Thursday, October 31, 2002

winona la ladrona

IL CALVARIO DI WINONA RYDER, A PROCESSO PER FURTO

di Mauro Suttora, da New York

Il Foglio, 31 ottobre 2002

Ha dovuto trascorrere il suo trentunesimo compleanno in tribunale a Los Angeles "Winona la ladrona", come ormai l'hanno soprannominata i famelici giornalisti di gossip americani. Ed è finita per due giorni consecutivi in prima pagina su quotidiani cattivi come il New York Post che la stanno scorticando viva, con un'anticipazione di pena e assaggio di gogna che al confronto Cesare Previti appare fortunato.

Ma Winona Ryder, la dolcissima attrice statunitense da sempre in corsa per diventare "la nuova Audrey Hepburn", dovrebbe chiedere i danni non ai cronisti, bensì al proprio sconsiderato avvocato Mark Geragos che le ha consigliato di non patteggiare, di non abbassarsi al "guilty plea" (l'ammissione di colpa) e di tener duro affrontando un disastroso processo pubblico.

Per fortuna negli Stati Uniti la giustizia e' svelta, non piu' di una settimana di udienze, cosicché il calvario si esaurirà entro il week-end. Perché lo spettacolo che va in onda in questi giorni da Beverly Hills ha un'unica attrice protagonista, ma la sua parte è proibitiva. Il 12 dicembre 2001 la superstar rubò vestiti ai grandi magazzini Saks per un totale di 5.560 dollari e 40 cents. Un video proiettato in aula la mostra nel ruolo umiliante della taccheggiatrice beccata in flagrante dalle guardie all'uscita.

Winona si arrampica deliziosamente sui vetri, è sempre comunque eccitante ascoltare la sua soffice voce, anche quando interpreta Alice nel Paese delle meraviglie: "Il regista del film che stavo per girare miaveva chiesto di esercitarmi nella parte della ladra..." Peccato che nessun regista sia stato citato come testimone a discarico. "E' stata educatissima, appena l'abbiamo scoperta mi ha preso la mano e ha chiesto scusa", racconta il capo dei sorveglianti.

Uno di loro precisa: "Ho trovato quattro etichette col prezzo che la Ryder aveva tagliato dai capi rubati con forbici portate da casa". Per provarlo tira fuori i cartellini magnetici che la minidiva alta uno e 63 aveva neutralizzato per non far squillare i sensori all'uscita, li avvicina alle quattro refurtive (una è un vestito Dolce e Gabbana, e spiace che l'Italia abbia contribuito seppure indirettamente a questo dramma): i bordi combaciano.

E' un momento di suspense, i giurati allungano i colli oltre il loro banco per controllare coi propri occhi. Furto con l'aggravante della premeditazione, quindi. I vignettisti satirici si scatenano: "Ecco come Winona si taglia i prezzi da sola!"

La vice attorney (procuratrice della pubblica accusa) è una donna, ci mette un sovrappiù di meticolosità femminile nelle arringhette per incastrare la bella&famosa: "Praticamente si era portata un kit per furto da casa: forbici, una grossa borsa per nascondere la refurtiva, rotoli di carta in cui avvolgerla. Poi è ricorsa a un vecchio trucco: pagare quattro capi per non creare sospetti, ma assieme a quelli portarsene via altri venti". I titoloni cubitali dei tabloid vanno a nozze: "Paghi uno, prendi cinque!"

Il difensore contrattacca: "La mia cliente è rimasta vittima di guardie troppo zelanti in cerca di facile pubblicità. Una di loro ha cercato di metterle le mani sotto il top di velluto, con la scusa di dare una controllatina, prima che arrivassero i poliziotti. La signorina Ryder si è allora messa a urlare, anche perché quel giorno non indossava reggiseno".

In subordine rispetto alla tesi difensiva della prova di attrice, Winona sostiene anche di avere consegnato la carta di credito a un commesso del piano di sotto - dove aveva comprato due paia di scarpe - chiedendogli di tenere il conto aperto per ulteriori acquisti. "E' usanza comune fra le celebrità di Hollywood portarsi a casa dei vestiti per provarli e decidere con calma quali acquistare e quali far riportare indietro", aggiunge l'avvocato.

La giuria che deciderà la sorte dell'ex fidanzata di Johnny Depp e Matt Damon risulta corretta sia sessualmente (sei donne, sei uomini) sia razzialmente (posto fisso garantito per un nero, un ispanico e un asiatico). Tuttavia uno dei giurati è l'ex presidente della Sony Pictures, che ha prodotto il suo film più famoso. Titolo: "L'età dell'innocenza". Per quella parte la Ryder venne nominata all'Oscar. Però non vinse.

Mauro Suttora

Thursday, October 17, 2002

Party Donna Karan

nel suo negozio di Madison Avenue

giovedi’ 17.10.02
c'erano:
Angie Harmon (ex Law & Order, Vogue Awards, sta con Jason Sehorn dei Giants e non ha voluto farsi fotografare con Elisabeth Rohm, attuale procuratrice di L&O)
Ben Stiller e Christine Taylor (assieme?)
Maggie Gyllenhaal
Natalie Portman
Brooke Shields
Anjelica Huston
Ron Perelman & Ellen Barkin
Graydon Carter (Vanity Fair, sta con la socialite Samantha Boardman, ex di James Truman, Conde Nast, e di Todd Meister)

Wednesday, October 02, 2002

Marion Jones e Tim Montgomery

SIAMO LA COPPIA PIU' VELOCE DEL MONDO

dal corrispondente a New York Mauro Suttora

Oggi, 2 ottobre 2002

Si amano perche' sono i piu' veloci del mondo, o sono i piu' veloci del mondo perche' si amano? Tim Montgomery e Marion Jones, statunitensi, entrambi 27enni, stanno assieme da poco. La loro intimita' e' sbocciata ed e' stata subito notata in pubblico soltanto qualche settimana fa durante un meeting internazionale d'atletica. Ma da allora l'amore ha messo le ali ai piedi di Tim, che il 14 settembre a Parigi ha conquistato il nuovo record mondiale dei cento metri: li ha corsi in appena nove secondi e 78 centesimi, migliorando di un centesimo il precedente primato stabilito dall'americano Maurice Greene tre anni fa. E la prima che si e' precipitata ad abbracciarlo in pista e' stata la sua Marion: la donna piu' veloce del mondo, cinque medaglie alle ultime Olimpiadi.

"Sono contento che lei fosse presente sulla linea del traguardo per vedermi correre", ha confessato Tim, emozionatissimo, "con Marion ho trovato la serenita' e grazie a lei ho capito che potevo raggiungere un grande risultato". Il loro attaccamento e' tale che lui ha voluto disputare la gara nella stessa corsia, la quinta, nella quale lei aveva vinto poco prima la finale dei cento metri femminili. Anzi, ha usato i suoi stessi blocchetti di partenza senza neanche adattarli alle proprie misure. Anche perche' sono alti uguale: uno e 78.

Questa dei blocchi di partenza promiscui e multiuso non e' l'unica stranezza nella storia d'amore fra Tim e Marion, che e' diventata il piatto piu' succulento dei pettegolezzi nel mondo dell'atletica leggera internazionale. Quando l'anno scorso a Oslo Tim stabili' il suo record personale di 9'84", calzava un paio di scarpe di Marion. Un altro gesto tenerissimo e' stato quello di farsi tatuare reciprocamente il nome dell'amato sul proprio braccio.

Comunque, la passione fra loro non e' scoppiata all'improvviso. Tre anni fa, infatti, Tim, stanco di risultati ottimi ma non eccezionali, si era trasferito da Norfolk in Virginia a Raleigh, la capitale del North Carolina. Li' si trova la corte di Trevor Graham, l'allenatore giamaicano gia' campione dei 400 metri che aveva portato al trionfo l'allora giovanissima Marion (22 anni) nel '97 ai mondiali di Atene sui cento metri. Impresa ripetuta due anni dopo ai mondiali di Siviglia.

Ma il capolavoro doveva arrivare l'anno seguente, quando la campionessa di Los Angeles si e' presentata alle Olimpiadi di Sidney con l'obiettivo stratosferico ma esplicito di razziare ben cinque medaglie d'oro. Ci e' andata vicina: e' arrivata prima sui cento, duecento e nella staffetta 4 per 400, mentre nel salto in lungo e nella 4x100 si e' dovuta accontentare nel bronzo. Ma un posto nella leggenda dello sport se l'e' conquistato.

Unico neo per Marion Jones: a tutt'oggi risulta assai lontana dal record mondiale sui cento stabilito da Florence Griffith Joyner (quella famosa anche per le unghie laccate lunghissime e coloratissime) nel lontano 1988: 10 secondi e 49. Il limite personale di Marion e' invece di 10 e 65, secondo tempo mondiale: sedici centesimi di secondo in piu' che per noi gente normale sono impercettibili, ma che nell'atletica moderna rappresentano un'eternita'.

Pero' e' proprio questa eccessiva distanza fra la Griffith e tutte le altre atlete del mondo a gettare, passati ormai quattordici anni, una pesante ombra sulla validita' di quella performance. Ottenuta, guarda caso, nello stesso periodo in cui anche un altro campione apparentemente spopolava: Ben Johnson, il quale proprio nell'88 venne squalificato per doping. La Griffith non e' mai stata trovata positiva, ma se e' ricorsa a qualche "aiutino" chimico lo ha pagato molto caro: e' infatti morta improvvisamente nel '98 a soli 38 anni per cause misteriose (probabilmente un attacco di cuore).

Quanto a Tim Montgomery, il suo carniere olimpico e' assai scarso rispetto a quello della neofidanzata: medaglia d'oro a Sidney nel 2000, ma soltanto per aver gareggiato nelle qualificazioni con la staffetta statunitense 4x100. E ai campionati mondiali di Edmonton in Canada, l'anno scorso, e' stato superato per soli tre centesimi di secondo dal suo acerrimo rivale Greene.

La svolta e' arrivata quest'anno, quando Tim ha vinto per ben sette volte nelle 14 gare disputate sui cento, battendo tre volte Greene. Ma ci sarebbe riuscito senza Marion, diventata ormai il suo inseparabile angelo custode, la donna a cui lui si rivolge per ogni cosa, dai consigli all'equipaggiamento? "Le ho domandato cosa dovessi cambiare in me per poter migliorare e vincere", racconta, "e lei mi ha risposto che dovevo semplicemente concentrarmi su me stesso: 'Lavora su quello che hai, tutti conoscono le tue doti e sanno che sei pronto. Non hai bisogno di dire tu a loro che sei pronto. Smettila di pensare a Greene, non leggere piu' su Internet i commenti sulla vostra rivalita', non dare piu' interviste'"

Puo' sembrare filosofia spicciola per galvanizzarsi, ma con Tim ha funzionato. Lui stesso, onestamente, riconosce che Greene gli e' superiore sotto vari aspetti: "E' molto piu' completo di me". Inoltre, non lo si puo' neppure definire tecnicamente "l'uomo piu' veloce del mondo". Questo titolo infatti appartiene a Michael Johnson, che il primo agosto 1996 stabili' il primato mondiale dei 200 metri correndo a 37,2 chilometri all'ora, contro i 36,8 toccati da Tim. Ma tutti gli altri atleti non hanno una campionessa da abbracciare e da amare dopo aver tagliato la linea del traguardo, e con la quale allenarsi giorno per giorno.

"Simuliamo partenze assieme, facciamo mille esercizi addominali ogni mattina, siamo in pista anche alla domenica. E' come avere la mia ombra accanto a me. Prima di conoscerla mi allenavo soltanto tre giorni alla settimana. Marion invece era gia' ricchissima, ma si allenava con la stessa grinta di una diseredata", racconta Tim.

E cosi', per la prima volta dopo tanti anni la luce della ribalta e' passata da lei a lui. "Marion ha gia' vissuto cio' che sto vivendo io, il successo. Quindi mi insegna molte cose, rendendole piu' facili per me". Sara' piu' facile anche vivere, grazie ai loro guadagni: nella memorabile serata di Parigi, per esempio, Marion ha incassato 150mila dollari eTim 250mila (il record del mondo da solo ne vale centomila).

Entrambi non sono dei novellini, in amore. Lui ha avuto un figlio, Jamieson, da una relazione fugace tre anni fa, e sostiene di non sapere neppure dove sia finita ora la madre. Lei ha dovuto difendere il suo ex marito, il lanciatore del peso C.J.Hunter, dall'accusa di doping (al nandrolone) che lo ha tenuto fuori dalle Olimpiadi di Sidney.

Ora, assieme, sono le due stelle gemelle che brillano sulla piu' prestigiosa corsa dell'atletica: quei cento metri che per gli uomini da quasi 35 anni, cioe' dalle olimpiadi del Messico nel '68, hanno perso il fascino del superamento della soglia proibita. Il limite dei dieci secondi, infatti, venne infranto da Jim Hines, e dopo lui da tanti altri, fra i quali impostori come Ben Johnson e insopportabili isterici come Carl Lewis. Ma per la prima volta nella storia e' la forza dell'amore a far volare un campione.
Mauro Suttora

Monday, September 30, 2002

Trump licenzia la sua miss Universo

MISS UNIVERSO: TRUMP LA LICENZIA PERCHE' È TROPPO PIGRA

da New York Mauro Suttora

Oggi, 30 settembre 2002

I turisti che affollavano come sempre la hall della Trump Tower, sulla Quinta avenue di Manhattan, non credevano ai propri occhi. Era improvvisamente arrivato il miliardario Donald Trump in persona, e circondato da fotografi e telecamere stava incoronando con le sue mani la nuova Miss Universo. 

Ma come? La cerimonia non era già avvenuta quattro mesi fa, in mondovisione da Portorico con 600 milioni di spettatori in 176 Paesi, e non era stata eletta per la prima volta nella storia una reginetta russa, la bellissima Oxana Fedorova, 24enne ex poliziotta dagli occhi verdi e i capelli corvini?

Certo, ma la ragazza è stata licenziata in quattro e quattr'otto, come si usa da queste parti. Altro che articolo 18. Il motivo? Era troppo pigra. "Non faceva fronte ai suoi doveri", ha sentenziato Trump, proprietario del concorso. Il quale, evidentemente, non ha una gran fortuna con le donne dell'Est: prima ha dovuto coprire d'oro l'ex moglie boema Ivana per divorziare, e adesso è incappato nella Miss accidiosa.

Ma quali impegni ha mancato la povera Oxana? "Quasi tutti", accusa invelenita la direttrice della mastodontica organizzazione Miss Universe© (con tanto di marchio del copyright) presieduta da Trump, Paula Shugart: "Dopo l'elezione in maggio ha fatto qualche viaggio, si è palesata nel lussuoso appartamento di New York che viene dato alla Miss in carica, ma poi si e' resa latitante per quasi tutta l'estate".

Quello di Miss Universo è in realtà un lavoro stressante. Tutto il tempo in giro per il mondo come trottole, a presenziare eventi e cerimonie di cui non si sa nulla, anche perche' dopo un po' i continui cambiamenti di fuso orario ottundono le capacita' cognitive. Perfino sorridere, posare per fotografi e leggere venti righe di discorsi preparati, insomma, puo' rivelarsi intollerabilmente faticoso.

"Nessuno mi aveva avvertito che il mio impegno avrebbe dovuto essere totale e continuo”, si lamenta la povera Oxana detronizzata. E fra la folla che assiste alla incoronazione della nuova miss Universo (Justine Pasek, 22 anni, miss Panama) c'è Melania Knauss, l'ultima fiamma di Donald: anche lei dell'Est, slovena.
Mauro Suttora

Thursday, September 26, 2002

Angelina Jolie, nuova beniamina Usa

ANGELINA JOLIE

dal corrispondente a New York Mauro Suttora

Oggi, 26 settembre 2002

La sua vita è un uragano. Ha rotto con il primo marito, il secondo lo ha lasciato dopo poche settimane di matrimonio, il padre lo odia a tal punto che lei è andata in tribunale ottenendo di non portare più il suo cognome. E anche suo figlio la scorsa settimana è finito in ospedale, per ragioni misteriose. 

Angelina Jolie a soli 27 anni sembra già votata a un destino di "bella e maledetta", che ha rovinato la vita a decine di star hollywoodiane prima di lei. È una donna stupenda, dai lineamenti quasi extraterrestri che le donano una bellezza aggressiva ed esotica. I suoi occhi hanno un colore indefinito, fra il verde e il blu. 

L'hanno giudicata più attraente di Sandra Bullock, Liz Hurley, Catherine Zeta-Jones: tutte concorrenti superate ai provini per conquistare la parte di Lara Croft, l'eroina dei videogiochi che nel film Tomb Raider quest'anno ha sbancato i botteghini di tutto il mondo. Ed è soltanto il primo di una serie: il secondo episodio viene girato proprio in queste settimane. Ma non in Cina - dov'è ambientato - perché il governo di Pechino ha rifiutato alla troupe il permesso di entrare.

Angelina è diventata in pochissimi anni una delle attrici più contese degli Stati Uniti. È figlia di Jon Voight, 63 anni, leggenda del cinema americano, l'Uomo da marciapiede che si rivelò al pubblico nel 1969 con Dustin Hoffman, e che dieci anni dopo recitò una delle scene più erotiche di tutti i tempi, impersonando il veterano del Vietnam paraplegico amante di Jane Fonda in Tornando a casa (premio Oscar per entrambi). E poi protagonista, fra gli altri, di Un tranquillo week-end di paura, A 30 secondi dalla fine, Mission: impossible (con Tom Cruise).

Nel '74 Voight s'innamora dell'attrice francese Marcheline Bertrand, e il 4 giugno '75 nasce a Los Angeles Angelina Jolie Voight (il secondo nome, "bella" in francese, ha mantenuto le promesse). Dopo soli due anni i genitori si separano e la mamma la porta con sé a New York. Ma il papà non si scorda di lei e la fa debuttare a soli sette anni con una particina in Cercando di uscire, film scritto, prodotto, recitato da lui e diretto da Hal Ashby, il regista di Tornando a casa

Nell'86 la bambina a soli 11 anni va già a scuola di recitazione nel celebre Actor's Studio di Lee Strasberg, anche se la sua aspirazione è diventare "direttrice di pompe funebri". Ma sboccia in lei la bellezza, e diventa modella. Appare in vari video musicali ("Anybody Seen My Babe" dei Rolling Stones, Lenny Kravitz, Meat Loaf, Lemonheads), e ri-debutta diciottenne in Cyborg 2.

Angelina non vuole passare per raccomandata, così elimina il cognome del padre sostituendolo con il secondo nome di battesimo. Un primo successo arriva con Hackers, nel '95. Sul set conosce John Lee Miller, attore inglese reduce da Transpotting, e lo sposa. Il matrimonio fa scalpore perché lei indossa un abito di pelle nera e una camicia bianca su cui ha scritto col proprio sangue il nome del marito. 
Angelina è infatti un'appassionata di coltelli, colleziona pugnali, e porta sul corpo una serie di cicatrici, frutto dei tagli che si è autoinflitta in gioventù. L'attrice ha anche la passione dei tatuaggi (ne esibisce ben nove), e ama le storie dell'orrore nonché tutto quanto è macabro.

Due film per la Tv le regalano la notorietà negli Stati Uniti: Gia del 1997 e George Wallace l'anno dopo, al fianco di Gary Sinise. In Europa Angelina Jolie viene notata in Gli scherzi del cuore, film del 1998 in cui recita con Sean Connery e Gena Rowlands. Ma l'esplosione arriva nel 1999, quando vince l'Oscar come miglior attrice non protagonista per il ruolo della psicopatica Lisa in Ragazze interrotte, con Winona Ryder, e poi interpreta la  poliziotta accanto a Denzel Washington ne Il collezionista di ossa.

In 60 seconds recita al fianco di Nicolas Cage. Infine, nel 2001, Lara Croft: Tomb Raider, traslazione del famoso videogioco sul grande schermo: fra gli attori c'è anche papà Jon Voight, nei panni di Lord Croft, il padre dell'eroina virtuale.

Fisico stratosferico, labbra pronunciate, gambe perfette, caratterino impossibile: Angelina e Lara sembrano quasi la stessa persona, con la differenza che il personaggio del film è appassionato di archeologia, mentre Angelina sembra meno seria: ama gli eccessi, le dichiarazioni a effetto, i simboli di morte e le scienze occulte. Nel '99 recita in Pushing Tin con John Cusack e Billy Bob Thornton, e quest'ultimo prende il posto del marito nel suo cuore, nonostante (o forse proprio per questo) abbia vent'anni più di lei e ben quattro matrimoni falliti alle spalle.

I due si sposano, comprano una villa da otto miliardi a Beverly Hills, vanno in Cambogia, trovano un orfanello e lo adottano. Thornton ha avuto una parte secondaria in Proposta Indecente (con Demi Moore e Robert Redford, 1993), e quest'anno ha raggiunto il successo pure lui recitando (accanto alla premio Oscar Halle Berry) in The Monster's Ball e poi ne L'uomo che non c'era dei fratelli Coen. 

Ma nel giro di pochi mesi anche con Billy Bob è già tutto finito: Angelina ha trascorso l'estate 2002 lavorando in giro per il mondo col figlio di 13 mesi appresso senza mai tornare a Los Angeles, lui si è trasferito al Sunset Marquis Hotel e si è prontamente consolato prima con l'attrice 23enne Danielle Dotzenrod, poi con la cantante country Deana Carter. Qualche giorno fa Angelina ha mandato una ditta di traslochi a ritirare tutte le sue cose dalla magione.

Ma la mossa che ha impressionato di più l'America, della quale nonostante tutte le sregolatezze rimane una beniamina, è stata la puntata che ha compiuto al tribunale di Santa Monica per liberarsi definitivamente del cognome del padre, dopo due anni di continui litigi: "Non voglio più avere nulla a che fare con lui, non mi fa bene averlo attorno", ha spiegato. Voight si è vendicato andando in televisione a denunciare: "Mia figlia ha seri problemi mentali, ha bisogno d'aiuto".

Insomma, Angelina è  uno di quei personaggi turbolenti coi quali da sempre si scrive la storia di Hollywood. Insofferente nei confronti dell'autorità, è capace di improvvisi slanci generosi: come qua
Mauro Suttora

Sunday, September 08, 2002

Peter Gabriel ad Arzachena

concerto anteprima del nuovo disco "Up"

Peter Gabriel suona in Sardegna alla festa patronale

Il concerto ad Arzachena prima del tour mondiale, tra il pubblico Eric Clapton. La voce si è sparsa rapidamente e nella piazza c' era una grande folla. Il 16 e il 18 sarà a Milano prima del lancio del nuovo album «Up»

Corriere della Sera, 8 settembre 2002

di Mauro Suttora

ARZACHENA (Sassari) - Grazie a Peter Gabriel, Arzachena è diventata per una notte il centro della musica mondiale. Il cinquantaduenne musicista inglese, voce dei Genesis fino al 1975 e poi inventore della musica «world», ha infatti scelto il capoluogo della Costa Smeralda per il debutto del suo nuovo, attesissimo tour planetario.

Una specie di «prova aperta» dopo un mese di segretissime session nella palestra di Abbiadori, a due passi da Porto Cervo. Per ringraziare il sindaco Piero Filigheddu dell' ospitalità, Gabriel prima di lasciare la sua villa sarda ha deciso di beneficiare locali e turisti con un concerto a sorpresa, non pubblicizzato nel timore che nella piazza del paese arrivasse troppa gente.

Arzachena si è riempita ugualmente, anche perché ieri si festeggiavano i tre patroni della cittadina: Santa Maria, Sant' Antonio e Sant' Isidoro. «Doveva venire a suonare Raf, ma all' ultimo momento ha dato forfait. Meglio così, ci abbiamo sicuramente guadagnato», è stato il sarcastico commento di un ragazzo del posto in attesa dell' esibizione dell'ex Genesis.

Comunque la voce si è sparsa ugualmente e in giornata frotte di giornalisti musicali da tutta Europa si sono precipitati in aereo a Olbia per l' evento. E' arrivato perfino Eric Clapton, che ne ha approfittato per prendere un po' di sole nella spiaggia di Cala di Volpe. Il concerto è stato un' anteprima del nuovo disco di Gabriel, «Up», che arriva a ben dieci anni di distanza dal suo ultimo in studio, «Us».

Si è trattato dell' album con la gestazione più lunga nella storia del rock. «Uscirà a settembre, ma non so in quale anno», scherzava Gabriel due anni fa. Ora la data è decisa: 21 settembre. Il pezzo forte è una canzone dal titolo «The Barry Williams Show», il cui video è stato diretto da Sean Penn, e che esce domani nei negozi di tutto il mondo come singolo. Peter Gabriel cura maniacalmente la qualità dei suoi video: non per niente «Sledgehammer» ha vinto la classifica della rivista Rolling Stone come migliore video di tutti i tempi.

Gli altri pezzi più orecchiabili sono stati «Growing Up», «Darkness», «Sky Blue», «No Way Out». La band ha esibito un suono compatto, con la figlia di Peter Gabriel, Melanie, ai cori, Tony Levin al basso, David Rhodes e Richard Evans alle chitarre, Gad Lynch alla batteria e Rachel Z. alle tastiere.

Accontentati i fans che speravano anche in qualche recupero dal passato: Gabriel ha aperto il concerto con «Solsbury Hill», l' hit del suo primo album da solista del ' 77 dopo il sodalizio con i Genesis. L' artista inglese non ha voluto confermare la voce secondo la quale in uno dei due concerti previsti a Milano il 16 e 18 settembre, oppure a Parigi il 21, farebbe una comparsata il suo vecchio collega Phil Collins.
Dopo questo omaggio alla sua Sardegna, Gabriel è partito per Londra assieme alla moglie irlandese Meah Flynn, sposata il 9 giugno scorso, sempre ad Arzachena.

Mauro Suttora

Wednesday, July 24, 2002

Mario Cipollini

L' ultimo ruggito di Re Leone: me ne vado e vi lascio tutti nudi

Il campione minaccia il ritiro per protesta contro il disinteresse verso il mondo delle "2 ruote"

"Perche' neanche una lira dei 300 miliardi di diritti televisivi per Giro, Tour e Vuelta va alle nostre squadre?", chiede polemico il velocista. "Nonostante il disastro dei Mondiali i calciatori guadagnano dieci volte piu' dei ciclisti". Dopo 300 vittorie e una stagione trionfale il campione mirava al titolo iridato, ma ora e' indeciso se continuare

Oggi, 24 luglio 2002

di Mauro Suttora

Qui lo vedete nudo, in una foto che ha accettato di fare per il mensile Fit for fun. Ma cinque anni fa si era vestito con uno smoking bianco per salire sul podio del Giro a Milano, e ogni volta che vince è sempre una sorpresa.

Un po’ come Valentino Rossi nelle moto, non si sa mai cosa inventerà il più creativo fra i campioni del ciclismo italiano: Mario Cipollini, 35 anni, da Lucca, altissimo (uno e novanta), magrissimo (peso forma 76 chili), potentissimo: è il professionista in attività che ha vinto più di tutti, nella sua carriera ha trionfato in 300 volate e per dieci anni su tredici, a fine stagione, è stato l’italiano più vincente.

Insomma, uno così sarebbe un peccato perderlo, anche perché il nostro ciclismo dopo i guai col doping di Marco Pantani non se la passa granché bene. E invece lui minaccia di lasciare, «perché gli sponsor pensano solo al calcio, e anche dopo la brutta figura della nazionale ai Mondiali i giornali continuano a scrivere solo di calcio e i pubblicitari a far fare spot solo ai calciatori».

Ha ragione, Cipollini. Per esempio, che rivoluzione sarebbe scoppiata in Italia se in in un qualsiasi altro sport la Francia avesse impedito al nostro maggiore campione di gareggiare? Invece è proprio quel che è successo all’estroso toscano, al quale è stato vietato di iscriversi al Tour de France.

I francesi lo temono: superMario da loro è famosissimo, ha vinto dodici tappe al Tour e nel ‘99 addirittura quattro consecutive. Quest’anno, poi, Cipollini è in gran forma. Ha vinto ben sei volte al Giro d’Italia (e ormai è a quota 40, solo una tappa in meno del record di Alfredo Binda, ottenuto però in un’altra epoca, in cui uno come Binda riusciva ad aggiudicarsi quasi tutte le tappe di un Giro), ma soprattutto ha compiuto un’impresa che in passato era riuscita soltanto al grande Eddy Merckx: vincere nello stesso anno due classiche come la Milano-Sanremo e la Gand-Wevelgem.

La storica accoppiata di Merckx avvenne quando l’asso belga era agli inizi della carriera: nel 1967, guarda caso lo stesso anno in cui Cipollini nacque.

Ora superMario è a fine carriera, ma certo non in declino: «Se avessi annunciato il mio ritiro da non vincente, sarebbe stata routine», ci spiega lui al telefono mentre torna nella sua casa toscana da Roma, il giorno dopo aver sfilato per lo stilista Cavalli a piazza di Spagna, «ma io voglio protestare per il sistema sbagliato che governa il ciclismo. Non è possibile, infatti, che su 300 miliardi di diritti televisivi ai gruppi sportivi non arrivi neppure una lira. Il problema non riguarda me, io sono soddisfatto dei miei compensi, ma non è giusto che un mio compagno di squadra, che fa la stessa fatica che faccio io, guadagni 50 milioni lordi all’anno. Che professionismo è? In tutti gli sport, dal calcio alla Formula Uno, dal tennis al basket, quest’ingiustizia non accade. Oggi sono solo gli sponsor a pagare per l’attività delle squadre, e in cambio si devono accontentare solo del ritorno d’immagine, come se i diritti tv di Giro, Tour o Vuelta spagnola non esistessero. Per questo c’è crisi, ed è difficile trovare sponsor».

Cipollini in questo momento ha il coltello dalla parte del manico. Sa che tutto il mondo del ciclismo italiano è lì col fiato sospeso ad aspettare la sua decisione: lascia, non lascia?

Il motivo è semplice: il 13 ottobre in Belgio si correrà il campionato del mondo, e il circuito sembra stato scelto apposta per far vincere lui, il nostro Re Leone. Pianeggiante abbastanza per impedire fughe e portarlo fresco alla volata, dove lui piazzerebbe la sua zampata irresistibile.

Lui intanto se la gode, come sempre. È andato in Costa Smeralda dove ha partecipato a tutte le feste, compresa l’inaugurazione del Billionaire del suo amico Flavio Briatore. C’è chi dice ci possa essere lo zampino di Briatore se nelle prossime settimane avverrà il colpo di scena: e cioè che la Renault scenderà in pista come sponsor di peso per aiutare la squadra di Cipollini, l‘Acqua & Sapone e Cantina Tollo di Civitanova Marche.

Probabilmente è proprio la vita dei vip a Porto Cervo ad avere amareggiato superMario, a tu per tu con i campioni del calcio e le divette televisive. Può essere umiliante, infatti, il confronto con ragazzi ventenni che guadagnano dieci volte più del massimo campione del secondo o terzo sport più popolare d’Italia (tale è infatti il ciclismo, superato solo dal calcio e, forse, dalla Formula Uno). E anche durante la sfilata di moda a Roma neanche un accenno, da parte della presentatrice Cristina Parodi, alla sua presenza come modello di lusso.

Nel mondo del ciclismo la protesta di Cipollini non è stata accolta solo da applausi: «Complimenti», ha per esempio commentato velenosamente Il Giorno, «il suo ritiro a scadenza gli sta dando una ribalta che nemmeno il Tour gli avrebbe concesso. Una volta doveva fare la fatica di correre la prima settimana in Francia per poi andare in spiaggia, adesso riesce a far parlare di sè semplicemente stando sotto l’ombrellone».

Ma che ci può fare, il re Leone, se lui è nato velocista e non scalatore? I campioni delle volate danno sempre l’impressione di fare meno fatica dei «grimpeurs» che sudano e scappano sui tornanti, sembra che arrivino al traguardo con la pappa fatta dai gregari, e che il loro scatto finale sia un lusso indecente.

Ma lo sforzo di quegli ultimi chilometri allo spasimo prima dei traguardi, chi li misura? Sarebbe come dire che in atletica un centometrista vale meno di un fondista. E invece esattamente trent’anni fa, nel '72, un altro velocista misconosciuto, Marino Basso, regalò il Mondiale all’Italia infilzando Merckx negli ultimi metri. Proprio come si spera faccia in settembre il Re Leone.

Mauro Suttora

Wednesday, June 26, 2002

La legge Bossi Fini sugli immigrati

NON CI UMILIANO LE IMPRONTE DIGITALI, MA LE CODE DI ORE

di Mauro Suttora

Milano, 26 giugno 2002

Dopo tutte le polemiche suscitate dalla nuova legge sull’immigrazione Bossi-Fini (già approvata dalla Camera, dovrebbe avere il sì del Senato entro la fine del mese) abbiamo chiesto l’opinione ad alcuni immigrati extracomunitari. E abbiamo scoperto con sorpresa che il principale punto di dissenso fra destra e sinistra, cioè le impronte digitali che d’ora in poi dovranno essere prese a tutti gli extracomunitari che vogliono risiedere in Italia (compresi statunitensi o svizzeri), non disturbano in realtà nessuno. Anche perché nei Paesi d’origine è normale che figurino sui documenti d’identità.

È la burocrazia italiana, invece, il principale nemico degli immigrati. Fastidi enormi sorgono anche per problemi minimi: «Io dovevo solo far annotare sul mio permesso di soggiorno il nuovo numero di passaporto, perché il vecchio era scaduto», racconta Fatiha Benkirane, 40 anni, portinaia marocchina a Milano. «Sono andata in questura alle nove di mattina, c’era una coda lunghissima. Mi hanno detto di tornare il giorno dopo. Ma l’indomani alle sette c’era già la fila. Così è dovuto venire mio marito alle tre di notte, e ha dovuto aspettare fino alle dieci». 

«In questura trattano come delinquenti anche noi immigrati regolari», spiega il marito Alì, 40 anni, laureato in legge a Casablanca, che lavora nelle celle frigorifere del mercato del pesce, a meno 15 gradi. «E non importa che io sia in Italia da tredici anni, abbia sempre lavorato, pagato le tasse, il bollo dell’auto e non abbia mai avuto il minimo problema con la giustizia».

«Fa bene la nuova legge a permettere di consegnare i documenti anche in Posta, così si eviteranno gli affollamenti. Io nel ’96 ho dovuto stare in coda tutta la notte», conferma Maria Elena Garaj, 35 anni, laureata e professoressa di scuola media in Perù, in Italia dal ’96, «badante» di una signora di 97 anni e dirigente dell’organizzazione Acli-Colf. La sua amica Maria Samora, salvadoregna: «Non mi sento umiliata dalle impronte digitali, ma dalle attese infinite per prenotare anche una semplice visita medica».

E Daniel Di Virgilio, 38 anni, infermiere all’ospedale San Raffaele di Milano: «Ho aspettato un anno per il riconoscimento dei miei titoli di studio in Argentina. Eppure c’è carenza di infermieri, qui offrono 1300-1500 euro agli appena assunti con alloggio in residence a soli 200 euro mensili. Ma solo stranieri e meridionali accettano, anche perché bisogna lavorare a turno di domenica e di notte». 

«Si parla tanto delle impronte digitali, ma non capisco cosa ci sia di male», dice Sckalcim, albanese di 33 anni che lavora nei campi a Conversano (Bari). «Se uno viene in Italia per lavorare che problema ha a lasciare le impronte? Chi non vuole farlo è perché magari ha la coscienza sporca, o forse pensa di voler andare a rubare».

Tutti gli immigrati sono passati attraverso un periodo più o meno lungo di irregolarità. «Noi siamo stati fortunati», spiegano i coniugi Benkirane, «perché nel ’90, poco dopo il nostro arrivo, c’è stata la sanatoria della legge Martelli».

 La legge Turco-Napolitano è servita invece a sanare la situazione di Maria Elena, che arrivata in Italia con visto turistico di tre mesi ha trovato lavoro dopo due settimane, ma è rimasta senza permesso per un anno: «Non avevo paura di essere espulsa come clandestina, perché se ci si comporta bene non ti fermano solo per un controllo. Però cercavo di essere prudente». Dell’ultima sanatoria, quella del ‘98, ha usufruito Maria Samora. 

Di Virgilio mette in luce una contraddizione della legge: «Non si può assumere chi non ha il permesso di soggiorno, ma per ottenerlo bisogna lavorare: è un circolo vizioso assurdo». Quanto all’albanese Sckalcim, «sono sbarcato in canotto dalle parti di Lecce, poi ho raggiunto la stazione più vicina a piedi e da lì ho preso un treno per la Sicilia, dove sono andato per raccogliere l’uva».

I coniugi Benkirane sono arrivati dal Marocco nell’89 e hanno lavorato a Genova, Piacenza e Milano. Alì ha fatto il custode in un circolo di golf, ma gli davano un milione e 700mila lire al mese, mentre un italiano che faceva il suo stesso lavoro prendeva tre milioni. «Però in Italia non c’è razzismo», dice, «contrariamente a Francia e Spagna. In Francia si sta meglio perché gli immigrati possono avere facilmente case popolari e un sussidio come tutti in caso di disoccupazione, ma ci sono episodi di intolleranza. Noi in Italia invece ci troviamo bene, e non vogliamo tornare in Marocco. Anche perché ormai nostra figlia Rim ha sei anni, le piace molto la scuola materna italiana, e da settembre andrà in prima elementare».

«Mi piacerebbe poter tornare in Perù, ma è impossibile», dice la badante Maria Elena, «perché il mio stipendio da professoressa era di 200 euro al mese. Ho cercato di emigrare negli Stati Uniti prima di venire in Italia, ma non ci sono riuscita perché lì le regole per entrare sono molto più severe». Anche l’infermiere Di Virgilio si è ormai stabilito in Italia: ha sposato un’infermiera colombiana e ha due figli, uno di due anni e l’altro di otto mesi.

La legge Bossi-Fini è più dura con i clandestini. Che ne pensate? 
«Per noi marocchini il problema è entrare in Spagna», spiega Alì. «Da lì, poi, si può circolare abbastanza tranquillamente per tutta Europa. Non è difficile corrompere le guardie di frontiera, pagando una tangente. O nascondersi su camion e corriere. Comunque, se i clandestini commettono reati bisogna prenderli e mandarli via».
Ma spesso gli irregolari nascondono la loro identità e il Paese d’origine. 
«Allora che la polizia italiana mi assuma come consulente», scherza Alì, «bastano tre parole in arabo per capire dall’accento se uno viene dall’Egitto, dal Marocco o dalla Tunisia...» 
«Sono d’accordo con le pene più severe per i clandestini», dice Maria Elena.

È tutto sommato buona questa nuova legge per l’albanese Sckalcim, per i suoi conterranei Cim ma italianizzatosi in Gino, come ormai lo chiamano tutti. Gino porta sul suo volto i segni di un passato difficile, che lui ormai considera alle spalle anche se, attualmente, ogni giorno la sua vita è scandita da ben 13-15 ore di lavoro. 

«Dopo aver finito la scuola, nel 1989 sono andato a fare il servizio militare», racconta Gino. «Poi con la caduta del comunismo non c’era lavoro e in casa eravamo otto fratelli, così bisognava darsi da fare. Allora sono riuscito ad attraversare la frontiera e ad andare a lavorare, come clandestino, nei campi della Grecia. Non si guadagnava molto, ma era l’unica cosa che potevo fare. Dopo cinque anni, mio cognato che stava in Italia mi disse di venire qui, che si sta meglio. A Tirana contattai le persone che mi hanno fatto attraversare l’Adriatico, e sono arrivato. All’inizio ho lavorato per la vendemmia in Sicilia tutto il giorno. Di notte dormivamo in una casetta in campagna».

Finita la raccolta dell’uva Sckalcim doveva trovare un nuovo lavoro. Sempre il cognato gli suggerì di andare nel foggiano per raccogliere pomodori. «Feci tutta la stagione», racconta Sckalcim, «prima piantavamo i pomodori, poi li curavamo e infine li raccoglievamo, sempre nella clandestinità, dormendo nei campi». Quando anche la stagione dei pomodori finì Gino dovette cercarsi altro. Così chiamò un vecchio amico che viveva a Conversano, il quale gli consigliò di raggiungerlo. 

Lì ha trovato la sua piccola America. «È vero. Il posto è davvero accogliente. Il mio amico mi ha fatto conoscere un proprietario terriero che dopo un po’ di lavoro in nero ha deciso di regolarizzarmi, fornendomi un contratto e aiutandomi a preparare i documenti per il permesso di soggiorno. Nel frattempo sono riuscito a trovare anche una stanza in affitto da un italiano che si è fidato, chiedendomi solo di non fare troppo chiasso. Quando ho avuto i documenti in regola sono tornato in Albania e ho sposato la mia fidanzata, siamo stati insieme una settimana e poi sono tornato in Italia dove ho subito iniziato a preparare i documenti per far venire in Italia anche mia moglie. Ci sono riuscito un anno fa. Appena è arrivata qui abbiamo preso in affitto una casa tutta per noi, sono 85 metri quadri e ci troviamo bene. Così abbiamo deciso di fare un figlio e da tre mesi abbiamo una bambina. Viviamo felici, anche se il lavoro è molto duro».

Cosa pensi della nuova legge per l’immigrazione? 
«Da quel che ho sentito mi sembra buona». 
E sul fatto che per avere il permesso di soggiorno serve il contratto di lavoro?
«È giusto. Se non hai il lavoro, cosa vieni a fare? Certo, il fatto che se lo perdi ti cacciano via non è bello, ma se ti danno un po’ di tempo per cercarne un altro allora va bene». 
Toglieranno anche lo sponsor, la persona che garantisce con vitto e alloggio per l’immigrato.
«Penso che anche questo sia giusto, perché un conto è avere il lavoro, un altro è avere tutte queste cose, che sembrano buone ma che in realtà non ti permettono di cambiare datore di lavoro. Così chi te le offre alla fine ti sfrutta ancora di più». 
Insomma, forse ha ragione l’ex ministro Claudio Martelli, autore della prima regolamentazione dell’immigrazione dodici anni fa: «Il problema non sono più le leggi, ma la loro applicazione pratica giorno per giorno».
Mauro Suttora

Thursday, June 20, 2002

A.A.A. Costa Smeralda vendesi

Il paradiso fa gola ai miliardari. Un magnate statunitense, Tom Barrack, è in corsa per aggiudicarsi i gioielli dell'Aga Khan,che aveva già passato la mano a una catena americana.
Ecco come il regno del jet set si prepara a un'altra estate da record: dopo l'11 settembre, infatti, i ricchi e famosi preferiscono nascondersi qui, nei loro rifugi dorati.

di Mauro Suttora

Oggi, 20 giugno 2002

 

















































































Wednesday, June 19, 2002

Manovre sulla Costa Smeralda

dal nostro inviato Mauro Suttora

settimanale Oggi

Porto Cervo (Sassari), 19 giugno 2002

Sarà un’estate da record. Dopo l’11 settembre, i ricchi europei e quelli americani non hanno molta voglia di avventurarsi in Paesi esotici o islamici. Quindi ripiegheranno sulle mete classiche del jet set mediterraneo: Marbella, Costa Azzurra e Costa Smeralda. Così la Sardegna supererà ancora una volta le presenze record raggiunte l’anno scorso, grazie al suo mare impareggiabile. E Porto Cervo e Porto Rotondo ridiventeranno caput mundi: da Naomi Campbell allo yacht di Valentino, da quelli degli sceicchi alla nave rompighiaccio di Carlo De Benedetti e alle ville di Silvio Berlusconi.

Le quotazioni sono già al rialzo: «Ville che nel 2001 abbiamo affittato per 30 milioni di vecchie lire in agosto, quest’anno sono andate via per 50 in luglio», rivela un agente immobiliare di Olbia. E per i ricchi & famosi è pronto anche il nuovo aeroporto Costa Smeralda, ingrandito e impreziosito, che il frenetico andirivieni di velivoli privati trasforma in agosto nel terzo scalo d’Italia. Anche gli alberghi cinque stelle lusso, i mitici Cala di Volpe e Pitrizza, Cervo e Romazzino, saranno affollati, con le camere da mille euro a notte e le suites da 14 mila euro prenotate un anno per l’altro.

La crisi di Manhattan ha però colpito i padroni di questi alberghi: il gruppo statunitense Starwood, che ha chiuso il 2001 con un indebitamento di 5 milioni di dollari (su un patrimonio di 16) e un utile netto in calo del 25 per cento. Dopo la strage delle Torri Gemelle, l’occupazione media delle sue camere era scesa al 19 per cento, e il titolo era precipitato in Borsa da 40 a 18 dollari. Ora le cose vanno meglio, la quotazione è risalita, ma per la Starwood resta la necessità di alleggerirsi di qualcuno dei suoi 750 hotel sparsi nel mondo.

In prima fila, nel pacchetto in vendita, brillano i 25 gioielli ex Ciga (Compagnia italiana grandi alberghi), la catena fondata un secolo fa dal veneziano Giuseppe Volpi, poi nominato da Mussolini governatore della Libia, ministro delle Finanze e conte di Misurata. Dopo essere passata per le ambigue mani dei finanzieri Michele Sindona e Orazio Bagnasco, la Ciga aveva trovato una nuova vita grazie al principe Aga Khan. L’inventore (40 anni fa) di Porto Cervo aveva fatto disegnare i nuovi hotel dai migliori architetti: Luigi Vietti il Cervo e il Pitrizza, Jacques Couelle il Cala di Volpe, Michele Busiri Vici il Romazzino.

Per trent’anni la Costa Smeralda è rimasta il rifugio del jet set più esclusivo del mondo: cantanti come i Beatles, reali come la principessa Margaret d’Inghilterra, attrici come Florinda Bolkan, miliardari come i Guinness della birra, sceicchi come Yamani, banchieri del Nord-Europa, industriali italiani come Merloni (lavatrici Ariston) o Mentasti (acque minerali San Pellegrino).

Poi, negli Anni Novanta, la Costa si è un po’ «imbastardita»: sono arrivati calciatori, soubrettes, pin-up, arricchiti russi, Umberto Smaila, Flavio Briatore. Lo chic si è affievolito, però il glamour è rimasto intatto. Anzi, presso le grandi masse è aumentato. Ma l’Aga Khan, irritato perché la regione Sardegna gli aveva bloccato nuovi piani di costruzione, otto anni fa ha venduto tutti gli alberghi più 2.400 ettari di terreni, la Marina di Porto Cervo e il Golf del Pevero alla multinazionale statunitense Sheraton. Questa ha poi passato la mano alla Star- wood. Al principe ismailita è rimasto soltanto lo Yacht Club di Porto Cervo e l’80 per cento della compagnia aerea Meridiana, che esercita il quasi monopolio sui voli da Olbia.

Così, adesso tutto questo bendidio è di nuovo in vendita. Gli americani conserveranno soltanto la gestione in affitto ultradecennale degli alberghi. Il prezzo dell’intero pacchetto è valutato due miliardi di euro (4 mila miliardi di vecchie lire). Oltre alle proprietà sarde, ci sono dentro i 25 alberghi di lusso della catena ex Ciga, dal St. Regis di Roma ai Danieli e Gritti di Venezia, dai milanesi Principe di Savoia e Diana al fiorentino Grand Hotel. Ma il cuore più appetitoso dell’offerta sono, evidentemente, i cinquanta chilometri della Costa Smeralda.

I pretendenti sono molti. In prima fila due quasi coetanei: il miliardario libanese-americano Thomas Barrack, 53 anni, e il nostro Marco Tronchetti Provera, 54, padrone di Pirelli e Telecom, nonchè marito di Afef. Barrack è un californiano di genitori libanesi e religione cristiano-maronita. Due mesi fa è volato in Sardegna sul suo jet executive Falcon 900 e ha incontrato il presidente della Regione Mauro Pili, di Forza Italia. Finora le autorità regionali hanno proibito di costruire nell’ultima parte intatta della Costa Smeralda, la zona sud, fra Portisco e Cala di Volpe: quel Master Plan che, a seconda dei punti di vista, «valorizzerebbe» o «coprirebbe di cemento» l’area ancora vergine di Razza di Juncu. Il progetto prevede cinque nuovi hotel di lusso, due campi da golf e trenta ville. Barrack vorrebbe aggiungerci addirittura un autodromo e un ippodromo.

I piani degli speculatori si sono finora infranti davanti alla legge regionale che impedisce di costruire a meno di trecento metri dalla spiaggia: solo grazie a questo vincolo le coste della Sardegna si sono parzialmente salvate. Ma è anche vero che fino a oggi la Costa Smeralda, grazie al buongusto dell’Aga Khan, non è stata sfregiata da obbrobri urbanistici come nelle vicine Palau, Cugnana o Poltu Quatu: i miliardari possono anche permettersi di non eccedere in cubature, e di circondare le proprie ville di verde.

Nella speranza di vederlo approvato, la Starwood ha già ridimensionato il Master Plan: i metri cubi sono diminuiti da 2,5 a 1,7 milioni, e gli alberghi ne rappresentano ora il 40 per cento invece dell’originario 20 per cento. Le autorità sarde, infatti, vedono con più favore gli alberghi rispetto alle seconde case e ai residence, perché con i primi si crea più occupazione. Ma finora l’OK non è arrivato, e quindi il valore di quesi 2.400 ettari è assai incerto: quasi zero se l’area rimane inedificabile, platino se arrivano le ruspe.

L’americano Barrack ha un patrimonio personale di otto miliardi di dollari, con catene di alberghi e casinò in Canada, Stati Uniti e Francia. Cinque anni fa aveva comprato per quattro miliardi e mezzo di lire un terreno di 32 ettari a Porto Rotondo, per costruirci due hotel lusso e un golf. Ma il vicino di casa si chiama Silvio Berlusconi, e l’idea di un’invasione di turisti e golfisti lo ha fatto orripilare. Così il premier, qualche mese fa, ha sborsato sei miliardi a Barrack per quel terreno.

Se i buoni rapporti con Berlusconi favoriscono lo statunitense Barrack, gli altri pretendenti alla Costa Smeralda non sono da meno. Tronchetti Provera, infatti, è diventato negli ultimi anni anche un grosso proprietario immobiliare, e proprio in questi giorni sta quotando in Borsa la sua società Pirelli Real Estate, che possiede, fra gli altri, i prestigiosi palazzi del Corriere della Sera in via Solferino e della Rizzoli a Milano (dove c’è la redazione di Oggi). In Sardegna la Pirelli ha già comprato da Paolo Berlusconi la Costa Turchese, progetto di villaggio a sud di Olbia. Tronchetti, però, non vuole lasciare completamente la gestione degli alberghi alla Starwood.

Anche se le trattative sono segrete e gli interessati non fanno trapelare alcunché, pare siano coinvolti anche Diego Della Valle (l’industriale delle scarpe Tod’s), il costruttore-editore sardo Sergio Zuncheddu (proprietario del principale quotidiano dell’isola, L’Unione Sarda), i fratelli Molinas (re dei tappi di sughero e acquirenti di altri due gioielli della Costa, gli alberghi Sporting di Porto Rotondo e Petra Bianca), i Fratini di Firenze (jeans Rifle) e il veneto Leonardo Del Vecchio (occhiali Luxottica e Rayban).

Chi riuscirà, allora, a comprarsi la Costa Smeralda, il più bel gioiello del Mediterraneo? E, soprattutto, riuscirà il compratore a costruire nuovi alberghi e case senza ridurre questo Eden a un’altra Ibiza sudata e affollata?

«In agosto qui è già adesso il caos», avverte Bruno Mentasti, uno dei pionieri della Costa, «ci sono code interminabili di auto sulle strade e di motoscafi in mare». I locali notturni, tutti concentrati nella stessa zona (Sottovento, Sopravento, Billionaire, Pepero, Peyote), bloccano il traffico fra il centro di Porto Cervo e le ville esclusive nelle aree di Romazzino, Pevero e Cala di Volpe. Gli yacht devono ormeggiarsi in terza e quarta fila nelle baie delle isole di Mortorio, Caprera e Maddalena. Quanto alle spiagge, quelle del Principe, di Liscia Ruja, Long beach e Celvia diventano un carnaio fin dalle prime ore del mattino.

Così, il paradiso rischia di trasformarsi in un inferno. Ormai i miliardari più avveduti del Nord-Europa frequentano la Costa Smeralda soltanto in giugno, luglio e settembre: via dalla pazza folla! Italiani e arabi, invece, preferiscono ancora concentrarsi nelle prime tre settimane di agosto. Ma il futuro sta in una parola complicata: «destagionalizzare». Cioè abituare i ricchi & famosi ad andare in Sardegna da aprile a ottobre, allungando la stagione da Pasqua a Ognissanti. È questa la vera scommessa, chiunque vinca la partita in corso sulla Costa Smeralda.

Mauro Suttora

Monday, June 10, 2002

Aldo Grasso commenta l'articolo su Padre Pio

Corriere della Sera, lunedì 10 giugno 2002, pag. 29

Sezione: SPETTACOLI

Padre Pio sul video sempre vincente tra sacro e profano

di Aldo Grasso

Sarà interessante un giorno capire quanto la tv abbia spinto e accelerato il processo di santificazione del popolarissimo Padre Pio e, viceversa, quanto Padre Pio abbia contribuito alla canonizzazione della tv popolare (le conclusioni non sono in alternativa).

E' un desiderio sorto da una doppia lettura, originata dalle due corpose pagine che Il Foglio di sabato 8 giugno ha dedicato al frate di Pietralcina e dallo speciale «Porta a porta», sempre dedicato al neo santo (Raiuno, sabato, ore 20.50). E' stato uno scontro mediatico. Solo sulla carta stampata è possibile porsi certe domande (come quelle suggerite da [b]Mauro Suttora[/b]) mentre, in video, funziona unicamente il principio d' autorità decretato dallo star system?
Sembrerebbe di sì, visti gli ospiti di Bruno Vespa: Albano, Valeria Marini, Alessandro Greco, Pippo Baudo, Katia Ricciarelli, Enrico Montesano, Giulio Andreotti. Ospiti che sono già un format vivente: è la loro stessa presenza a decretare l' andamento del programma e l' esito della discussione.

Un piccolo esempio per capire: d' un tratto, Andreotti scaglia una delle sue malignità su Padre Gemelli (il frate-psicologo che ha accusato Padre Pio di essere un isterico); collegato da Milano c' è Francesco Alberoni che di Padre Gemelli è stato uno degli allievi prediletti. Vogliamo fargliela una domandina? No, niente.

Certo l' abilità di Vespa sta proprio nel mescolare sapientemente il sacro e il profano: a Pietralcina manda la pia Lorena Bianchetti, in abito da discoteca, e a San Giovanni Rotondo l' inquieta Elisabetta Gardini, con aria da suorina. E' l' abilità di chi sa che la risorsa Padre Pio fa audience e che non è il caso di porsi troppi perché. A meno che, mistero, la tv generalista non sia una forma moderna di stimmate, una prova di umiliazione e di sofferenza cui siamo chiamati.

Saturday, June 08, 2002

Il miracolo economico di Padre Pio

Laica contabilità sul bene(ssere) fatto dal frate

IL FOGLIO

SABATO 8 GIUGNO 2002

di Mauro Suttora

San Giovanni Rotondo (Foggia)
ha scavalcato Fatima e Lourdes come
prima meta di pellegrinaggio europea,
e ora tallona il santuario messicano
della Signora di Guadalupe per il primato
mondiale. E’ questo, forse, il principale
miracolo compiuto da Padre
Pio, che verrà proclamato santo domenica
16 giugno. Si tratta di una progressione
impressionante. Ancora nel
1997 i visitatori del paese pugliese di 26
mila abitanti dove visse il frate con le
stimmate erano quattro milioni all’anno.
Superati in Italia dai devoti alla
Madonna di Loreto (sette milioni di visitatori
annui), a San Francesco d’Assisi
(sei milioni) e a Sant’Antonio di Padova
(cinque). Poi, grazie al trentennale
della morte di padre Pio nel 1998, alla
sua beatificazione l’anno seguente e
al giubileo del Duemila, si sono registrati
aumenti al di là di ogni previsione:
anche del 30 per cento annuo. Così
nel 2001 si è arrivati a quota otto milioni,
e per quest’anno le ragionevoli speranze
sono quelle di toccare i dieci milioni.
Insomma, Padre Pio riesce a far
muovere un sesto della popolazione
italiana: una quantità incredibile di
persone.

Il giro d’affari complessivo di questa
vera e propria industria è di 500 milioni
di euro annui (mille miliardi in lire).
Così oggi nel cielo di San Giovanni Rotondo
le gru sono più numerose delle
croci: il paese è diventato un unico,
grande cantiere. Si sta terminando il
nuovo santuario progettato da Renzo
Piano, vengono costruiti furiosamente
nuovi alberghi a decine. Tutto questo
per un luogo di culto spontaneo, che fino
alla beatificazione di tre anni fa non
era ufficialmente “consigliato” dalla
Chiesa cattolica, e per un personaggio
che non pochi, in Vaticano, hanno considerato
un impostore.

Adesso San Giovanni Rotondo ha tutto,
compreso un network televisivo privato
appositamente dedicato a Padre
Pio. Manca soltanto una cosa: l’aeroporto.
Per arrivare con l’aereo bisogna
atterrare a Bari, e poi sorbirsi un’ora e
mezza di torpedone fino al Gargano.
Sarebbe assai più comodo utilizzare il
vicinissimo scalo aereo di Foggia. Ma
gli aerei rischiano di rimanere un sogno.
Nel piccolo aeroporto foggiano
“Gino Lisa” nel 2000 erano decollati e
atterrati per pochi mesi gli apparecchi
della Federico II Airways, che lo collegavano
a Milano, Roma, Parma, Crotone
e Palermo. Ma l’iniziativa è fallita.
Non resta quindi che chiedere un altro
miracolo. Così il paese di Padre Pio potrà
sfidare sul serio il santuario messicano
della Madonna di Guadalupe come
prima destinazione religiosa cristiana
nel mondo (Roma a parte, naturalmente).
Ormai, infatti, anche nel
campo dei viaggi sacri i grandi numeri
si possono conquistare soltanto con
grandi infrastrutture, voli charter e comodità
di trasporti aerei a basso costo
.
Ma quanti sono gli aficionados del
frate cappuccino? Più di 15 milioni in
tutto il mondo, pare. Sono stati censiti
ben 2.187 “gruppi di preghiera”, 1.807
dei quali in Italia, 65 in Inghilterra, 64
negli Stati Uniti, 56 in Francia. Don
Santino Spartà, il prete che appariva
in tv collegato da un salotto di nobili
decaduti nel programma “Chiambretti
c’è”, ha addirittura confezionato un libro
imperdonabilmente pubblicato
dalle edizioni Paoline: “Vip devoti di
Padre Pio”. Da Giulio Andreotti a Sofia
Loren, da Mike Bongiorno ad Al Bano,
sono legioni. Alberto Castagna è convinto
di essere guarito grazie alla sua
intercessione. “Lo vedo sulla porta del
paradiso”, assicura Iva Zanicchi. “E’ il
compagno della mia esistenza”, confessa
Pippo Baudo, che andò a conoscerlo
nel 1968 assieme a Renzo Arbore.
Il quale a sua volta ha iniziato al
culto la sua ex compagna Mara Venier.
“Mi frena nella voglia di litigare”, spiega
un altro pugliese doc, Lino Banfi.

* * *
Per la Puglia padre Pio è una miniera.
Non esistono disoccupati nell’area
di San Giovanni Rotondo, paesone collocato
in mezzo al promontorio del
Gargano, a 560 metri d’altezza, e fatto
cingere di mura dall’imperatore Federico
II di Svevia nel 1220. Il suo nome
deriva da un tempio dedicato al dio
Giano, perché la chiesetta dedicata a
San Giovanni Battista costruita sulle
sue rovine più di mille anni fa ne conservò
la forma circolare. Le statistiche
ufficiali sui disoccupati danno un tasso
del 6 per cento, che però è quasi fisiologico:
registra chi si trova momentaneamente
senza lavoro, fra un impiego
e l’altro. Una bella differenza rispetto
alla disoccupazione che colpisce il resto
della Puglia con una media del 20
per cento, punte del 40 fra i giovani, e
addirittura del 60 fra i neolaureati. Che
non sono poi così drammatiche, perché
in realtà molto lavoro nero sfugge alle
rilevazioni. Ma sicuramente questa zona
rappresenta un’isola felice.

Gli occupati negli alberghi, nei 110
ristoranti e pizzerie e nei 132 bar di
San Giovanni sono 2.600. Soltanto per i
pasti, si stima che i pellegrini spendano
50 milioni di euro all’anno. Gli hotel
attivi sono 100, ma non bastano: se ne
stanno costruendo un’altra trentina,
per arrivare a 7.500 posti letto. Poi ci
sono un centinaio di affittacamere. Otto
hotel sono a quattro stelle, ma l’albergo
dove alloggiò il papa quindici
anni fa è un modesto due stelle, il Vittoria
(pensione completa 44 euro a persona,
prezzi 2002). Naturalmente non
tutti i pellegrini pernottano in loco: si
sono fermati “soltanto” in 900 mila nel
2001, con una media di permanenza di
1,7 giorni. Questo significa che si passa
in albergo una sola notte, al massimo
due, e che invece più di sei milioni arrivano
al mattino e ripartono già alla
sera. Ma un fiume di soldi scorre egualmente,
incessante.

* * *
Non è questa, tuttavia, la maggior
fonte di lavoro per il paese di Padre
Pio. Ben 2.800, infatti, sono i dipendenti
del mastodontico ospedale, la Casa
Sollievo della Sofferenza costruita nel
1956 e regalata al Vaticano 12 anni dopo,
alla morte del frate. L’istituto incassa
ogni anno 10 milioni di euro in
offerte. Nella Casa di cura operano 500
medici a tempo pieno. E’ considerata
una delle migliori del centro-sud: vanta
reparti di eccellenza nazionale, e anche
un notevole centro di ricerca. All’inizio
aveva 300 posti letto, oggi ne
conta il quadruplo con 40 reparti. Quello
di malattie genetiche è all’avanguardia:
qui è stata individuata la Connexina,
gene responsabile della sordità
su genitori portatori sani ma udenti.
I ricoverati sono 60 mila all’anno, di
cui il 23 per cento provenienti da fuori
della Puglia.

Nel 1962 il vescovo di Cracovia, in
Polonia, raccomandò a Padre Pio una
donna gravemente ammalata di tumore
alla gola. Qualche mese dopo gli
scriveva per comunicargli l’avvenuta,
incredibile guarigione. Quel vescovo si
chiamava Karol Wojtyla, e l’episodio
aiuta a capire molte cose, compresa la
velocità della causa di canonizzazione.
Nel 1987 papa Giovanni Paolo II si recò
personalmente in pellegrinaggio a San
Giovanni Rotondo.

Oggi la Casa Sollievo gestisce anche
due aziende agricole. La “Posta la Via”
sta nella pianura del Tavoliere, vicino
ad Amendola (Foggia), e vi si allevano
600 capi bovini da carne e latte, con relativa
produzione di formaggi, yogurt e
budini. Nei caseggiati del Settecento
dell’azienda Calderoso, invece, si vende
olio d’oliva biologico e si accolgono
i partecipanti a congressi scientifici. In
paese sorge anche un pensionato per
anziani.

* * *
La sfida più grande, però, è quella
del nuovo grande santuario (seimila
metri quadri) progettato dall’architetto
Renzo Piano proprio alle spalle del
convento dei cappuccini. A dire il vero
la costruzione sembra più simile a un
palazzetto dello sport che a un luogo
sacro. Si sperava che fosse pronto per
la cerimonia di trasformazione di Padre
Pio da Beato a Santo. Ma da una
parte i ritardi dei lavori, dall’altra l’accelerazione
impressa dal Papa al processo
di canonizzazione, hanno fatto
saltare l’appuntamento. Le date non
combaciano più: la nuova chiesa con 10
mila posti coperti (di cui la metà seduti)
e 40 mila all’aperto, sul sagrato, non
sarà pronta prima del settembre 2003.
Finora è costata ben 36 milioni di euro
(70 miliardi di lire) ai frati cappuccini,
inclusa una lauta parcella per il contestato
architetto Piano. Si spera che le
offerte dei fedeli riescano a coprire i
costi finali di questo faraonico progetto.
Chi vuole può contribuire con 25 euro
per una pietra, o 50 per una canna
d’organo. I prezziari sono disponibili
anche su un sito Internet. Il crocifisso
di Arnaldo Pomodoro è costato da solo
un milione e mezzo di euro (3 miliardi).
I lavori sono partiti otto anni fa, ma
sono stati rallentati da un blocco del
Consiglio superiore dei Lavori pubblici
e da una buggeratura finanziaria di
cui sono rimasti vittime i frati (“E’ stata
la mano del demonio”, si lamentano
loro). Un viale largo 30 metri con ben
1.000 cipressi porterà al sagrato. E’ la
prima opera di architettura religiosa
firmata da Piano, il quale annuncia:
“Questo è un luogo già sacro, ma io desidero
che diventi magico”. All’uopo,
ecco i ventuno archi di pietra naturale
di Apricena (Foggia): le campate raggiungono
un’altezza di 45 metri. Ogni
arco è composto da 52 blocchi di pietra
pesanti 6 tonnellate e assemblati a mano
in gruppi di cinque. Era dai tempi
delle cattedrali gotiche che la pietra
non veniva utilizzata per realizzare ar-
chi portanti di queste dimensioni.
“Piano è un megalomane”, brontola
qualcuno in paese.

* * *
I negozi del paese di Padre Pio sono
più di 1.000, e a un numero eguale ammontano
gli oggetti che vendono: penne,
orologi, fazzoletti, magliette, statue.
Queste ultime sono di tutte le misure:
dai pochi centimetri fino a quelle in altezza
naturale (il frate era alto un metro
e 70). Lo stesso modello può costare
5 milioni di lire se confezionato in vetroresina,
e 18 se è di bronzo. Ma la differenza
fra i due materiali è impercettibile.
Uno dei risultati concreti della
santificazione è che d’ora in poi le statue
di San Pio potranno essere esposte
dentro tutte le chiese del mondo, che
attorno alla sua testa potrà essere disegnata
l’aureola, e che gli potranno
essere dedicati anche chiese, cappelle
e altari. Si prevedono quindi grossi sviluppi
produttivi per il comparto statue.
Completano l’oggettistica bottiglie,
posacenere e generi alimentari con
l’immagine del frate, oltre ai tradizionali
oggetti sacri. Alcuni rosari sono
profumati di viole, l’odore che pare si
diffondesse quando avvenivano i suoi
miracoli. Ben 200 sono i libri che narrano
la vita di Padre Pio, biografie sacre
dove sono contenuti i racconti dei
suoi poteri soprannaturali, delle persecuzioni
subite, dei luoghi dove ha
vissuto e dei miracoli. Si tratta in gran
parte di agiografie, e ora ci sono pure
diversi cd-rom.

* * *
Padre Pio spopola anche su Internet.
Provate a cliccare il suo nome su un
qualsiasi motore di ricerca, e otterrete
migliaia di risposte: è una cifra che pochi
personaggi riescono a raggiungere.
In alcuni dei tremila siti è possibile
sentire la voce del frate, vedere le sue
immagini e ottenere informazioni sui
gruppi di preghiera in tutto il pianeta.
L’unico sito ufficiale è comunque
www.padrepio.it. Fiorisce un mercato
di vecchi film amatoriali inediti dove si
può vedere Padre Pio assieme ai suoi
nipoti, oppure mentre va a votare. I
prezzi superano anche i 250 mila euro
(mezzo miliardo in lire). D’altra parte,
ben 150 mila euro è stata pagata un’intervista
esclusiva alla miracolata Consiglia
Di Martino, la cui guarigione è
stata alla base del processo di beatificazione.

* * *
Nel 2000 i due sceneggiati televisivi
di Raiuno e Canale 5 con Michele Placido
e Sergio Castellitto hanno fatto registrare
audience da record: 13-14 milioni
di spettatori. “Impegnarmi per
mesi a essere come lui è stata un’esperienza
unica, la più importante della
mia carriera. Ma anche la più terapeutica:
per questo, a 46 anni, non sono
mai stato così in forma e così in pace
con me stesso”, confessa Castellitto. Il
quale all’inizio non voleva accettare il
ruolo: “Mi sembrava un personaggio
troppo intenso, mi atterriva”. Poi però
la moglie Margaret Mazzantini, scrittrice,
lo ha convinto. Castellitto nelle ultime
settimane è stato al centro delle
polemiche per avere interpretato un
film di Marco Bellocchio ritenuto blasfemo
dal Vaticano: “L’ora di religione”.
Ma anche la fiction tv sul frate
guaritore ha indugiato molto sul suo
conflitto con le scettiche gerarchie della
curia romana.

Ancora più entusiasta Michele Placido:
“L’incontro con Padre Pio mi ha
cambiato la vita, obbligandomi a guardare
in me stesso. Da quando ho interpretato
quel ruolo, mi sforzo di essere
utile anche agli altri. Per questo adesso
faccio parte di un gruppo di preghiera
e di volontariato. Ma già durante
i mesi di lavoro sul set, il mio collega
attore Rocco Papaleo mi convinse a
lasciare l’albergo, per non stare in una
gabbia dorata. Così mi trasferii in una
casetta poveramente arredata per una
specie di ritiro spirituale. A volte saltavo
le cene per fare i fioretti. E percorrevo
i sei chilometri che mi separavano
dal set non più in macchina ma a
piedi, nonostante il freddo. E sul set,
invece di sentirmi stanco, ero io a dare
la carica a tutti”.

* * *
La principale preoccupazione del
sindaco di San Giovanni Rotondo Antonio
Squarcella (Forza Italia, succeduto
da due anni a un sindaco di sinistra)
sono i parcheggi e la viabilità. Di
sabato e domenica, durante le festività
e in estate trovare un posto per l’auto è
più difficile che nel centro di Roma o
Milano. Grazie al Giubileo San Giovanni
aveva ottenuto 27 milioni di euro,
spesi quasi tutti per costruire parcheggi
dove sistemare le corriere. Ora il sindaco
è partito all’assalto della Regione,
governata dal suo collega di partito
Raffaele Fitto: a Bari chiede altri 10
milioni di euro per realizzare una superstrada
a quattro corsie e una metropolitana
leggera.

In effetti, i trasporti rappresentano il
principale problema per San Giovanni
Rotondo: arrivare a Padre Pio risulta
deplorevolmente difficoltoso. Dell’aereo
abbiamo detto. Ma anche coi treni
non si scherza. Ed è un peccato perché
i treni, Lourdes insegna, rimangono il
mezzo preferito dalle comitive di pellegrini.
Le due stazioni più vicine sono
San Severo e Foggia. E da lì partono
ogni tre quarti d’ora bus per San Giovanni
Rotondo, dalle cinque del mattino
fino a sera: in un’oretta si arriva a
destinazione. Il problema è che i trenicuccetta
dal Nord hanno orari tarati su
Bari e Brindisi, quindi arrivano troppo
presto a Foggia. Quanto a quelli da Roma
e Napoli, sono pittoreschi perché
attraversano l’Irpinia e l’Appennino
Dauno. Ma i tempi di percorrenza risultano
desolanti.

Chi volesse sperimentare un’avvincente
torpedonata diurna dal sapore
quasi esotico sappia comunque che
ogni giorno partono da Torino (alle
7.00) e da Milano (alle 9.50, accanto alla
Stazione centrale) le corriere Afg
(Autolinee ferrovie del Gargano) che
arrivano a San Giovanni Rotondo alle
19.40. Da Roma invece ci si mette cinque
ore, partendo alle 6.15 o alle 17.00.

* * *
San Giovanni Rotondo vanta da cinque
anni anche una rete Tv e un’emittente
radiofonica: Tele Radio Padre
Pio. Ne è presidente un frate cappuccino
36enne, Francesco Colacelli, perito
elettronico. Nel nuovo santuario verranno
installate ben 85 telecamere per
seguire in diretta le funzioni. Dove
piazzarle, lo ha deciso il regista televisivo
Sergio Japino, l’amico di Raffaella
Carrà. In tutte le stanze d’albergo è
questo il canale principale, e si sta trattando
per entrare nel bouquet della Tv
satellitare Stream. Il bilancio è di 130
mila euro annui, finanziati interamente
dai frati che non desiderano cedere
per ora alla lusinga commerciale degli
sponsor. La tv è visibile già oggi via Internet
in tutto il mondo: si possono seguire
il rosario o la messa in diretta
dalla cripta di padre Pio. Ogni sera si
collegano 1.000 persone per la celebrazione
delle 17.30. E i contatti giornalieri
arrivano fino a 10 mila. La radio si
ascolta già oggi via satellite in tutta Europa.
C’è anche la possibilità di ricevere
assistenza spirituale per posta elettronica.
Ogni sera i frati stampano tutte
le e-mail ricevute e le depositano
sulla tomba di Padre Pio.

In agosto arriverà qui la squadra dell’Inter,
per disputare un torneo (naturalmente
di beneficienza). Per i pellegrini
di Padre Pio ci sono infine a disposizione
un McDonald’s e una sala
Bingo, costata 1,3 milioni di euro (2,6
miliardi di lire) e frequentata ogni fine
settimana da 3.500 giocatori. Anche
nell’entrata della sala Bingo troneggia
una statua del santo. Apriranno prossimamente
il “parco francescano” con
un’Italia in miniatura che mostra i
viaggi di San Francesco, e perfino una
discoteca. A quel punto, San Giovanni
Rotondo conquisterà il bizzarro titolo
di “Las Vegas della cristianità”. Ma, visto
che i frati sono umili, forse si accontenterebbero
di un paragone con Rimini. Con tanto di pensione completa
a 40 euro giornalieri, tandem, risciò
e tour dei dintorni (Vieste, Peschici,
Rodi) con la formula del tutto compreso.

Ecco, i più intraprendenti “valorizzatori”
della risorsa San Pio già sognano
di offrire un “pacchetto Gargano”
che riesca a coniugare turismo e devozione.
Gli ecologisti, per esempio, possono
essere trattenuti negli alberghi
qualche giorno in più grazie alla presenza
dell’enorme Foresta Umbra. Gli
appassionati dell’ambiente hanno di
buono che acconsentono a muoversi
anche in primavera e autunno, cioè
fuori stagione. E “destagionalizzare” è
una parola d’ordine anche per i tour
operator di Padre Pio. Poi ci sono le
isole Tremiti, le pinete e i campeggi
dei laghi di Varano e Lesina, il castello
svevo di Termoli, quello di Serracapriola,
Pugnochiuso…

In tutto questo estroso festival che
coniuga felicemente sacro e profano,
c’è un solo dimenticato: Pietrelcina, il
paese a dodici chilometri da Benevento
dove Pio Forgione nacque, ebbe le
prime visioni, e a 23 anni ricevette le
stimmate sulle mani mentre pregava
sotto un albero (visitabile). A Pietrelcina,
in effetti, arrivano solo le briciole
della marea umana che affolla San
Giovanni Rotondo: poche decine di migliaia
di pellegrini all’anno. Eppure c’è
un convento di frati minori cappuccini
pure qui, e più qui che a San Giovanni
si respira l’aria di frugalità della vita
contadina di fine Ottocento. San Pio da
Pietrelcina, pensaci tu.

Mauro Suttora

RIQUADRO:
San Giovanni Rotondo è il
primo santuario europeo per
affluenza di pellegrini e insidia il
primato mondiale di Guadalupe
In paese la percentuale dei
disoccupati è del 6 per cento,
contro la media del 20 della
Puglia e del 40 fra i giovani
I devoti al frate cappuccino
sono 15 milioni in tutto il
mondo, sono stati censiti ben
2.187 gruppi di preghiera
Qui c’è uno dei migliori ospedali
del Centro-sud, con punte di
eccellenza nazionali: 500 medici,
40 reparti 1.200 posti letto

Padre Pio (al secolo Francesco Forgione)
nasce a Pietrelcina (Benevento)
il 25 maggio 1887. E’ figlio di contadini
analfabeti, ha quattro fratelli. La madre
lo battezza col nome del santo cui è devota,
il padre ha un piccolo campo che
non basta a sfamare tutti: dovrà emigrare
due volte in America. A quattro
anni il piccolo ha visioni notturne del
diavolo che lo fanno piangere di paura,
poco dopo cominciano le apparizioni e
le estasi. Porta le pecore al pascolo, legge
il Vangelo e a nove anni si autoflagella.

Nel 1903 diventa frate nel convento
di Morcone, sette anni più tardi
riceve le stimmate. Nel 1915 viene chiamato
alle armi. Commenta sarcastico:
“Mia madre mi ha fatto uomo, san
Francesco donna (alludendo al saio,
ndr) e il governo un pagliaccio”. Nel
1916 viene trasferito a San Giovanni
Rotondo, nel convento più misero del
foggiano. Nel 1918 le sue ferite a mani,
piedi e costato cominciano a sanguinare
anche in pubblico, non può più nasconderle
sotto guanti di lana. Il convento
è in subbuglio, la sua fama si
sparge, la Chiesa vuole vederci chiaro.

I medici che lo visitano non riescono a
spiegare il fenomeno, ma nel 1920 padre
Agostino Gemelli, fondatore dell’Università
Cattolica di Milano, lo liquida
come “isterico”. Ciononostante, fedeli
da tutto il mondo arrivano per assistere
alla sua messa delle cinque del mattino.
Lui confessa anche per 16 ore al
giorno, e non sempre assolve. Nel 1942
si fa confessare anche Maria Josè di Savoia.
Nel 1947 arriva in Puglia anche il
giovane Karol Wojtyla. Nel 1956 il sindaco
di New York Fiorello La Guardia,
originario di Foggia, dona 25 milioni
per il nuovo ospedale di San Giovanni.
Padre Pio subisce un’altra ispezione
del Sant’Uffizio sotto il pontificato di
Giovanni XXIII. Muore il 23 settembre
1968. Nel 1983 inizia il processo di beatificazione.
E grazie ai miracolati Consiglia
De Martino e Matteo Pio Colella,
il frate diventa santo.

Mauro Suttora

Saturday, May 11, 2002

Rodi Mirri, il divano del produttore

www.Dagospia.com 29 maggio 2002

INTERVISTA A RODOLFO MIRRI

Nel suo ultimo film, "C’era un cinese in coma", Carlo Verdone svela il misero sottobosco del mondo dello spettacolo, fatto di agenti senza scrupoli (come il personaggio da lui interpretato), produttori avidi e «showgirl» disposte a tutto pur di «sfondare». Lo stesso tema è stato affrontato da Luca Barbareschi nel suo spettacolo teatrale più recente, La grande truffa. Ma com’è realmente il «dietro le quinte» di televisione, cinema e musica, quel magico mondo di paillettes e lustrini, applausi e miliardi che dà tanto a chi agguanta il successo, ma poco a chi rimane comparsa per tutta la vita?

Lo abbiamo chiesto a Rodolfo (Rody) Mirri, 48 anni, agente e produttore televisivo che due anni fa si è innamorato di una bella modella spagnola, ha mollato tutto, si è trasferito a Madrid e adesso fa avanti e indietro con le Canarie, dove a Fuerteventura gestisce un agriturismo di lusso. È una delle pochissime persone, forse l’unico oggi in Italia, che può permettersi di dire pubblicamente la verità su questo mondo, perché lo ha conosciuto a fondo per un quarto di secolo, ma non deve più sottostare ai ricatti e alle omertà di chi, bene o male, deve ancora viverci (e lavorarci) dentro. Mirri è insomma un prepensionato volontario, che ha accettato di farci da cicerone in questo ambiente, allo stesso tempo splendido e squallido.

«Quando in Spagna ho letto di rimbalzo sui giornali italiani che la Bbc aveva creato uno scandalo nel mondo della moda a Milano, svelando i ricatti a base di droga e di sesso cui sono sottoposte le modelle, mi è venuto da sorridere. Tutti infatti nell’ambiente sanno che non c’è nulla di strano in questo, e che anche nell’àmbito dello spettacolo centinaia di belle ragazze si presentano ai “casting”, cioè alle selezioni, con le cosiddette “mutandine in mano”, come si dice con una battutaccia. Che però non è tanto lontana dal vero, perché la maggior parte di queste giovani sono in realtà determinatissime, e disposte a qualunque compromesso pur di farsi notare. I loro genitori, poi, sono ancora peggio: nei concorsi di bellezza le mamme arrivavano a crearti degli imbarazzi...»

Mirri, lei stesso negli ultimi 15 anni è finito non poche volte sulla stampa scandalistica, sempre fotografato accanto a bellissime donne: Veronica Castro, Katharina Miroslawa, la «Valentina» Demetra Hampton, l’ex fidanzata di Jovanotti Carla Liotto, la futura moglie di Eros Ramazzotti Michelle Hunziker...

«Sì, e questo mi creò la fama di seduttore. Quando facevo il produttore tv per programmi che andavano in onda su Mediaset, Rai o Telemontecarlo, alla sera con la scusa di parlarmi di lavoro tutti mi invitavano, sapendo che attorno a me c’erano sempre belle donne E io non avevo difficoltà a trovarle, perché nei camerini e nei corridoi degli studi televisivi c’è sempre una marea di ragazze carine e... disposte a essere disponibili, tanto per capirci. Niente affatto sprovvedute, però: perché al posto del cuore hanno una calcolatrice. Altro che vittime, quindi. Ma guai a chi lo racconta fuori, guai a chi sgarra: se muovi un dito, tutti ti scacciano e ti schiacciano».

Mamma mia, lei ci offre un quadro che potrebbe essere un misto fra Sodoma e Gomorra e il regno delle vendette mafiose.

«Beh, senza scomodare la mafia, i ricatti piccoli e grandi sono un po’ gli stessi. Vi racconto solo uno dei tanti episodi che racconterò in un libro. Un importante capostruttura di una televisione adocchia una ragazza, e ci sussurra la frase tipica: “Ho un programma in ballo, quella voglio vederla da solo, così la conosco meglio”. Lo riferiamo a lei. La ragazza, imperturbabile, sta al gioco, fa finta di niente, gli telefona e si autoinvita a cena casa del tipo. Era un personaggio vecchio, brutto, ma importante. Si fa trovare in vestaglia, le parla un po’, poi si sdraia sul letto. Sotto era nudo. A questo punto la ragazza ha un soprassalto di dignità, si alza, si allontana e gli urla: “Ma tu hai moglie, due figli, non ti fai schifo?” E quello gli risponde tranquillo: “Se non vuoi, prendi il taxi e vai”. Ovviamente il giorno dopo la ragazza perse le chances per essere candidata a quel posto. Ma siccome non era Santa Maria Goretti, quindici giorni dopo si pentì. Andò a trovare il tizio, e quello le dice: “Ma guarda che combinazione, sto proprio partendo per Montecarlo! Vuoi accompagnarmi?” Sono stati assieme una settimana. Poi, ognuno per la sua strada. Quella ragazza oggi è una quotata showgirl e presentatrice televisiva, sia per Rai che per Mediaset».

Beh, è da un secolo che a Hollywood si raccontano episodi su certi leggendari divani dei produttori...

«Sì, ma la cosa più impressionante è l’“effetto Ava”».

Prego?

«“Ava come lava”, lo slogan di quella pubblicità del detersivo. È incredibile come nessuno osi più parlare degli inizi di certe cosiddette “donne di spettacolo” dopo che sono sbocciate e hanno fatto un minimo di carriera. Allora diventano improvvisamente tutte buone, tutte sante, tutte vergini, tutte rispettabili. Eppure tutti noi nell’ambiente ci ricordiamo perfettamente quello che hanno dovuto e voluto fare per arrivare dove sono arrivate. Ma lo sa che noi agenti, quando prendiamo una ragazza a contratto, le organizziamo tutto, scientificamente? Dobbiamo occuparci anche di prepararle gli scoop, farla “fidanzare” con il personaggio giusto, farla fotografare in certi locali...»

Fuori i nomi, Mirri.

«Figurarsi, così poi mi querelano. Posso dire i peccati ma non i peccatori, e le peccatrici. Anche perché ho lavorato pure con dei veri professionisti che sono al di sopra di ogni sospetto».

Per esempio?

«Beh, Alessia Marcuzzi, una ragazza seria come poche. Era già abbastanza famosa perché aveva fatto il Gioco dell’oca con Gigi Sabani. Dovevamo girare il numero zero di una nuova trasmissione, Night fever, un viaggio fra i mestieri della notte. Rimase al freddo all’aperto a Como fino alle sei del mattino, senza lamentarsi.

«Un altro eccellente personaggio che ricordo con grande ammirazione e rispetto è Lorella Cuccarini. Era il 1991, e stavamo preparando Bellezze sulla neve a Madonna di Campiglio. Dopo avere provato fino a mezzanotte i balletti, si alzava alle sei e mezzo del mattino perché alle otto voleva andare a lezione di pattinaggio, per perfezionarsi: una serietà eccezionale. Confesso che le feci anche un po’ la corte, siamo stati per tre mesi nello stesso albergo e due o tre volte le mandai un mazzo di fiori in camera. Lei con molta classe e nonchalance mi ringraziò per i fiori, ma non mi concesse mai un sorriso in più del dovuto. Poi capii che era già impegnata con il suo attuale marito, ma allora nessuno sapeva ancora nulla.

«Di quel periodo ho anche un altro ricordo, pittoresco: a mezzanotte andavo a mangiare con Marco Columbro, ma siccome lui è vegetariano mi toccavano solo le verdure... Insomma, poi mi toccava raggiungere gli altri e lì potevo abbuffarmi. Anche Columbro è una persona seria, che non dà spazio a confidenze».

Lei divenne famoso nella prima metà degli anni Ottanta come manager della regina delle telenovelas Veronica Castro.

«Sì, fu un periodo incredibile. Ma anche di recente, quando Veronica è tornata in Italia per partecipare alla trasmissione di Paolo Limiti, mi hanno detto che l’Auditel ha registrato un picco di audience. Allora venne in Italia per registrare la prima telenovela europea, Felicità dove sei, che però andò malissimo: il produttore Peruzzo ci rimise un paio di miliardi. Invece Anche i ricchi piangono fu un successone: quando andò in onda la puntata finale le strade al Sud erano deserte, perché le prime telenovele erano un fatto sociale. Veronica era famosa in tutto il mondo, non solo in Spagna e America Latina: anche in Russia era una star. Una volta andammo insieme ad Acerra per ritirare un premio, e all’aeroporto di Napoli c’erano cinquemila persone ad aspettarci. Ricordo che scappammo in ambulanza dal retro. Lei visse tre anni gloriosi qui in Italia, prima di tornare nel suo Messico: partecipò a un’edizione di Premiatissima con Nino Manfredi e Johnny Dorelli. Con me era gelosa, possessiva e diffidente».

Poi, nel 1986, lei fece notizia perché diventò il manager di Katharina Miroslawa, la ballerina polacca che è stata riacciuffata un mese fa a Vienna dall’Interpol. Allora era stata appena accusata di aver ucciso il suo amante, il ricco industrialotto emiliano Mazza. Come riuscì a trasformare un’imputata di omicidio in un pruriginoso successo commerciale?

«Ricordo perfettamente che un giorno mi trovavo negli studi tv di Cologno Monzese, e mi telefonò un amico fotografo dell’agenzia Olympia. “Corri qui a Parma”, mi disse, avvertendomi che nell’appartamento dove la Miroslawa era stata confinata agli arresti domiciliari erano già arrivati due o tre manager che volevano accaparrarsela. Io mi precipitai, parlai con l’avvocato Ugolini che la difendeva, mi presentai, le parlai e fu lei a scegliermi. Non perché fossi il più bravo: simpatia, fortuna, chissà. Cominciarono così otto mesi indimenticabili. Per prima cosa dovetti andare in procura, al palazzo di Giustizia, per farle avere il permesso di lavorare. Poteva lasciare l’appartamento di Parma soltanto per andare nei locali di tutta l’Italia settentrionale dove si esibiva, e nelle tv dove la intervistavano...»

Secondo lei è colpevole o innocente?

«Innocente, assolutamente. D’altra parte l’unico possibile movente erano i soldi dell’assicurazione, ma quel miliardo in questi 14 anni lei non lo ha mai incassato. Però era molto scaltra. Ed era anche bellissima, sensuale, faceva impazzire tutti. Ma amava anche divertirsi. Confesso di avere avuto una relazione con lei. Dopo che avevamo fatto l’amore la prima volta le chiesi, un po’ stupito: “Ma come riesci a farlo, lui è stato assassinato soltanto pochi giorni fa e tu dici che lo amavi. Non sei imbarazzata?” Lei mi rispose, gelida: “Voi italiani siete tutti uguali, il lutto io lo porto dentro di me. Nessuno può sapere cosa c’è dentro la mia testa”.

«Il momento più drammatico fu l’incontro col suo marito polacco. Era sospettato anche lui per il delitto, dicevano che l’aveva aiutata a uccidere Mazza. Dopo due mesi di galera lo rilasciarono, e io avevo un po’ paura perché ormai era noto che fra me e Kataharina non c’erano soltanto rapporti di lavoro. E infatti la mattina dopo la segretaria mi telefona: “Guardi che è passato il marito che la cercava”. Io mi guardo bene dall’andare in corso Buenos Aires a Milano, dove avevo il mio ufficio, e quello torna a cercarmi per ben tre volte in un’ora. Io dovevo andare lì, non sapevo che fare. “Cazzarola, adesso chiamo la polizia per farmi proteggere”, pensavo. Alla fine, mentre cammino sul marciapiede del corso, una mano mi afferra sulla spalla. Mi viene un brivido, mi volto, e me lo trovo di fronte. Aveva un grosso cappello. Mi guarda con quei suoi occhietti freddi da polacco e mormora: “Non ho un soldo in tasca...” Aveva solo bisogno di lavorare, poverino. Katharina intanto aveva un successo enorme, c’era il tutto esaurito in ogni locale dove si esibiva. Ma dopo qualche mese se ne andò, e non l’ho più rivista né sentita».

In quella stessa estate ’86 lei curava una rubrica di moda all’interno di un tour di cantanti, fra i quali c’era Umberto Tozzi.

«Sì, era Incontri d’estate: fu proprio lì che Umberto conobbe la sua attuale moglie, Monica Michelotto, che gli ha dato due figli. Lei faceva l’indossatrice per la sfilata che mettevamo in scena ogni sera, lui era uno dei ‘big’. La prima volta che glielo presentai lei mi confidò: “Non mi piace, è simpatico ma è tutto rosso, ha troppe lentiggini...” Tra i due scoppiò subito una simpatia, e si misero assieme. Ma era imbarazzante, perché Tozzi aveva già una compagna, che ogni tanto veniva a trovarlo. Tutti sapevano, c’era un gelo...

«Nelle tournées è consuetudine che gli artisti non si portino appresso mogli e fidanzate. Anche perché così si risparmia : infatti, se all’inizio ci vogliono cento stanze, dopo due settimane basta prenotarne 50, visto che quasi tutti si sono già più o meno accoppiati. Quella storia di Tozzi però non finì bene: dai giornali seppi che la sua ex compagna combinò dei casini per una storia di assegni. Lui non la denunciò perché era la madre di suo figlio, ma i rapporti fra loro rimasero pessimi per anni. Comunque lui rimane un grande».

Poi ci fu lo scandalo con la moglie di Ruud Gullit.

«Ah, sì, Yvonne. Ci fotografarono assieme, ma era uno scoop preparato. Lei era già in crisi col marito, voleva andarsene da Milano perché lui aveva una storia con una giornalista di un importante quotidiano. Quando pubblicarono gli articoli con le nostre foto ci fu un putiferio. Cesare Cadeo, che era consigliere d’amministrazione del Milan, mi chiamò avvertendomi che i tifosi erano incazzatissimi, perché in quel periodo Gullit non giocava bene, e loro davano tutta la colpa alla moglie. Quello che fece imbestialire Gullit fu soprattutto il fatto che nelle foto comparivano anche i suoi figli, e ammetto che non aveva torto».

Lei conosce bene anche il mondo del calcio?

«Lo sport ormai è contiguo con l’ambiente dello spettacolo, tutti frequentano gli stessi locali la sera. Alcune show-girl televisive hanno preso il posto di quelle che un tempo erano le attricette nel cuore dei campioni. Questi ogni tanto perdono la testa, e le prestazioni sportive ne risentono. Leggendaria, per esempio, rimane la sbandata di Walter Zenga per Marina Perzy: lui la mollò da un giorno all’altro nella casa milanese di corso Garibaldi, perché Bearzot lo aveva richiamato in nazionale e il presidente dell’Inter Pellegrini gli ordinò, letteralmente, di tornare a casa dalla moglie. Oppure Alberto Tomba, che prima di mettersi con Martina Colombari si esaurì in una strepitosa notte d’amore con la valletta di un noto programma sportivo: il giorno dopo perse per la prima volta, a Madonna di Campiglio. Il problema con alcune mogli, e non solo di calciatori, è che tutti ci ricordiamo di quando, prima di conoscerli, non disdegnavano di farsi invitare per lussuosi week-end a Montecarlo o a Porto Cervo in cambio magari di un simpatico “regalino”».

Le ripeto: fuori i nomi, Mirri.

«Le ripeto: neanche per sogno. Magari nel libro seminerò qualche indizio in più. Ma se raccontassi tutto quello che ho visto con i miei occhi, mi strangolerebbero».

Allora ci riveli qualche peccato senza il nome del peccatore.

«Nell’ambiente tutti sanno di quella cantante-presentatrice che si faceva zompare dai macchinisti dietro ai camion nel parcheggio degli studi televisivi. E noi lì, che non credevamo ai nostri occhi mentre la vedevamo tornare calma sul piazzale, riaggiustandosi il tailleur. La nota conduttrice tv che, sposata con due figli, ci fa aspettare fino a mezzanotte mentre stiamo registrando una sit-com: “Vado un attimo a prendere il caffè”, ci aveva detto alle sei del pomeriggio, prima di scomparire in auto con un aitante giovanotto. La notissima presentatrice bionda che aveva il vezzo di tenere in borsetta un vibratore di colore oro, e si arrabbiò come una matta quando per scherzo glielo tirarono fuori sul tavolo al ristorante...

«Ci sono personaggi, poi, che spendono decine di milioni per far scomparire foto compromettenti di se stessi o delle proprie fidanzate. Un celebre presentatore tv sposato fu beccato una notte avvinghiato a una bellezza a Riccione uscendo da un pub in viale Ceccarini: si agitò come un matto per non fare pubblicare nulla. E dopo che feci fare delle foto a Ramona Badescu, sempre a Riccione, il suo marito avvocato le ritirò. E questo ‘sequestro preventivo’ si è ripetuto: “Grazie a te ho guadagnato una cifra, l’avvocato di ... mi ha comprato tutti i rullini per far sparire ogni foto”, mi ha confessato un mio amico fotografo che mi aveva immortalato in un locale di Cortina assieme a ...»

E la droga?

«Tutti sanno che gira, e anche chi la usa. Magari qualcuno di questi lo ritrovi in tv che predica bene. Una decina d’anni fa eravamo in una discoteca di Riccione, buttarono dell’extasy nel bicchiere di un capostruttura Rai ignaro di tutto. Cominciò a ballare sui cubi scatenato, non la smetteva più. Un tizio che ora, ho scoperto, si è riciclato come autore di programmi tv, spacciava le pillole di extasy a 30-40 mila lire l’una. E adesso lo rispettano pure».

Quali sono le attrici o soubrettes che lei può veramente vantarsi di avere scoperto e lanciato?

«Il mio lavoro era quello di produttore tv, però ho contribuito a lanciare diversi personaggi. Sono stato il primo, ad esempio, a mettere sotto contratto Vittoria Belvedere, che iniziò la carriera in Piazza di Spagna assieme alla Cuccarini. Aveva 18 anni quando la notai in un casting, posò per delle foto di un libro di Bruno Oliviero che poi finirono su Sette. Io prima di firmare un contratto con una ragazza molto giovane voglio conoscere i genitori, così andammo a Vimercate dove suo padre faceva il muratore. Una famiglia umile ma di grande dignità, e la cosa più bella era che lei non si vergognava affatto delle sue origini, a differenza di molte altre. Poi Vittoria passò ad un’altra agenzia senza dirmi nulla, ma io non le feci causa, perché in effetti non la seguivo bene.

«Posso dire anche che ho aiutato Carla Liotto, attuale moglie del calciatore Simone. Faceva parte della claque della Buona Domenica presentata da Jerry Scotti e dalla Cuccarini. Ero andato lì per salutare Lorella, e intravidi subito questa fanciulla molto carina. Allora seguivo Superclassifica Show presentata da Seymandi su Canale 5. Gliela presentai e gli piacque molto, le dedicò perfino delle poesie e le fece presentare sei-sette puntate. Carla era un vero fenomeno: sapeva esattamente quello che voleva, culturalmente era quasi zero, ma in compenso era molto carina, e soprattutto scaltra come poche. I giornali parlarono di una sua storia con Jovanotti: io so di certo che abitavano nello stesso palazzo. Poi cominciò a esibirsi da Costanzo, riuscì a passare alla storia recitando la parte della tipa che voleva sposare un miliardario».

Con alcune di queste ragazze ha avuto delle relazioni.

«A volte capita. È quasi naturale, vivendo gomito a gomito per mesi, in una vita disordinata, piena di viaggi e di glamour, ma anche di tanta malinconia quando ci si ritrova da soli la sera in una stanza d’albergo. E allora è facile avere bisogno di qualcuno. Però ci si divertiva e si rideva. Una volta accompagnavo su un’Alfa 90 aziendale con autista una showgirl oggi famosissima che doveva presentare una serata a Pordenone. Eravamo sull’autostrada, e fra Verona e Padova abbiamo fatto l’amore. L’autista guardava nello specchietto retrovisore, e mi sembrava di essere come Richard Gere che lo fa in quel film, su una limousine a Washington...»

Fu fotografato anche con Demetra Hampton.

«Dopo la sua storia con Armanini, l’assessore finito in prigione per Tangentopoli, la prendemmo per un programma. Dovevamo fare due numeri zero, uno a Santa Margherita Ligure e uno in Sardegna. Ma era un momento molto difficile per lei, nelle prove non era in grado di condurre e a un certo punto scoppiò a piangere, lanciò una bottiglia contro il muro e se ne andò. Poi riuscimmo a convincerla a tornare. Il copione prevedeva che dovesse spogliare un ballerino, ma lei mi chiese di sostituirlo nelle prove. Il problema era che in quel periodo beveva vodka dal mattino alla sera. Era una bella ragazza, ma si lamentava: “Costanzo mi chiama soltanto per il mio sedere nel giorno di San Valentino”».

Quali altre ragazze ricorda?

«Tante, forse troppe. Con una di loro organizzammo un finto scoop con i fiocchi, si fece fotografare con Alberto di Monaco e per un po’ passò per la sua fidanzata. Ho visto anche ultimamente che questa è una scorciatoia ancora molto utilizzata per raccattare un po’ di pubblicità. Lei però era bene introdotta nel Principato, voleva tradurre in italiano una canzone appena incisa dalla principessa Stéphanie. Ricordo dopo una serata a Mantova, finimmo in un albergo dove mi avevano dato una stanza separata da quella vicina soltanto con una porta, era una suite divisa in due. Non dormii per ore, perché nell’altra stanza c’era una famosa cantante che lanciava rantoli rumorosi mentre faceva l’amore. Un’altra sera andai con quest’attrice al Vogue di corso Buenos Aires, allora era un locale che tirava, e incontrai un mio amico grosso industriale che mi chiese: “Quella mi fa impazzire, sta con te?” E io gli risposi: “Sì e no, vai pure, non c’è problema”. Una settimana dopo mi telefonò: “Ce l’ho fatta. Sai come l’ho conquistata? Un Cartier con brillantini e un biglietto”».

Capitava spesso?

«Negli anni Ottanta a Milano era così, c’erano questi industrialotti carichi di soldi che si illudevano di poter comprare tutto. I grossi personaggi non si sputtanavano per una donna, ma nel demi-monde circostante certi ricconi laidi accumulavano figuracce su figuracce. Una ragazza poi diventata famosissima fu convocata per un casting alle otto di sera nella suite di uno che si spacciava per un grande industriale svizzero, in un grande albergo nel centro di Milano. Lei era in minigonna, decolleté e tacchi a spillo. Lui chiuse la porta a chiave e le disse subito brutalmente, senza preamboli: “So che non disdegni i soldi, dimmi quanto vuoi”. Arroganza allo stato puro. Quella ovviamente protesta, si irrigidisce, vuole andarsene. E lui allora cosa fa? Non trova di meglio che aprire il cassetto e mostrarle una pistola. Lei inventa la scusa delle mestruazioni, e riesce a limitarsi a un rapporto orale. Poi corre in commissariato, vuole denunciarlo per violenza carnale, almeno per atti di libidine. Ma i poliziotti le dicono di riflettere, perché il tizio aveva una suite, ci poteva portare chi voleva, e lei era entrata spontaneamente. Per la pistola era a posto, aveva il porto d’armi. Così lei lo denunciò, ma non riuscì a dimostrare di non essere stata consenziente».

Lei ha lavorato anche in produzioni con i «grandi»: Morandi, Venier, Walter Chiari.

«Sì. Chiari e Franco Califano li ho conosciuti quand’ero agli inizi, nel 1977-78. C’era uno spettacolo con Dee Dee Jackson allo Studio 54 di Milano, l’attuale Rolling Stone. Due personaggi eccezionali, ma circondati da un corte di approfittatori. Walter era perennemente in ritardo, mentre di Califano ricordo la generosità: una volta, in via Sisto IV a Roma, regalò un motorino nuovo a un ragazzino che incontrammo piangente perché gliel’avevano appena rubato. Con Morandi e la Venier invece ho lavorato nel ’95, quand’ero responsabile delle location ad Andalo e a Molveno per La voce del cuore, quattro puntate su Canale 5. Niente aneddoti, persone serie. Ricordo che c’erano anche Andrea Roncato e una giovanissima e sconosciuta Claudia Pandolfi».

E Canelle?

«Pochi sanno che Canelle ha una figlia, Rebecca, oggi diciottenne molto bella, avuta da un fiorentino morto per infarto a Porto Cervo in circostanze misteriose. In Italia Canelle esplose come “ragazza delle Morositas” e poi a Sanremo, ma in Francia era già famosa. In Italia ebbe problemi con un grosso discografico che le aveva promesso mari e monti, ma che in realtà voleva soltanto quella cosa lì».

Altri ricordi?

«Federica Moro, abbiamo lavorato assieme due mesi a Tmc: è l’espressione più vera della donna mediterranea. Una seria professionista, ma allora era ancora un po’ insicura. Valentina Converso ebbe il suo quarto d’ora di celebrità come “amore segreto” di Zucchero. Rosita Celentano: una delle persone più simpatiche che esistano. Le feci condurre La canzone del cuore nell’estate ‘96, quando incise il suo primo disco che si intitolava FdM, cioè Faccia di Merda. Allora Rosita era fidanzata con Francesco, ex marito di Samantha de Grenet.

«Poi mi vengono in mente Lippi, Gigi e Andrea, Enrico Beruschi, Francesco Salvi, Loredana Berté... Sabrina Salerno invece la ricordo per un episodio preciso: a Premiatissima voleva cambiarsi spesso d’abito provocando ritardi, e quindi c’erano contrasti con la produzione. “Allora telefonerò a chi di dovere”, minacciò ad alta voce. Beh, ci credete? Il giorno dopo nessuno osò contraddirla, e finimmo di registrare alle quattro del mattino. Tutti compresero che Sabrina aveva un amico in alto. Molto in alto, si sussurrava».

Più in basso, invece, c’era Valerio Merola.

«Ah, Valerio, che simpatico il Merolone! Lui era veramente assatanato, e faceva di tutto per conoscere ragazze. Allora una sera gli giocammo uno scherzo atroce. Lo chiamammo e gli dicemmo di avvertire il portiere del suo residence milanese di fare entrare un bellissima donna che lui tornando, all’una di notte, avrebbe trovato nel suo letto. Così accadde, ma quella donna era una sua ammiratrice 48enne brutta e grassa. La mattina dopo ci chiamò protestando e insultandoci. Però la notte con quella ce la passò lo stesso».

Dulcis in fundo: Michelle Hunziker.

«Michelle è un dolcissimo ricordo. La scelsi a 16 anni in un casting per un programma tv. Volli conoscere subito sua madre, e dopo un’ora la incontrai a Riccione. Era vestita da svizzera-olandesina, studiava a Bologna, parlava quattro lingue, naturalmente era di una bellezza da mozzare il fiato. Ma la cosa che mi stupì di più era che, nonostante l’età, si rivelò determinatissima. Ricordo che la prima volta che la portai da Costanzo la avvertii: stai molto attenta, mostrati simpatica ma non volgare, non farti coinvolgere troppo, ti puoi anche bruciare. Beh, lei cosa fece nei tre giorni prima della registrazione? Si circondò di libri, e leggeva, leggeva... la Storia della confederazione elvetica! “Siccome sanno che sono svizzera, in questo periodo in cui si parla della Lega di Bossi mi faranno domande sul federalismo. E non voglio fare la figura dell’impreparata”, mi spiegò. Si capiva subito che voleva avere successo. Sfruttammo scientificamente la campagna pubblicitaria per le mutandine Roberta. Si era creata un’attesa così spasmodica che quell’estate, nella classifica dei paparazzi, lei era in testa col suo eventuale topless: chi fosse riuscito per primo a fotografarla, avrebbe guadagnato decine di milioni.

«Conobbe Eros Ramazzotti in una discoteca di Milano Marittima. Allora lei lavorava con me a Riccione. Lui si innamorò follemente, veniva a trovarla in Ferrari, le fece una corte spietata. Lei ne era felice e compiaciuta, perché quello era il cantante più famoso d’Italia. Per lei compose La più bella cosa. Io confesso che vedevo questa avventura un po’ con gli occhi del manager: tutta pubblicità gratuita, le quotazioni di Michelle si alzavano. Poi lui, era l’agosto ‘95, la invitò nella sua villa in Brianza. Lei accetto l’invito e la cosa divenne seria: si era innamorata anche lei. Ma, dato il carattere gelosissimo di Eros, naturalmente per me a quel punto non c’era più posto vicino a Michelle. Neanche per motivi professionali».

Poi, a soli 46 anni ha smesso gli abiti del Pigmalione.

«Sì. Anche perché ormai conosco il giochetto a memoria. E non mi diverto più tanto come una volta. Anzi, alla fine mi annoiavo. Arrivederci, ragazzi».

Mauro Suttora