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Wednesday, March 04, 2009

Diario di Claretta Petacci, 1938

SEX DUX

A LETTO CON BENITO (COME IN UN LIBRO DI MOCCIA) - L’AMORE totale DELlA “STENOGRAFA” PETACCI PER MUSSOLINI – IL DUCE DOVEVA CHIAMARLA DIECI VOLTE AL GIORNO PER NON FARLA INGELOSIRE -

reso pubblico l’anno 1938 del diario dela grafomane Claretta…

Mauro Suttora per il settimanale 'OGGI'

4 marzo 2009

Povero Benito Mussolini. Nel 1938, anno cruciale della storia mondiale (Adolf Hitler invade l'Austria, conferenza di Monaco), doveva fare dieci telefonate al giorno. E non per lavoro: al Duce toccava chiamare ogni ora la gelosissima amante Claretta Petacci.

È stato appena reso pubblico l'anno 1938 del diario della Petacci. L'Archivio di Stato, infatti, fa passare settant'anni prima di togliere il segreto. «Il diario di Claretta è caratterizzato in prevalenza da considerazioni private», avverte la dottoressa Luisa Montevecchi, funzionario dell'Archivio e responsabile del fondo Petacci.

Per decenni gli storici hanno sperato che quelle carte provassero una trattativa segreta fra il Duce e il premier inglese Winston Churchill, per una pace separata durante la repubblica di Salò o per una resa che salvasse la vita ai gerarchi.

Il diario del '38 non offre rivelazioni politiche, ma dal punto di vista personale quelle pagine sono una miniera. Claretta era una grafomane, riempiva migliaia di fogli. Ma, soprattutto, era innamoratissima del suo Benito.

Una passione febbrile, totale, che ha divorato per anni ogni ora delle sue giornate. Leggendo il diario, si capisce come pochi anni dopo si sia fatta fucilare con Mussolini. Un esito orrendo ma naturale: senza di lui, la sua vita non avrebbe avuto senso.

«Ore 9 e 1/4. Nervosissimo. Hai dormito? Non molto? Io sì, sto meglio con il dito e ho dormito. Ti ho forse svegliata? Sono molto spiacente. Io? Bene. Adesso lasciami lavorare...»

Così inizia il resoconto di una giornata qualunque. È il 4 gennaio '38. Telefonata da palazzo Venezia. L'amor folle di Claretta la fa resocontare parola per parola ogni colloquio con Benito. Tutte le sue giornate - da anni: l'ha conosciuto nel '32, fanno l'amore dal '36 - sono occupate dall'attesa di parlare con lui. E il resto del tempo la Petacci scrive. È una stenografa in presa diretta.

«10 e 1/2. Non esci un poco? C'è il sole, vai che è bello».
«Alle 11. Ancora no? Allora ti chiamerò più tardi. Ma se esci verso mezzogiorno che sole prendi? Va bene».
«12 e 1/4. Sei ancora lì? Allora esci adesso e prendi almeno un'ora di sole. Sì è vero, non sono stato gentile ma ho molto da fare, moltissimo. Ho anche della gente nella piazza, i romani ecc. Ti tel. alle 3 quando torno qui, amore».

Una scena quasi comica

La scena è quasi comica. Uno degli uomini più potenti del mondo, l'allora 54enne duce, si preoccupa paternamente del sole che deve pigliare la sua 25enne amante preferita. La tempesta di telefonate, si scusa, le spiega che non può stare troppo al telefono a tubare con lei perché deve governare una nazione, e ci sono minuzie come la folla in piazza Venezia che lo reclama al balcone... Ma la chiama ogni ora, anche per dimostrarle che non si è appartato con un'altra.

La prima telefonata pomeridiana da palazzo Venezia è per lei: «Alle 3. Cara, sono di ritorno. Sono nervoso perché al solito credevo di avere poche udienze, invece ne sono spuntate 7-8. Credo però che verso le 6 potrai venire. Dove, quale teatro? No, non mi sento, non ne ho voglia.

Ma nessuno me lo ha proibito. Non dire sciocchezze. Va bene, allora per dimostrarti il contrario ci vengo, benché non mi vada. Ci vedremo a teatro allora, va bene, sei contenta? (...) Verrò per farti piacere e per dimostrarti che non c'è alcuno che me lo proibisca. Addio cara ti tel. fra poco».

«4 e 1/4. Hai fatto bene a ricordarmi del teatro. Così dispongo le mie cose in modo di poterci andare. Perché altrimenti all'ultimo momento sarebbe stato un guaio. Però io rimango sempre dentro al palco - non esco. Non devi salire su, capito? Io non mi muoverò da dentro perché non voglio assolutamente fare spettacolo nello spettacolo. Adesso comincio a ricevere, ne ho diversi: Marinetti, ecc. ecc.»

«Alle 5. Ho tardato perché avevo un lungo colloquio. Non un attimo di sosta. Ti chiamerò al più presto».
«Alle 6 e 1/4. Ho avuto un lungo ‘bottone' con l'ex ministro ungherese, adesso devo vedere Marinetti. Farò presto».

«7 e 1/2. È stato piuttosto lungo, il bottone. Adesso se vuoi che venga a teatro bisogna che mi mandi a casa presto. Devo vestirmi, mangiare e continuare con qualcuno che mi accompagni. Certo, sarò felice di vederti. Non ho mai parlato con quella signora del teatro, vorrei che mi accadesse non so cosa se questo non è vero. Non fare così, sai, perché il mio amore si stanca (io gli avevo detto "Tu mi tratti male perché provi rimorso di avermi tradita").

Ti prego, non essere cerebrale. Tu sei cerebrale, il tuo amore è raziocinante. Non c'è più slancio, non c'è impulso. Pensi troppo, stai attenta a tutto, ricordi tutto. Non c'è impulso (se non fossi impulsiva non ti farei di queste domande, starei attenta a non annoiarti). Va bene, senti, se vuoi che il nostro amore vada sempre bene e non subisca scosse...

Questa sera voglio guardarti con amore. Desidero guardarti con tenerezza. Ho piacere di guardarti e sorriderti con molto amore, hai capito? Sei contenta? Vedrai dai miei occhi che ti amo. Adesso lasciami andare a casa se vuoi che faccia in tempo. (...) Addio cara, ti tel dopo teatro».

Queste parole sono effettivamente pronunciate da Mussolini, o appartengono al delirio fantastico di Claretta? Impossibile saperlo. A teatro il suo resoconto si trasforma in cronaca:

«Alle 9 e 1/4 arrivo perché la macchina non funzionava e resto dietro. Poi entro. Al primo intervallo vado su, passo e scena. Lui sorride, mi guarda. Durante il primo atto mi guarda a tratti. C'è la moglie. Vado su con Marcello [il fratello, ndr], si fa scuro, non lo riconosce perché prima pallido poi rosso.

Ha come un urto al cuore, poi pensa, si ricorda e mi sorride guardandomi a lungo. Scendo presto. Al terzo mi trattengo di più ed è contento, mi guarda tanto con tenerezza e amore. (...) Si alza in piedi dietro la moglie e fa per tirarmi un bacio».

«Telefonata, 12 e 3/4. Amore, quanto ti ho guardata. Hai veduto che ti guardavo sempre, ti amavo tanto, mi piacevi tanto. Pensavo: per lei, per questa piccola bambina, per il mio tesoro in questo teatro non ci sono che io. Per lei io solo esisto, sono l'unico. E per me non esiste altra donna che lei. L'unica che mi piaccia, che mi interessi, che ami.

Dentro questo teatro non ci siamo che noi. Cara, amore, mi guardavi tanto. Hai visto come ti sorridevo, ti avvolgevo nella mia tenerezza, ti avviluppavo nel mio amore, e tu lo sentivi. Eri bellissima, mi piacevi tanto. Dimmi che mi ami. Pensavo: questa piccola amante, questa dolce donnina che mi parla e che io adoro, domani sarà tra le mie braccia e io la terrò nel mio cuore.

Amore, hai sentito quanto ti amo. Pensavo che non c'è altra donna che te, dentro e fuori. Ti sono fedele, finalmente tuo, tutto. Clara, amore, sei sola nella mia vita. Dormi con la mia voce, le mie parole d'amore ti servano per dormire tranquilla, serena, fiduciosa nel mio bene immenso. Ti adoro, buonanotte amore. Dormi fra le mie braccia perché ora vieni con me nel mio letto che io ti stringa forte, amore, vieni con me amore, dormi con me, ti adoro».

Sesso a Palazzo Venezia

Il giorno dopo Claretta Petacci va a trovare Mussolini a palazzo Venezia: «5 gennaio 1938. Lo sai amore, ieri sera a teatro ti ho spogliata tre volte almeno. Quando mi sono alzato in piedi dietro a mia moglie sentivo di prenderti. Avevo un folle desiderio di te. Mi dicevo: "Il suo piccolo corpo, la sua carne di cui sono folle, domani sarà ancora mia".

Ti vedevo, e quando sei salita ti sei accorta che ti spogliavo. Ti guardavo, ti svestivo e ti desideravo come un folle. Dicevo: "Il suo corpicino delizioso è mio, tutto mio. Io la prendo, vibra per me, è tutt'uno con il mio corpo". Vieni, ti adoro. Come puoi pensare che io, schiavo della tua carne e del tuo amore, pensi ad altre. Andiamo di là, mi dice».

Mauro Suttora

Inedito: Claretta e Benito

UN GIORNO (E UNA NOTTE) NELLA VITA DI MUSSOLINI

"Il suo corpicino delizioso è mio, è tutto mio. Io la prendo, vibra per me, è tutt'uno con il mio corpo"

ESCLUSIVO: Il diario 1938 di Claretta Petacci è stato reso pubblico dopo 70 anni. Dentro c’è un delirio amoroso, molta fantasia, poca politica. E sesso…

Roma, 4 marzo 2009

Povero Benito Mussolini. Il dittatore italiano nel 1938, anno cruciale della storia mondiale (Adolf Hitler invade l'Austria, conferenza di Monaco), doveva fare dieci telefonate al giorno. E non per questioni di lavoro: al Duce toccava chiamare ogni ora la sua giovane e assillante amante Claretta Petacci, gelosissima (con ottime ragioni).
Sono state appena rese pubbliche le pagine sul 1938 del diario della Petacci. L'Archivio centrale dello Stato, che lo conserva, lascia infatti trascorrere un periodo di settant'anni prima di togliere il segreto su quei documenti. Di anno in anno, quindi, il diario di Claretta (che prosegue fino alla sua uccisione assieme a Benito, nel '45) viene messo a disposizione degli storici.

Siamo andati all'Eur nel palazzo (fascista) dell'Archivio, e abbiamo spulciato le «nuove» pagine. Diciamo subito che il diario non contiene decisive rivelazioni storiche. Perlomeno per l'anno 1938.
«Ma anche negli anni successivi il diario di Claretta è caratterizzato in prevalenza da considerazioni molto private, che non aggiungono granché alla comprensione dei tragici fatti di quegli anni», avverte la dottoressa Luisa Montevecchi, funzionario dell'Archivio e responsabile del fondo Petacci, che ha già controllato il prosieguo del diario e le minute delle lettere che Claretta spediva a Mussolini.

APPASSIONATA GRAFOMANE

Per decenni gli storici hanno sperato che da quelle carte saltassero fuori le prove di una trattativa segreta fra il Duce e il premier inglese Winston Churchill, per una pace separata durante la repubblica di Salò o per una resa che salvasse la vita ai gerarchi fascisti in fuga. L'ultimo erede della famiglia Petacci, Ferdinando, 67 anni, che vive negli Stati Uniti, ha sempre reclamato la proprietà del diario e delle lettere. Ma lo Stato italiano gliel'ha negata.

Se politicamente il diario del '38 non offre novità, dal punto di vista privato quelle pagine sono una miniera. Le abbiamo lette con difficoltà, perché la scrittura della Petacci non è semplice da decifrare. Claretta infatti era una vera grafomane, ha riempito migliaia di fogli. Ma, soprattutto, era innamoratissima del suo Benito. Una passione febbrile, totale, che ha divorato per anni ogni ora delle sue giornate. Leggendo il suo diario, si capisce come pochi anni dopo abbia voluto farsi fucilare assieme a Mussolini. Un esito orrendo ma naturale: senza di lui, la sua vita non avrebbe avuto alcun senso.

«Ore 9 e 1/4. Nervosissimo. Hai dormito? Non molto? Io sì, sto meglio con il dito e ho dormito. Ti ho forse svegliata? Sono molto spiacente. Io? Bene. Adesso lasciami lavorare...»
Così inizia il resoconto di una giornata qualunque. E' il 4 gennaio '38. Telefonata da palazzo Venezia. L'amor folle di Claretta le impone di resocontare minuziosamente, parola per parola, ogni colloquio con Benito. Tutte le sue giornate - e ormai da anni, l’ha conosciuto nel ’32, fanno l’amore dal ’36 - sono occupate dall'attesa di una conversazione col Duce. E il resto del tempo la Petacci scrive. Praticamente, è una stenografa in presa diretta.
«10 e 1/2. Non esci un poco? C'è il sole, vai che è bello».
«Alle 11. Ancora no? Allora ti chiamerò più tardi. Ma se esci verso mezzogiorno che sole prendi? Va bene».
«12 e 1/4. Sei ancora lì? Allora esci adesso e prendi almeno un'ora di sole. Sì è vero, non sono stato gentile ma ho molto da fare, moltissimo. Ho anche della gente nella piazza, i romani ecc. Ti tel alle 3 quando torno qui amore».

UNA SCENA QUASI COMICA

La scena è quasi comica. Uno degli uomini più potenti del mondo, l'allora 54enne Duce, si preoccupa paternamente del sole che deve pigliare la sua 25enne amante preferita. La tempesta di telefonate, si scusa, le spiega che non può stare troppo al telefono a tubare con lei perché deve governare una nazione (anzi, un impero), e ci sono minuzie come la folla in piazza Venezia che lo reclama tronfio al balcone... Ma la chiama ogni ora, anche per dimostrarle che non si è appartato nella sala del Mappamondo con un’altra.

La Petacci è tornata a vivere a casa con i suoi, nella residenza del padre Francesco Saverio medico personale del papa, dopo la separazione dal marito aviere. La loro casa non è lontana da villa Torlonia, sulla Nomentana, dove Mussolini vive con la possessiva moglie Rachele e i figli. E dove torna ogni giorno per pranzo.

Preso fra due fuochi di gelosia, la prima telefonata pomeridiana da palazzo Venezia è per lei: «Alle 3. Cara, sono di ritorno. Sono nervoso perché al solito credevo di avere poche udienze, invece ne sono spuntate 7-8. Credo però che verso le 6 potrai venire. Dove, quale teatro? No, io non mi sento, non ne ho voglia. Ma nessuno me lo ha proibito. Non dire sciocchezze. Va bene, allora per dimostrarti il contrario ci vengo. Sì, va bene ci vengo, benché non mi vada. Ci vedremo a teatro allora, va bene, sei contenta? (dato che si era inquietato, prima gli ho detto "Non è il caso di bisticciare per questo"). Hai ragione. Verrò per farti piacere e per dimostrarti che non c'è alcuno che me lo proibisca. Addio cara ti tel fra poco».

«4 e 1/4. Hai fatto bene a ricordarmi del teatro. Così dispongo le mie cose in modo di poterci andare. Perché altrimenti all'ultimo momento sarebbe stato un guaio. Però io rimango sempre dentro al palco - e non esco. Tu non devi salire su, capito? Io non mi muoverò da dentro perché non voglio assolutamente fare lo spettacolo nello spettacolo. Così va bene. Adesso comincio a ricevere, ne ho diversi: Marinetti, ecc. ecc.»
«Alle 5. Ho tardato perché avevo un lungo colloquio. Non un attimo di sosta. Ti chiamerò al più presto».

IL 'BOTTONE'

«Alle 6 e 1/4. Ho avuto un lungo bottone, adesso devo vedere Marinetti, immagina. Era l'ex ministro ungherese. Adesso farò presto».
«7 e 1/2. E' stato piuttosto lungo, il bottone. Adesso se vuoi che venga a teatro bisogna che tu mi mandi a casa presto. Devo vestirmi, mangiare e continuare con qualcuno che mi accompagni. Certo, sarò felice di vederti. Non ho mai parlato con quella signora del teatro, vorrei che mi accadesse non so cosa se questo non è vero. Non fare così, sai, perché il mio amore si stanca (io gli avevo detto "Tu mi tratti male perché provi rimorso di avermi tradita”). Ti prego, non essere cerebrale. Tu sei cerebrale, il tuo amore è raziocinante. Non c'è più slancio, non c'è impulso. Pensi troppo, stati attenta a tutto, ricordi tutto. Non c'è impulso (se non fossi impulsiva non ti farei di queste domande, starei attenta a non annoiarti). Va bene, senti, se vuoi che il nostro amore vada sempre bene e non subisca scosse… Questa sera voglio guardarti con amore. Desidero guardarti con tenerezza. Ho piacere di guardarti e sorriderti con molto amore, hai capito? Sei contenta? Vedrai dai miei occhi che ti amo. Adesso lasciami andare a casa se vuoi che faccia in tempo. (...) Addio cara, ti tel dopo teatro».

A TEATRO

Quante parole sono effettivamente pronunciate da Mussolini, e quanto invece appartiene al delirio fantastico di Claretta? Impossibile saperlo. Possiamo solo affidarci al suo resoconto. Che a teatro si trasforma in cronaca: «Alle 9 e 1/4 arrivo perché la macchina non funzionava e resto dietro. Poi entro. Al primo intervallo vado su, passo e scena. Lui sorride, mi guarda. Durante il primo atto mi guarda a tratti. C'è la moglie. Vado su con Marcello [il fratello, ndr], si fa scuro, non lo riconosce perché prima pallido poi rosso. Ha come un urto al cuore, poi pensa, si ricorda e mi sorride guardandomi a lungo. Scendo presto. Al terzo mi trattengo di più ed è contento, mi guarda tanto con tenerezza e amore. Alla mia destra c'è una cinquantenne che lo fissa con l'occhialino, una vecchia amante dev'essere. Lui non so se la vede. Durante lo spettacolo mi guarda tanto con desiderio. Si alza in piedi dietro la moglie e fa per tirarmi un bacio. Mi guarda sempre, anch'io».

TELEFONATA NOTTURNA

«Alle 12 e 3/4. Amore, amore, cara, quanto ti ho guardato. Hai veduto che ti guardavo sempre, ti amavo tanto, mi piacevi tanto. Pensavo: per lei, per questa piccola bambina, per il mio tesoro in questo teatro non ci sono che io. Per lei io solo esisto, sono l'unico. L'unico, il solo per la mia piccola. E pensavo ancora: per me in questo teatro non esiste altra donna che lei. L'unica che mi piaccia, che mi interessi, che ami. Dentro questo teatro non ci siamo che noi, io e lei. Cara, amore, mi guardavi tanto. Hai visto come ti sorridevo, e guardandoti ti avvolgevo nella mia tenerezza, ti avviluppavo nel mio amore, e tu lo sentivi. Eri bellissima amore, mi piacevi tanto, davvero era bello. Dimmi che mi ami. Pensavo: domani questa piccola amante, questa dolce donnina che mi parla e che io adoro, domani sarà tra le mie braccia e io la terrò nel mio cuore. Sarà con me domani. Amore, hai sentito quanto ti amo, il mio amore ti avvolgeva. Pensavo che non c'è altra donna che te, dentro e fuori. Ti sono fedele, finalmente tuo, tutto. Clara, Clara, amore, sei sola nella mia vita Clara. Dormi con la mia voce e le mie dolci parole. Queste parole d'amore ti servano per dormire tranquilla, serena, fiduciosa nel mio bene immenso. Ti adoro, buonanotte amore. Amore, dormi fra le mie braccia perché ora vieni con me. Vieni a me nel mio letto che io ti stringa forte, amore, vieni con me amore, dormi con me, ti adoro».

Difficile immaginare che questo sproloquio sdolcinato sia uscito dalla bocca dello sbrigativo e «maschio» dittatore, seppure innamorato o in cerca di perdono per un recente tradimento. Più facile che Claretta scriva di notte per dar sfogo alle proprie fantasie romantiche, per placare la solitudine. E forse anche per lottare contro l'insonnia.

DUCE A LUCI ROSSE

Il giorno dopo Claretta Petacci va a trovare Mussolini a palazzo Venezia: «5 gennaio 1938, XVI E.F. [era fascista] Lo sai amore che ieri sera a teatro ti ho spogliata 3 volte almeno. Quando mi sono alzato in piedi dietro a mia moglie io sentivo di prenderti. Avevo un folle desiderio di te. Mi dicevo: "Il suo piccolo corpo, la sua carne di cui io sono folle, domani sarà ancora mia". Ti vedevo, e quando sei salita su ti sei accorta che ti spogliavo. Ti guardavo, ti svestivo e ti desideravo come un folle. Dicevo: "Il suo corpicino delizioso è mio, è tutto mio. Io la prendo, vibra per me, è tutt'uno con il mio corpo". Vieni, io ti adoro. Come puoi pensare che io, schiavo della tua carne e del tuo amore, pensi ad altre. Andiamo di là lungo la strada, mi dice. Davvero anche tu pensavi questo?»

Chissà, se il Fuhrer avesse letto le parole di questo inedito «Duce a luci rosse», così poco marziale, forse non avrebbe voluto l'Italia alleata in guerra...

Mauro Suttora