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Wednesday, January 15, 2003

Bambini fotocopia? No, grazie. Ma salviamo la clonazione buona

Una setta annuncia la nascita di Eva, la prima bimba clonata, e nel mondo esplodono le polemiche sul tentativo di riprodurre esseri umani

"Eventi choc come questo rischiano di bloccare la ricerca utile per vincere tante malattie", sostiene lo scienziato Boncinelli. È urgente una legge contro l'illusione dell'immortalità

dal nostro corrispondente dagli Stati Uniti Mauro Suttora

Oggi, 15 gennaio 2003

New York. Una setta di 50 mila fanatici rischia di arrecare più danni alla scienza seria e responsabile che non il peggior fondamentalista antiscientifico. I cosiddetti "raeliani"(seguaci di Rael, soprannome di un ex pilota da corsa francese convinto che i primi esseri umani sarebbero stati "clonati" - cioè prodotti in copia - da alcuni extraterrestri 25 mila anni fa) hanno annunciato giovedì 26 dicembre di avere clonato la prima bimba della storia: "Eva pesa 3,2 chili, sta bene e presto ve la mostreremo".

La madre sarebbe una 31enne statunitense dalla quale è stato prelevato un ovulo e una cellula della pelle per effettuare l'esperimento della bimba fotocopia. I raeliani hanno fondato addirittura una società, la Clonaid con sede alle Bahamas, per sfruttare commercialmente la clonazione (su Internet hanno messo in vendita, a 9.199 dollari, una "macchina per clonare", la RMX 2010). Avrebbero già, dicono, più di duemila prenotazioni. Una rivelazione sconvolgente, con ancora misteri e promesse non mantenute, che ha provocato nel mondo orrore, sconcerto e incredulità: solo un inattendibile bluff per farsi pubblicità?

Il nuovo presidente dei senatori repubblicani statunitensi, il medico Bill Frist, ha subito annunciato che farà approvare una legge per mettere al bando qualsiasi tipo di clonazione. Così, però, si rischia di buttare il bambino (è il caso di dirlo) assieme all'acqua sporca. Da anni infatti la parola "clonazione" indica due cose diversissime fra loro. 

"Quella terapeutica", spiega da Trieste il professor Edoardo Boncinelli, uno dei massimi scienziati italiani, "consiste nel tentativo di produrre tessuti e parti di organi da usare nei trapianti. La clonazione riproduttiva, invece, mira a produrre organismi viventi completi "su misura". La prima è una ragionevole speranza, la seconda una folle illusione, almeno per gli esseri umani".

Una pecora, Dolly, è già stata clonata in Scozia nel 1997. Lo zoo dei cloni si è poi arricchito: vitelli, topi, tori, scimmie, maiali, capre, gatti e conigli. Da allora si è aperto il dibattito "bioetico" su quali confini imporre alla ricerca. Si ripete il dilemma dell'energia atomica: fonte pulita (in mancanza di incidenti) e a buon mercato se usata per scopi civili, arma tremenda se utilizzata dai militari. Lo stesso per la clonazione. Le migliori menti scientifiche del mondo stanno lavorando da anni per ricreare i tessuti umani. Ci sono già riusciti con la pelle e la cornea, ma non tutti i tessuti sono di facile ricostruzione.

Le malattie curabili con la clonazione terapeutica sono l'Alzheimer, il Parkinson, la talassemia, l'anemia, i tumori ereditari e la fibrosi cistica. Le cellule utili a rimpiazzare quelle morte si chiamano "staminali". Si trovano soprattutto negli embrioni umani, ritenuti però già esseri viventi dalla religione cattolica. Per i cattolici sono quindi intangibili, non si possono distruggere per prelevarne le cellule staminali: ridurli a "fabbrica" o serbatoio di queste ultime equivarrebbe a un assassinio.

"Il dibattito sulla clonazione riguarda lo status dell'embrione", spiega Francesco D'Agostino, presidente del Comitato nazionale per la bioetica, "perché chi ritiene che esso meriti rispetto è contrario anche alla clonazione terapeutica, visto che questa dà vita a un embrione clonato per poi distruggerlo, prelevando le sue cellule seppur a fini di ricerca". L'annuncio dei raeliani ha fornito una potente ragione ai "proibizionisti", cioè a coloro che pensano che in questo campo non ci si possa permettere di sottilizzare troppo, e quindi vada proibita la clonazione umana d'ogni tipo: "Una volta clonato un embrione", chiede per esempio il senatore americano Sam Brownback, "chi può garantire che sarà sempre usato per scopi terapeutici, e non da qualche pazzo per impiantarlo in un ovulo e tentare la procreazione?".

Ovviamente, per regolare questa spinosa materia, occorre una legge uguale e valida in tutto il mondo. Altrimenti i "clonatori" emigrerebbero nei Paesi più permissivi, vanificando gli sforzi di controllo negli altri. Ma le opinioni pubbliche sono divise all'interno di ogni Stato. 

Cosicché, quando due mesi fa l'Onu ha affrontato l'argomento, dopo negoziati durati ben due anni, la proposta di divieto mondiale della clonazione è stata respinta. A farla naufragare sono stati gli Stati Uniti. Bush ha ignorato gli appelli della comunità scientifica statunitense, lanciatissima negli studi per la clonazione terapeutica, e ha chiesto che il bando dell'Onu comprendesse anche quest'ultima.

Agli Stati Uniti nella nuova versione "dura" si sono accodati 36 Paesi, fra i quali l'Italia e l'altrettanto cattolica Irlanda. Ma molte altre nazioni avanzate hanno già emanato leggi che permettono la clonazione a scopo di ricerca. 

La Francia mesi fa ha fatto marcia indietro rispetto alla legge del 1994 che la proibiva, esprimendosi favorevolmente sia per la terapeutica che per l'uso degli embrioni "sovrannumerari", cioè gli embrioni congelati non utilizzati nella fecondazione assistita (mezzo milione nel mondo, 25 mila in Italia).

Anche la legge tedesca del 1990 proibiva la creazione di cloni per qualsiasi scopo, ma nel gennaio 2002 Berlino ha permesso l'importazione delle cellule staminali embrionali. Più permissivi Gran Bretagna, Giappone, Canada e Belgio, che consentono la clonazione terapeutica seppur con rigidi controlli pubblici. La Cina vuole introdurre una differenziazione fra gli embrioni con più o meno di 14 giorni.

In Italia l'argomento clonazione non sembrava scaldare né i politici né l'opinione pubblica, almeno fino alla provocazione della setta raeliana. Eppure proprio uno dei più strenui assertori della clonazione riproduttiva è il nostro Severino Antinori, che aveva promesso la prima nascita di un clone entro il gennaio 2003. Due anni fa una commissione di esperti, nominata dall'ex ministro della Sanità Umberto Veronesi e presieduta dal Nobel Renato Dulbecco, aveva proposto una soluzione di compromesso: l'uso di un metodo innovativo per produrre cellule staminali, ma senza creare embrioni. 

Nessuna legge, tuttavia, proibisce la clonazione, né riproduttiva né terapeutica: contro la prima c'è solo un'ordinanza ministeriale emessa per la prima volta dal ministro Rosy Bindi nel 1997, rinnovata ogni sei mesi. Ma proibizionisti e possibilisti sono presenti a destra e a sinistra, tagliando trasversalmente gli schieramenti. 

L'attuale ministro della Sanità Girolamo Sirchia è per il bando totale; su posizioni opposte il presidente dei radicali Luca Coscioni: immobilizzato dalla sclerosi laterale amiotrofica, si è sottoposto egli stesso a un trapianto di cellule staminali.

Se l'Italia è indifferente, in America infuria la polemica. Il 2003 promette di essere l'anno decisivo per risolvere la questione. E, una volta che gli Stati Uniti avranno deciso, per il resto del mondo ci sarà poco da discutere: è nel Paese guida dell'Occidente, infatti, che abitano i padroni dei geni (come la Celera Genomics, sito www.celera.com, e la Geron, www.geron.com). 

Nel 2001 la Camera, su impulso di George Bush jr e dei suoi elettori (cristiani conservatori, Stati del Sud), aveva a sorpresa proibito pure la clonazione terapeutica. Ma l'altro ramo del Parlamento, il Senato, ha bocciato quel testo. 

Molto attive, a favore della clonazione per la ricerca, sono le associazioni dei malati. La moglie di Ronald Reagan, devastato dall'Alzheimer, è contraria alla severità dell'attuale presidente. Recentemente la Stanford University di Palo Alto e lo Stato della California hanno sfidato il divieto imposto da Bush, e contestato soprattutto dal senatore Ted Kennedy, che non a caso viene da Boston, con Mit e Harvard capitale scientifica americana.


Tuesday, January 23, 2001

Di Pietro arruola il segretario di Sgarbi

di Mauro Suttora

Il Foglio, gennaio 2001

L’ex braccio destro di Vittorio Sgarbi è passato alla corte di Antonio Di Pietro. Franco Corbelli, 43 anni, professore di economia aziendale all’istituto commerciale di Paola (Cosenza), ma soprattutto fondatore del rumoroso Movimento diritti civili, ha detto ciao al critico d’arte del quale per anni è stato il fedelissimo factotum, e si è imbarcato con il suo peggior nemico: Tonino, che sta tuttora duellando con Sgarbi nei tribunali di tutta Italia in una decina di cause per diffamazione.

È successo tutto in un baleno: il 15 dicembre 2000 i capi calabresi di Italia dei Valori lo contattano, e prima di Natale Corbelli incontra Di Pietro a Roma. Arruolato all’istante assieme al suo Movimento che, assicura lui, «ha sedi a Bari, Napoli, in Sicilia, con quasi 500 aderenti». 
E Sgarbi? 
«Ho per lui una stima indissolubile ed eterna. Gli ho telefonato, Vittorio di primo acchito è rimasto un po’ sorpreso. Ma poi si è convinto anche lui che Di Pietro in realtà negli ultimi tempi è diventato uno dei più grandi garantisti del Paese: ha difeso Nichi Grauso dalla condanna a 18 mesi di carcere per diffamazione contro i magistrati di Palermo sul suicidio Lombardini, ha preso le parti di quell’assessore lombarda del Ccd accusata di tangenti...» 
E con logica un po’ tolemaica, l’entusiasta Corbelli aggiunge: «Non escludo che un giorno Sgarbi si unisca a noi».
Nessuna contraddizione, quindi? 
«Macché. Io mi sono sempre alleato con quelli che ho combattuto. Contro Sgarbi dieci anni fa scrissi addirittura un intero libro, l’Antisgarbi. Poi nel ‘93 gli telefonai, lui mi convocò a Roma e mi assunse dal giorno dopo». 
E con Di Pietro, dove si candiderà? 
«Beh, vorrei essere il numero due, subito dopo di lui. So che si candiderà nel collegio di Termoli, in Molise, che comprende il suo paese Montenero di Bisaccia. E nel proporzionale a Milano, a Napoli e in Abruzzo. A me va benissimo una qualsiasi di queste tre circoscrizioni, più la Calabria e un’altra. E, naturalmente, il collegio di Cosenza, la mia città».

L’anno scorso Corbelli si candidò presidente della Calabria alle regionali: prese il due per cento. Adesso vorrebbe fare alleare Di Pietro con i radicali, forse memore della lista (poi abortita) Sgarbi-Pannella del ‘96: «Sia Tonino che Emma Bonino sono alternativi ai due poli, inutile disperdere energie. Elio Veltri (il luogotenente di Di Pietro, ndr) si è già incontrato coi radicali per raccogliere le firme assieme». 
Smentisce il radicale Daniele Capezzone, che lo liquida: «Corbelli è un simpaticissimo e bravissimo venditore di tappeti. Anzi, di un tappeto solo: il suo».

Chissà se il tappeto magico di Corbelli contribuirà a far volare Tonino oltre la soglia del 4 per cento. L’esuberante one-man-band calabrese è da anni famoso presso i giornalisti di tutta Italia per la tenacia con cui inonda quotidianamente le redazioni di suoi comunicati. L’ultimo l’altroieri: chiede dieci miliardi di risarcimento a Umberto Veronesi, a nome dei prof e degli studenti che secondo il ministro si spinellano in massa.

Ma più che sui «diritti civili» di Corbelli, Di Pietro per acchiappare voti conta sui diritti dei consumatori difesi da Elio Lannutti, che con la sua Adusbef sta conducendo una titanica lotta contro gli interessi usurari dei mutui. Piccoli risparmiatori, piccoli azionisti, tartassati da banche, assicurazioni e società telefoniche: è questo il nuovo target di Tonino, sapientemente coltivato anche sulla pagina che gli concede ogni settimana Oggi, il familiare Rcs forte di quattro milioni e mezzo di lettori. 

È il bacino popolare ideale per Di Pietro che, dopo il «colpo» a effetto dell’arruolamento simultaneo del capo sessantottino Mario Capanna e dell’eurodeputato fascista Roberto Bigliardo, prosegue nei discretissimi contatti con il centrosinistra per contrattare qualche desistenza. Quasi sicure quelle a Termoli per se stesso e a Massa nel collegio uscente di Veltri. 

Tutto ora è affidato ai sondaggi e alla difficile raccolta di firme per la presentazione delle liste: ci vorranno 4-500 mila sottoscrizioni in tutta Italia, collegio per collegio. Domenica i dipietristi saranno i primi a partire, con mille tavoli per strada. «Ma forse riusciamo a organizzarne duemila», annunciano orgogliosi.
 
Quanto ai sondaggi, gli ultimi variano dal 3% dell’Swg al 5 della Cirm. Più ottimisti quelli della Directa di Giorgio Calò, numero tre del partito. Se supera la ghigliottina del 4%, Di Pietro elegge sette deputati: tutti quelli in più, nel maggioritario, dovranno essere graziosamente concessi dall’Ulivo.