Saturday, July 05, 1986
I ventenni di Vicenza
Gente di provincia. Un' inchiesta rivela il vero volto dell' Italia che cresce piu in fretta
Divertimenti, famiglia, partiti, religione . . . Nel pianeta dei ventenni di Vicenza un professore inglese scopre molte verita' sulle regioni a piu' rapido sviluppo: Percy Allum e Ilvo Diamanti, sociologi, pubblicano per le Edizioni Lavoro un libro intitolato '50/'80 vent' anni
Europeo, 5 luglio 1986
di Mauro Suttora
"Atolaria la Vespa che la me piasaria tanto " : prenderei la Vespa che mi piacerebbe tanto . Questo il desiderio supremo di un muratore diciassettenne di Velo d' Astico (Vicenza) , consegnato alla storia nel 1954 in risposta a un questionario delle Acli . La domanda era : " Se il tuo stipendio fosse superiore ai bisogni personali o familiari , come impiegheresti quello che ti resta ? " . Le altre domande riguardavano il lavoro , la famiglia , la religione , la politica : una profonda ricognizione , insomma , sulla vita e i valori di quasi mille giovani dai 14 ai 26 anni nella provincia di Vicenza . E un campione rappresentativo di una zona d' Italia dominata allora come oggi dalla cultura cattolica e caratterizzata dall' economia diffusa di quelle imprese piccole e piccolissime che formano la " terza Italia " (Triveneto , Emilia , Toscana , Umbria , Marche) industrializzatasi lentamente e felicemente nel dopoguerra .
La preziosa indagine delle Acli e' stata riscoperta dopo trent' anni , sepolta negli archivi dell' organizzazione dei lavoratori cattolici , da Percy Allum e Ilvo Diamanti . Allum , docente all' Universita' di Reading , vicino a Londra , e' uno di quegli inglesi che , come lo storico Denis Mack Smith , conoscono l' Italia meglio di molti italiani : e' stato editorialista dell' Europeo e di Repubblica , e i suoi libri sulla Napoli del dopoguerra e Anatomia di una repubblica sono letti da tutti gli studenti di cose italiane nelle universita' d' Europa e d' America .
Da qualche anno trascorre lunghi periodi a Vicenza per analizzare a fondo le radici dell' ormai quarantennale potere democristiano in Italia e adesso , assieme a Diamanti (professore di sociologia a Padova) , pubblica un nuovo libro il cui titolo , ' 50 ' 80 vent' anni (Edizioni Lavoro) , e' solo apparentemente un errore tipografico . I vent' anni , infatti , non sono quelli fra il 1950 e il 1980 , ma l' eta' media dei giovani di Vicenza ai quali i due studiosi hanno riproposto oggi , un po' ampliato , il sondaggio del 1954 .
Ecco cosi' delinearsi due fotografie , abbastanza nitide , di quello che sono e pensano i giovani di oggi rispetto a quello che erano e pensavano i loro genitori quando avevano la stessa eta' . Che cos' e' cambiato a Vicenza e provincia negli ultimi trent' anni ? Molto . Negli anni Cinquanta i giovani contadini rappresentavano un quarto degli intervistati , oggi solo il 4 per cento . Inversamente , sono aumentati gli studenti : erano appena quattro su cento nel 1954 , adesso rappresentano un terzo del campione . Ma , soprattutto , questo periodo ha visto l' esplodere dell' industria . E a Vicenza quest' esplosione ha riguardato settori ad alta intensita' di lavoro con contenuti tecnologici relativamente bassi , oltre al tanto celebrato artigianato orafo .
Non c' e' stata rottura con l' assetto preesistente : e' nata la figura del " metalmezzadro " . Non c' e' da stupirsi quindi se , scendendo nel dettaglio , gli atteggiamenti dei giovani vicentini di oggi mostrano sorprendenti analogie con quelli dei loro coetanei di trent' anni fa .
Lavoro .
In provincia di Vicenza attualmente i giovani occupati sono il 15 per cento in piu' della media nazionale . Poca disoccupazione , quindi , e anche meno scuola : solo un 34 per cento di studenti , contro la media nazionale del 44 . In questo campo c' e' soddisfazione generalizzata , esattamente come trent' anni fa : entrambe le generazioni , infatti , rispondono per i tre quarti positivamente alla domanda : " Sei contento del tuo lavoro ? " . Nel 1954 gli unici infelici sono i contadini : " Si vive solo se si fa economia , senza vizi , senza divertimenti , con 12 ore di lavoro al giorno . Siamo quasi non compresi , per lo piu' considerati come ignoranti perche' molte volte non vestiamo bene e alla sera andiamo al bar " , scrive un giovane agricoltore di Schio . E la meta' dei giovani operai , pur ammettendo di aver scelto il proprio lavoro e dichiarandosene soddisfatti all' 80 per cento , considera il lavoro pesante e la paga scarsa : " Non sono contento " , scrive un meccanico di Marano , 19 anni , " dopo 10 ore faticose di essere calunniato e insultato dai padroni " .
Negli anni Ottanta la situazione felice dell' occupazione giovanile a Vicenza si riflette anche sui giudizi singoli : solo il 18 per cento ritiene il lavoro " una necessita' che purtroppo impedisce di vivere appieno " , mentre la stragrande maggioranza dei giovani lavoratori considera il proprio impiego come una libera scelta , una buona fonte di reddito , un luogo di incontri , rapporti umani e amicizia in un ambiente salubre . E , sia trent' anni fa sia oggi , una forte spinta all' iniziativa individuale , al lavoro autonomo : " Lavorare un po' di anni , imparare il lavoro , mettere da parte un po' di soldi e aprire un negozietto . . . " , sogna un apprendista orafo di 17 anni di Vicenza .
Tempo libero .
Trent' anni fa 44 su cento rispondevano " in famiglia " alla domanda " Come impiegheresti il tempo libero se ne avessi di piu' ? " . Allo sport andava il 45 per cento , a libri , riviste e gite il 36 , alle attivita' di assistenza il 27 e agli amici solo il 26 . E i soldi in piu' ? " Per l' avvenire " , si proponeva il 35 per cento , contro solo un 21 per cento di cicale disposte a spenderli in attivita' di piacere e in consumi puri e semplici . Ma anche oggi , nonostante la maggiore disponibilita' di tempo libero e di soldi , i giovani vicentini non praticano i " consumi vistosi " e continuano a spendere con grande prudenza . Proprio nell' anno della prima indagine , il 1954 , arrivava in Italia la televisione , e oggi stare di fronte al piccolo schermo e' il principale svago per il 70 per cento della gioventu' di Vicenza .
Per quanto riguarda le aspirazioni all' uso del tempo libero , comunque , in testa ci sono musica e amici . E nello spendere le loro 60 mila lire mensili (in media) che emerge la sobrieta' dei vicentini in erba . Dopo aver dato molti soldi in famiglia , piu' dei due terzi del loro stipendio , essi infatti affermano di impiegare i soldi in eccedenza soprattutto nel risparmio (56 per cento) , nella solidarieta' assistenziale (31) , nel farsi una casa propria (26) e nell' investimento in attivita' commerciali imprenditoriali (22) . Gli unici consumi " frivoli " (vestiti , stereo , dischi) sono terzi in graduatoria con il 28 per cento , mentre libri e giornali ottengono 4 punti in meno di preferenza . I luoghi di incontro con gli amici sono soprattutto le case private (19 per cento) , bar e pizzerie (19) e gli oratori (15 ) .
Alta l' esposizione ai mass media : oltre alla tv , il 60 per cento dei giovani legge spesso un giornale . Siamo nella media europea (un' indagine di Jean Stoetzel del 1984 assegna ai quotidiani un 57 per cento di lettori giovani regolari) , e naturalmente c' e' stato un grosso aumento rispetto agli anni Cinquanta , favorito dall' aumento della scolarita' . In particolare , i quotidiani locali (Il Giornale di Vicenza e Il Gazzettino) sono letti da 76 giovani su cento , (contro il 51 per cento nel 1954) , quelli nazionali dal 65 per cento (2 per cento) , la stampa cattolica (Famiglia Cristiana) dal 54 (9) , quella d' opinione (Europeo , Panorama) dal 45 (20) , i fumetti dal 44 (4) e i giornali sportivi dal 37 (solo dai maschi) , contro un 5 per cento del 1954 .
Famiglia .
Si trova in una situazione paradossale : nonostante la crisi di cui tanto si e' parlato negli ultimi vent' anni , nove giovani su dieci a Vicenza continuano a metterla al primo posto fra le istituzioni e i gruppi di cui hanno fiducia , e ci stanno senza troppe frizioni fino ai 25 30 anni . L' armonia e' notevole : alla domanda " Come ti trovi in famiglia ? " il 40 per cento ha risposto " bene " , il 42 " discretamente " e appena l' 8 " male " . E la stessa coesione degli anni Cinquanta : l' 85 per cento andava d' accordo col padre , l' 83 con i fratelli . Allora la famiglia rappresentava il centro della vita di ogni giovane , adesso invece si richiedono ancora alla famiglia affetto e aiuto materiale , ma con una forte dose di autonomia reciproca .
Religione .
" La ne ciava e la ne roba tutti i schei , perche' i ghe ne occore per dare a che la bruta troia de Chiesa " : questo drastico giudizio sulla Democrazia cristiana espresso nel questionario del 1954 da un giovane di Schio non rappresentava certo lo stato d' animo generale dell' epoca . A Vicenza infatti la religione e la Chiesa cattolica costituivano , piu' di qualsiasi altra istituzione , partiti compresi , la base dell' organizzazione sociale . Negli ultimi vent ' anni quest' egemonia sulla societa' e' venuta meno . " Ma non c' e' ostilita' nei confronti della Chiesa " , afferma Allum . I sacerdoti sono apprezzati piu' come assistenti sociali o animatori culturali che come " ministri di Dio " . " Aiutano a essere piu' leali , piu' sinceri , piu' attaccati al benessere della nostra patria , della famiglia e dell' anima " , diceva un contadino diciassettenne di Lugo nel 1954 . Ma anche oggi il 42 per cento dei giovani ammette che la religione ha aiutato le proprie scelte di vita . Non per niente il 35 per cento si dichiara praticante e un altro 48 per cento credente . Fra i minori di 19 anni la quota di credenti e praticanti sfiora addirittura il 90 per cento .
Politica .
In un contesto totalmente differente da quello degli anni Cinquanta , con la Democrazia cristiana che non e' piu' il comitato elettorale della diocesi ma un' organizzazione di burocrati , i giovani continuano comunque a garantire al partito cattolico la maggioranza assoluta . La repulsione per i partiti e' quasi totale : infatti l' 80 per cento (contro il 60 di trent' anni fa) considera doveroso partecipare alla vita politica , ma solo l' 8 per cento (contro il 19 del 1954) e' disposto a iscriversi a un partito . Questa estraneita' pero' non diventa astensione alle elezioni , perche' i giovani sono ben consci dell' importanza del voto : quasi un terzo lo indica come il maggiore mezzo di partecipazione . Ma i due strumenti piu' scelti sono l' " informazione " (61 per cento) e la partecipazione a gruppi locali nel quartiere , nel paese , in citta' (69 per cento) . Infatti molti si danno da fare nei gruppi di volontariato ed ecologici (solidarieta' " corta " , pragmatica , di cui si vedono i risultati) .
Mauro Suttora
Wednesday, July 02, 1986
Diventeranno famosi: Franco Porcelli
Europeo, luglio 1986
Sono ormai molti gli italiani che da giovani hanno approfittato della possibilita' , fornita da un Regio decreto del 1925 , che permette di fare un anno di scuola superiore all' estero senza perdere l' anno in Italia . Fra i pionieri degli anni Cinquanta sono stati " foreign exchange student " negli Stati Uniti e in altri paesi di tutto il mondo anche nomi poi diventati famosi , come il segretario liberale Renato Altissimo , il giornalista Gianluigi Melega o il deputato dc Angelo Sanza ; piu' recentemente hanno frequentato l' ultimo anno della " high school " americana (che dura 4 anni) i rampolli Barilla e Bassetti , nonche' il cardiochirurgo Carlo Marcelletti , primario del Bambin Gesu' a Roma .
Molti di questi studenti mantengono anche in seguito forti legami con gli Stati Uniti : e' il caso , per esempio , di Franco Porcelli , un brillante ventisettenne di Novara che dopo un anno passato in Massachusetts e' tornato in Italia , si e' laureato in fisica alla Normale di Pisa ed e' quindi ripartito per Boston , dove adesso lavora al prestigioso Mit (Massachusetts Institute of technology) nell' equipe che si occupa della fusione atomica . Sono due le organizzazioni piu' rodate che in Italia si occupano di questi scambi (oltre ai rotariani , che hanno un programma riservato ai figli dei soci) : Intercultura (piazza S . Pantaleo 3 , Roma Tel . 06 6877241) e Afsai (via S . Alessio 24 tel . 06 5740405) . Il costo di un anno all' estero varia da uno a sette milioni , secondo il reddito familiare , e sono disponibili numerose borse di studio . All' estero si e' ospitati da famiglie accuratamente selezionate , ma che non ricevono alcun compenso , e lo stesso avviene in Italia : Intercultura e Afsai sono quindi in perenne ricerca di famiglie italiane che accolgano per un anno un ragazzo straniero .
Per partecipare alla selezione bisogna avere 16 anni , superare degli esami e disporre di un buon curriculum scolastico . Non e' necessario conoscere benissimo la lingua del paese ospitante . dopo i primi due mesi di parmanenza , volenti o nolenti , la si impara automaticamente . Prima di partire si svolgono numerosi incontri di preparazione , cosi' come alla fine dell' anno ci sono incontri di valutazione . Durante il periodo trascorso all' estero , poi , sono numerosi i week end di riunioni e le feste organizzate per far incontrare gli studenti stranieri . Negli Stati Uniti si frequenta una normale scuola superore (con contorno di partite di football , basket e baseball) , e si prende il diploma di " high school " come un qualsiasi ragazzo americano . L' Afsai organizza anche soggiorni di lavoro sociale in Scandinavia , mentre Intercultura offre programmi estivi di due mesi da e per gli Stati Uniti .
Mauro Suttora
Saturday, June 28, 1986
Scuola superiore di Pubblica amministrazione
Saturday, March 29, 1986
Saturday, March 15, 1986
Filippine, cade Marcos: parla Gene Sharp
Un grande esperto di disobbedienza civile nonviolenta spiega la rivoluzione filippina
di Mauro Suttora
Europeo, 15 marzo 1986
(Il 25 febbraio 1986 il presidente delle Filippine Ferdinand Marcos scappa all'estero dopo un'imponente rivolta popolare pacifica. Gli succede Corazon Aquino)
La nonviolenza ha vinto nelle incredibili giornate di Manila. Com'è potuto accadere? Ecco il parere di Gene Sharp, 58 anni, professore all'università di Harvard (Usa), massimo teorico vivente delle pratiche gandhiane:
"Azione nonviolenta è un termine generico che comprende moltissime tecniche di protesta, non collaborazione e intervento. Ma non si tratta di un metodo passivo: non è assenza di azione, è un'azione che è nonviolenta. Il suo presupposto è molto semplice: i sudditi hanno la possibilità di disobbedire alle leggi e ai governi che non accettano, perché il potere è in realtà nelle loro mani".
Anche nel caso di una dittatura?
"La servitù è sempre volontaria, in misura maggiore o minore. Lo constatava già nel XVI° secolo il filosofo francese Etienne de la Boétie, e prima di lui perfino Niccolò Machiavelli, quando scriveva che il Principe 'quanta più crudeltà usa, tanto più debole diventa il suo principato'.
Quando il consenso viene tolto, anche il peggior tiranno diventa un uomo qualsiasi. Il potenziale militare del governante può rimanere intatto, i suoi soldati incolumi, gli edifici del governo intatti, ma tutto è cambiato. È una legge scientifica.
È capitato in India con Gandhi, in Iran contro lo Scià nel 1978, e adesso nelle Filippine. Ma il primo episodio di disobbedienza civile collettiva registrato dalla storia accadde proprio da voi, a Roma, nel 494 avanti Cristo. Quando ai plebei, invece di uccidere i consoli, bastò ritirarsi sul Monte Sacro per ottenere maggiori diritti. E nessuno lo ricorda mai, ma anche la prima rivoluzione russa del febbraio 1917, quella menscevica, fu prevalentemente nonviolenta".
Invece in Cecoslovacchia nel 1968 e in Polonia nel 1980-81 i nonviolenti hanno perso.
"Sì, ma in Cecoslovacchia i sovietici riuscirono a normalizzare la situazione soltanto nell'aprile 1969, dopo otto mesi di resistenza. E in Polonia Solidarnosc è ancora attivissima, seppur nella clandestinità.
L'azione nonviolenta è un metodo: si può vincere, si può perdere. Ma, in ogni caso, quante vite si risparmiano usando le armi della nonviolenta? L'esempio delle Filippine, inoltre, sfata un luogo comune: che la nonviolenza possa avere successo solo in tempi molto lunghi. Sono bastati 18 giorni a Corazon Aquino per vincere".
Mauro Suttora
Saturday, March 08, 1986
Tra noi c'è un solo abusivo: la legge
NUOVI SOVVERSIVI/RAPPORTO DAL PAESE CHE GUIDA LA RIVOLTA DOPO IL CONDONO
Vittoria, in provincia di Ragusa, vanta due record: è la città più comunista d'Italia, e la più affollata di edifici illegali. Il suo sindaco ha guidato la marcia su Roma. Siamo andati a fare i conti in tasca a chi sostiene di non avere i soldi per fare il dovere di cittadino
di Mauro Suttora
foto di Maurizio Bizziccari
Europeo, 8 marzo 1986
Saturday, February 15, 1986
Italiani addestrano i piloti libici
SANNO FARE I KAMIKAZE, NON SANNO FARE LA GUERRA
I Mig e i Mirage di Gheddafi ronzano minacciosi sul Mediterraneo. Ma chi è ai comandi ci sa fare davvero? Abbiamo scovato il maestro. Ecco quel che ha visto e insegnato
di Mauro Suttora
Europeo, 15 febbraio 1986
Saturday, November 30, 1985
Saturday, September 14, 1985
Leonardo, dai, vinci!
Saturday, August 17, 1985
Brucia Africa, brucia
Wednesday, April 10, 1985
Gesualdo Bufalino: "Per noi comisani la base non esiste"
intervista allo scrittore Gesualdo Bufalino
di Mauro Suttora
Il Messaggero, 10 aprile 1985
"Per noi comisani la base non esiste. Anzi, può darsi che non esista davvero: nessuno, tranne gli americani, è mai entrato nel suo cuore intimo, dove sono custoditi i missili atomici. Gli operai e i militari italiani sono addetti a servizi secondari, non sanno niente. Quanto agli americani, chi li vede mai qui in paese? Vanno in giro a gruppi di tre o quattro, ogni tanto, tutti assieme..."
Saturday, February 23, 1985
Indovina chi serve a cena
BON TON/ LA TROVATA DI UNA SIGNORA MILANESE
Indovina chi serve a cena
di Mauro Suttora
Europeo, 23 febbraio 1985
Nome: Lalla Jucker. Classe: buona borghesia lombarda. Hobby: cucinare per conto terzi. È già una cosa strana. Ma la vera sorpresa è sotto lo smoking impeccabile dei suoi giovani camerieri
Saturday, October 27, 1984
I contestatori di Berkeley 1964
Saturday, August 18, 1984
Sovrappopolazione mondiale: esplodono le megalopoli
LA TERRA È PICCOLA PER NOI
Nascono due bambini ogni secondo. Nel Duemila saremo sei miliardi. Città del Messico sfiorerà i trenta milioni di abitanti. Il nostro sarà ancora un pianeta vivibile? E, soprattutto, come sarà la qualità della vita nel Terzo mondo?
di Mauro Suttora
Europeo, 18 agosto 1984
Tuesday, January 31, 1984
Lega per il disarmo a congresso
di Mauro Suttora
Il Manifesto, 31 gennaio 1984
Firenze. Vilipendio alle forze armate, istigazione a delinquere, diserzione, oltraggio a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata, blocco stradale.
Quasi tutti i cento partecipanti al congresso nazionale della Lega per il disarmo unilaterale (Ldu), conclusosi a Firenze domenica, si sono 'macchiati' di qualcuno di questi reati negli anni scorsi, durante la loro attività antimilitarista.
"Siamo antimilitaristi, non semplici pacifisti", tengono a precisare, "perché ci opponiamo non solo alle armi atomiche, ma anche a ogni tipo di armamento convenzionale. E vogliamo l'abolizione di tutti gli eserciti, a cominciare dal nostro".
Lo scrittore Carlo Cassola cominciò a scrivere questa cose nel 1975 nei suoi elzeviri sul Corriere della Sera, e nel '77 fondò con pochi amici la Lega per il disarmo dell'Italia. Due anni dopo questa si fuse con un gruppo guidato allora dal giovane radicale Francesco Rutelli. Da allora la Ldu, sempre presieduta da Cassola, è divenuta l'alfiere dell'antimilitarismo più rigoroso, piena com'è di anarchici, radicali, nonviolenti, pronti a farsi arrestare alla prima occasione.
Nonostante i sondaggi rivelino che il 35% degli italiani è favorevole al disarmo unilaterale, gli iscritti alla Lega non superano mai le poche centinaia. Come mai?
"Colpa nostra, che non facciamo abbastanza propaganda. Ma ormai solo due giovani su cento sono iscritti a un partito politico, c'è in giro molta noia per i discorsi in 'politichese', anche per quelli dei pacifisti. Per questo noi siamo per l'azione diretta, nonviolenta naturalmente", dice il segretario uscente Bruno Petriccione.
C'è grossa polemica nei confronti del coordinamento nazionale dei comitati per la pace. "Sono controllati dai funzionari di partito, soprattutto del Pci. I pochi comitati spontanei locali sono emarginati, non c'è democrazia nel movimento. Per questo abbiamo perso contro i missili Cruise".
Padre Ernesto Balducci, da anni iscritto alla Ldu, non è d'accordo: "Il Poi non ha il pacifismo nella sua tradizione, e dobbiamo riconoscere che in questi ultimi anni ha fatto molti passi in avanti".
Anche Umberto Mazza, portando i saluti di Democrazia proletaria (l'unico partito, assieme ai radicali, favorevole a passi di disarmo unilaterale), ammonisce i disarmisti a non rinchiudersi in uno sterile settarismo: "Abbiamo tutti un grosso debito nei vostri confronti, perché per primi avete detto cose che adesso condividiamo in molti. Abbiamo bisogno delle vostre idee".
I programmi della Ldu per il 1984 prevedono un grosso impegno sulla 'obiezione fiscale' alle spese militari e su Comiso. Uno dei tre nuovi segretari, Alfonso Navarra, ventenne palermitano, ha ricevuto il foglio di via dalla provincia di Ragusa dopo avere trascorso un mese in carcere lo scorso agosto per la sua attività antimilitarista.
"Ritornerò pubblicamente a Comiso in marzo", dice, "perché voglio disobbedire alle leggi ingiuste".
Fra molte dichiarazioni roboanti ("Bisogna passare dalla protesta alla disobbedienza civile generalizzata contro questo stato militarista che negli ultimi cinque anni ha triplicato le spese militari") il discorso di Adele Faccio, ex deputata radicale, suona perfino mite: "Dobbiamo portare il messaggio nonviolento in tutti i luoghi, anche all'est".
Mauro Suttora
Saturday, October 22, 1983
Sarajevo prepara le Olimpiadi invernali 1984
Saturday, October 08, 1983
Gli ecologisti tedeschi
IL MIO VERDE È PIU’ VERDE DEL TUO
Germania/Il movimento ecologista si spacca
Fondamentalisti, realpolitici, nonviolenti, filoamericani, gandhiani... Che cosa nasconde il fiorire di tante correnti all’interno del partito che sorprese tutti alle elezioni di sei mesi fa?
Europeo, 8 ottobre 1983
di Mauro Suttora
«Non vogliamo cadere nelle mani dei comunisti e del loro modo vecchio, burocratico e perdente di fare politica. Basta con il minoritarismo di sinistra», afferma deciso Ernst Hoplitschek, leader degli ecologisti berlinesi. E così da quest’estate i grünen, iverdi di Berlino Ovest, si sono messi in proprio, iniziando una campagna autonoma di iscrizioni e separandosi dalla Lista alternativa, con la quale avevano ottenuto il sette per cento e nove consiglieri due anni fa.
Berlino è da sempre il laboratorio politico della Germania. Tutto ciò che accade nella ex capitale prima o poi si ripercuote a livello nazionale. Così è stato, ad esempio, per il ritorno della Cdu al potere, avvenuto a Berlino già nel settembre 1981. E’ probabile, quindi, che le frizioni all’interno del partito verde e fra questo e gli altri settori della sinistra extraparlamentare che finora lo hanno appoggiato si moltiplichino nei prossimi mesi.
Già ci sono alcuni segni. A Brema, dove nel 1979 per la prima volta i verdi superarono alle elezioni la soglia-ghigliottina del cinque per cento, le votazioni appena avvenute hanno visto la concorrenza reciproca di ben tre formazioni ecologiste: quella dei verdi federali, la «Bremer grune liste» più conservatrice e localista, e la Lista alternativa del lavoro, piena di comunisti. Ma anche nel resto della Germania la presenza fra i verdi di molti marxisti sta cominciando a creare molti problemi agli ecologi meno politicizzati, e si vanno già formando due tendenze contrapposte all’interno del piccolo partito approdato in Parlamento da soli sei mesi: «fondamentalisti» e «realpolitici».
Forti soprattutto in Assia e ad Amburgo, i fondamentalisti criticano «dalle fondamenta» la società dei consumi, seguendo le teorie apocalittiche di Rudolph Bahro, 48 anni, intellettuale incarcerato e poi espulso (1978) dalla Germania Est, dov’era stato un importante tecnocrate in campo economico. Adesso, pur non essendo deputato, è l’ideologo e l’eminenza grigia dei verdi. Predica la «Ausstieg aus der Industriegesellschaft», l’uscita dalla società industriale che produce sempre più armi e fame.
Ma l’aspetto più controverso delle proposte di Bahro riguarda la strategia elettorale: egli afferma che sarebbe miope per i verdi limitarsi a fare la pulce a sinistra dell’Spd, e che essi devono rivolgersi invece a un elettorato molto più ampio, anche di destra, con un programma di «conservazione dei valori».
E quali sarebbero questi «valori» capaci di attrarre gli elettori democristiani di Helmut Kohl e Franz Strauss? La vita, minacciata dalle bombe atomiche; la comunità e la privacy, minacciate dall’invadenza dello stato assistenziale e poliziesco (vinta quest’anno la battaglia contro il censimento, i verdi si stanno ora battendo contro l’introduzione della carta d’identità magnetica, prevista per il 1984, considerata uno strumento di maggiore controllo sociale); le foreste, amate visceralmente da ogni tedesco e rovinate dalle piogge acide; l’unità della Germania, spezzata dalla divisione in blocchi nemici.
Ai fondamentalisti si contrappongono i realpolitici di Brema, Baviera e Baden-Wurttemberg, nonché i rossoverdi che mirano ancora al coinvolgimento degli operai (in settembre a Bonn il deputato Eckhart Stratmann ha organizzato un «foro dell’acciaio» assieme a delegati di fabbrica). I realpolitici vengono bollati in tal modo a cuasa della loro disponibilità ad allearsi con i socialisti, mentre per Bahro fra Spd e Cdu non c’è molta differenza.
«E gli emarginati, gli omosessuali, i carcerati, gli stranieri? Ci dimenticheremo di loro per correre dietro ai piccolo-borghesi?», domanda Thomas Ebermann, capogruppo dei verdi alla Dieta di Amburgo, preoccupato di perdere i contatti con i gruppi spontanei di protesta che fioriscono al di fuori della vita istituzionale. E anche i giovani estremisti «alternativi» delle grandi città non ne vogliono sapere di cercare i modi e le parole per attrarre «i fascisti della Cdu».
Ma non sono soltanto le grandi questioni ideologiche o le strategie elettorali a dividere i verdi. Si discute anche, e con ripercussioni che vanno al di là dell’area alternativa, di violenza e nonviolenza. Dove comincia l’una e finisce l’altra? Un sit-in davanti a una base Nato è già una forma di violenza?
Lukas Beckmann, 30 anni, deputato e tesoriere del partito, è stato appena condannato a pagare una multa di 500 marchi, a scelta all’erario o ad Amnesty International, per avere bruciato un missile di cartone davanti alla sede dell’Spd di Bonn. «Volevo far cambiare loro idea sugli euromissili», si è difeso. E per la verità, viste le ultime posizioni del partito di Willy Brandt su Cruise e Pershing 2, sembra esserci riuscito.
Lo stesso Beckmann due settimane fa, a una riunione del comitato che coordina le mainifestazioni pacifiste d’autunno, ha dichiarato: «Nonviolenza non vuol dire rispetto della legalità: non ci limiteremo a bloccare gli accessi alle basi americane in Germania, ci entreremo dentro». Quanti sono d’accordo?
All’inizio di agosto un deputato regionale verde dell’Assia, Frank Schwalba-Hoth (non si è ripresentato alle elezioni domenica scorsa, preferendo tornare alla propria professione di insegnante), ha spruzzato del sangue addosso a un generale americano durante un ricevimento ufficiale. «Ha offeso la dignità di un uomo», è stato il duro commento di Petra Kelly, ex collaboratrice di Martin Luther King e quindi nonviolenta integrale. «Orrendo», ha rincarato il suo compagno, l’ex generale ora pacifista Gert Bastian, che conserva ancora un certo rispetto per le divise nonostante sui giornali appaia sempre più frequentemente in foto mentre viene trascinato via di peso dai sit-in antimilitaristi. L’«azione del sangue» è stata però approvata da parecchi altri, comprsi gli stessi verdi dell’Assia.
Iniziatori del movimento per la pace, i verdi sin dalla loro nascita quattro anni fa vengono accusati di essere antiamericani. Una delle loro principali preoccupazioni è dimostrare il contrario: «Non ce l’abbiamo con gli americani, ma con tutti gli eserciti d’occupazione». Gandhiani convinti, hanno sostituito il vecchio «Yankee go home» con il gentilissimo «Soldato, lascia l’esercito e vieni con noi».
«Nessuna accondiscendenza verso slogan del tipo “Violenza contro i piedipiatti” in voga fra gli autonomi», assicura Hoplitschek, il capo dei verdi berlinesi. Ci tengono a ricordare che nel novembre ’81, quando l’allora leader sovietico Leonid Breznev andò a Bonn, gli organizzarono contro un corteo di ventimila persone. Per protestare contro il golpe del generale Wojciech Jaruzelski in Polonia si rifiutarono di partecipare a qualsiasi iniziativa assieme al Dkp, il partito comunista della Germania Ovest finanziato da Mosca. E anche dopo l’incidente del jumbo coreano (abbattuto dai sovietici il primo settembre, provocando la morte di 269 persone) non sono mancate le condanne.
«Non siamo fedeli all’Est o all’Ovest, ma al genere umano», sta scritto nel loro programma. Eppure, dice il deputato Joschka Fischer, «per me ogni negozio di McDonald’s rappresenta una garanzia che la vecchia Germania non rinascerà più. Ogni hamburger, anche se io li detesto e li trovo immangiabili, è un pezzo di libertà. Siamo tutti americani, e la nostra cultura democratica la dobbiamo agli Stati Uniti. Ma non all’America ufficiale: a quella degli anni Sessanta, dei diritti civili e della musica pop».
In giugno Petra Kelly (sempre più pallida e nervosa, ma affascinante quando investe le platee con la sua eloquenza ispirata e torrenziale) ha compiuto un lungo tour negli Stati Uniti invitata dal Freeze movement, l’organizzazione che propone di congelare gli arsenali atomici ai livelli attuali.
E a sottolineare la distanza dall’Unione Sovietica c’è l’atteggiamento che i verdi tengono nei confronti del dissenso tedesco orientale. Roland Jahn, espulso dal governo di Berlino Est per la colpa di avere organizzato un movimento pacifista indipendente, è stato «adottato» dai verdi. Da anni il cantautore Wolf Biermann, anch’egli dissidente esiliato dal rtegime di Erich Honecker, si esibisce durante le loro manifestazioni.
Divisi sul piano ideologico, impegnati a differenziarsi da un movimento pacifista ambiguo (anche il premio Nobel della letteratura Heinrich Böll ha controbattuto le accuse di filosovietismo e di pacifismo a senso unico: «Non mettiamo in pericolo la democrazia, la usiamo») e decisi a rompere uno dei tradizionali tabù della sinistra, l’antiamericanismo, i verdi hanno dovuto fare i conti anche con alcuni curiosi e imbarazzanti incidenti di percorso.
All’indomani delle elezioni del 6 marzo si viene a sapere che l’ultrasettantenne Werner Vogel, eletto nelle liste col simbolo del girasole, il quale si accingeva a presiedere la seduta inaugurale del Bundestag risultandone il decano, aveva trascorsi nazisti. Niente di gravissimo, in un paese dove perfino il passato del presidente della Repubblica Karl Carstens non è immacolato. Ma subito il vecchietto amante della natura è stato costretto a dimettersi.
In agosto poi c’è stato l’«affare del sesso». «Il verde che palpa le tette alle segretarie», ha titolato a tutta pagina con la sua solita eleganza la Bild Zeitung. E così finisce la carriera di deputato di Klaus Hecker, 53 anni, sposato con tre figli: «Sì, ho fatto qualche avance alle ragazze dello staff: mi sentivo tanto solo a Bonn d’estate...»
Il gruppo parlamentare lo invita a dimettersi. Un certo puritanesimo femminista imperante tra i verdi fa addirittura dichiarare a una deputatessa: «La lotta contro i missili e contro il potere maschilista è una cosa sola». In questo clima antifallico, Hecker viene paragonato a un Pershing e non gli rimane che fare le valigie.
Mauro Suttora
I verdi in Germania
Saturday, March 12, 1983
Il fattore K dei pacifisti italiani
A Rivista Anarchica, marzo 1983
link al sito di A Rivista Anarchica
Chi afferma che oggi in Italia esiste un movimento per la pace o è disinformato o è in malafede. Si vada in Olanda, in Germania, in Gran Bretagna, per vedere cos'è un vero movimento per la pace, con la gente che si «muove». In Italia c'è un «certo» movimento, qua e là; c'è un «falso» movimento (quello della marcia Milano-Comiso del dicembre 1982, che è stata in realtà una serie di manifestazioni del PCI per la penisola; quello dei comitati fantasma per la pace, pieni di burocratini di partito riverniciati a nuovo, capaci solo di farla scappare, la gente, con il loro noioso sinistrese). Ma, in definitiva, poco si muove.
Lo dico con dispiacere, perché io stesso cerco di far qualcosa per far crescere questo movimento rachitico, e vorrei che la partitocrazia imperante e le lusinghe istituzionali non continuassero a soffocarlo. Ma tant'è: i gruppi anarchici, la Lega per il disarmo unilaterale dello scrittore Carlo Cassola, il Movimento nonviolento, la Loc (Lega obiettori di coscienza), il Campo internazionale e le leghe autogestite di Comiso (cioè tutti gli antimilitaristi), anche se in crescita, coinvolgono ancora solo poche migliaia di persone in tutta Italia. Lo stesso le riviste Senzapatria e Azione Nonviolenta. Perché?
Quello che caratterizza l'Italia rispetto agli altri paesi interessati ai missili Cruise (che sono stati la molla iniziale del movimento degli anni '80) è innanzitutto la mancanza di un grande organismo pacifista indipendente dai partiti. In Gran Bretagna c'è il CND (Campaign for Nuclear Disarmament), con 250.000 membri. In Olanda c'è l'IKV (Consiglio interecclesiale per la pace), con più di 400 gruppi locali attivi in ogni più piccolo paese. In Belgio ci sono il VAKA fiammingo e il CNAPD francofono. In Germania Ovest il gruppo-ombrello possono essere considerati i Verdi, che per loro fortuna non sono ancora un partito («E se non superate il 5% alle elezioni?» «Chi se ne frega, noi esistiamo indipendentemente dal parlamento! Se poi ci entriamo, tanto meglio: andremo a far casino anche lì dentro!»). Oltre ai Verdi, due altre organizzazioni aspirano ad un ruolo di coordinamento del variegato e vitalissimo movimento tedesco: l'ASF, presieduta da un vescovo, e l'AGDE.
In Italia, niente di tutto questo. Intendiamoci, si sta parlando di pacifisti, non di antimilitaristi: cioè di gente che si oppone solo alle armi atomiche, e non anche all'esercito. Ma il problema è che il PCI non è contro le armi atomiche. Anzi, in realtà, non è neanche contro i Cruise: è «per la sospensione dei lavori a Comiso, come contributo dell'Italia per le trattative di Ginevra», come ribadisce la Direzione del PCI in un documento del 26 gennaio scorso, e come diceva l'appello della Milano-Comiso, tratto di peso da documenti PCI (altro che 'intellettuali', che avrebbero scritto l'appello).
Per cui, fanno benissimo i comunisti - assieme alla loro corrente esterna del PdUP - a tenere da ormai un anno e mezzo addormentato il movimento per la pace italiano: se lo appoggiassero, magari noi correremmo il rischio di essere egemonizzati, ma le posizioni inconsistenti del vertice PCI verrebbero spazzate via ... dal buon senso.
Sì, perché è il semplice buon senso ad indicare a tutti, ai vescovi cattolici americani, al Labour party inglese, ai partiti socialisti olandese e tedesco, perfino alla DC olandese, posizioni più avanzate di quelle del PCI: e cioè, disarmo unilaterale atomico e indifferenza diffidente verso le trattative USA-URSS di Ginevra, che al massimo sanzionerebbero una nuova Yalta alle spese dell'Europa.
Ma, si dirà, a noi antimilitaristi cosa importa occuparci di queste cose che riguardano i «pacifisti atomici», che forse faranno anche guerra alla guerra, ma certo non alla pace sociale?
Importa moltissimo, perché in realtà la gente che partecipa alle dimostrazioni per la pace è molto più radicale di coloro che si arrogano il diritto di rappresentarla (come l'END). In Germania, in particolare, c'è da ormai 3 anni una situazione di vera e propria sovversione permanente, una rivoluzione culturale ma anche pratica che ha creato un circuito alternativo a cui fanno riferimento milioni di persone: occupanti di case, ma anche migliaia di iniziative culturali, sociali, economiche, in ogni quartiere di ogni città, che fanno da supporto al movimento antimilitarista così come a quello femminista, a quello ecologista e a quant'altri. E lo stesso in Olanda.
Si ride in faccia a chi non vuole uscire dalla Nato, perché sarebbe destabilizzante. Però, poiché l'unione fa la forza, e poiché noi ci opponiamo non ai puffi ma nientepopodimenoche al «complesso militare-industriale» (eserciti, armi, fabbriche di armi, Nato e Patto di Varsavia, stati, governi, culto della violenza), può anche servire partecipare alle iniziative di chi non ha il coraggio di chiedere tutto subito, ma almeno qualcosa: il famoso primo passo, per cominciare, nel nostro caso, a fare a meno delle armi atomiche. E infatti le donne del campo permanente di Greenham Common, in Inghilterra, si sono battute affinché tutto il CND appoggiasse le proprie azioni dirette, riuscendoci (cosa che, come ricorda Roussopoulos, non riuscì a Bertrand Russell negli anni '60).
In Olanda gli antimilitaristi anarchici di Onkruit e della «piattaforma radicale» litigano con i perbenino dell'IKV e ne denunciano le posizioni più stupide (come quella di rafforzare l'armamento convenzionale in cambio della rinuncia unilaterale al nucleare), ma si tratta di polemiche costruttive, fra gente che si muove nella stessa direzione.
In Spagna gli obiettori totali del MOC sono presenti dappertutto, e così in Germania gli anarchici nonviolenti di Graswurzelrevolution («la rivoluzione dalle radici dell'erba», decentrata ed antiautoritaria) e Gewaltfreie Aktion («Azione Nonviolenta»), che hanno organizzato le azioni dirette dello scorso 12 dicembre.
Negli USA la forte War Resisters League (che, assieme agli altri gruppi antimilitaristi che ho citato, aderisce alla WRI, War Resisters International, l'Internazionale dei resistenti alla guerra, che ha un ufficio con due persone a Londra) non disdegna di appoggiare la campagna veramente minimale del «Freeze» con le proprie azioni di disobbedienza civile (di cui i gesuiti fratelli Berrigan e l'ex consigliere di Nixon Daniel Ellsberg (Pentagon Papers) sono i fautori più intransigenti).
In Italia, invece, molti antimilitaristi - specialmente gli anarchici e i radicali - si sono appollaiati su di un Aventino un po' sterile, snobbando i pacifisti dell'ultima ora e lasciando spazio così alle pseudo-iniziative di PCI & C.
Certo, è impossibile collaborare con chi è parte integrante del complesso militare-industriale, con chi pretende di fare il pacifista in piazza e di presiedere la commissione difesa in parlamento (on. Vito Angelini, comunista, amico di tutti i generali): basta leggere cosa scrivevano Claudio Venza («Rosso, rosa e grigioverde», 1978, ed. Interrogations) o Roberto Cicciomessere («Italia Armata», 1982, ed. Gamma) per scoprire chi bluffa.
Ma si tratta di affrontare intelligentemente questo «fattore K» (anche in Francia un forte PC impedisce di fatto la crescita dei pacifisti spontanei) con la presenza, e non con l'assenza, perdendo tempo in dibattiti accademici su violenza e nonviolenza. Perciò andiamo pure al congresso di Berlino in maggio - come ci invita a fare Rossoupoulos -, anche se sappiamo che il problema non è tanto quello, in negativo, di evitare la terza guerra mondiale, quanto quello, estremamente urgente, di intaccare concretamente i concetti di difesa armata, e quindi di sovranità nazionale, e quindi di stato.
Mauro Suttora
Friday, October 29, 1982
mio discorso sui pacifisti europei
20 minuti a partire dal minuto 50