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Tuesday, August 03, 2021

Covid: duecento milioni. Diamo un po' di numeri, con qualche sorpresa

di Mauro Suttora

HuffPost, 3 agosto 2021

I contagi covid nel mondo supereranno fra poche ore la barriera dei 200 milioni. I decessi sono quattro milioni e 250mila. La letalità (rapporto morti/malati) è quindi del 2,1%: dimezzata rispetto alla prima ondata. E fra i dati ufficiali Oms troviamo parecchie sorprese.

L’Italia, innanzitutto: i casi aumentano, però abbiamo pochi decessi (ieri solo 20, assai meno dei 50 di Francia e Spagna) e il minimo di terapie intensive fra i grandi Paesi (249 contro 11mila in Usa, 2300 in Russia, 1800 in Spagna, e poi Francia 1200, Regno Unito 889, Giappone 700, Germania 376).

Buone notizie anche da Londra: casi giornalieri dimezzati a 21mila e decessi crollati a 24. Ottime notizie da tutta l’Europa dell’Est, che era stata risparmiata dalla prima ondata e invece devastata dalla seconda: Croazia solo 29 casi giornalieri, Slovenia 31, Slovacchia 6, Cechia 75, Polonia 91, Ungheria 155 (ma con un solo decesso e undici terapie intensive).

Può stare tranquillo anche chi parte per Grecia (duemila casi giornalieri ma appena otto morti) e Portogallo (1190 casi, nove decessi). Preoccupante invece la situazione in Russia, oltre che per i dati (ieri 785 decessi, superata nel mondo solo dai 1568 dell’Indonesia, e più dei 420 in India, 411 in Iran, 337 in Brasile e 129 negli Usa), anche per la loro scarsa attendibilità. 

Da due settimane infatti i morti appaiono fissi ogni giorno appena sotto gli 800, come se Putin avesse ordinato di non superare questa cifra (già un anno fa si scoprì che Mosca falsifica le proprie statistiche).

Nonostante gli allarmi sui nuovi lockdown totali, invece, la Cina ieri ha dichiarato solo 98 casi, nessun decesso e 24 terapie intensive. Peggio Cuba: 9279 contagi, 68 morti e 385 in rianimazione.

Israele ha denunciato per la prima volta nove morti, rispetto ai 2-3 giornalieri dell’ultimo mese, e ben 3130 casi. Tel Aviv cerca di rimediare con la terza dose del vaccino Pfizer per i +60 che hanno effettuato il richiamo almeno cinque mesi fa.

Tornando all’Italia, tranquillità ai nostri confini: ieri in Svizzera un solo morto e 36 terapie intensive, seppure con duemila casi; anche in Austria un solo decesso, e appena 364 nuovi contagi.

Il golpe in Tunisia, invece, si spiega con i suoi dati drammatici: ieri 209 morti e 609 in rianimazione. In proporzione ai 12 milioni di tunisini, sarebbe come se in Italia avessimo oltre mille morti al giorno (livello da noi mai raggiunto) e tremila terapie intensive.

Mauro Suttora

 

Tuesday, November 24, 2015

Viaggiare sicuri

METE TRANQUILLE PER LE VACANZE INVERNALI

di Mauro Suttora

Oggi, 18 novembre 2015

Dicembre, andiamo, è tempo di viaggiare. Ora i turisti lascian l’Italia e vanno verso il mare. Ma dove prenotare per le vacanze di Natale e Capodanno? Con l’aiuto del sito www.viaggiaresicuri.it del ministero degli Esteri e del Global Peace Index, ecco una guida ragionata alle zone «calde» del mondo. Per evitare quelle ad alta temperatura politica, e godere invece del sole tropicale o equatoriale.
Tenendo presente che la situazione può evolvere di giorno in giorno, e che anche nei Paesi più pacifici ci sono alcune zone off-limits.

Egitto giù, Tunisia su

Purtroppo, dopo l’attacco dell’Isis al jet russo sul Sinai, Sharm-el-Sheikh ma anche le crociere sul Nilo e le piramidi del Cairo non sono consigliabili. Diciamo purtroppo, perché l’Egitto invece ha bisogno degli introiti turistici proprio per evitare che i giovani, impoveriti, siano attratti dal fondamentalismo islamista.

Stesso discorso per la Tunisia: il governo è riuscito a ripristinare un clima di fiducia dopo gli attacchi della scorsa estate, e i turisti occidentali stanno tornando.
Ma gli unici Paesi arabi dove il rischio politico è inesistente sono Oman ed Emirati (Dubai, Abu Dhabi) ad est, e Marocco all’estremo opposto, sull’oceano Atlantico.

Ovviamente da escludere le zone di guerra: Iraq, Siria, Libia, Yemen. Per Israele e Giordania (Petra) c’è il solito discorso: da un giorno all’altro potrebbero rinfocolarsi guerriglie decennali, con attacchi improvvisi per strada. C’è comunque da dire che mai turisti sono stati coinvolti nelle varie intifade o rivolte palestinesi.

In Turchia si sperava che dopo le recenti elezioni il presidente Recep Erdogan riportasse un po’ di stabilità. Invece il governo continua a usare il pugno duro contro i curdi, i quali a loro volta rispondono con attentati anche a Istanbul e Ankara.

Tutto sommato, l’Iran offre una situazione più rassicurante. La recente apertura politica è accompagnata da un boom turistico: a Teheran, Isfahan e Persepoli gli hotel registrano da un anno il tutto esaurito, con centinaia di bus colmi di turisti occidentali.

Certo, gli ayatollah continuano a imporre la censura (nessun collegamento internet è possibile con i siti dei giornali esteri), e i guardiani della rivoluzione sono fastidiosi nell’imporre il velo alle turiste donna col capo scoperto. Ma la maggioranza della popolazione è amichevole, lontana da certi fanatismi.

Pace in tutte le isole

Nessun problema per le classiche (e costose, ora che l’euro è debole) mete di mare invernali: Mauritius, Seychelles, Zanzibar, Maldive. Queste ultime hanno impensierito nelle ultime settimane per alcuni disordini politici nella capitale Male, che però è lontana dall’unico aeroporto internazionale e dagli itinerari turistici.

Anche l’arcipelago di Capo Verde, sull’Atlantico, è una meta sicura (e più economica), così come i Caraibi e tutta l’America Latina. Uniche eccezioni: il Messico per la criminalità comune, il Venezuela per possibili dimostrazioni politiche, e il Brasile in alcuni quartieri di alcune grandi città in alcune ore.

In Asia da escludere il Pakistan per il persistente rischio islamista, mentre la recente uccisione di un italiano nel Bangla Desh sembra sia stato un episodio isolato.

Asia ok tranne Pakistan

Negli anni scorsi non sono mancati attentati terroristici in India (Bombay) e Indonesia (Bali), ma statisticamente adesso il rischio è quasi zero.

Non abbiamo colorato di verde la Birmania soltanto perché, dopo la stupenda vittoria della premio Nobel della Pace Aung San Suu Kyi, non sappiamo ancora se e come reagiranno i generali dell’esercito. Ma si spera che la situazione rimanga tranquilla, come nella vicina Thailandia dopo l’attacco all’albergo di Bangkok. Le località turistiche (Phuket), comunque, sono sorvegliatissime.

Dalla nostra mappa mondiale abbiamo ovviamente tralasciato Paesi bellissimi ma non mete abituali di vacanze invernali: dal Canada all’Australia, dalla Russia alla Cina, dal Giappone al Sudafrica.

Mauro Suttora

Thursday, March 10, 2011

Libia: che può fare l'Italia?

Oggi, 9 marzo 2011

Cosa sta succedendo?

1) GUERRA CIVILE

Inutile giocare con le parole: in Libia è guerra civile. A Ovest Gheddafi controlla la Tripolitania, e ha attaccato le città ribelli Zawiya e Misurata. A Est è sorto un nuovo governo con capitale Bengasi che si estende su tutta la Cirenaica. Il fronte è fra Sirte e Ras Lanuf. Gli insorti chiedono un solo aiuto: la «No fly zone». Non vogliono un intervento terrestre.

Cosa può fare l’Italia?

2) NO FLY ZONE

«È urgente impedire di volare agli aerei ed elicotteri assassini di Gheddafi», avverte Bernard-Henry Lévy, unico intellettuale europeo andato a Bengasi. La «no fly zone» è già stata applicata dall’Onu negli anni ’90 all’Iraq, per evitare che Saddam Hussein bombardasse i curdi al nord e gli sciiti al sud. E nel ’99 dalla Nato per proteggere i kosovari dai serbi di Slobodan Milosevic. Il veto russo impedì che la protezione del Kosovo dal genocidio avesse anche l'imprimatur dell'Onu, ma Mosca venne immediatamente coinvolta dall'allora presidente Usa Clinton, che affidò ai russi una zona di occupazione del Kosovo liberato.

La No fly zone è il minimo che la comunità internazionale può fare per proteggere gli insorti della Cirenaica. I quali stanno combattendo una guerra asimmetrica: in ogni momento sono vulnerabili dal cielo, privi come sono di aerei e dotati solo di contraerea artigianale. Gheddafi non si farà scrupolo di colpire anche i civili (lo ha già fatto a Zawiya, lo sta facendo a Misurata). Inoltre occorre bloccare l’arrivo di merci e mercenari dal cielo, soprattutto nell’aeroporto di Sebha, nel deserto del Fezzan.

C’è poi l’opzione «serba»: bombardare le basi militari di Gheddafi, o almeno le piste dei suoi aeroporti, per impedire il decollo dei bombardieri. In Serbia ci furono danni «collaterali» (morti di civili), ma in Libia il deserto permette colpi più chirurgici. In ogni caso, l’Italia da sola non può far nulla. Ma deve sollecitare Onu e Nato, e soprattutto mettere a disposizione le nostre basi per gli aerei Usa, come fece per il Kosovo 12 anni fa.
In mancanza di un «ombrello» Onu, a causa dei veti di Cina (preoccupata per i suoi «affari interni» Tibet e Xinkiang) e Russia (Cecenia), la Nato deve assicurarsi almeno un endorsement di Lega Araba e Unione Africana.

Se la comunità internazionale non interviene in Libia, potrebbero verificarsi stragi come quelle in Ruanda (1994) e Bosnia (1995).

3) RICONOSCERE IL NUOVO GOVERNO

I politici italiani hanno qualcosa da farsi perdonare: il trattato d’amicizia con Gheddafi del 2009 (votato anche dal Pd). Possono rimediare riconoscendo subito il governo provvisorio della Libia libera, nato a Bengasi. Abbandonare le cautele diplomatiche è il minimo che politici lungimiranti possano fare per proteggere non solo donne e bambini della Cirenaica, ma anche i nostri interessi economici.

Essere i primi a dichiararci amici della nuova Libia, dopo essere stati gli ultimi ad abbandonare l’«amico» Gheddafi: un riconoscimento che porterà riconoscenza. Per i nuovi contratti, ma anche per i futuri controlli dei clandestini su frontiere e coste. È un rischio? Forse. Ma c’è un precedente incoraggiante: la Germania nel ’90 riconobbe per prima le neonate Slovenia e Croazia. Che oggi sono – economicamente – province tedesche.

Qualsiasi presenza non militare nella Libia libera (come la nave Libra) è positiva: medici, cooperanti, tecnici, volontari. Tenendo però presente che la Libia è un Paese ricco, grazie al petrolio. Quindi non offendiamoli portando roba da Terzo mondo. Astenersi anche affaristi, almeno per un po’: che saltino un giro.

4) RIFUGIATI

Troppo tardi. Non c’è più tanto bisogno del progettato Villaggio Italia alla frontiera Tunisia-Libia: i rifugiati (lavoratori stranieri scappati dalla Libia) sono quasi tutti tornati a casa. Comunque l’idea è buona. Al di là della retorica umanitaria, infatti, stare in Tunisia ci fa ottenere quattro risultati:
A) Ricucire i rapporti con l'Agenzia Onu dei profughi, finora polemici. Ora l'Italia mette soldi e infrastrutture, regalando all'Unhcr la gestione.
B) Mettere il piede in un Paese che, dopo la cacciata del dittatore Ben Ali, soffre un vuoto di potere. Potremo controllare direttamente, alla fonte, coste e partenze di clandestini.
C) avvantaggiarsi sulla Francia, tradizionale «madrina» di Tunisi come ex potenza coloniale, ma ora in difficoltà Ben Alì era appoggiato da Parigi. La potente ministro degli Esteri Michèle Alliot-Marie ha dovuto dimettersi per le sue vacanze natalizie tunisine pagate dal dittatore.
D) Bypassare la Ue, la cui inefficiente commissaria agli Aiuti umanitari è stata quasi presa a botte alla frontiera Tunisia/Libia per la sua inerzia.

Il Villaggio Italia potrà servire in caso di guerra civile prolungata in Libia, sempre che Gheddafi non sigilli le frontiere. Ma solo temporaneamente: i sei milioni di libici (pochi, in confronto agli 80 milioni di egiziani) non hanno interesse a lasciare il proprio Paese, dove grazie al petrolio si pagano pochissime tasse, sanità e istruzione sono gratis, e non occorre (quasi) lavorare, se non in impieghi dirigenziali pubblici e ben retribuiti. Tutto il resto lo facevano gli stranieri. Che torneranno, quando tornerà la pace.

Mauro Suttora