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Wednesday, October 01, 2008

Ultimo appello di Bush

"AGIRE, O GUAI PEGGIORI"

Dopo il no del Congresso al piano da 700 miliardi. Imbarazzo di Obama e McCain

Libero, mercoledì 1 ottobre 2008

di Mauro Suttora

Questa volta ha parlato dalla biblioteca della Casa Bianca, con uno sfondo tranquillo di libri sul caminetto. George Bush ha voluto «dare il tono di una conversazione», come ha spiegato la sua portavoce, al messaggio tv trasmesso ieri mattina a un’ora inusuale: le 8 e 45. Prima dell’apertura della Borsa a New York, per spargere fiducia dopo il crollo (meno 9%) del giorno precedente. Di solito il presidente parla dall’Ufficio ovale, soltanto nel gennaio 2007 aveva preferito la biblioteca. Fu la prima volta che ammise errori nella guerra d’Iraq, ma annunciando l’invio di rinforzi.

Ora invece l’avversario di Bush non si sa bene chi sia. I deputati repubblicani e democratici si rimpallano la responsabilità di avere bocciato il suo piano di salvataggio dei titoli immobiliari, dopo il sì del Senato. Ma il voto negativo è stato trasversale: hanno detto no sia 133 repubblicani, sia 95 democratici. Contro tutti gli accordi di vertice, ha prevalso il vecchio istinto popolare americano del «chi rompe paga». Nessuna salvezza per gli speculatori di Wall Street che si sono arricchiti provocando disastri. Nessun aiuto, soprattutto, con i soldi dei contribuenti. Non tanto per la somma: 700 miliardi di dollari, in fondo, gli Stati Uniti li spendono in un solo anno per le Forze armate. «Ma non potevamo certo prendere la decisione finanziaria più importante nella storia del nostro Paese in così poco tempo, senza spazio per un dibattito serio», si è lamentato John Yarmuth, deputato democratico del Kentucky.

Insomma, il piano di Bush è stato sconfitto più per ragioni di metodo che di merito. I repubblicani hanno infranto la disciplina di partito schifati dall’indigeribile minestra assistenziale statalista, ma anche perché la capogruppo democratica Nancy Pelosi ha fatto di tutto per provocarli: «Con questi soldi rimediamo a otto anni di disastri della presidenza Bush», ha detto prima del voto. E figurarsi se i repubblicani, imbufaliti per quest’accusa, le andavano dietro.

«La verità è che tutti sappiamo che nel giro di due-tre giorni torneremo a votare, e diremo sì dopo che Bush avrà reso più presentabile la proposta», ammette Yarmuth. Lo ha detto anche il presidente alla tv: «Voglio assicurare i cittadini di tutto il mondo che il no della Camera non è la fine del processo legislativo. Siamo in un momento critico e abbiamo bisogno che l’economia americana torni a girare». Quindi un avvertimento ai deputati riottosi: «Se continuiamo in questo modo i danni per l'economia saranno dolorosi e duraturi».
E la spiegazione di buon senso, capace di coinvolgere tutti: «Il crollo drammatico in borsa di ieri avrà un impatto diretto sui fondi pensione e sui risparmi personali di milioni di nostri concittadini».
Siamo tutti sulla stessa barca, insomma. Anche se le barche di alcuni pescecani di Wall Street continueranno a essere yacht, grazie a questo piano di assistenza.

Ormai Bush ha di fronte a sè solo tre mesi di mandato, che lui sia stato sconfitto importa a pochi. Stupisce invece l’evanescenza dei candidati, entrambi imbarazzati e paurosi di perdere voti.
Il democratico Obama propone un’assicurazione statale sui conti bancari fino a 250 mila dollari, auspica che il piano venga approvato, ma precisa subito che «dal mio primo giorno da presidente lavorerò per cambiarlo». Come, non lo dice.
Quanto al repubblicano McCain, deve sfuggire all’abbraccio mortale di Bush e vuole apparire super partes: «Non è questo il momento di incolpare qualcuno».

Come al solito, le Borse hanno capito subito l’aria che tira. Già prima del discorso di Bush quelle asiatiche avevano sì accusato perdite, ma non eccessive. Solo Tokyo giù del 4%, Hong Kong ha perso l’uno, e Seul lo 0,5. Shanghai era chiusa per una festa cinese. Poi sono arrivati i rimbalzi europei, e infine il guadagno di New York, aumentata di oltre il 3%. Perfino Mosca, che prima del discorso di Bush aveva dovuto chiudere per eccesso di perdite, ha finito la giornata con un lieve rialzo.

Mauro Suttora

Friday, June 13, 2008

Sex and the City, il film

LE QUATTRO 'RAGAZZE' DI NEW YORK APPRODANO SULLO SCHERMO

"Ma io che le ho conosciute da vicino dico: alla larga!"

Oggi, 11 giugno 2008

Rischia di passare alla storia come quello di 'Sex and the city', il decennio degli anni Zero che stiamo vivendo. In mancanza - tocchiamo ferro - di nuove guerre o attentati. Purtroppo ho conosciuto da vicino le "ragazze" di Manhattan (si fanno chiamare ridicolmente così anche quando hanno 50 anni), avendo vissuto con una di loro per un anno mentre ero corrispondente di 'Oggi' da New York. Le conseguenze sono state: portafogli (mio) vuoto, stress, divertimento, molte ubriacature.

Ho raccontato tutto nel libro 'No Sex in the City' (ed. Cairo, seconda edizione 2007). Molti pensano che a New York, capitale mondiale dei single, si faccia parecchio l' amore. È vero il contrario: le donne, ossessionate da carriera e shopping, provano più piacere comprando un paio di scarpe che a letto. Riducono il sesso a un' attività ginnica, che però viene dopo il tapis roulant in palestra. Per i maschi è un inferno: ho visto miliardari di Wall Street ridotti a cagnolini al guinzaglio delle loro mogli. Samantha, la più simpatica delle quattro smandrappate del film, viene dipinta come una ninfomane. In realtà, è proprio lei la meno falsa.

Mauro Suttora