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Friday, August 06, 2021

Rossi e Buffon: quanto è doloroso il viale del tramonto. Viva Aznavour

È sempre difficile dire basta per un campione. Ma una stella cometa c'è: Aznavour

di Mauro Suttora

HuffPost, 5 agosto 2021


Evviva la sincerità. Gigi Buffon, 44 anni a gennaio, oggi ha spiegato a Repubblica perché continua a giocare. Lascia la Juve e va al Parma in serie B. Perché? “Mi sento un artista, quindi ho sempre il desiderio di mettere in mostra il gesto. Per appagamento personale e una certa dose di narcisismo”. 

Auguriamo al grande campione lo stesso successo che ha avuto il ritorno del 39enne Ibrahimovic al Milan.

Poche ore dopo, un altro mito dello sport mondiale rende invece noto il proprio ritiro a fine stagione: Valentino Rossi. Chi ha ragione? Il portierone o il dottore? Qual è il momento giusto per andarsene?

“Devi sapere lasciar la tavola/ la dignità devi salvar/ Alzarti con indifferenza/ mentre in silenzio soffri tu”, cantava Aznavour. Il quale peraltro si è esibito fino a 94 anni, pochi mesi prima di morire. Nello sport, nell’arte, in politica e in tutti i campi della vita compreso l’amore, è difficile dire basta. A volte impossibile. 

“Non vi preoccupate, sono morto tante volte”, dice Charlie Chaplin alla fine di ‘Luci della ribalta’. Ma in realtà, soltanto Gesù Cristo è risorto. E non per finire in serie B. 

Fa bene Buffon a giocare fino a quando si diverte. E a fregarsene di chi sentenzia che è meglio lasciare quando si è ancora all’apice del successo. Per evitare mestizie come quelle capitate a Valentino nelle ultime due stagioni.

Ma in fondo, cosa cambia? Se Napoleone non fosse scappato dall’Elba avrebbe evitato Waterloo, però avrebbe continuato l’esilio in un’isola vicina invece che lontana. 

Sono scommesse, qualcuno le vince: Muhammad Ali contro Foreman, Amintore ‘rieccolo’ Fanfani ancora premier a 79 anni, i ritorni di Churchill e De Gaulle negli anni ’50, Scalfari editorialista 97enne del suo giornale.

Buffon ha davanti a sé l’esempio del portiere inglese Shilton in campo fino a 47 anni, e anche il laziale Ballotta ne aveva quasi 44 quando disputò l’ultima partita in Champions. 

Quanto a Valentino Rossi, probabilmente lo ha tenuto in pista la voglia di raggiungere Giacomo Agostini (ritiratosi a 35 anni) nel numero dei GP vinti: 122 a 115, record inarrivabile perché allora si gareggiava contemporaneamente in due classi. O forse l’esempio di Max Biaggi, campione mondiale di Superbike a 41 anni.

Alla fine, comunque, decide il mercato. Oppure Spalletti, nel caso del suo martire personale Totti. Finché una squadra o una scuderia ti vogliono, perché no? 

La verità è che Sunset Boulevard è uno dei viali più belli e lunghi di Los Angeles, nessuna attinenza al malinconico film sul ‘Viale del Tramonto’ della patetica attrice che non vuole mollare. 

Ecco, piuttosto: “Non mollare mai”. Uno dei più agghiaccianti e popolari slogan degli ultimi tempi. Finché lo sventolano sventurati e svalvolati atleti vincitori alle Olimpiadi, li perdoniamo: sono solo vittime dei loro mental coach, ai quali tocca gasarli per guadagnarsi lo stipendio.

Il dramma è quando questa cieca ostinazione si impossessa di tutti noi. Raggiungendo lo zenit fra gli innamorati respinti, e allora gli esiti possono essere tragici: dalle molestie allo stalking, giù fino al femminicidio. 

Rischio che non corre il nostro amatissimo Buffon, felice marito di una delle donne più belle e intelligenti d’Europa.

Mauro Suttora

Wednesday, July 24, 2002

Mario Cipollini

L' ultimo ruggito di Re Leone: me ne vado e vi lascio tutti nudi

Il campione minaccia il ritiro per protesta contro il disinteresse verso il mondo delle "2 ruote"

"Perche' neanche una lira dei 300 miliardi di diritti televisivi per Giro, Tour e Vuelta va alle nostre squadre?", chiede polemico il velocista. "Nonostante il disastro dei Mondiali i calciatori guadagnano dieci volte piu' dei ciclisti". Dopo 300 vittorie e una stagione trionfale il campione mirava al titolo iridato, ma ora e' indeciso se continuare

Oggi, 24 luglio 2002

di Mauro Suttora

Qui lo vedete nudo, in una foto che ha accettato di fare per il mensile Fit for fun. Ma cinque anni fa si era vestito con uno smoking bianco per salire sul podio del Giro a Milano, e ogni volta che vince è sempre una sorpresa.

Un po’ come Valentino Rossi nelle moto, non si sa mai cosa inventerà il più creativo fra i campioni del ciclismo italiano: Mario Cipollini, 35 anni, da Lucca, altissimo (uno e novanta), magrissimo (peso forma 76 chili), potentissimo: è il professionista in attività che ha vinto più di tutti, nella sua carriera ha trionfato in 300 volate e per dieci anni su tredici, a fine stagione, è stato l’italiano più vincente.

Insomma, uno così sarebbe un peccato perderlo, anche perché il nostro ciclismo dopo i guai col doping di Marco Pantani non se la passa granché bene. E invece lui minaccia di lasciare, «perché gli sponsor pensano solo al calcio, e anche dopo la brutta figura della nazionale ai Mondiali i giornali continuano a scrivere solo di calcio e i pubblicitari a far fare spot solo ai calciatori».

Ha ragione, Cipollini. Per esempio, che rivoluzione sarebbe scoppiata in Italia se in in un qualsiasi altro sport la Francia avesse impedito al nostro maggiore campione di gareggiare? Invece è proprio quel che è successo all’estroso toscano, al quale è stato vietato di iscriversi al Tour de France.

I francesi lo temono: superMario da loro è famosissimo, ha vinto dodici tappe al Tour e nel ‘99 addirittura quattro consecutive. Quest’anno, poi, Cipollini è in gran forma. Ha vinto ben sei volte al Giro d’Italia (e ormai è a quota 40, solo una tappa in meno del record di Alfredo Binda, ottenuto però in un’altra epoca, in cui uno come Binda riusciva ad aggiudicarsi quasi tutte le tappe di un Giro), ma soprattutto ha compiuto un’impresa che in passato era riuscita soltanto al grande Eddy Merckx: vincere nello stesso anno due classiche come la Milano-Sanremo e la Gand-Wevelgem.

La storica accoppiata di Merckx avvenne quando l’asso belga era agli inizi della carriera: nel 1967, guarda caso lo stesso anno in cui Cipollini nacque.

Ora superMario è a fine carriera, ma certo non in declino: «Se avessi annunciato il mio ritiro da non vincente, sarebbe stata routine», ci spiega lui al telefono mentre torna nella sua casa toscana da Roma, il giorno dopo aver sfilato per lo stilista Cavalli a piazza di Spagna, «ma io voglio protestare per il sistema sbagliato che governa il ciclismo. Non è possibile, infatti, che su 300 miliardi di diritti televisivi ai gruppi sportivi non arrivi neppure una lira. Il problema non riguarda me, io sono soddisfatto dei miei compensi, ma non è giusto che un mio compagno di squadra, che fa la stessa fatica che faccio io, guadagni 50 milioni lordi all’anno. Che professionismo è? In tutti gli sport, dal calcio alla Formula Uno, dal tennis al basket, quest’ingiustizia non accade. Oggi sono solo gli sponsor a pagare per l’attività delle squadre, e in cambio si devono accontentare solo del ritorno d’immagine, come se i diritti tv di Giro, Tour o Vuelta spagnola non esistessero. Per questo c’è crisi, ed è difficile trovare sponsor».

Cipollini in questo momento ha il coltello dalla parte del manico. Sa che tutto il mondo del ciclismo italiano è lì col fiato sospeso ad aspettare la sua decisione: lascia, non lascia?

Il motivo è semplice: il 13 ottobre in Belgio si correrà il campionato del mondo, e il circuito sembra stato scelto apposta per far vincere lui, il nostro Re Leone. Pianeggiante abbastanza per impedire fughe e portarlo fresco alla volata, dove lui piazzerebbe la sua zampata irresistibile.

Lui intanto se la gode, come sempre. È andato in Costa Smeralda dove ha partecipato a tutte le feste, compresa l’inaugurazione del Billionaire del suo amico Flavio Briatore. C’è chi dice ci possa essere lo zampino di Briatore se nelle prossime settimane avverrà il colpo di scena: e cioè che la Renault scenderà in pista come sponsor di peso per aiutare la squadra di Cipollini, l‘Acqua & Sapone e Cantina Tollo di Civitanova Marche.

Probabilmente è proprio la vita dei vip a Porto Cervo ad avere amareggiato superMario, a tu per tu con i campioni del calcio e le divette televisive. Può essere umiliante, infatti, il confronto con ragazzi ventenni che guadagnano dieci volte più del massimo campione del secondo o terzo sport più popolare d’Italia (tale è infatti il ciclismo, superato solo dal calcio e, forse, dalla Formula Uno). E anche durante la sfilata di moda a Roma neanche un accenno, da parte della presentatrice Cristina Parodi, alla sua presenza come modello di lusso.

Nel mondo del ciclismo la protesta di Cipollini non è stata accolta solo da applausi: «Complimenti», ha per esempio commentato velenosamente Il Giorno, «il suo ritiro a scadenza gli sta dando una ribalta che nemmeno il Tour gli avrebbe concesso. Una volta doveva fare la fatica di correre la prima settimana in Francia per poi andare in spiaggia, adesso riesce a far parlare di sè semplicemente stando sotto l’ombrellone».

Ma che ci può fare, il re Leone, se lui è nato velocista e non scalatore? I campioni delle volate danno sempre l’impressione di fare meno fatica dei «grimpeurs» che sudano e scappano sui tornanti, sembra che arrivino al traguardo con la pappa fatta dai gregari, e che il loro scatto finale sia un lusso indecente.

Ma lo sforzo di quegli ultimi chilometri allo spasimo prima dei traguardi, chi li misura? Sarebbe come dire che in atletica un centometrista vale meno di un fondista. E invece esattamente trent’anni fa, nel '72, un altro velocista misconosciuto, Marino Basso, regalò il Mondiale all’Italia infilzando Merckx negli ultimi metri. Proprio come si spera faccia in settembre il Re Leone.

Mauro Suttora