Saturday, March 15, 1986

Filippine, cade Marcos: parla Gene Sharp

LOTTA NORMALE SENZA FARSI MALE
Un grande esperto di disobbedienza civile nonviolenta spiega la rivoluzione filippina

di Mauro Suttora

Europeo, 15 marzo 1986

(Il 25 febbraio 1986 il presidente delle Filippine Ferdinand Marcos  scappa all'estero dopo un'imponente rivolta popolare pacifica. Gli succede Corazon Aquino)

La nonviolenza ha vinto nelle incredibili giornate di Manila. Com'è potuto accadere? Ecco il parere di Gene Sharp, 58 anni, professore all'università di Harvard (Usa), massimo teorico vivente delle pratiche gandhiane:
"Azione nonviolenta è un termine generico che comprende moltissime tecniche di protesta, non collaborazione e intervento. Ma non si tratta di un metodo passivo: non è assenza di azione, è un'azione che è nonviolenta. Il suo presupposto è molto semplice: i sudditi hanno la possibilità di disobbedire alle leggi e ai governi che non accettano, perché il potere è in realtà nelle loro mani".

Anche nel caso di una dittatura?
"La servitù è sempre volontaria, in misura maggiore o minore. Lo constatava già nel XVI° secolo il filosofo francese Etienne de la Boétie, e prima di lui perfino Niccolò Machiavelli, quando scriveva che il Principe 'quanta più crudeltà usa, tanto più debole diventa il suo principato'.
Quando il consenso viene tolto, anche il peggior tiranno diventa un uomo qualsiasi. Il potenziale militare del governante può rimanere intatto, i suoi soldati incolumi, gli edifici del governo intatti, ma tutto è cambiato. È una legge scientifica.
È capitato in India con Gandhi, in Iran contro lo Scià nel 1978, e adesso nelle Filippine. Ma il primo episodio di disobbedienza civile collettiva registrato dalla storia accadde proprio da voi, a Roma, nel 494 avanti Cristo. Quando ai plebei, invece di uccidere i consoli, bastò ritirarsi sul Monte Sacro per ottenere maggiori diritti. E nessuno lo ricorda mai, ma anche la prima rivoluzione russa del febbraio 1917, quella menscevica, fu prevalentemente nonviolenta".

Invece in Cecoslovacchia nel 1968 e in Polonia nel 1980-81 i nonviolenti hanno perso.
"Sì, ma in Cecoslovacchia i sovietici riuscirono a normalizzare la situazione soltanto nell'aprile 1969, dopo otto mesi di resistenza. E in Polonia Solidarnosc è ancora attivissima, seppur nella clandestinità.
L'azione nonviolenta è un metodo: si può vincere, si può perdere. Ma, in ogni caso, quante vite si risparmiano usando le armi della nonviolenta? L'esempio delle Filippine, inoltre, sfata un luogo comune: che la nonviolenza possa avere successo solo in tempi molto lunghi. Sono bastati 18 giorni a Corazon Aquino per vincere".
Mauro Suttora

  

Saturday, March 08, 1986

Tra noi c'è un solo abusivo: la legge

NUOVI SOVVERSIVI/RAPPORTO DAL PAESE CHE GUIDA LA RIVOLTA DOPO IL CONDONO

Vittoria, in provincia di Ragusa, vanta due record: è la città più comunista d'Italia, e la più affollata di edifici illegali. Il suo sindaco ha guidato la marcia su Roma. Siamo andati a fare i conti in tasca a chi sostiene di non avere i soldi per fare il dovere di cittadino

di Mauro Suttora

foto di Maurizio Bizziccari

Europeo, 8 marzo 1986



Saturday, February 15, 1986

Italiani addestrano i piloti libici

Rivelazioni/Parla l'italiano che ha addestrato i piloti libici

SANNO FARE I KAMIKAZE, NON SANNO FARE LA GUERRA

I Mig e i Mirage di Gheddafi ronzano minacciosi sul Mediterraneo. Ma chi è ai comandi ci sa fare davvero? Abbiamo scovato il maestro. Ecco quel che ha visto e insegnato

di Mauro Suttora

Europeo, 15 febbraio 1986


Saturday, September 14, 1985

Leonardo, dai, vinci!


LEONARDO BRIGLIADORI, CAMPIONE MONDIALE DI VOLO A VELA

Lo zio della soubrette Eleonora, quando esce dall'ufficio, monta sull'aliante e colleziona trofei. Ma gli capitano anche buffe avventure: come quel giorno in cui fu scambiato per un Ufo...

di Mauro Suttora

Europeo, 14 settembre 1985

Il primo uomo che ha camminato sulla Luna, Neil Armstrong, è uno di loro. In Italia sono un migliaio, e ogni sabato e domenica si levano in volo dai 24 club sparsi per la penisola. Ottimi amici delle aquile, sorvolano crinali e planano su foreste, radure o distese di neve immacolate, silenziosi come uccelli.

Saturday, August 17, 1985

Brucia Africa, brucia

 

RAPPORTO DA UN CONTINENTE ALLA DERIVA

Brucia Africa, brucia

di Mauro Suttora e Pier Luigi Vercesi

Europeo, 17 agosto 1985

Il Sud Africa è in rivolta. In Uganda, dopo il golpe, si riaffaccia Idi Amin. Sahara spagnolo e Ogaden sono da dieci anni senza pace. E in quasi tutti gli altri Paesi fame, siccità, regimi dittatoriali, lotte tribali. Ecco i drammatici scenari delle aree più calde


 


Saturday, August 03, 1985

Dopo la tragedia della val di Fiemme/Cosa insegna il Vajont


VENTIDUE ANNI DOPO, GIUSTIZIA NON È FATTA


A Longarone sono arrivati molti miliardi e qualche scandalo. C’è stato il baby boom. C’è una chiesa monumento dove sostano i turisti. E c’è una lunga storia giudiziaria. Così lunga che non è ancora finita


dall’inviato Mauro Suttora


Europeo, 3 agosto 1985


“La lezione del Vajont non è servita a niente. Di fronte a disastri come quello di Tesero proviamo solo un’enorme amarezza e rabbia. Perché in realtà i disastri naturali non esistono: la causa è sempre l’uomo. Altro che protezione civile! Ci vogliono previsione e prevenzione prima, non protezione dopo”.


Chi pronuncia queste parole è un prete di 41 anni, don Giuseppe Capraro, nella sua casa di Longarone (Belluno). Quella sera di 22 anni fa, quando ci fu la strage con duemila morti, lui si salvò perché era in seminario a Belluno.


Longarone si trova a poche decine di chilometri da Tesero, due valli più in là. Ma mentre la val di Fiemme è un paradiso di pinete, quella del Piave è aspra e ingrata: montagne ripide e sassose, turisti pochi. Se si passa di lì, è solo per andare in Cadore e a Cortina.

 

L’autostrada Venezia-Monaco, promessa da vent’anni, si blocca a Vittorio Veneto. Il treno per Calalzo arranca, e ogni volta che si ferma alla stazione di Longarone ai passeggeri che si voltano a guardare la diga del Vajont ancora intatta (l’ondata, sollevata dalla frana del monte Toc, volò sopra lo sbarramento) viene sempre un brivido.


La sorella di don Giuseppe, Elsa, fa la centralinista. Esattamente come nel 1963. L’acqua entrò dalla finestra della sua casa, ma lei si salvò. Nel centro del paese, 2000 abitanti, questa fortuna capitò soltanto ad altri duecento. “Dopodiché, qualcuno mi accusò di essermi salvata perché avrei ascoltato delle telefonate che preannunciavano la sciagura”, racconta Elsa Capraro. La sua vecchia casetta è rimasta in piedi, ed è tuttora una delle più carine del paese.


Tutto il resto è soprattutto cemento. Su via Roma, la strada principale, incombono palazzine fitte, alte 4-5 piani, che soffocano qualche stitico alberello. Più che un paese predolomitico ricostruito a nuovo, sembra una periferia di Roma impestata dalla speculazione. Speculazione. Quando sentono questa parola, i longaronesi diventano guardinghi. Perché dopo la tragedia dell’alluvione in questi 22 anni c’é stata anche la tragicommedia degli scandali.


“Niente imposte per dieci anni per tutti gli abitanti e le imprese del luogo”, decretò il governo nel 1964. Giustissimo. Però non furono pochi i casi di persone e aziende che piombarono a trapiantarsi a Longarone solo perché la ritenevano una nuova Montecarlo. Come in Friuli dopo il terremoto del 1976, anche qui il cocktail di aiuti statali e di operosità degli abitanti ha prodotto ricchezza. In pochi anni, grazie agli immigrati dal basso Veneto, gli abitanti del paese, frazioni comprese, ridiventarono 4500. Ci fu anche un baby boom, e adesso le scuole sono piene zeppe.


La vita continua, come sempre. E meglio di prima. Se non fosse per quelle ombre di truffe, peculati, concussioni che si aggirano per il paese. Ancora l’anno scorso nove politici locali sono stati rinviati a giudizio per le assegnazioni delle case popolari Iacp. Prima, professionisti condannati per aver dirottato in Svizzera soldi ricevuti dallo stato. “Colpa delle lungaggini burocratiche se le aziende già finanziate non furono mai realizzate”, si sono difesi. La Siderurgica Landini, per esempio: inghiottì 13 miliardi prima di scomparire nel nulla.


Poi ci sono le divisioni politiche paesane. Perché a Longarone la democrazia funziona, destra e sinistra si alternano alla guida del Comune. Adesso il sindaco è democristiano: alle ultime elezioni Dc, Psdi e Pri hanno avuto il 60%, contro il 25 del Pci e il 15 al Psi. Ma prima c’era una giunta rossa, e anche all’epoca della catastrofe il sindaco era socialista. Con l’alternanza delle giunte c’è stata anche l’alternanza dei progetti di ricostruzione.


L’iniziale piano di Giuseppe Samonà, considerato troppo avveniristico e “di sinistra”, venne accantonato dai democristiani quando tornarono al potere: “Erano solo dei bunker di cemento, rischiammo di fare da cavie per gli esperimenti degli architetti”, dice l’attuale vicesindaco dc, l’avvocato Franco Trovatella, 49 anni. Nella tragedia perse tutti i familiari. Lui quella sera era andato a trovare la fidanzata, oggi sua moglie, in un paese vicino.


Comunque, nonostante le divisioni politiche, estetiche e anche etniche (fra i sopravvissuti che volevano “tutto come prima” e i ‘foresti’ arrivati dopo), la ricostruzione fu completata in pochi anni.


Non così il processo. Giustizia, per il Vajont, non è stata ancora fatta. Questo è l’aspetto che più interessa oggi, perché Tesero non è da ricostruire com Longarone, ma giustizia la reclamano tutti. Ebbene, ci credereste? Il processo per i danni civili è ancora aperto, a Firenze. “Per la prima volta nella storia giudiziaria italiana”, dice il vicesindaco Tovanella, “è stato riconosciuto ai comuni colpiti dalla strage il diritto non solo al risarcimento danni ai beni e alle persone, ma anche quello dei danni morali”. I quali però non si sa ancora a quanto ammontino.


L’Enel fu particolarmente sfortunato: con la nazionalizzazione dell’elettricità nel 1963, solo sette mesi prima del disastro, rilevò la diga del Vajont dalla società privata Sade, poi assorbita da Montedison. Nel 1969 offrì ai privati una transazione di dieci miliardi in cambio della rinuncia al risarcimento. Cosa che avvenne, ma senza cancellare la responsabilità nei confronti del comune di Longarone. E infatti nel 1983 Montedison è stata condannata a pagare una ventina di miliardi a Longarone.


Adesso è in discussione la cifra che Enel e Montedison devono ancora versare a Longarone (Enel tenta di scaricare tutto su Montedison, e viceversa), nonché il risarcimento ad altre amministrazioni statali come le Ferrovie, che ebbero binari cancellati per chilometri.


Ma il capolavoro d’ingiustizia fu il processo penale. Poi a venne trasferito da Belluno all’Aquila per “legittima suspicione”: si temeva che i sopravvissuti di Longarone e degli altri paesi colpiti, Erto e Casso, facessero troppo casino durante le udienze.


Dopo questa sterilizzazione geografica il processo s’impantanò nei tempi lunghi, rischiando la prescrizione. Nel 1971, otto anni dopo la strage, la sentenza definitiva. Condannati solo due imputati su otto: l’ingegnere Enrico Biadene, direttore idraulico della diga ormai settantenne, a due anni; e Francesco Sensidoni, ispettore del Genio civile, a otto mesi. Un po’ poco per un “eccidio premeditato”, com’è scritto su una lapide del cimitero di Longarone.


E adesso? Come scorre la vita nel paese distrutto e ricostruito? La nuova chiesa è stata inaugurata solo due anni fa, ma fa bella mostra di sé in tutta la valle: sembra un ufo, un museo Guggenheim atterrato sulle sponde del Piave. È costata un miliardo e 300 milioni, viene visitata ogni anno da migliaia di turisti che si fermano andando a Cortina.


“La chiesa è l’antidiga, il suo cemento bianco rappresenta la vita, contro quello grigio della diga della morte”, dice enfatico don Capraro. “È troppo grande, d’inverno è fredda”, replicano più prosaicamente alcuni fedeli. Il parroco la controlla dall’interno della sua nuova immensa canonica, con una tv a circuito chiuso.


Probabilmente per le esigenze del paese (siamo in zona ‘rossa’, la religiosità qui è minore che nel resto del Veneto) basterebbe e avanzerebbe la cappella sotterranea Kolbe. Ma la chiesa di Longarone è anche un monumento: “E la parola ‘monumento’”, dice don Capraro, “deriva dal latino monere, ammonire. Il monito del Vajont è: la vita umana innanzitutto”.


 

Saturday, June 29, 1985

Non si vive di sola mente



Cecchi Paone si difende

Si infiamma la polemica su 'Mister O', il programma Rai di parapsicologia. Diamo la parola anche alle ragioni contro la ragione

di Mauro Suttora

Europeo, 29 giugno 1985 

 

Wednesday, April 10, 1985

Gesualdo Bufalino: "Per noi comisani la base non esiste"




"PER NOI COMISANI LA BASE NON ESISTE"

intervista allo scrittore Gesualdo Bufalino

di Mauro Suttora

Il Messaggero, 10 aprile 1985

"Per noi comisani la base non esiste. Anzi, può darsi che non esista davvero: nessuno, tranne gli americani, è mai entrato nel suo cuore intimo, dove sono custoditi i missili atomici. Gli operai e i militari italiani sono addetti a servizi secondari, non sanno niente. Quanto agli americani, chi li vede mai qui in paese? Vanno in giro a gruppi di tre o quattro, ogni tanto, tutti assieme..."

Gesualdo Bufalino, 64 anni, è il cittadino più illustre di Comiso. Professore, scrittore di successo ('Diceria dell'untore', 'Argo il cieco'), conosce ogni piega della vita cittadina.
"Comiso si trasformerà in miniera e bersaglio di terrore", scrisse allarmato nel 1981, quando il governo italiano annunciò di aver scelto Comiso per installare i 112 missili assegnatici dalla Nato.

In questi anni Bufalino ha descritto i pellegrinaggi dei pacifisti, l'arrivo dei soldati americani, le reazioni dei suoi 26mila concittadini. Ma adesso che i missili ci sono, lui paradossalmente mette in dubbio la realtà: "Per chi arriva a Comiso di sera, da Ragusa, la base si presenta come un grosso tumore arancione, tutto illuminato e isolato dal resto del territorio. Gli americani vogliono evitare qualsiasi frizione o incidente con la gente del luogo, e noi ricambiamo il loro disinteresse".

Ma lei è favorevole o contrario ai missili?
"Sono ferocemente nemico di qualsiasi tipo d'arma, dal coltello alla bomba atomica. Ma almeno il pericolo di una guerra nucleare ha garantito all'Europa un periodo di pace ininterrotta superato soltanto da quello goduto durante la Belle époque".

Tutto bene, allora?
"No, provo come tutti un estremo imbarazzo ideologico. Ho pensato anche al suggerimento di Carlo Cassola di fare un gesto di disarmo unilaterale per sbloccare l'impasse, poiché non credo che l'obiettivo dei russi sia di arrivare al Tago. Ma qui si sfuma nelle nuvole dell'utopia".

Come mai i comisani non hanno protestato concretamente? I pacifisti venivano soprattutto da fuori.
"Abbiamo una dose di scetticismo storico e di impermeabile saggezza: digeriamo qualsiasi novità. I pacifisti ci hanno offerto spettacoli pittoreschi e leggiadri, ma i comisani si sono limitati ad apprezzare la bellezza delle ragazze che arrivavanoda tutta Europa per protestare".

Intravvede una soluzione?
"Bisognerebbe nominare due poeti a capo delle due superpotenze".

Saturday, March 02, 1985

Se sei verde ti tirano la Petra

Germania Ovest/La leader degli ecologisti contesta il suo movimento

Opportunisti. Bugiardi. Noiosi. Petra Kelly descrive in questa intervista esclusiva i difetti dei verdi tedeschi. E rivela sorprendenti progetti

di Mauro Suttora

Europeo, 2 marzo 1985




 

Saturday, February 23, 1985

Indovina chi serve a cena















BON TON/ LA TROVATA DI UNA SIGNORA MILANESE

Indovina chi serve a cena

di Mauro Suttora

Europeo, 23 febbraio 1985

Nome: Lalla Jucker. Classe: buona borghesia lombarda. Hobby: cucinare per conto terzi. È già una cosa strana. Ma la vera sorpresa è sotto lo smoking impeccabile dei suoi giovani camerieri




Saturday, December 15, 1984

Energia solare? No, grazie

Riscaldamento: gli italiani non vogliono risparmiare

di Mauro Suttora

C'erano 54 miliardi a disposizione di chi voleva installare pannelli solari per avere acqua calda gratuita. Ecco come burocrazia, impreparazione e dilettantismo hanno fatto fallire il piano

Europeo, 15 dicembre 1984



 

Saturday, September 08, 1984

Uganda: era meglio Amin Dada?

Stragi con 330mila morti, dice l'opposizione. Quindicimila, ammette il governo. Un fatto è certo: dopo quattro anni di apparente democrazia, regna sempre il terrore

di Mauro Suttora

Europeo, 8 settembre 1984


 

Saturday, August 18, 1984

Sovrappopolazione mondiale: esplodono le megalopoli

 LA TERRA È PICCOLA PER NOI

Nascono due bambini ogni secondo. Nel Duemila saremo sei miliardi. Città del Messico sfiorerà i trenta milioni di abitanti. Il nostro sarà ancora un pianeta vivibile? E, soprattutto, come sarà la qualità della vita nel Terzo mondo?

di Mauro Suttora

Europeo, 18 agosto 1984









































Tuesday, January 31, 1984

Lega per il disarmo a congresso

PACE/FIRENZE: UNILATERALISTI E POLEMICI

di Mauro Suttora

Il Manifesto, 31 gennaio 1984

Firenze. Vilipendio alle forze armate, istigazione a delinquere, diserzione, oltraggio a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata, blocco stradale.
Quasi tutti i cento partecipanti al congresso nazionale della Lega per il disarmo unilaterale (Ldu), conclusosi a Firenze domenica, si sono 'macchiati' di qualcuno di questi reati negli anni scorsi, durante la loro attività antimilitarista.

"Siamo antimilitaristi, non semplici pacifisti", tengono a precisare, "perché ci opponiamo non solo alle armi atomiche, ma anche a ogni tipo di armamento convenzionale. E vogliamo l'abolizione di tutti gli eserciti, a cominciare dal nostro".

Lo scrittore Carlo Cassola cominciò a scrivere questa cose nel 1975 nei suoi elzeviri sul Corriere della Sera, e nel '77 fondò con pochi amici la Lega per il disarmo dell'Italia. Due anni dopo questa si fuse con un gruppo guidato allora dal giovane radicale Francesco Rutelli. Da allora la Ldu, sempre presieduta da Cassola, è divenuta l'alfiere dell'antimilitarismo più rigoroso, piena com'è di anarchici, radicali, nonviolenti, pronti a farsi arrestare alla prima occasione.

Nonostante i sondaggi rivelino che il 35% degli italiani è favorevole al disarmo unilaterale, gli iscritti alla Lega non superano mai le poche centinaia. Come mai?
"Colpa nostra, che non facciamo abbastanza propaganda. Ma ormai solo due giovani su cento sono iscritti a un partito politico, c'è in giro molta noia per i discorsi in 'politichese', anche per quelli dei pacifisti. Per questo noi siamo per l'azione diretta, nonviolenta naturalmente", dice il segretario uscente Bruno Petriccione.

C'è grossa polemica nei confronti del coordinamento nazionale dei comitati per la pace. "Sono controllati dai funzionari di partito, soprattutto del Pci. I pochi comitati spontanei locali sono emarginati, non c'è democrazia nel movimento. Per questo abbiamo perso contro i missili Cruise".
Padre Ernesto Balducci, da anni iscritto alla Ldu, non è d'accordo: "Il Poi non ha il pacifismo nella sua tradizione, e dobbiamo riconoscere che in questi ultimi anni ha fatto molti passi in avanti".

Anche Umberto Mazza, portando i saluti di Democrazia proletaria (l'unico partito, assieme ai radicali, favorevole a passi di disarmo unilaterale), ammonisce i disarmisti a non rinchiudersi in uno sterile settarismo: "Abbiamo tutti un grosso debito nei vostri confronti, perché per primi avete detto cose che adesso condividiamo in molti. Abbiamo bisogno delle vostre idee".

I programmi della Ldu per il 1984 prevedono un grosso impegno sulla 'obiezione fiscale' alle spese militari e su Comiso. Uno dei tre nuovi segretari, Alfonso Navarra, ventenne palermitano, ha ricevuto il foglio di via dalla provincia di Ragusa dopo avere trascorso un mese in carcere lo scorso agosto per la sua attività antimilitarista.
"Ritornerò pubblicamente a Comiso in marzo", dice, "perché voglio disobbedire alle leggi ingiuste".

Fra molte dichiarazioni roboanti ("Bisogna passare dalla protesta alla disobbedienza civile generalizzata contro questo stato militarista che negli ultimi cinque anni ha triplicato le spese militari") il discorso di Adele Faccio, ex deputata radicale, suona perfino mite: "Dobbiamo portare il messaggio nonviolento in tutti i luoghi, anche all'est".
Mauro Suttora








Saturday, October 22, 1983

Sarajevo prepara le Olimpiadi invernali 1984

JUGOSLAVIA
Ci vuole lo stadio? Facciamo una colletta

Un referendum. Migliaia di volontari. Un'autotassazione collettiva. Che s'ha da fare per ospitare le gare mondiali di sci in una città comunista...

di Mauro Suttora e Art Zamur

Europeo, 22 ottobre 1983








 

Saturday, October 08, 1983

Gli ecologisti tedeschi



IL MIO VERDE È PIU’ VERDE DEL TUO

Germania/Il movimento ecologista si spacca

Fondamentalisti, realpolitici, nonviolenti, filoamericani, gandhiani... Che cosa nasconde il fiorire di tante correnti all’interno del partito che sorprese tutti alle elezioni di sei mesi fa?

Europeo, 8 ottobre 1983

di Mauro Suttora

«Non vogliamo cadere nelle mani dei comunisti e del loro modo vecchio, burocratico e perdente di fare politica. Basta con il minoritarismo di sinistra», afferma deciso Ernst Hoplitschek, leader degli ecologisti berlinesi. E così da quest’estate i grünen, iverdi di Berlino Ovest, si sono messi in proprio, iniziando una campagna autonoma di iscrizioni e separandosi dalla Lista alternativa, con la quale avevano ottenuto il sette per cento e nove consiglieri due anni fa.

Berlino è da sempre il laboratorio politico della Germania. Tutto ciò che accade nella ex capitale prima o poi si ripercuote a livello nazionale. Così è stato, ad esempio, per il ritorno della Cdu al potere, avvenuto a Berlino già nel settembre 1981. E’ probabile, quindi, che le frizioni all’interno del partito verde e fra questo e gli altri settori della sinistra extraparlamentare che finora lo hanno appoggiato si moltiplichino nei prossimi mesi.

Già ci sono alcuni segni. A Brema, dove nel 1979 per la prima volta i verdi superarono alle elezioni la soglia-ghigliottina del cinque per cento, le votazioni appena avvenute hanno visto la concorrenza reciproca di ben tre formazioni ecologiste: quella dei verdi federali, la «Bremer grune liste» più conservatrice e localista, e la Lista alternativa del lavoro, piena di comunisti. Ma anche nel resto della Germania la presenza fra i verdi di molti marxisti sta cominciando a creare molti problemi agli ecologi meno politicizzati, e si vanno già formando due tendenze contrapposte all’interno del piccolo partito approdato in Parlamento da soli sei mesi: «fondamentalisti» e «realpolitici».

Forti soprattutto in Assia e ad Amburgo, i fondamentalisti criticano «dalle fondamenta» la società dei consumi, seguendo le teorie apocalittiche di Rudolph Bahro, 48 anni, intellettuale incarcerato e poi espulso (1978) dalla Germania Est, dov’era stato un importante tecnocrate in campo economico. Adesso, pur non essendo deputato, è l’ideologo e l’eminenza grigia dei verdi. Predica la «Ausstieg aus der Industriegesellschaft», l’uscita dalla società industriale che produce sempre più armi e fame.
Ma l’aspetto più controverso delle proposte di Bahro riguarda la strategia elettorale: egli afferma che sarebbe miope per i verdi limitarsi a fare la pulce a sinistra dell’Spd, e che essi devono rivolgersi invece a un elettorato molto più ampio, anche di destra, con un programma di «conservazione dei valori».

E quali sarebbero questi «valori» capaci di attrarre gli elettori democristiani di Helmut Kohl e Franz Strauss? La vita, minacciata dalle bombe atomiche; la comunità e la privacy, minacciate dall’invadenza dello stato assistenziale e poliziesco (vinta quest’anno la battaglia contro il censimento, i verdi si stanno ora battendo contro l’introduzione della carta d’identità magnetica, prevista per il 1984, considerata uno strumento di maggiore controllo sociale); le foreste, amate visceralmente da ogni tedesco e rovinate dalle piogge acide; l’unità della Germania, spezzata dalla divisione in blocchi nemici.

Ai fondamentalisti si contrappongono i realpolitici di Brema, Baviera e Baden-Wurttemberg, nonché i rossoverdi che mirano ancora al coinvolgimento degli operai (in settembre a Bonn il deputato Eckhart Stratmann ha organizzato un «foro dell’acciaio» assieme a delegati di fabbrica). I realpolitici vengono bollati in tal modo a cuasa della loro disponibilità ad allearsi con i socialisti, mentre per Bahro fra Spd e Cdu non c’è molta differenza.
«E gli emarginati, gli omosessuali, i carcerati, gli stranieri? Ci dimenticheremo di loro per correre dietro ai piccolo-borghesi?», domanda Thomas Ebermann, capogruppo dei verdi alla Dieta di Amburgo, preoccupato di perdere i contatti con i gruppi spontanei di protesta che fioriscono al di fuori della vita istituzionale. E anche i giovani estremisti «alternativi» delle grandi città non ne vogliono sapere di cercare i modi e le parole per attrarre «i fascisti della Cdu».

Ma non sono soltanto le grandi questioni ideologiche o le strategie elettorali a dividere i verdi. Si discute anche, e con ripercussioni che vanno al di là dell’area alternativa, di violenza e nonviolenza. Dove comincia l’una e finisce l’altra? Un sit-in davanti a una base Nato è già una forma di violenza?
Lukas Beckmann, 30 anni, deputato e tesoriere del partito, è stato appena condannato a pagare una multa di 500 marchi, a scelta all’erario o ad Amnesty International, per avere bruciato un missile di cartone davanti alla sede dell’Spd di Bonn. «Volevo far cambiare loro idea sugli euromissili», si è difeso. E per la verità, viste le ultime posizioni del partito di Willy Brandt su Cruise e Pershing 2, sembra esserci riuscito.

Lo stesso Beckmann due settimane fa, a una riunione del comitato che coordina le mainifestazioni pacifiste d’autunno, ha dichiarato: «Nonviolenza non vuol dire rispetto della legalità: non ci limiteremo a bloccare gli accessi alle basi americane in Germania, ci entreremo dentro». Quanti sono d’accordo?

All’inizio di agosto un deputato regionale verde dell’Assia, Frank Schwalba-Hoth (non si è ripresentato alle elezioni domenica scorsa, preferendo tornare alla propria professione di insegnante), ha spruzzato del sangue addosso a un generale americano durante un ricevimento ufficiale. «Ha offeso la dignità di un uomo», è stato il duro commento di Petra Kelly, ex collaboratrice di Martin Luther King e quindi nonviolenta integrale. «Orrendo», ha rincarato il suo compagno, l’ex generale ora pacifista Gert Bastian, che conserva ancora un certo rispetto per le divise nonostante sui giornali appaia sempre più frequentemente in foto mentre viene trascinato via di peso dai sit-in antimilitaristi. L’«azione del sangue» è stata però approvata da parecchi altri, comprsi gli stessi verdi dell’Assia.

Iniziatori del movimento per la pace, i verdi sin dalla loro nascita quattro anni fa vengono accusati di essere antiamericani. Una delle loro principali preoccupazioni è dimostrare il contrario: «Non ce l’abbiamo con gli americani, ma con tutti gli eserciti d’occupazione». Gandhiani convinti, hanno sostituito il vecchio «Yankee go home» con il gentilissimo «Soldato, lascia l’esercito e vieni con noi».

«Nessuna accondiscendenza verso slogan del tipo “Violenza contro i piedipiatti” in voga fra gli autonomi», assicura Hoplitschek, il capo dei verdi berlinesi. Ci tengono a ricordare che nel novembre ’81, quando l’allora leader sovietico Leonid Breznev andò a Bonn, gli organizzarono contro un corteo di ventimila persone. Per protestare contro il golpe del generale Wojciech Jaruzelski in Polonia si rifiutarono di partecipare a qualsiasi iniziativa assieme al Dkp, il partito comunista della Germania Ovest finanziato da Mosca. E anche dopo l’incidente del jumbo coreano (abbattuto dai sovietici il primo settembre, provocando la morte di 269 persone) non sono mancate le condanne.

«Non siamo fedeli all’Est o all’Ovest, ma al genere umano», sta scritto nel loro programma. Eppure, dice il deputato Joschka Fischer, «per me ogni negozio di McDonald’s rappresenta una garanzia che la vecchia Germania non rinascerà più. Ogni hamburger, anche se io li detesto e li trovo immangiabili, è un pezzo di libertà. Siamo tutti americani, e la nostra cultura democratica la dobbiamo agli Stati Uniti. Ma non all’America ufficiale: a quella degli anni Sessanta, dei diritti civili e della musica pop».

In giugno Petra Kelly (sempre più pallida e nervosa, ma affascinante quando investe le platee con la sua eloquenza ispirata e torrenziale) ha compiuto un lungo tour negli Stati Uniti invitata dal Freeze movement, l’organizzazione che propone di congelare gli arsenali atomici ai livelli attuali.

E a sottolineare la distanza dall’Unione Sovietica c’è l’atteggiamento che i verdi tengono nei confronti del dissenso tedesco orientale. Roland Jahn, espulso dal governo di Berlino Est per la colpa di avere organizzato un movimento pacifista indipendente, è stato «adottato» dai verdi. Da anni il cantautore Wolf Biermann, anch’egli dissidente esiliato dal rtegime di Erich Honecker, si esibisce durante le loro manifestazioni.

Divisi sul piano ideologico, impegnati a differenziarsi da un movimento pacifista ambiguo (anche il premio Nobel della letteratura Heinrich Böll ha controbattuto le accuse di filosovietismo e di pacifismo a senso unico: «Non mettiamo in pericolo la democrazia, la usiamo») e decisi a rompere uno dei tradizionali tabù della sinistra, l’antiamericanismo, i verdi hanno dovuto fare i conti anche con alcuni curiosi e imbarazzanti incidenti di percorso.

All’indomani delle elezioni del 6 marzo si viene a sapere che l’ultrasettantenne Werner Vogel, eletto nelle liste col simbolo del girasole, il quale si accingeva a presiedere la seduta inaugurale del Bundestag risultandone il decano, aveva trascorsi nazisti. Niente di gravissimo, in un paese dove perfino il passato del presidente della Repubblica Karl Carstens non è immacolato. Ma subito il vecchietto amante della natura è stato costretto a dimettersi.

In agosto poi c’è stato l’«affare del sesso». «Il verde che palpa le tette alle segretarie», ha titolato a tutta pagina con la sua solita eleganza la Bild Zeitung. E così finisce la carriera di deputato di Klaus Hecker, 53 anni, sposato con tre figli: «Sì, ho fatto qualche avance alle ragazze dello staff: mi sentivo tanto solo a Bonn d’estate...»
Il gruppo parlamentare lo invita a dimettersi. Un certo puritanesimo femminista imperante tra i verdi fa addirittura dichiarare a una deputatessa: «La lotta contro i missili e contro il potere maschilista è una cosa sola». In questo clima antifallico, Hecker viene paragonato a un Pershing e non gli rimane che fare le valigie.

Mauro Suttora