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Wednesday, December 09, 2009

Oggi: le polemiche su Mussolini razzista

Oggi, 9 dicembre 2009

di Mauro Suttora

QUANTO ERA RAZZISTA IL DUCE?

Il dittatore italiano parlò di "trucidare completamente" gli ebrei ben quattro anni prima che i gerarchi nazisti ne decidessero lo sterminio finale

«Porci ebrei, popolo destinato a essere trucidato completamente». Previsione o minaccia? Benito Mussolini pronunciò questa tremenda frase il Lunedì dell’Angelo 1938, nel suo studio a palazzo Venezia di fronte all’amante Claretta Petacci. La quale la annotò fedelmente nei suoi diari, appena desecretati dopo ben settant’anni sotto chiave nell’Archivio centrale dello Stato, e pubblicati nel libro Mussolini segreto (ed. Rizzoli).
Com’era prevedibile, queste parole hanno subito fatto il giro del mondo. Tutti i giornali più prestigiosi, dall’inglese Times al francese Le Monde, dallo spagnolo El Pais al tedesco Spiegel, hanno scritto lunghi articoli. Perché?

ATTENTI ALLE DATE

Attenzione alle date. La frase di Mussolini è del 18 aprile ’38. Cioè tre mesi prima del vergognoso Manifesto della razza del professor Nicola Pende e altri «scienziati» che diede il via alle persecuzioni contro gli ebrei, dapprima licenziati da ogni impiego pubblico, e infine avviati ai campi di sterminio.
Ma, soprattutto, l’auspicio del dittatore italiano è di quattro anni antecedente alla famigerata conferenza di Wannsee (Berlino) del gennaio ’42. Solo allora, infatti, i gerarchi nazisti decisero di «trucidare completamente» (per usare le parole del duce) gli ebrei.

FRASI AGGHIACCIANTI

Anche un appassionato di storia per diletto come me, quindi, è saltato sulla sedia quando si è imbattuto in questa frase trascrivendo i diari della Petacci per il libro che ho curato. Oltre ad altre successive, come: «Io ero razzista dal ‘21. Non so come possano pensare che imito Hitler, non era ancora nato [politicamente, ndr]. Mi fanno ridere. La razza dev’essere difesa» (4 agosto ’38). «Lo scopo è purificare la razza e far lavorare gli ariani ai posti sfruttati da loro» (2 settembre). «Porci ebrei, li ucciderò tutti» (9 ottobre). «Questi schifosi di ebrei, bisogna che li distrugga tutti. Farò una strage come hanno fatto i turchi [con gli armeni, ndr]. Del resto ho confinato settantamila arabi [in Libia], potrò confinare cinquantamila ebrei. Farò un isolotto, li chiuderò tutti là dentro. Sono carogne, nemici e vigliacchi. Vedranno cosa saprà fare il pugno d’acciaio di Mussolini. Li distruggo. È l’ora che gli italiani sentano che non devono più essere sfruttati da questi rettili» (11 ottobre).

COSA DICONO GLI STORICI

Secondo il prestigioso settimanale Economist, «i diari di Claretta sfidano la confortevole opinione che molti italiani hanno di un duce trascinato dall’alleato Hitler. E la reputazione di Mussolini conta ancora in un Paese che, per la maggior parte degli ultimi otto anni, è stato guidato da governi con dentro i suoi eredi “post-fascisti”».
«Questo tema sembra diventato tabù», ha scritto sul Corriere della Sera Giorgio Fabre, autore del libro Mussolini razzista (Garzanti, 2005). «Forse il dittatore viene considerato un padre della patria, un italiano rappresentativo».
«Si riteneva che le leggi razziali fossero solo uno strumento, non una politica in cui [Mussolini] credeva sinceramente. Questi diari suggeriscono il contrario», ha detto all’Economist Paul Corner, professore di Storia europea all’università di Siena. E Sergio Luzzatto, storico dell’università di Torino: «Pur con tutte le cautele, perché scritti da un’amante, i diari sono una sveglia. Svelano la vera malvagità di Mussolini».

Wednesday, December 02, 2009

Economist: Not just Hitler's fool

A mistress’s diary shows Benito Mussolini was a rabid anti-Semite

Nov 19th 2009 | ROME
From The Economist print edition

articolo originale sul sito dell'Economist

“THESE disgusting Jews, I must destroy them all.” Adolf Hitler’s dinnertime conversation? No. This is one of several anti-Semitic rants ascribed to Italy’s fascist leader, Benito Mussolini, by his mistress, Clara Petacci. Both were executed by partisans at the end of the second world war. The diaries of “Claretta”, published as a book (“Mussolini segreto”) on November 18th, after more than 50 years in the state archives, challenge the comforting view that many Italians have of the Duce as a leader misled by Hitler, his ally. Mussolini’s reputation still matters in a country which, for most of the past eight years, has been led by governments incorporating his “post-fascist” heirs.

In 2004 his son, Romano, published a memoir, “My Father, Il Duce”, which presented Mussolini as a caring family man, largely ignoring the dark side of the leader who had occupied Ethiopia in 1935-36 and, during his final years as Hitler’s puppet, sent thousands of Jews to Nazi death camps. In 2007 Marcello Dell’Utri, a close aide to Silvio Berlusconi, the prime minister, claimed to have found Mussolini’s diaries. Most historians said they were fakes, but not before Italians were told of contents which, in the words of Romano’s daughter, Alessandra Mussolini, showed “all the efforts made by grandfather to avoid the war”.

Italian television documentaries generally go easy on the Duce too, often reflecting the view that his government’s anti-Jewish “racial laws”, passed in 1938, were an aberration. Mr Berlusconi’s own opinion, given in a 2003 interview, is that Mussolini “never killed anyone”.

So for many Italians, it comes as a jolt to read of Il Duce boasting that “I’ve been a racist since ’21.” His mistress even recorded a remark by Mussolini in 1938 that foreshadowed the Final Solution: “I shall carry out a massacre, like the Turks did”—an apparent allusion to the mass killing of Armenians in 1915.

“People have always assumed the racial laws were a political instrument; not part of a policy in which he sincerely believed. This would suggest quite the opposite,” says Paul Corner, professor of European history at the University of Siena. As a lover’s account, the diaries should be treated with due caution, says Sergio Luzzatto, an historian from the University of Turin. “But they are a kind of wake-up call. They reveal Mussolini’s true gravity and wickedness.”

Friday, January 23, 2009

Time e Newsweek

I neswsmagazine Usa crollano nelle vendite: troppo radical chic

Libero, venerdì 23 gennaio 2009

di Mauro Suttora

Time e Newsweek sono crollati. I due settimanali statunitensi vendono in edicola 96mila copie il primo e 83mila il secondo, contro le 163mila e 147mila del 2004. Meno 40% in quattro anni. Come se Panorama ed Espresso annaspassero a 16-20 mila copie, in proporzione agli abitanti (gli americani sono cinque volte gli italiani).

Anche per gli abbonati è un disastro. Solo due anni fa Time ne aveva quattro milioni, Newsweek 3,1. Ora il primo è sceso a 3,2 e l'altro a 2,6. Ma entrambi potrebbero tagliare drammaticamente la «circolazione garantita» ai pubblicitari, fino a scendere a un milione di copie.

Agli abbonati, infatti, i newsmagazines vengono regalati. Un anno per venti euro: 27 cent a copia. E’ lo stesso prezzo proposto agli abbonati italiani: tre anni per 59 euro. Non coprono neppure i costi di carta e inchiostro. Questo perché è dalla pubblicità che vengono i soldi veri. Ma se la «bolla» pubblicitaria scoppia, il bluff salta.

Il terzo settimanale politico americano, U.S. News & World Report, è stato chiuso tre settimane fa. L’unico che va bene è l’inglese Economist, la cui edizione Usa aumenta del 20% annuo: 500mila copie nel 2006, 600mila nel 2007, 700mila l’anno scorso.

«Anche noi probabilmente diventeremo settimanali d’opinione come l’Economist, con un lettorato più ristretto ma d’élite», mormorano all’unisono Rick Stengel, 53 anni, direttore di Time, e Jon Meacham, 40, di Newsweek. Guidano i loro giornali entrambi da appena due anni, chiamati a bloccare l’emorragia. I giornalisti interni sono 200 a testata: la metà di dieci anni fa
.
Time ha cambiato il giorno d’uscita, dal lunedì al venerdì. Newsweek ha dedicato la metà delle sue copertine 2008 alla politica (due a Michelle Obama). Entrambi pubblicano sempre più opinioni e sempre meno notizie. Bye bye “news”magazines, quindi: ai loro sofisticati lettori ormai le news arrivano da internet, tv e quotidiani.

Ma è proprio la linea politica il principale problema dei due settimanali. Entrambi, infatti, stanno s(t)olidamente a sinistra. E non potrebbe essere altrimenti, per due giornali ideati nel centro di Manhattan, a poche centinaia di metri l’uno dall’altro: l’unica differenza è che il grattacielo di Newsweek ha la vista su Central Park, mentre la redazione di Time dà sul fiume Hudson. Antropologicamente radical-chic.

Troppo liberal, come la città di New York dove l’80% vota democratico. Time ha cercato di togliersi di dosso la patina fighetta dando spazio al commentatore neocon Bill Kristol. Ma è durato poco. Newsweek è riuscita a pubblicare una copertina pro matrimonio gay dopo che perfino la libertaria California l’ha bocciato.

Restano alcune isole d’eccellenza come le column di Fareed Zakaria (Newsweek), il miglior commentatore (kissingeriano) di politica estera oggi negli Usa: lavora anche per la concorrenza con il suo programma Gps alla tv Cnn del gruppo Time Warner (sul canale 516 di Sky Italia, ogni domenica alle 14 e 21). Ma da destra il liberista Economist morde la prosopopea dei due ex colossi, troppo uguali fra loro.

Mauro Suttora

Monday, March 10, 2008

L'Economist scopre il 'nuovo'

Libero, 9 marzo 2008

di Mauro Suttora

Caro direttore,
dopo vent’anni devo darti ragione. «L’obiettività dei giornali anglosassoni non esiste», avevi detto quando arrivasti a dirigere il mio Europeo nel 1989. Non mi convincesti, e fino a giovedì sera sono rimasto anglofilo. Ma è bastata una sola parola di Bill Emmott, ex direttore dell’Economist, per farmi crollare il mito. La parola è: «Nuovo». Così Emmott ha risposto alla domanda di un conduttore di Sky24: «Come definirebbe Walter Veltroni?»

Gelo in studio. Benedetto Della Vedova, radicale passato con Berlusconi, ha un attimo di smarrimento. Come può a un giornalista così prestigioso essere scappata una tale scivolata, che neanche Dida? Ripresosi dall’incredulità, replica: «Informo Emmott che Veltroni era responsabile della propaganda Pci già nel 1981». Salta su Furio Colombo, al quale ultimamente qualcuno ha consigliato l’isteria come arma per apparire efficaci in tv: «Lei offende Emmott! Un giornalista questo lo sa».

Si presume di sì. Anche perché Emmott è stato ingaggiato dal Corriere della Sera per commentare in prima pagina le cose italiane. Quindi un curriculum del politico numero due in Italia lo avrà scorso. E seguendo il dibattito di questi giorni avrà notato che proprio la presunta «novità» di Veltroni è il principale tema di discussione in questa campagna.

Il britannico tenta di rimediare: «Ho detto “nuovo” sulla scena nazionale...»
Della Vedova è uno dei politici più placidi d’Italia. L’aggressività non è il suo forte. Quindi si limita a sorridere indulgente, puntualizzando: «Veltroni è stato segretario nazionale Ds, e ministro, e vicepremier...» Niente da fare. L’accoppiata Emmott-Colombo continua a sostenere l’insostenibile, anche se il primo arretra fino all’estrema trincea aggrappandosi a un’altra parola fatale: «Veltroni “appare” nuovo...»

Ah, siamo alle apparenze. Domani disdico l’abbonamento all’Economist. Anche perché, confessiamolo: il settimanale più «obiettivo» del mondo è citato da tutti, rispettato da molti, comprato da pochi. E letto da quasi nessuno.