di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Ma ha anche fatto emergere, alle loro spalle, un triumvirato composto da Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e Paola Taverna.
 
I grillini detestano parlare di «capi», ma in tutti i movimenti come i 5 stelle (niente tessere, quote d’iscrizione, congressi, sezioni) si formano gerarchie spontanee, senza voti formali. Ed è importante saperlo, perché il M5s continua a essere, secondo i sondaggi, il secondo partito italiano con il 20%.

L’altra novità del Circo Massimo è che i principali obiettivi del M5s ora sono due: reddito di cittadinanza e uscita dell’Italia dall’euro. Il primo è impossibile da realizzare, perché lo Stato non ha i 20 miliardi annui necessari per regalare 600 euro mensili a tutti i maggiorenni che non lavorano. 

Il secondo accomuna il M5s agli altri partiti euroscettici di destra italiani (Lega Nord, Fratelli d’Italia) ed europei (i principali: Le Pen e l’inglese Ukip, di cui i grillini sono alleati all’Europarlamento). Ma anche il ritorno alla lira appare un obiettivo impossibile, perché non si possono fare referendum su materie economiche e trattati internazionali.

Grillo vuole raccogliere milioni di firme contro l’euro, che però avranno valore solo politico, e non giuridico. Il M5s rischia quindi di finire in un vicolo cieco di estremismo parolaio, che provocherà illusioni e delusioni in chi crede che la colpa della crisi sia l’euro. 

Wednesday, October 15, 2014

Come si vive sotto l'Isis


VITA QUOTIDIANA A RAQQA, NUOVA CAPITALE DEL CALIFFATO

di Mauro Suttora

Oggi, 8 ottobre 2014

Fino a due anni fa Raqqa era una tranquilla città di 200mila abitanti in mezzo al deserto siriano. Sulle rive dell'Eufrate crescevano le palme, l'acqua irrigava i campi di cotone. Gran traffico di camion di contrabbandieri fra Siria, Iraq e Turchia. Poi è arrivata la guerra civile contro il dittatore Assad. E nel 2013 sono arrivati gli estremisti musulmani. Prima quelli di Al Nusra, sezione siriana di Al Qaeda. Poi, ancora peggio: i guerrieri santi dell'Isis (Stato islamico di Iraq e Siria). Che hanno l'obiettivo di tornare indietro di 1.400 anni. Al Califfato fondato da Maometto.

Raqqa fu capitale di quel Califfato per tredici anni, a cavallo dell'800 dopo Cristo, quando da noi c'era Carlo Magno. Il califfo Rashid la fece diventare più bella e più grande di Bagdad e Damasco. Poi piano piano la sabbia la inghiottì. Oggi è ridiventata capitale del Califfato. Quello dei tagliagole di ostaggi occidentali e degli sterminatori di cristiani e curdi.

Da mezzo mese Raqqa viene bombardata da aerei americani, sauditi e degli Emirati arabi. «Ma non fanno molti morti fra i civili», dicono gli abitanti sui blog che sfuggono al controllo degli estremisti. «Le bombe, diversamente da quelle di Assad, sono precise e colpiscono obiettivi militari e dell'Isis. Però i jihadisti li hanno abbandonati per nascondersi fra noi. Le loro famiglie le hanno già spedite via».

Di giorno, la vita continua. Una misteriosa donna completamente velata tranne una fessura sugli occhi (è il niqab nero) ha messo su internet un video di due minuti girato con telecamera nascosta. La si vede mentre viene bloccata in strada da un'auto della polizia. Un uomo armato la ammonisce: dovrebbe comportarsi meglio in pubblico. La ragione dell'avvertimento? Il suo viso, seppure nascosto dal velo, si vede ancora troppo. Lei prontamente si scusa per la troppa trasparenza, e l'uomo a sua volta replica: «Bisogna prestare molta attenzione nel coprirsi. Dio ama le donne che sono coperte».

Non è un avvertimento bonario. Come in Arabia Saudita e in Iran (i due feudi contrapposti di sunniti e sciiti che si stanno combattendo in Medio Oriente), anche l'Isis ha introdotto nei territori occupati di Siria e Iraq la sharia, la legge religiosa. A Raqqa la corte islamica che la somministra si è installata nel centro sportivo. Ma i tagliagole hanno dovuto importare dall'Egitto, per le preghiere e le prediche del venerdì, un imam abbastanza estremista per loro: evidentemente nei laici Siria e Iraq non ne hanno trovati.

«In qualsiasi momento una persona normale può essere presa e giustiziata senza validi motivi», avverte Abu Ibrahim Raqqawi, abitante di Raqqa. «L’Isis incassa le tasse dai cittadini e controlla che tutti paghino. Chi evade le imposte viene ucciso nella piazza principale: l’esecuzione è pubblica e si svolge il venerdì dopo la preghiera».

Poi i fanatici appendono i cadaveri ai crocifissi, oppure ne tagliano le teste e le infilzano sulle inferriate del giardino pubblico in centro. Allo «spettacolo» assistono famiglie con bambini.

I peccati più gravi commessi dalle donne (adulterio) sono puniti con la lapidazione. Quelli veniali con la frusta. Le donne in pubblico non possono fare quasi più nulla. Se sono sposate devono essere accompagnate dal marito, e mostrare il certificato di matrimonio agli agenti. Oppure devono farsi scortare dal padre, da un fratello, da un cugino. Guidare un'auto non se ne parla, come in Arabia Saudita. Le femmine, piccole e grandi, non possono neppure sedersi sulle altalene: provocazione che spingerebbe gli uomini a molestarle.

I ristoranti che non separano uomini e donne, osano offrire vino (anche solo ai clienti stranieri non musulmani), o ancora peggio superalcolici, vengono bruciati e chiusi. Vietate le tv satellitari: con la scusa di controllare se ci sono i poliziotti possono piombare nelle case private a qualsiasi ora. Segregazione uomo/donna in tutti gli ambienti pubblici e di lavoro. L'Isis ha installato molte telecamere per sorvegliare perfino i marciapiedi.
     
Alcuni divieti sono grotteschi: niente elemosina ai mendicanti durante il Ramadan, proibito pregare per la propria squadra del cuore o indossare cravatte, usare cosmetici, bikini in spiaggia per le donne e stare a torso nudo per gli uomini. A San Valentino, per ostacolare la festa degli innamorati, i fiorai hanno dovuto tenere chiusi i negozi, le rose rosse non potevano essere vendute neppure per strada, e così i peluches e i cioccolatini. Nel mirino anche i commercianti che espongono manichini, proibiti perché "provocano" bassi istinti. Niente trucco per le donne che appaiono alla tv di Stato.

L'Isis ha emanato quattro decreti appositi per vietare musica, sigarette, pipe (anche i narghilè al semplice vapore acqueo), e far chiudere i negozi dieci minuti prima dell'inizio delle preghiere. I pochi cristiani non fuggiti devono pagare una tassa per praticare, ma non in chiesa: solo in privato. Anche le altre minoranze (alauiti, drusi) sono scappate.

«Non pochi si sono rifiutati di obbedire», dice Abu al-Bara’a al-Furati, studente di 22 anni. «Ma la gente tutto sommato è contenta perché l'Isis garantisce ordine pubblico, sicurezza, acqua, pane da quattro forni diversi ed elettricità: prima dei bombardamenti non c'erano più di sei ore di blackout giornaliero». I commercianti apprezzano che siano svanite le stecche che dovevano pagare ai funzionari corrotti di Assad.

A Raqqa anni fa un originale aveva aperto un casinò. Ovviamente i fondamentalisti lo hanno chiuso subito. I weekend andavano dal venerdì al sabato, ora sono giovedì e venerdì per distinguersi da cristiani ed ebrei. Gruppi di educazione islamica organizzano festival nelle moschee per incoraggiare i giovani a unirsi alla causa. Ai ragazzi sono mostrati video di decapitazioni per abituarli alla violenza, e avvertirli delle conseguenze se resistono ai jihadisti.
 
Nel filmato si vedono uomini armati con fucili d'assalto e kalashnikov andare ovunque in città. Anche una donna, che porta i bambini al parco, è armata di fucile: pronta a difendere, come tutti gli altri, il loro rigido e spaventoso regime. Centocinquanta donne francesi hanno scelto spontaneamente di lasciare la patria per vivere nello Stato Islamico. Entrando in un internet cafè si sente una di esse parlare con la famiglia: «Non voglio tornare indietro, mamma, ve lo dico senza mezzi termini. Dovete farvene una ragione, io non torno. Non c'è nulla di cui aver paura, sto bene qui. Tutto quello che si vede in tv è falso. La tv esagera sempre».

I combattenti stranieri che infestano Raqqa, spesso più crudeli e fanatici dei locali, vengono da Sud Africa, Olanda, Australia, Cecenia, Inghilterra, Germania, Balcani, e anche dagli Stati Uniti. Dicono che siano loro a tenere prigionieri gli ostaggi internazionali, fra i quali potrebbero esserci le due ragazze italiane Greta Ramelli di Varese e Vanessa Marzullo di Bergamo. Ma la voce più agghiacciante è che il boia che ha segato la gola a tre ostaggi opererebbe in periferia, in un campo vicino a un cimitero, non lontano dall’università Altihad, ateneo della città.
Mauro Suttora

Friday, October 03, 2014

Andiamo a vedere come fanno in Svizzera

di Mauro Suttora

3 ottobre 2014

numero speciale di Dissensi e Discordanze, direttore Mauro della Porta Raffo

articolo originale su Dissensi e Discordanze

Quando avevo quattro anni, i pedalò sul lago a Lugano.
E la parola Monteceneri scritta sulla grande radio a valvole di mio padre.
Quarant’anni dopo, Fox Town e Serfontana.
Questa è la Svizzera che ci fa sognare.
Noi lombardi che almeno una volta abbiamo votato Lega sperando che, senza la zavorra Roma+Sud, la Lombardia diventi un grande Canton Ticino.
Noi cinefili che ogni agosto ci siamo consolati delle mancate vacanze correndo una sera a Locarno per una magica proiezione in piazza.
Noi ecologisti che festeggiammo il no svizzero alle centrali atomiche nel referendum del 1990 (Vittorio Feltri, allora mio direttore all’Europeo, nuclearista disarmante: «Radioattività? Tanto di qualcosa bisogna morire»).
Noi anarchici sulle orme di Bakunin e Kropotkin, noi libertari in pellegrinaggio steineriano al monte Verità di Ascona.
Noi federalisti che ammiriamo l’autonomia dei cantoni (Glarus può decidere addirittura che non desidera immigrati slavi).
E perfino noi grillini (scettici), studenti di democrazia diretta negli unici due posti al mondo dove si vota in piazza alzando la mano: Glarona e Appenzello.
Poi, ovviamente, abbiamo anche letto Jean Ziegler, e sappiamo che le banche svizzere “lavano più bianco”.
Abbiamo passeggiato nelle città elvetiche dopo le sei del pomeriggio o al sabato, la domenica: c’è più vita in un cenotafio.
Ma l’amore per la Svizzera resta immenso.
Da trent’anni, una volta al mese, come giornalista propongo: “Andiamo a vedere come fanno lì”.
Così nel 1987 feci vincere un premio a Gianfranco Moroldo, fotografo di Oriana Fallaci, che riuscì a inquadrare un soldato svizzero appostato accanto a una mucca durante una nostra inchiesta dell'Europeo sull’esercito ‘di popolo’. [articolo sull'Europeo]
Poi, nel 1999, il beatle George Harrison che scelse Lugano per farsi curare il tumore.
Due anni fa un’altra occasione triste: visita alla clinica della dolce morte dove Lucio Magri si fece eutanasizzare.
Ogni volta che posso mi faccio invitare dalla mia amica Januaria Piromallo nella sua villa di Gstaad.
Lì, acquattati negli hotel, stanno tutti i miliardari greci che, se riportassero i loro patrimoni a casa, risolverebbero la crisi del loro Paese.
Durante l’ultimo viaggio tornando da Strasburgo, aprile 2014, una fantastica scoperta: l’ascolto guidato, alla radio Svizzera italiana, di una sinfonia di Mendelsohn.
Sono questi i piaceri della vita, oltre all’erba rasata a zero e i fiori perfetti nelle aiuole.
Mauro Suttora

Thursday, September 25, 2014

Quanti colpi di sole, dottoressa Lorenzin!


LA POLITICA DI PUNTA DELL'NCD TRA GAFFES E POLEMICHE

Scandalo Avastin, fecondazione eterologa, figli dei gay: sono tanti i terreni scivolosi per il ministro della Salute. Che dice di avere «il dono dell'obliquità». E dà consigli medici senza essere laureata

Oggi, 24 settembre 2014

di Mauro Suttora

Per carità, un lapsus può sempre scappare. Ma si sono guardati perplessi i senatori della commissione Salute quando il ministro Beatrice Lorenzin (Nuovo Centrodestra) ha detto testualmente, chiudendo il proprio cellulare che squillava: «Abbiamo il dono dell’obliquità», scambiandola con l’ubiquità (per vedere la gustosa scenetta, andate qui).

Quell’audizione era piuttosto delicata, perché la ministra doveva difendersi dalle accuse di inerzia di fronte allo scandalo Avastin/Lucentis: un farmaco contro la maculopatia degli occhi fatto pagare al servizio sanitario nazionale cento volte più dell’equivalente concorrente. C’è voluta una multa di 180 milioni di euro da parte dell’Antitrust per sanzionare la manovra di due multinazionali ai danni dell’erario: il ministero della Salute, retto dalla Lorenzin già dal 2013 nel governo Letta, non aveva bloccato la speculazione.

Non è l’unico terreno scivoloso che la giovane, simpatica e bella ministra Lorenzin (praticamente una sosia di Meg Ryan) ha affrontato negli ultimi tempi.

Francesca Vecchioni, figlia gay del cantautore Roberto, si è risentita perché la Lorenzin è contro le adozioni nelle coppie omosessuali. La ministra infatti ha detto: «La letteratura psichiatrica, da Freud in poi, riconosce l’importanza di avere un papà e una mamma per la formazione della personalità del bambino. Non aspettiamo che lo Stato ci risolva i problemi».
Ribatte la Vecchioni, senza infierire sulla  confusione fra psichiatria e psicanalisi di Freud: «Per lei le mie bambine, figlie mie e della mia ex compagna, sono “problemi”».

Un altro episodio, per il quale la Lorenzin è stata accusata di non avere una laurea in Medicina, né una laurea purchessia, sono le rubriche di consigli medici (prevenzione delle smagliature comprese) che tiene sui settimanali Visto e Tutto: «Temi di competenza esclusivamente sanitaria», l’ha attaccata Melania Rizzoli, responsabile Sanità di Forza Italia, aggiungendo con perfida ironia: «Mi sento di escludere che sia così imprudente da tenere una rubrica specialistica».

Anche sulla fecondazione eterologa la Lorenzin è criticata: non ha preparato rapidamente una direttiva nazionale, lasciando così spazio a regole diverse in ogni Regione.
Insomma, bersagliata a destra e a manca, aveva proprio bisogno di un po’ di relax al mare.
Mauro Suttora

Wednesday, September 24, 2014

L'orsa Daniza

DOPO LA SUA MORTE, CHE FINE FARANNO I SUOI CUCCIOLI?

Oggi, 15 settembre 2014

dall'inviato a Trento Mauro Suttora

Morta l’orsa Daniza, ora tutta l’attenzione è per i suoi due cuccioli. Sopravviveranno all’inverno? Riusciranno a trovare un posto tranquillo dove accomodarsi nel loro primo letargo? Stanno accumulando abbastanza grasso per non morire d’inedia?

L’Italia intera sembra diventata esperta di plantigradi. Il più pessimista è Cesare Patrone, capo del Corpo Forestale dello Stato, che da Roma avverte: «I due piccoli sono in grave pericolo, non sono svezzati. Rischiano di morire».

E allora, tutti gli animalisti della penisola a controllare su enciclopedie e Google: a quanti mesi le mamme orse smettono di allattare? Cinque. Quindi i cuccioli, nati a febbraio e pesanti già 28 chili, sarebbero salvi. Però il latte materno si affianca al cibo normale per molto tempo ancora, addirittura fino ai due anni e mezzo. Quindi gli orsacchiotti ne saranno deprivati. E in ogni caso: come faranno a procurarsi il cibo da soli? Era Daniza a provvedere, con i raid su pecore e galline che l’hanno inguaiata. «Ma gli orsi sono onnivori. E la carne rappresenta solo una piccola parte della loro dieta. In realtà sono per tre quarti vegetariani», ribattono gli ottimisti.

La Provincia di Trento, barricata nel palazzo di fronte alla stazione, emette comunicati ufficiali a ritmo giornaliero: «Il personale forestale ha accertato, tramite avvistamento diretto, che i due cuccioli dell’orsa Daniza si sono riuniti e vengono monitorati in queste ore in maniera continuativa mediante la radiotelemetria». Uno, infatti, è stato catturato con la mamma e gli hanno applicato un microchip prima di rilasciarlo.

In città c’è un clima surreale. Da un momento all’altro si temono blitz degli animalisti più aggressivi, la polizia è all’erta, i vigili danno un’occhiata perfino ai cestini dei rifiuti: forse temono petardi a orologeria. In realtà alla manifestazione di domenica in piazza Duomo si sono sdraiate per terra poche persone, qualche decina, e la metà provenienti da fuori.

Ma il furore collettivo che si è scatenato online dopo la morte di Daniza ha spaventato diverse persone. Daniele Maturi, innanzitutto, il cercatore di funghi di Pinzolo (Trento) aggredito dall’orsa a Ferragosto. Soprannominato «Carnera» per la stazza, ma soccombente con graffi nel duello. Stefano Fuccelli, presidente del Pae (Partito animalista europeo), adombra addirittura un complotto: «Maturi è dipendente delle funivie, e guarda caso c’è un progetto per ampliare l’area sciistica dopo il collegamento con Madonna di Campiglio». Il povero Maturi è distrutto: «Continuo a ricevere insulti e minacce, non ce la faccio più».

Ha invece reagito Ugo Rossi, presidente della Provincia di Trento, di fronte alle richieste di dimissioni e agli attacchi di politici nazionali, da Michela Vittoria Brambilla a Beppe Grillo: «Bieca demagogia. Siamo gli unici in Italia ad aver accettato il progetto di reintroduzione dell’orso. Ci dispiace per Daniza, ma ora abbiamo 40-50 esemplari di una specie che quindici anni fa stava per estinguersi».

Daniza, 19 anni (50/60 in termini umani), è una dei dieci orsi sloveni liberati nel parco Brenta-Adamello attorno al 2000. Ambientatasi benissimo, era la più prolifica: ben 17 cuccioli in sei parti. Però era anche la più vivace.
 
Scherza lo psicologo Giuseppe Raspadori: «Dopo un anno si era già liberata del radiocollare, vagava liberamente nella selva, faceva perdere le sue tracce, si accoppiava compulsivamente nella promiscuità delle zone più impervie. Poi ricompariva portando al proprio seguito due cuccioli, a volte tre, evviva la fertilità selvaggia, nei confronti dei quali mostrava inadeguate capacità genitoriali, tanto che uno dei suoi piccoli finiva i suoi pochi giorni in mezzo alla provinciale della val Rendena.

«Insomma, Daniza era affetta da iperattività, ed era portatrice di sintomi di disturbo borderline di personalità. In una società in cui si sottopone a screening psichiatrico l’adattabilità dei bambini alla didattica degli insegnanti, è più che legittimo che anche l’orso debba pagare il suo ticket al privilegio dell’antropizzazione. Daniza, purtroppo, non aveva fatto alcunché per acquisire una più consona competenza emotiva, e dopo essersi sottratta all’amplesso con il fungaiolo lasciandolo ferito e spaventato, si sfogava negli ovili con le pecore».

Scherzi a parte, la fucilata che doveva solo addormentarla con l’anestetico l’ha ammazzata. E adesso mezza Italia minaccia addirittura di boicottare il turismo nel «Trentino assassino».
Mauro Suttora

Friday, September 19, 2014

Catalogo dei viventi 2015



MAURO SUTTORA

• Milano 8 settembre 1959. Giornalista. Scrittore. Inviato di Oggi (corrispondente da New York dal 2002 al 2006), collabora con Sette, in passato con L’Europeo, Il Foglio, Libero, Newsweek; columnist di The New York Observer. Tra i suoi libri: Pannella & Bonino Spa (Kaos, 2001), No Sex in the City (Cairo, 2006), Mussolini segreto, diari di Claretta Petacci (Rizzoli, 2009). 
«Mi sono imbattuto per caso nella vicenda dei diari. Nel 2003 andai a intervistare Ferdinando Petacci, il nipote di Claretta, a Phoenix, dove vive. Lui mi parlò di queste carte chiuse negli archivi di Stato. Dovevano passare 70 anni prima di poterle leggere. Abbiamo aspettato e poi visionato e trascritto quelle pagine che non sono più coperte da segreto, e cioè quelle che arrivano fino al 1938. Il risultato? Sorprendente».

• «Dopo aver “frequentato e votato sessantottini e radicali, verdi, leghisti e dipietristi”, come scrive su Sette, si è “affidato abbastanza disperato a Grillo”, infiltrandosi da “interno” alle riunioni e constatando che ai meet-up “non c’è mai tempo per parlare guardandosi negli occhi. Solo Web, computer e Smartphone per gente sempre connessa. Ma connessa a cosa, mi domando…”» 
(Marianna Rizzini) [Foglio 10/12/12].

• «Per uscire dalla cuccia calda della corrispondenza ci vuole coraggio, Suttora l’ha avuto, ed è stato premiato. Nei media di New York sanno chi è (...) Alcune intuizioni sono folgoranti. Racconta che troppe donne newyorkesi “parlano con la voce di Topolino” (un fenomeno che la scienza non ha ancora spiegato); che i ristoranti francesi sono in crisi, e quelli italiani no; che la tariffa fissa telefonica (flat rate) è una jattura, perché i taxisti di Manhattan sono sempre al cellulare, e confabulano come zombie in lingue misteriose, disinteressandosi di chi hanno a bordo» (Beppe Severgnini).
Giorgio Dell’Arti
Catalogo dei viventi 2015 (in preparazione)
scheda aggiornata al 18 settembre 2014
da Lorenzo Stellini

Wednesday, September 17, 2014

"Il governo Renzi dura poco"


INTERVISTA A LUIGI BISIGNANI

di Mauro Suttora

Oggi, 10 settembre 2014

«È probabile che il prossimo presidente della Repubblica sia una donna. E che venga eletto nel 2015. Per questo il mio prossimo libro, che uscirà l’anno prossimo, s’intitolerà Il presidente: la donna del Colle».

Ogni tanto Luigi Bisignani viene arrestato. La prima volta vent’anni fa (tangenti Enimont, di cui era dirigente, condanna a due anni e mezzo), l’ultima sei mesi fa (frode fiscale sui computer di palazzo Chigi, patteggiati due mesi). 

Ciononostante, o forse proprio per questo, è ritenuto «una delle persone più potenti d’Italia». Sicuramente una delle più informate: il suo libro L’Uomo che sussurra ai potenti, scritto con Paolo Madron nel 2013, ha venduto 100mila copie. E 30mila ne ha raggiunte il successivo giallo-verità Il Direttore.
Spesso Bisignani nelle previsioni ci azzecca.

Chi sarà la prossima Presidente?
«Pare che Renzi spinga Roberta Pinotti, ministro della Difesa, che piace anche a Napolitano».
Quindi è fatta.
«Macché. Il voto per il Quirinale è il più imprevedibile d’Italia».
Come quello per il Papa.
«O per il Grande Fratello. I più nominati all’inizio sono sempre gli ultimi a uscire».
Quindi se lei li nomina li brucia.
«Esatto».
Emma Bonino l’ha già bruciata Renzi.
«Troppo esperta di Europa e Medio Oriente».
Proprio quel che servirebbe.
«Ma gli avrebbe fatto ombra».
Renzi preferisce le mezze figure?
«Questo governo ne è pieno. In compenso, uno prezioso come D’Alema viene tenuto fuori dall’Europa».
Si è impuntato sulla Mogherini come ministra degli Esteri Ue.
«Sbagliando. Era più utile avere il commissario all’Agricoltura».
Quanto dura Renzi?
«Questo governo, pochi mesi».
Perché?
«La crisi economica non finisce, quindi finisce la luna di miele. Deve andare subito al voto per incassare il consenso che gli rimane».
Ha avuto il 40,8% alle europee.
«Era un voto drogato dalla paura di Grillo».
Grillo dura?
«No. Come tutti i movimenti di sola protesta».
E Berlusconi?
«È già morto. Politicamente. Stava affogando, ora cercano di rianimarlo nella camera iperbarica».
Il suo successore a destra?
«I figli».
Non vogliono.
«Allora nessuno. I suoi voti li piglia Renzi».
Che quindi diventerà fortissimo.
«E potrà permettersi di perdere l’ala sinistra del Pd. Il sindacato, per esempio».
Intanto però si logora.
«Ha una maggioranza troppo risicata. Per questo andrà al voto».
La riforma del Senato è stata una vittoria o una figuraccia?
«Renzi scricchiola ogni volta che lo attaccano».
Galli della Loggia dice che non sa far squadra.
«Vero. Certe stanze di palazzo Chigi non parlano con le altre».
E i ministri?
«Peggio. Li delegittima lui. Non vuole delegare, non sa coordinare».
Ma i sondaggi lo premiano.
«Ha straordinarie capacità mediatiche. E l’energia dei giovani».
Il meno giovane di tutti, Napolitano, se ne va nel 2015, allora?
«Sarà stanco, vorrà godersi un po’ di vecchiaia».
È vero che è potentissimo?
«Sì. Ormai siamo in repubblica presidenziale».
Colpa di Napolitano?
«No. Assenza dei partiti e dei politici».
Anche il prossimo presidente sarà potente?
«Sì. Per questo lo deve indicare Renzi. Ma ora non ha abbastanza voti. Perciò deve andare a elezioni anticipate».
Chi sono i politici migliori nei vari partiti?
«In Forza Italia Verdini e la Bernini».
Nel Pd?
«Boschi e D’Alema».
Nei 5 stelle?
«Pensavo Di Battista, ma è caduto clamorosamente sui terroristi».
E in Europa?
«La Merkel. La Germania dopo la riunificazione è stata straordinaria. I tedeschi danno lezioni a tutti».
Mauro Suttora

Sunday, September 14, 2014

Silvia Giordano (M5S) lancia Slasfida

Dopo le docce gelate: ecco la vita quotidiana di una malata

“MIA MAMMA HA LA SLA: È UN INCUBO”

«Noi familiari siamo lasciati soli», denuncia Silvia Giordano, deputata 5 stelle. «La ricerca è importante, ma intanto bisogna assistere i pazienti. Perciò propongo di raddoppiare i fondi»

di Mauro Suttora

Oggi, 10 settembre 2014

«Quattro anni fa, un dolore al piede destro». Da allora è iniziata la via crucis. Silvia Giordano, 28 anni, deputata 5 Stelle dal 2013, assiste a casa a Salerno la mamma 62enne, colpita da Sla (Sclerosi laterale amiotrofica). La malattia, che paralizza progressivamente i muscoli e non lascia scampo, si è manifestata quattro anni fa. La signora ha dovuto sottoporsi a tracheotomia per respirare e a gastrostomia per essere nutrita. «Per parlare chiude gli occhi quando le mostriamo la lettera giusta con le dita». 

La Giordano ora lancia la campagna «SLAsfida» (www.slasfida.it) per la raccolta fondi sia per la ricerca, sia per l’assistenza, e chiede al governo di portare il Fondo per la non autosufficienza da 300 a 600 milioni annui.





La vera «doccia fredda», per la famiglia Giordano di Salerno, arrivò quattro anni fa. «Mia madre iniziò ad accusare dolori al piede destro», racconta Silvia, 28 anni, deputata 5 Stelle dal 2013. «Ogni tanto perdeva l’equilibrio, cadeva. Io la prendevo in giro pensando che fosse solo più distratta del solito. Con la testa tra le nuvole. Ma le cadute continuavano, e una le causò una frattura. 
All’epoca vivevo solo io con lei. Pensavo: “È una frattura, passerà”. Un giorno, però, voleva dirmi di non mettere troppo caffè nel latte. Aprì la bocca, emise dei suoni, ma non riuscivo a capirla. Pensavo che anche quello fosse un semplice momento, ma giorno dopo giorno mi accorsi che le cose peggioravano. Parlava male e controllava sempre meno il suo corpo. Facemmo dei controlli. Era la Sla, sclerosi laterale amiotrofica».

E lì cominciò l’incubo.
«Sì. Chiamai mia sorella e mio fratello per capire cosa fare. Ci ritrovammo soli, del tutto soli. Non sapevamo a chi rivolgerci, cosa aspettarci. A Salerno sembrava impossibile trovare un aiuto. L’unico dottore che ci aiutò a capire vagamente cosa sarebbe accaduto fu un neurologo,che dopo i vari esami disse: “Signora lei ha la Sla, presto non si muoverà più, non riuscirà a parlare, le dovranno fare la tracheotomia per respirare e nel giro di tre anni probabilmente morirà”».

Fu così diretto?
«Quelle furono le sue parole. Mia madre cadde in depressione. Noi figli cercavamo di darle forza, di farla uscire, facevamo di tutto per vederla almeno sorridere. Nulla. Da allora decise di non uscire più di casa, se non per le visite mediche. La vedevo ogni giorno piangere o bloccarsi. Ogni tanto provava a parlare, ma si innervosiva perché non riuscivamo a capir- la. A luglio 2013 pesava 43 chili, per respirare aveva una mascherina collegata a una macchinetta che le copriva il volto. Decidemmo di farle fare una tracheo e una Peg, cioè una gastrostomia endoscopica percutanea, perché non riusciva più a mangiare normalmente. Da allora migliorò, mise peso, respirava meglio. Un sollievo, si era stabilizzata. Ma poi sono iniziate le avventure più assurde».

Cioè?
«Dottori che non si trovano, assistenza domiciliare praticamente assente, perso- nale dell’Asl che non sa usare i nuovi sistemi informatici e quindi non possono prescrivere l’ossigeno, infermiere che sbagliano il cambio del catetere, per non parlare dei laboratori che sbagliano a prelevare l’urina per l’esame. Mi sono sentita dire che il problema è che in Campania c’è “abuso d’ossigeno”».

Che vuol dire?
«Non si sa. E poi, il semplice permesso per disabili per l’auto. Per averlo devo andare con mia madre all’ufficio di medicina legale. Lì c’è un solo parcheggio per disabili perennemente occupato, il che è ovvio. L’ufficio è al primo piano. C’è l’ascensore, ma dopo sei scalini. Ma fa nulla, questo è il minimo. Gliene dico un’altra: hanno aggiustato le strade del quartiere dove abito, un bel lavoro davvero, mi hanno messo anche una palma sotto casa. Peccato che il parcheggio per disabili che prima avevo sotto il portone adesso sia scomparso. Ma sdrammatizziamo, è solo folklore. Perché altrimenti dovrei dire incompetenza, mancanza di rispetto...»

La sua mamma non parla più?
«No. Ora ha 85 di pressione massima, l’emoglobina a 8, e un’infezione batterica di 100.000 germi/ml. Non parla. Parliamo noi per lei utilizzando le dita della mano. Ogni dito è una lettera dell’alfabeto, quando pronunciamo quella che lei ha in mente chiude gli occhi. E poi ripartiamo. Lettera per lettera, parola per parola».

Non ci sono i puntatori oculari?
«Dovrebbe passarlo l’Asl, ma qui a Salerno nessuno conosce la procedura. Comprarlo? Impossibile. Costa attorno a 20 mila euro, e i nostri soldi li impieghiamo per alcuni medicinali, ma soprattutto per pagare persone che possano aiutarci, visto che l’assistenza, l’Italia in genere, e la Campania in particolare, non sa neanche cosa sia».

Insomma, assistere migliaia di malati non autosufficienti costa.
«Io nonostante tutto mi ritengo fortunata, ho una famiglia che mi aiuta, ho uno stipendio e ringraziando il cielo mia madre ha una pensione. Ho lo sguardo di mia madre, che vale più di mille altre cose. Ma soprattutto ho la coscienza pulita e non ho bisogno di pulirla con una secchiata di acqua gelida».

Che cosa propone?
«Avere i servizi che ci spettano, non vedere calpestati i diritti dei malati perché il governo preferisce dare soldi per gli aerei da guerra F35 o per gli azionisti della banca d’Italia. Capisco che cantanti o attori facciano pubblicità per le donazioni con l’Ice bucket, ma chi è al governo ha il potere di cambiare le cose».

Quindi, in concreto?
«Ho lanciato la campagna SLAsfida (www.slasfida.it) con il Movimento 5 stelle per raddoppiare a 600 milioni di euro il tetto minimo del Fondo per la non autosufficienza. Dal sito si possono fare donazioni all’Aisla, l’Associazione italiana per la Sla. Affinché anche i malati che non hanno i mezzi per farsi assistere, o una famiglia facoltosa alle spalle, possano essere trattati decentemente».
Mauro Suttora


LE CIFRE: MALATI, SOLDI, POLEMICHE

• In Italia non si sa quanti siano i malati di Sla, perché non esiste un registro nazionale: le stime variano da 4 a 6 mila. L’unica certezza è che ogni anno ci sono un migliaio di nuovi casi (due ogni 100 mila abitanti).

• «In un mese abbiamo ricevuto quanto raccogliamo in un anno», dice Alberto Fontana, tesoriere dell’Aisla (Associazione Italiana Sla), «una vera sorpresa che aiuta la ricerca medica perché, come spesso accade, su questo tipo di malattie le case farmaceutiche non hanno un interesse commerciale». In concreto, il tormentone delle secchiate di acqua gelida ha fruttato finora un milione e mezzo di euro in Italia e oltre cento milioni negli Stati Uniti. La raccolta continua almeno fino al 21 settembre, Giornata nazionale della Sla. 

• L’Aisla, presieduta dall’ex calciatore, dirigente sportivo e deputato Pd Massimo Mauro, nel 2013 ha raccolto 1,8 milioni. Di questi, 1,1 milioni sono andati a ricerca e assistenza. Il personale è costato 373 mila euro. I dirigenti non percepiscono stipendio. 

• Negli Usa la Sla Foundation è accusata di destinare solo il 27% dei fondi in ricerca, e il 20% in assistenza ai malati. Il resto va alla formazione professionale (32%), al fundraising (14%) e al personale (7%). La presidente Jane Gilbert ha uno stipendio di 339 mila dollari. 

• Malati di sla sono stati il calciatore Stefano Borgonovo e Luca Coscioni, fondatore dell’omonima associazione radicale che si batte per la libertà di ricerca e l’adeguamento del «nomenclatore tariffario» (ausili per i disabili). La Fondazione Vialli Mauro finanzia ricerche su Sla ma anche sul cancro, e opera nello sport.

Wednesday, September 03, 2014

I segreti dei capolavori

QUANTO EROTISMO IN QUESTA VENERE!

Li abbiamo visti mille volte. Ma siamo sicuri di conoscerli? Philippe Daverio, nei nuovi fascicoli del Corriere della Sera, spiega i particolari nascosti di 35 grandi opere

di Mauro Suttora

Oggi, 27 agosto 2014

Lo sapevate che la Nascita di Venere di Sandro Botticelli è il primo dipinto su tela di grandi dimensioni nella storia? Che il Tondo Doni di Michelangelo fu la prova generale della Cappella Sistina? E che il Moulin de la Galette di Renoir, a Montmartre, nel 1814 fu l’ultima trincea contro i soldati russi che sconfissero Napoleone? Queste e altre curiosità vengono svelate nei fascicoli di Philippe Daverio sui Capolavori dell’arte allegati al Corriere della Sera dal 28 agosto.

Botticelli, quante allusioni
Nonostante la bionda nuda sul conchiglione sia fra le immagini più celebri dell’arte di tutti i tempi, la sua storia viene raccontata da Giorgio Vasari soltanto 50 anni dopo. «La Nascita di Venere viene appesa in pendant nel 1486 accanto alla Primavera nella villa di Lorenzo de’ Medici, cugino minore di Lorenzo il Magnifico», scrive Daverio. «In Botticelli le allusioni erotiche non mancano. la Venere riprende con i capelli sciolti un mantello tenuto con la mano sinistra, mentre le signore già sposate tengono il loro a mo’ di fiocco aperto per far capire che ciò che la fanciulla promette, loro l’hanno già vissuto. L’eleganza degli equivoci».

Caravaggio, i simboli nella Canestra di frutta
Il minuscolo olio su tela del 1599, conservato nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano, rappresenta il debutto delle nature morte nella pittura italiana. Caravaggio ne aveva già dipinte, ma all’interno di quadri con umani, come il Bacco o il Giovane con canestra di frutta. Qui, invece, per la prima volta la natura morta è il soggetto principale, e finisce nella collezione del cardinale Federico Borromeo. 
«La frutta è rappresentata con straordinario realismo, come mai prima di allora: un leggero pulviscolo copre gli acini d’uva, un verme ha bacato la mela, insetti hanno smangiucchiato le foglie della pesca». 
Ogni particolare è simbolico: le foglie della vite, secche e accartocciate, evocano l’inesorabile scorrere dell’esistenza umana, destinata a fine certa.

Renoir, i dipinti e la salute
Spiega Daverio: «Sosteneva con la sua sottile ironia Alberto Savinio che l’Impressionismo è nato quando i pittori di Parigi s’accorsero ch’era più proficuo per la salute dipingere all’aria aperta piuttosto che in quella viziata degli studi. 
C’è del vero in questa battuta: fu di grande utilità nell’ultimo trentennio dell’800 l’invenzione dei tubetti di colore, che permisero un’agilità fino ad allora insperata per la pittura da cavalletto». Pierre-Auguste Renoir è, con Monet e Manet, il più famoso degli impressionisti, e il Bal au Moulin de la Galette è la sua opera più nota.

Michelangelo vince su tutti
È l’unico dipinto di cavalletto di Michelangelo, l’unico esibito nel museo degli Uffizi a Firenze. Non piacque al committente, che lo criticò, tirò sul prezzo e alla fine non pagò la cifra pattuita. Stendhal lo detestava: «Un Ercole non può ridursi a cucire sottane». Ma fra tanti immensi affreschi, statue gigantesche e capolavori architettonici, Daverio sceglie il Tondo Doni come il non plus ultra di Michelangelo. 

Eseguito nel 1504 dall’artista 29enne, dopo la Pietà e prima del Mosè, secondo Daverio rappresentò una scommessa: «Dipingere per il ricco banchiere Agnolo Doni, sposato con una Strozzi, un’opera in grado di competere con quelle del concorrente Banco dei Medici, spazzati dalla scena finanziaria ed entrati in politica».

Ma la competizione fu duplice: «Quella con Sandro Botticelli, concorrente giovanile, eroe mondano della generazione precedente a quella di Michelangelo, suo opposto». E insuperato “tondista”, con «i personaggi adagiati nel cerchio del dipinto seguendone le linee curve»: come nella Madonna del Magnificat del 1480, anch’essa agli Uffizi. Michelangelo, 25 anni dopo, vince il confronto con Botticelli grazie alla modernità dei colori: intensi, squillanti, perfino stridenti, come l’arancione di San Giuseppe accanto al rosa della Madonna.
Mauro Suttora

Le donne più pagate

Classifiche: ecco le signore che hanno guadagnato di più nel 2013

SIAMO NOI LE DONNE D'ORO

Tra le dieci più ricche, le manager sono solo due (e Madonna non la batte nessuno)

La “material girl” con le colleghe cantanti Beyoncé e Lady Gaga incassano il doppio delle attrici Sandra Bullock e Jennifer Aniston. Solo una top model in graduatoria: Gisele Bundchen. Le boss e le atlete restano indietro. Vediamo quanto è entrato nelle loro tasche

di Mauro Suttora
 
Oggi, 27 agosto 2014

Galline vecchie fanno buon brodo. Due cinquantenni guidano la classifica mondiale delle donne di spettacolo più pagate: la cantante Madonna Ciccone, che il 16 agosto ha festeggiato i 56 anni con una grande festa nella sua villa di Cannes, e l’attrice Sandra Bullock, 50.
Cantanti e attrici, però, sono divise dalle cifre che guadagnano. Le prime, infatti, incassano più del doppio rispetto alle seconde.

Madonna è irraggiungibile. Grazie ai concerti, nel solo 2013 ha messo insieme ben 94 milioni di euro fra biglietti, merchandising, dischi e download. La sua fortuna dura da più di trent’anni: è del 1983, infatti, Holiday, primo successo planetario
La signora ha accumulato un patrimonio di un miliardo di dollari (755 milioni di euro) con i 350 milioni di dischi venduti in tutta la carriera: quarta dopo i Beatles, Elvis e Cliff Richard.

Beyoncé ha cantato per Obama
Dopo di lei, Beyoncé. Il 4 settembre compie 33 anni, e nel 2013 ha incassato 86 milioni di euro. Le sue esibizioni hanno toccato la cifra di 117 mila dollari al minuto (circa 88 mila euro). Versatile come Madonna, Beyoncé è diventata stilista e attrice, con due nomination ai Golden Globe per il film Dreamgirls.

Nel 2013 ha raggiunto l’apice, cantando all’inaugurazione del secondo mandato del presidente Obama e al Superbowl (finale di football americano). I biglietti dei suoi concerti vanno esauriti on line in pochi minuti.

L’altro fenomeno canoro dell’anno scorso è stata Lady Gaga, 28 anni, anche lei come Madonna di origini italiane: il suo vero nome è Stefani Germanotta. Incassi per 60 milioni di euro provenienti non solo da dischi e palco, ma anche come modella e stilista. 

Soltanto al quarto posto fra le donne che hanno guadagnato di più nel 2013 si trova un’attrice: Sandra Bullock. Ha appena festeggiato i 50 anni con 38 milioni di euro guadagnati grazie al successo del suo ultimo film: Gravity. Che ha incassato ben 540 milioni di euro, conquistato dieci nomination all’Oscar e vincendone sette.

Sandra ha preso un cachet di “appena” 15 milioni, in cambio di una percentuale del 5% sugli incassi. Un rischio, per un film che la vedeva galleggiare sola nello spazio come astronauta per un’ora e mezzo. Ma ha vinto la scommessa: Gravity è un raro esempio di successo sia di critica sia di pubblico. Peccato che a tante soddisfazioni sul lavoro non ne corrispondano altrettante nella vita privata. La Bullock ha lasciato il cantante tatuato Jesse James nel 2010, dopo cinque anni di matrimonio, perché ne ha scoperto una tresca clandestina con una pornostar. E da allora non le si conoscono altri fidanzati. 

Al quinto posto fra le donne più pagate del mondo, ecco la modella brasiliana Gisele Bundchen con 37 milioni di euro. È l’unica supermodel rimasta, tutte le altre sono sotto i dieci milioni: Miranda Kerr (7 milioni), Adriana Lima e Kate Moss (5,7 milioni). E bisogna arrivare al sesto posto con 28 milioni per trovare finalmente una donna manager: Martine Rothblatt, 60 anni, ad di United Therapeutics, società di biotecnologia. Solo che Martine è un ex uomo: nasce Martin, poi cambia sesso.

Seguono due Jennifer attrici: la giovane Lawrence e la stagionata Aniston. La prima a soli 24 anni, dopo l’Oscar per Il lato positivo ha sbancato con Hunger Games e American Hustle: 25 milioni. La seconda, 45enne, ne ha guadagnati 23 per lo stupendo Come ti spaccio la famiglia, e poi Life of crime e Come ammazzare il capo e vivere felici 2.

Adele continua a vendere
Al nono posto un’altra cantante, l’inglese Adele. Voce potente, sovrappeso, si era presa un po’ di tempo per sé ritirandosi dalle scene. Ma continua a vendere dischi.

Segue, con 19 milioni, la capa 39enne di Yahoo Marissa Mayer. Laureata in informatica a Stanford, è stata la prima ingegnere donna assunta da Google. Poi è passata alla concorrenza.

Per trovare le atlete bisogna scendere all’undicesimo e dodicesimo posto: le tenniste Maria Sharapova e Serena Williams, con 18 e 16 milioni di euro. Lo sport resta il regno dei maschi, con campioni di basket, golf, automobilismo e calcio che guadagnano parecchio grazie agli sponsor. Ma per le donne il piatto piange.

Infine, dal 12esimo al 15esimo posto, un trio di attrici anch’esse non di primo pelo: Gwyneth Paltrow, 41 anni (14 milioni grazie al film d’azione Iron Man 3), la 39enne Angelina Jolie (13 milioni per Maleficent) e la 41enne Cameron Diaz, che ha agguantato 13 milioni con la con commedia romantica Tutte contro lui-The other woman.
Mauro Suttora

Mare nostrum o Frontex?

IMMIGRATI: CHI SE NE DEVE OCCUPARE?

di Mauro Suttora

Oggi, 27 agosto 2014

Da dieci anni l’Unione europea ha un’Agenzia apposita per fronteggiare gli immigrati clandestini: la Frontex (nome completo: Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne). Sede a Varsavia, 317 dipendenti, 90 milioni di bilancio annuale. 

All’Italia l’operazione Mare Nostrum per salvare i disperati dei barconi è costata 110 milioni questo primo anno. Il 19 ottobre scade, e il nostro governo chiede che del problema si occupi tutta l’Europa, senza scaricarlo sugli Stati mediterranei (oltre a noi, Grecia, Malta e Spagna). Ma la Frontex è in grado di subentrare a Mare Nostrum?

In teoria, l’Agenzia ha 21 aerei, 27 elicotteri e 116 navi. «Ma solo sulla carta, perché appartengono ai 28 Stati della Ue che li mettono a nostra disposizione», ha spiegato Ilkka Laitinen, direttore dimissionario finlandese di Frontex. «Se li usassimo tutti contemporaneamente, esauriremmo i nostri fondi in due settimane».

In realtà il problema è politico. Queste navi, chiunque le paghi, devono respingere i migranti o accoglierli? La Ue è più severa dell’Italia. Il nostro governo varò Mare Nostrum dopo la strage di 300 clandestini annegati un anno fa, di fatto cessando la politica dei respingimenti. Che invece molti governi europei vorrebbero applicare contro chi non ha diritto all’asilo politico. 

Frontex destina solo 21 milioni annui a operazioni marittime, e il suo bilancio è stato ridotto di 25 milioni rispetto a tre anni fa. Sarà una dura battaglia, a Bruxelles.

Wednesday, August 27, 2014

Gaza: vero e falso

di Mauro Suttora

Oggi, 20 agosto 2014

Le propagande contrapposte di Israele e Palestina usano argomenti a effetto. Verifichiamone alcuni.

1) «Lo statuto di Hamas vuole la distruzione di Israele». Vero. Ma al voto del 2006 questa parte venne tolta. I suoi capi hanno detto che riconoscerebbero Israele a determinate condizioni (ritorno dei profughi, capitale palestinese a Gerusalemme Est). In ogni caso, anche Al Fatah voleva distruggere Israele. Il che non impedì al suo leader, Yasser Arafat, di firmare gli accordi di Oslo (1993) che prevedono due popoli in due Stati.
  
2) «Missili e tunnel palestinesi minacciano Israele». Falso. I razzi sono poco più di scaldabagni sgangherati che hanno provocato in tutto tre morti. Vengono neutralizzati dallo scudo aereo israeliano. E anche le uscite dei tunnel sono facilmente scopribili dall’avanzatissima tecnologia di Tel Aviv.

3) «Genocidio: Israele ha ucciso 500 bambini». Falso. I «bambini» sono minorenni, quindi anche bellicosi 17enni caduti con le armi in pugno o morti perché non sgomberati da zone che gli israeliani avvertivano con anticipo di voler bombardare.

4) «Gaza è bloccata da Israele». Falso. Gaza confina anche con l’Egitto, Stato «fratello arabo», il quale potrebbe permettere il transito.

5) «I palestinesi capiscono e rispettano solo il linguaggio della forza». Falso. Israele si è accordata con tutti i suoi vicini: Egitto, Giordania e, di fatto, perfino con la Siria degli Assad. 
Quanto ai palestinesi, Abu Mazen e la Cisgiordania rispettano gli accordi di Oslo e vorrebbero reciprocità da Israele.

6) «Il muro e le colonie ebraiche impediscono la pace». Falso. Il muro ha eliminato gli attacchi suicidi. E le colonie potrebbero sopravvivere se nascesse un clima di fiducia reciproca.
Mauro Suttora

Glenn Close in W la Gente!

La sigla finale di Techetechetè su Rai1 ogni sera ci mostra l'attrice di Attrazione fatale mentre cantava ventenne nel coro del musical americano

di Mauro Suttora

Oggi, 20 agosto 2014
Ogni sera su Rai1, dopo le nove,  la sigla finale di Techetechetè mostra il coro gioioso dei ragazzi di Viva la gente! Era un musical americano approdato nel 1968 in Italia, che lanciava un contagioso messaggio di fratellanza. E fra i giovani statunitensi in tournée per il mondo, c’era Glenn Close. Facile riconoscerla: è la prima a destra in prima fila.
L’attrice diventata famosa negli anni 80 con Il Grande Freddo e Attrazione Fatale era entrata nel cast di Up With People! (titolo originale del musical) già nel 1964, 17enne, e vi rimase per cinque anni. Fu anche ricevuta da Paolo VI quando il Papa onorò il cast di passaggio a Roma con un'udienza nel 1969.

Quel che pochi sanno, però, è che Glenn Close, impegnata politicamente a sinistra, nel 2012 ha rinnegato quell'esperienza: «Era una setta, il braccio musicale di un movimento di destra che si chiamava “Riarmo morale”. La mia famiglia vi aderì quando avevo sette anni, e ci rimasi fino a quando andai all'università. Era un culto, tutti dovevano pensare allo stesso modo. Devastante. Però quell’esperienza mi è servita per riuscire a osservarmi dal di fuori, e questo per un'attrice è fondamentale».

Concorrenza a «Hair»
Viva la gente! faceva concorrenza ad altri musical dell'epoca come Calcutta, Godspell e Hair, ispirati dalla moda hippy. Che però, in base al motto «Pace & Amore», era anche piena di musica rock, droga e controcultura antimilitarista. Erano infatti gli anni delle proteste contro la guerra in Vietnam, che fece 50mila morti fra i giovani americani di leva obbligati a combattere.

Niente di tutto questo nel movimento Up With People, rigorosamente apolitico e anzi ossequioso verso le autorità. Un movimento peraltro attivo ancor oggi, con sede a Denver in Colorado, che continua a organizzare tournée del fortunato musical. Gli interpreti sono giovani provenienti da tutto il mondo, e in questo mezzo secolo si sono avvicendati in migliaia per cantare l’inno che fu della giovane soprano Glenn Close.
Mauro Suttora

Friday, August 01, 2014

Giancarlo Perna vs Sallusti

1 agosto 2014
Giancarlo Perna se ne va dal Giornale in polemica con Alessandro Sallusti

La firma storica del quotidiano non ha accettato che una sua intervista all’ex ministro Antonio Martino non sia stata pubblicata. E sottolinea: “Questione di stile. Neanche Montanelli mi censurò mai”

È stata un’intervista all’ex ministro e fondatore di Forza Italia Antonio Martino la goccia che ha fatto traboccare il vaso fra Giancarlo Perna, firma storica del Giornale, e il direttore Alessandro Sallusti. Così, dopo più di 30 anni uno dei giornalisti più corrosivi d’Italia lascia il quotidiano della famiglia Berlusconi e passa a Libero

UNA QUESTIONE DI STILE – Perna non ha accettato che la sua intervista a Martino non sia stata pubblicata dopo essere stata concordata, ma soprattutto non ha apprezzato il silenzio di Sallusti: “Questione di stile. Neanche Montanelli mi censurò mai. L’unica volta che lo fece, per un mio ritratto di Andrea Manzella, se ne pentì al punto che mi riscrisse un suo articolo su Menichella, per mostrarmi come secondo lui andavano trattati i grand commis: in punta di penna, altrimenti – mi disse – l’Italia non avrebbe neanche uno scheletro cui appoggiarsi”.

CURRICULUM DOC – Perna, 74 anni, che è stato anche inviato nei settimanali Europeo e Panorama, ha scritto una biografia al vetriolo di Eugenio Scalfari: Una vita per il potere (ed. Leonardo, 1990).

Wednesday, July 16, 2014

Luigi Di Maio indiscreto

Chi è Luigi Di Maio

IL 5 STELLE BON TON PIEGA ANCHE GRILLO

Emergenti: chi è la promessa pentastellata che fa "ragionare" perfino il leader.

Per il troppo lavoro ha perso la fidanzata e continua a rimandare la laurea. Vicepresidente della Camera a soli 26 anni, Luigi Di Maio ora tratta con Renzi e fa rientrare in gioco il movimento

Oggi, 16 luglio 2014

di Mauro Suttora



A 26 anni Giulio Andreotti e Aldo Moro non erano neppure in Parlamento. Bettino Craxi era solo consigliere comunale, Matteo Renzi un oscuro segretario provinciale Ppi. E Silvio Berlusconi non aveva ancora visto un mattone. Luigi Di Maio, invece, è diventato vicepresidente della Camera.

Se c’è un wonder boy della politica oggi in Italia, è lui. Undici anni meno del premier, ma quanto a parlantina e aplomb gli tiene testa. Lo ha notato l’Italia intera, quando il napoletanino del Movimento 5 stelle (M5s) ha affrontato Renzi in streaming. Risultato: ora Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio si fidano solo di Di Maio. Che così è diventato il numero uno del secondo partito italiano.

Ci ha messo appena un’ora e mezza a far fare dietrofront perfino al proprio capo. Grillo aveva di nuovo insultato Renzi: «ebetino», e anche «ebetone». Lui si è messo al telefono, e pazientemente lo ha convinto: la trattativa col Pd continua. Nessuno screzio fra i due, solo fiducia. «Imparo sempre da Di Maio, anche quando sta zitto»: così, come sempre scherzando ma non troppo, il fondatore dei 5 stelle lo aveva incoronato candidato premier prima delle europee.

Poi il disastro, perso un voto su tre, e soprattutto Renzi col doppio dei consensi: 40 per cento a 21. Allora Grillo e Casaleggio hanno aperto furbi al Pd: «Facciamo insieme la riforma elettorale». Obiettivo: far fuori Berlusconi e il suo patto del Nazareno con Renzi. Rimettendo in gioco i sei milioni di voti del M5s, finora congelati in un’opposizione dura ma con pochi sbocchi.

E chi meglio del genietto di Pomigliano d’Arco come volto della svolta costruttiva?
Di Maio ha un padre impresario edile nonché, come il collega Alessandro Di Battista (il suo opposto: esagitato ed esagerato), fascista: prima Msi, poi An. Lui, invece, è troppo giovane per non essere vergine. Mamma Giovanna è prof di italiano e latino allo scientifico. 

Come Renzi, ha cominciato a «rompere le balle» già al liceo. E ha continuato da capetto anche all’università di Napoli: fonda una lista, diventa subito presidente pure lì: del consiglio degli studenti. Oltre a consigliere della facoltà di Legge.

Fanatico dei computer, segue Grillo dal primo Vaffaday del 2007. L’impegno politico gli fa perdere due cose: la laurea (è ancora fuoricorso, ora vuole recuperare online) e la fidanzata (troppo indaffarato, ora pare pratichi l’endogamia con la pentastellata Silvia Virgulti, bella tv coach che gli ha insegnato a ben figurare sullo schermo).

Trombato alle comunali nel 2010 (neppure papà votò per lui, 59 preferenze), due anni dopo alle primarie per diventare deputato gli bastano 189 voti. E pochi minuti per convincere gli altri cento deputati 5 stelle, digiuni di politica, a designarlo vicepresidente della Camera.

Dopo un anno molti, anche negli altri partiti, lo preferiscono alla presidente Laura Boldrini. Ineccepibile, autorevole, equilibrato, ha imparato a memoria il regolamento e infligge espulsioni: su tredici deputati che ha fatto cacciare dall’aula, ben otto sono grillini. Altro che salire sui tetti.

Ciononostante è amato (o almeno non detestato) anche dai 5 stelle oltranzisti. La pantera 45enne Paola Taverna gli è affezionata: «Però col Pd dev’essere meno moscio, sennò sembriamo Fantozzi». Il senatore Michele Giarrusso lo stima ma scherza agrodolce: «La trattativa Renzi-Di Maio? Facciamo giocare un po’ i ragazzini, in realtà il Pd non è cambiato».

Lui procede imperterrito, come certi partenopei più severi e disciplinati degli svizzeri. Mai una parola fuori linea, mai una virgola non sintonizzata col vertice Grillo&Casaleggio. Ma riesce anche a non apparire pedissequo. Con i proconsoli onnipotenti del gruppo Comunicazione, veri guardiani dell’ortodossia (l’ex Grande Fratello Rocco Casalino e l’ex assistente della Taverna, Ilaria Loquenzi), dirige di fatto il M5s. Il cui slogan era «Uno vale uno». Ma Di Maio ora vale tanto.
Mauro Suttora 

Wednesday, June 25, 2014

Oasi di Sant'Alessio (Pavia)


Sant’Alessio (Pavia), giugno
Il momento più emozionante è stato l’anno scorso: «Dopo vent’anni di attesa, finalmente un gruppo di taccole ha nidificato nella torre», si entusiasma Harry Salamon. «Come nel ’92, quando duecento coppie di ardeidi decisero di fondare qui una nuova garzaia, il nido collettivo degli aironi. Era la prima volta che succedeva, in un luogo creato appositamente dall’uomo».

Siamo ad appena 25 chilometri a sud di Milano, nell’Oasi di Sant’Alessio. Bastano 40 minuti d’auto (un’ora con i mezzi pubblici) per entrare in un altro mondo. Fenicotteri e caprioli, aironi e cicogne, tucani e martin prescatori vivono in totale libertà nel loro habitat naturale. Niente gabbie. Ma i visitatori possono egualmente osservarli da vicino.

Attorno al castello medievale

Quarant’anni fa Salamon e sua moglie Antonia comprarono il castello di Sant’Alessio. Risalente ai longobardi, era stato ricostruito nel Quattrocento dal condottiero Franceschino Beccaria. Da qui l’armata dell’imperatore Carlo V nel 1525 si mosse per andare a sconfiggere i francesi nella battaglia di Pavia, che cambiò la storia d’Europa.

Oggi il castello, restaurato, è diventato il centro dell’Oasi naturalistica: dieci ettari di boschi, laghi, stagni e ruscelli. «Abbiamo applicato il sistema di Konrad Lorenz», racconta Salamon, «per reintrodurre specie animali in natura. Abbiamo rilasciato esemplari anche adulti che conoscono già l’ambiente dove vengono liberati. Così non sentono l’urgenza di andarsene subito, ma solo dopo aver conquistato le abilità necessarie alla vita selvatica».

La lista degli uccelli visibili a Sant’Alessio è lunga: picchi, sparvieri, upupe, sgarze, allocchi, civette, cardellini. Per brevi periodi falchi pescatori e di palude, astori, pendolini. E a terra conigli selvatici, lepri, scoiattoli, donnole, lontre. Fa impressione la quantità di animali che arrivano verso sera, per trascorrere la notte al riparo degli alberi. Che sono - apposta - abbandonati a se stessi.

«Salici e aceri, alberi dal ciclo breve, in questi quarant’anni sono giunti alla terza o quarta generazione. Lasciamo i tronchi sul posto per alimentare funghi e larve degli insetti», spiega Salamon.

I visitatori (il biglietto costa 13 euro, 10 euro fino ai 12 anni e per gli anziani nei giorni feriali. Orari: dalle 10 alle 17, fino alle 18 di sabato e domenica) percorrono camminamenti segreti che permettono di avvicinarsi a pochi metri dagli uccelli.  Nella tarda primavera ci sono centinaia di aironi. Per le scuole sono previsti corsi didattici sulla fauna nelle zone umide europee.
Mauro Suttora


ALTRE OASI VICINO ALLE GRANDI CITTA':


1) Macchiagrande e Vasche di Maccarese, Fiumicino (Roma): 310 ettari del Wwf, aperti ogni sabato e domenica dalle 10 alle 17, due visite guidate al giorno.

2) Giardino di Ninfa, Cisterna (Latina): giardino botanico e parco naturale Pantanello, 106 ettari di piante esotiche, lago, fiume Ninfa e un lembo di palude pontina ricostituita.

3) Cratere degli Astroni, Napoli: a pochi passi dal centro, è un vulcano spento che fa parte del più complesso cratere di Agnano, nell’area dei Campi Flegrei. È il più giovane dei crateri: con i suoi 3600 anni si estende per 247 ettari. Nel punto più basso del cratere si trovano tre laghetti con vegetazione tipica delle zone lacustri: canne, giunchi, tife e salici.
 
4) Oasi fluviale del Molino Grande, San Lazzaro di Savena (Bologna): tutela un tratto di bosco ripariale del torrente Idice. Alberi monumentali e nidi di rare specie di uccelli. Sentiero di 2 km lungo il fiume.

5) Ca' Roman, Venezia: all’estremità sud della laguna, di fronte a Chioggia. Oasi Lipu (Lega italiana protezione uccelli) con una straordinaria ricchezza faunistica. È su una delle più importanti rotte migratorie d’Italia: 190 specie d’uccelli censite la utilizzano in autunno e primavera per riposarsi e nutrirsi prima di riprendere il viaggio.

6) Cascina Bellezza, Poirino (Torino): quattro ettari a sud di Torino. Zona umida con rimboschimenti, siepi, prati e incolti che ospitano numerose specie.
 
7) Vanzago (Milano): uno degli ultimi boschi sopravvissuti nella pianura Padana. Oasi Wwf di 200 ettari con il Centro di recupero animali selvatici:  un vero e proprio ospedale.

Wednesday, June 18, 2014

Il mistero dei Bronzi di Riace

ECCO PERCHE' SONO POCO "DOTATI"

Le statue ritrovate in mare hanno corpi splendidi, ma una 'virilità' ridotta. Chi ritraggono? Come furono trasportate? Alberto Angela ci accompagna alla scoperta dei loro segreti


Oggi, 11 giugno 2014

di Mauro Suttora

Quindicimila al mese. Tanti sono i turisti che dall’inizio dell’anno hanno visitato i Bronzi di Riace nella loro collocazione definitiva: il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria. E aumenteranno con l’estate, la prima durante la quale queste meraviglie mondiali possono essere ammirate dopo il loro restauro e la ristrutturazione del palazzo Anni 30 di Marcello Piacentini. Lavori durati quattro anni, costi triplicati (da 11 a 33 miloni). E un ricorso al Tar blocca ancora l’esposizione di preziosi reperti della Magna Grecia nelle altre sale del museo. Che quindi offre ai visitatori (increduli soprattutto gli stranieri) soltanto i Bronzi, solitari nel loro salone, avulsi da ogni contesto. Se tutto andrà bene, il nuovo allestimento dei quattro piani del museo verrà completato solo nel 2015.

C’è inoltre la possibilità che, in occasione dell’Expo, Milano scippi i Bronzi a Reggio per qualche mese, in modo da poterli mostrare a milioni di visitatori. Una raccolta di firme sta cercando di scongiurarlo.

Intanto Alberto Angela, figlio di Piero e conduttore di Ulisse (Rai3), pubblica I Bronzi di Riace, l’avventura di due eroi restituiti dal mare (Rizzoli - Rai Eri). Libro avvincente, che risponde a ogni domanda sull’epopea delle statue recuperate in mare nel 1972.

Le ipotesi sulla loro identità

Fra tutte le opere pervenuteci dall’antichità, infatti, i due Bronzi sono quelli che hanno colpito ed entusiasmato di più il pubblico. Perché? «All’origine del successo ci sono la bellezza straordinaria e la fattura pregevole del Giovane e dell’Uomo maturo. Ma non solo. A contribuire al loro fascino è anche l’aura di mistero che tuttora li avvolge», spiega Angela. Il quale ci accompagna nell’epoca e negli ambienti da cui provengono, va alla ricerca dei loro autori (grandissimi artisti: forse proprio il leggendario scultore Fidia?) e immagina chi potessero raffigurare: Castore e Polluce? Un guerriero e uno stratega? E ancora: come furono forgiati? Con quale tecnica fu possibile renderne la capigliatura morbida o le vene che appaiono sotto pelle?

Ma il percorso emozionante alla scoperta dei Bronzi non si ferma qui: in quali circostanze finirono sul fondale del mar Ionio? Furono buttati da una nave in una notte di tempesta? E la nave arrivò in porto o affondò? Quando accadde? Che lingua parlava l’equipaggio: greco, latino o addirittura goto?

Angela fa tesoro degli studi più aggiornati e dei recenti restauri: «Le statue viaggiavano adagiate sulla schiena, sul ponte di una nave, e forse proprio per facilitare il trasporto prima di caricarle a bordo erano stati rimossi gli scudi, gli elmi e le lance che le adornavano. Sotto i piedi spuntano ancora i perni in piombo che li ancoravano ai loro basamenti originari. Forse si trovavano in un tempio o in un luogo sacro. E i marinai, superstiziosi, sospettarono che la burrasca fosse stata inviata dagli dei per punire il “furto” sacrilego. Magari qualcuno si convinse che l’unico modo per placare la furia divina fosse gettare le statue in mare».

In realtà non sappiamo quasi nulla di quegli uomini e di quella nave, avverte Angela. I Bronzi risalgono a 2.500 anni fa, ma l’affondamento è posteriore, forse di secoli. L’unica certezza è che il relitto del bastimento non è stato mai trovato, e che le statue erano isolate sul fondale. Vicino a loro sono stati rinvenuti solo 28 anelli in piombo, magari appartenenti alla velatura della nave.

Una domanda imbarazzante coglie chiunque ammiri le statue perfette: perché il loro pene è così piccolo, sproporzionato rispetto al resto del corpo? «La scelta di attribuire una “virilità” così ridotta a due figure aitanti e imponenti come il Giovane e l’Uomo maturo», spiega Angela, «risponde alla convinzione degli antichi greci che un membro di grandi dimensioni fosse volgare e si addicesse a barbari e schiavi, non certo a un nobile greco. Nella rappresentazione di una figura maschile idealizzata e tesa alla perfezione, quindi, questo elemento anatomico doveva essere minimizzato. Esattamente come oggi le modelle non hanno mai forme accentuate (per esempio, i seni), ma contenute».

In ogni caso, per ritrovare in un bronzo, dopo Grecia e Roma, una qualità tanto sbalorditiva nella raffigurazione della fisicità di un uomo (con ossa, muscoli, tendini e vasi sanguigni) bisognerà attendere 2 mila anni: solo Donatello, nel Rinascimento fiorentino, riuscì a tornare a quei livelli, e dopo di lui Michelangelo.

Purtroppo soltanto un centinaio fra le migliaia di perfette statue bronzee grecoromane ci sono arrivate: nel Medioevo il loro bronzo venne sconsideratamente fuso per ricavarne monete, utensili e armi. Questo moltiplica il valore delle due statue conservate nel museo di Reggio Calabria.

Angela esclude che i Bronzi raffigurino Castore e Polluce, i gemelli figli di Zeus e Leda. Recenti esami, infatti, hanno stabilito che furono creati a 30 anni di distanza l’uno dall’altro. Più credibile che si tratti di un padre e di un figlio. Ma le curiosità che avvolgono le due statue sono innumerevoli. Non ci resta che leggere il libro e andare a Reggio Calabria.
Mauro Suttora



Felipe VI, re di Spagna


VIAGGIO A MADRID DOPO L'ABDICAZIONE DI JUAN CARLOS

dall'inviato Mauro Suttora

Oggi, 11 giugno 2014

Plaza de Toros de Las Ventas, la maggiore di Spagna, trabocca di spettatori. Prima delle corride in 25mila si alzano ad applaudire re Juan Carlos, accanto al sindaco di Madrid Ignacio Gonzalez. Gli applausi durano per tutto l'inno nazionale, che in presenza dei reali viene eseguito nella versione lunga.

Il re è commosso. Da mesi, da anni non veniva accolto così. «Gli battono le mani solo perché ha abdicato tre giorni fa», sibila uno spettatore repubblicano. «Macché, l'entusiasmo è genuino», commenterà con Oggi il sindaco Gonzalez (Partito Popolare), «Juan Carlos ci ha assicurato prosperità e progresso per 39 anni».

Il nuovo re di Spagna è Felipe VI, suo figlio. I toreri che hanno matato Juan Carlos sono i cinque milioni di spagnoli che alle europee del 25 maggio hanno tolto il voto ai due principali partiti, socialisti e popolari. La crisi è precipitata. Certo, le foto del re allegramente a caccia in Botswana con l'amante tedesca, fra lo sconcerto di milioni di disoccupati, lo hanno condannato. E i 17 anni di carcere che rischia suo genero, causa tangenti milionarie per Cristina, figlia del re. E poi il fisico malfermo: tumore benigno ai polmoni, femori e anche a pezzi, sette operazioni in due anni. Ma il re non si è aggrappato alla salute come scusa. Lo ha detto chiaramente: «Abdico per il bene della Corona e della Spagna».

Lo ha fatto proprio il 2 giugno, anniversario del referendum monarchia/repubblica italiano. Juan Carlos, nato a Roma, conosce la nostra storia. Sa che l'abdicazione di re Vittorio Emanuele III non servì a salvare casa Savoia. Ma sa anche che, se avesse rimandato la decisione, sarebbe stato peggio: il segretario monarchico del Psoe (Partido socialista obrero espagnol) è dimissionario, in autunno c'è il voto amministrativo, nel 2015 le politiche. E in cambio dell'abdicazione lui ha chiesto l'immunità perpetua dai processi. Regalo che gli può garantire soltanto l’attuale Parlamento, non certo quelle in cui estrema sinistra e il nuovo partito «grillino» Podemos (Indignati) arrivassero al 20%, come alle europee. Quindi abdicazione subito, e addio sogno di raggiungere 40 anni di regno.

Con Felipe re, diventa regina la controversa Letizia Ortiz Rocasolano. Dieci anni dopo le nozze, l'ex giornalista sale al trono proprio nel momento in cui due spagnoli su tre reclamano un referendum su monarchia o repubblica. Nel caso improbabile che venisse tenuto, i sondaggi danno ancora una prevalenza di monarchici. Ma Letizia, contrariamente all'inglese Kate, non suscita grandi simpatie.

«È un'arrivista susseguiosa», dice a Oggi la sua ex collega Mariam Gomez. Contrastata da Juan Carlos perché non nobile, è riuscita a sposare Felipe solo perché quest'ultimo, dopo il veto opposto dalla famiglia reale a una modella norvegese suo grande amore, si è impuntato.

Se Felipe mostra un'inquietante somiglianza con il dittatore siriano Bashar Assad, Letizia fa di tutto per sembrare Rania di Giordania. Operazioni plastiche comprese.
Gli spagnoli la criticano su tutto. Ha fatto due figlie bionde e stupende? Sì, però non ha provato una terza volta, per dare alla Spagna un erede maschio. Così prossima regina sarà l’infanta Leonor. Che però ha soli otto anni. E se - Dio non voglia - a Felipe capitasse qualcosa, sarà Letizia reggente fino alla maggiore età della figlia.

«Non solo è “plebeya”, come curiosamente i nostri altezzosi nobili chiamano tutti i borghesi», spiega Mariam Gomez, «ma in gioventù era repubblicana, figlia di repubblicani, è divorziata, forse anoressica, e in più pare abbia abortito e sia finita in carcere per possesso di hashish».

«Es una encantadora», Letizia è incantevole, ha invece dichiarato l’attuale regina Sofia da New York, dove si trovava nei giorni dell’abdicazione. Sublime diplomazia di una signora abituata da decenni a dire bugie e subire centinaia di corna dall’esuberante marito.

Ha voglia la povera Letizia a scapicollarsi assieme al principe ereditario in centinaia di appuntamenti per tutta la Spagna. Anche diversi al giorno in posti lontanissimi: per esempio, mentre re Juan Carlos assaporava gli applausi quasi postumi alla corrida, Felipe e Letizia erano al mattino in Navarra a consegnare un premio, e nel pomeriggio a Barcellona dagli industriali.

Gli impegni di corte che annichilirono Lady Diana vengono affrontati con professionalità da Letizia. Eppure la criticano anche su questo, perché pretende che almeno i fine settimana siano liberi per stare con le figlie.

Ora Felipe abita con Letizia in una villa vicino al palazzo della Zarzuela, residenza di Juan Carlos e Sofia, circondati da un parco immenso (15mila ettari) alle porte di Madrid. Per educazione non li sfratteranno. E per sobrietà non inviteranno i capi di Stato e gli altri nove re europei alla cerimonia di intronazione. Si eviteranno così le polemiche di un anno fa sul costo del cambio della guardia in Olanda, otto milioni. Il modello è il Belgio, dove re Alberto ha abdicato per la modica cifra di 600 mila euro, niente fuochi d’artificio per il figlio. E neppure una messa solenne per Felipe, nella ex cattolicissima Spagna.

D’ora in poi Felipe non potrà più viaggiare sullo stesso mezzo dell’erede Leonor, per ragioni di sicurezza. Passerà da uno stipendio di 150mila euro ai 300mila di suo padre. Le due attuali «infante» sue sorelle non faranno più parte della casa reale e non incasseranno appannaggi. Il bilancio della Corona sarà di otto milioni annui (contro i 150 del nostro Quirinale). Insomma, l’ambiziosa Letizia dovrà rassegnarsi a fare la regina low-cost. Perlomeno finché dura la crisi economica. Ma da quel fronte giungono buone notizie: 200 mila occupati in più in Spagna a maggio. Se torna la prosperità, anche la monarchia si salverà.
Mauro Suttora