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Thursday, October 14, 2021

La lezione della Norvegia che non rivela i nomi delle vittime del terrorista arciere

Sarà così almeno evitato lo spettacolo davanti alle case delle vittime con le domande ai familiari, se hanno perdonato il killer

di Mauro Suttora

HuffPost, 14 ottobre 2021
 

La polizia norvegese non ha rivelato al momento il nome delle vittime del killer che mercoledì sera si è piazzato fuori da un supermercato nel paese di Kongsberg, 70 chilometri a sud di Oslo, ha imbracciato arco e frecce, ha preso la mira e trafitto a morte cinque persone, ferendone altre due. Di Espen Andersen Brathen, 37 anni, danese, sappiamo soltanto che si era convertito all’Islam - come annunciato in un video postato su Facebook - ed era stato segnalato come tale, ma non recentemente.

Privacy totale. Sarà così almeno evitato lo spettacolo dei giornalisti assiepati davanti alle case delle vittime per chiedere ai parenti se hanno perdonato l’assassino.

Altre latitudini. Colpisce anche che in Norvegia i poliziotti non siano armati. Perlomeno non quando pattugliano le strade. Imbracciano pistole e fucili soltanto se servono, cioè quando devono catturare criminali armati, come l’altra sera. Solo altri quattro Paesi nel mondo hanno poliziotti disarmati: Gran Bretagna, Nuova Zelanda, Irlanda e Islanda.

Questa regola probabilmente adesso in Norvegia verrà cambiata, perché c’è voluta mezz’ora ai due elicotteri delle squadre speciali per arrivare da Oslo dopo il primo allarme. E nel frattempo il terrorista solitario ha fatto altre vittime, compreso un agente fuori servizio.

Sono passati dieci anni dalla strage di Utoya, quando il suprematista bianco Anders Breivik ammazzò 77 ragazzi. È stato condannato alla pena massima prevista in Norvegia: 21 anni, estendibili solo se il carcerato non mostra di essere stato “rieducato”.

La Norvegia in questi giorni si trova in fase di transizione: sta per insediarsi il nuovo premier di centrosinistra, Jonas Gahr Store, dopo la sconfitta del centrodestra al voto di un mese fa. La conservatrice in uscita Erna Solberg ovviamente si è detta “sconvolta” per l’incredibile impresa dell’arciere danese islamista. 

Una vampata di follia che colpisce ogni decennio uno dei Paesi più ricchi e civili del mondo. Che non fa parte dell’Unione europea, anche perché i proventi dei suoi giacimenti di gas nel mare del Nord garantiscono alla Norvegia entrate astronomiche. Non per molto, tuttavia, perché la conversione verde nocarbon proibirà anche la meno inquinante delle fonti di energia fossile. Per questo i previdenti norvegesi accantonano buona parte dei profitti annuali, investendoli nel loro fondo sovrano che garantirà benessere ancora per decenni.

Il paradiso terrestre di Oslo può esibire anche una delle percentuali per abitante più basse al mondo di decessi per Covid: nove volte minore della vicina Svezia, e un tredicesimo rispetto all’Italia.

Mauro Suttora

 

Thursday, August 04, 2011

parla Morten Malmoe

LO STORICO DICE: «NESSUN PERICOLO NAZI IN NORVEGIA, IL KILLER E' UN PAZZO ISOLATO»

Oslo, 25 luglio 2011

di Mauro Suttora

«È il gesto di un pazzo isolato. Le stragi di Oslo e Utoya non hanno alcun significato politico. Rimarranno nella storia della Norvegia perché sono tremende. È il nostro 11 settembre. Ma sono l’opera di una persona sola e malata».
Morten Malmoe, 58 anni, è l’editore della casa norvegese Historie & Kultur. A lui chiediamo una spiegazione della carneficina.

«Anders Breivik si autodefinisce “nazionalista, religioso e anti-islamista”. Attenzione: non “nazista”. E in Norvegia non c’è più alcun partito, seppure minuscolo, che partecipi alle elezioni con programmi che richiamino anche lontanamente il nazismo o il fascismo. Un pericolo neonazi ci fu negli anni ‘70, quando i gruppi di estrema destra si scontravano con quelli di estrema sinistra. Ma adesso tutto si è trasferito dalla strada a internet. E i deliri con svastica non sono giudicati una minaccia dalla nostra polizia».

Infatti Breivik non era neppure schedato.
«No, perché in tutta la sua vita non aveva mai commesso alcun reato. Né aveva partecipato a episodi di violenza. Fino a tre anni fa abitava qui a Oslo, nella mia zona».

Però è stato iscitto al partito del Progresso, che ha il 20 per cento.
«E se n’è andato da parecchio. Il partito del Progresso è di destra, ma non è mai stato violento. Esiste dal 1973, e dagli anni ‘90 al suo programma antifiscale ha aggiunto la polemica contro l’immigrazione, che giudica eccessiva. Ma non c’entra nulla con Breivik».

La Norvegia ha avuto Vidkun Quisling, sinonimo di collaborazionismo con i nazisti.
«Sì, quella è una pagina nera della nostra storia. Ma Breivik è solo un pazzo grafomane. Ho cercato di leggere le 1.500 pagine che ha scritto: paccottiglia insensata. Oltretutto ha colpito, lui anti-islamico, i ragazzi del partito socialdemocratico che ora viene criticato per i motivi opposti: i bombardamenti sulla Libia. Siamo tutti sotto choc. Sono appena tornato dalla cattedrale, piena di candele e fiori per le vittime. Commovente. La vita in Norvegia non sarà più la stessa».

Strage in Norvegia minuto per minuto

I 78 MORTI DEL KILLER ANDERS BREIVIK

Oslo, 25 luglio 2011

Anders Behring Breivik arriva nel paradiso dell’isola di Utoya alle cinque del pomeriggio di venerdì 22 luglio. Il cielo è nuvoloso, lui ha guidato per 40 chilometri da Oslo. L’intera Norvegia è precipitata nel panico. Alla radio, durante il viaggio, Anders ascolta le notizie sull’autobomba che lui stesso ha appena fatto esplodere nel centro di Oslo un’ora e mezzo prima. Interi palazzi con i vetri delle finestre distrutti, terrore, sangue, passanti per terra, alcuni immobili.

Nessuno sa il numero di morti e feriti: qualcuno urla che è una strage, decine di vittime (alla fine si conteranno dieci morti). L’esercito blocca tutto il centro della capitale. L’ipotesi più probabile: Al Qaeda, oppure una vendetta di Muammar Gheddafi per i bombardamenti Nato sulla Libia che impegnano anche aerei norvegesi.

Nessuno lo immagina, ma il peggio deve ancora arrivare. Anders continua il suo lavoro, per il quale si è preparato negli ultimi tre anni della sua vita solitaria. Da Oslo ha preso la E16, la strada più importante della Norvegia: collega Oslo con Bergen, seconda città del Paese. Solo pochi tratti sono a quattro corsie. Anders sta attento a non superare il limite di velocità: 80 all’ora. Tutto scorre lento e tranquillo, in Norvegia. Anche le stragi.

Arrivato al fiordo Tyri, parcheggia la macchina vicino all’imbarcadero del traghetto per l’isola. È vestito da poliziotto. Alla cintola porta una pistola Glock. Normalmente i poliziotti norvegesi non vanno in giro armati. Questo è il Paese più ricco e pacifico del mondo, ogni anno a Oslo viene consegnato il premio Nobel per la pace.

Ma adesso è scattata l’emergenza. Dopo gli attentati di Londra del 2005, i terroristi tornano a colpire in Europa. «Devo andare sull’isola per proteggere i ragazzi», dice il finto poliziotto Anders al barcaiolo che lo traghetta per 500 metri. Trasporta con se un sacco dove ha nascosto una mitragliatrice, un fucile americano Ruger Mini-14 semiautomatico e le munizioni. Tante munizioni. Le pallottole del fucile sono calibro 5 e 56 millimetri (pare che Anders abbia trasformato alcuni proiettili in «dum dum» per farli esplodere dentro ai corpi).

L’isola di Utoya (felice assonanza con Utopia) è larga 300 metri e lunga 500. Per tre quarti è coperta da boschi, come tutto in Norvegia. Nelle uniche tre radure ci sono un campo di calcio, uno di pallavolo e un campeggio. L’isola è di proprietà del partito socialdemocratico, che ogni estate organizza campeggi per adolescenti. Alla fine arriva il leader del partito per un comizio, che ha larga eco nel Paese. Quest’anno è atteso il premier Jens Stoltenberg.

Quando Anders mette piede sull’isola, tutti sono felici. «Sono venuto da Oslo per proteggere i ragazzi, seguite le mie istruzioni. Portateli nell’edificio principale fra mezz’ora», dice agli organizzatori. Poi si dirige nello chalet di legno dello staff. Ma prima si ferma all’ufficio informazioni. Lì fredda la prima vittima: Monica, la manager del campus. Due colpi secchi. Non li sente nessuno tranne una giovane italiana fidanzata a un socialista norvegese, che si trova lì col figlio di undici anni Si affaccia alla finestra: «Vedo Monica accasciarsi al suolo. Poi da dietro l’angolo spunta un uomo in divisa, alto e muscoloso. sembra un agente delle forze speciali. Va avanti lasciandosi il corpo esanime alle spalle».

Calma e metodo: le due qualità di Anders. Che ora si dirige verso il centro dell’isola, dove stanno affluendo le decine di ragazzi campeggiatori. Lo guardano con fiducia. Ormai sono entrati quasi tutti, è pronto il collegamento web e tv per i ragguagli dopo la strage di Oslo. Improvvisamente, il poliziotto tira fuori dal sacco la mitraglietta e comincia a sparare all’impazzata. Mira soprattutto alle ragazze. Che, cadendo a terra colpite, non capiscono: chi è quell’uomo?

Anders entra nella grande sala, fa chiudere le porte. I ragazzi e i sorveglianti, di poco più anziani, hanno sentito gli spari e le urla fuori, ma non hanno visto che il killer è proprio lui. Ancora una volta Anders li rassicura: «Tranquilli, vi proteggo io». Poi però ricomincia a sparare.

L’unica guardia non armata cerca di fermarlo, ma viene falciato in un attimo. È Trond Berntsen, fratellastro della principessa Mette-Marit, futura regina di Norvegia. I ragazzi gridano terrorizzati, si allontanano dal poliziotto assassino e scappano verso le porte. Ma per Anders il lavoro è facile: spara nel mucchio, la carne è tanta. Calma e metodo. Cammina sui corpi, spara a quelli che ancora si muovono. Quando la sala è vuota esce. Chi rantola viene finito. «Sono salvo per miracolo perché ho fatto finta di essere morto», dice un ragazzo di 16 anni, «mi aveva colpito al braccio e morivo dal dolore, ma sono riuscito a stare zitto».

Ora Anders si dirige verso le tante piccole tende canadesi colorate del campeggio. Le apre una ad una. Chi si è nascosto lì dentro non ha scampo: trucidati come bestie. Si sono fatte le sei. Molti ragazzi hanno chiamato con i telefonini. Si nascondono nei boschi, aspettando aiuto. «Chiudete la suoneria, altrimenti vi sente», consiglia un padre. Ma Anders ha tutto il tempo di proseguire la mattanza. La polizia, infatti, è tutta impegnata nell’attentato di Oslo. Le forze speciali non trovano un elicottero. Decidono di partire in auto verso l’isola.

I ragazzi più coraggiosi si buttano in acqua. Che è gelida, e inghiotte chi non sa nuotare bene. Anders perlustra il bosco e ad ogni minuto trova qualche preda. Spara, ricarica. Ricomincia. Non corre. Fa il giro di quasi tutta la costa dell’isola, per stanare chi si è nascosto sotto le rocce della riva. Il turista tedesco Marcel Gleffe arriva con la sua barca per salvare qualche ragazzo. Anders prende la mira, ma riesce a colpire solo chi nuota ancora vicino. Alle sei e mezzo, finalmente, ecco le forze speciali: «Non ha opposto resistenza. Sembrava stanco. Ma era calmo e tranquillo». Ora, secondo la legge norvegese, rischia 21 anni di carcere per 78 morti.

Mauro Suttora