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Monday, October 04, 2021

M5s: San Francesco ce li ha dati, San Francesco ce li ha tolti


di Mauro Suttora

HuffPost, 4 ottobre 2021

San Francesco ce li ha dati e San Francesco ce li ha tolti. I grillini nacquero il 4 ottobre 2009 al teatro Smeraldo di Milano, e nello stesso giorno dodici anni dopo crollano. Non solo nel capoluogo lombardo, dove negli exit poll racimolano un imbarazzante 3%, ma anche a Roma, dove la Raggi non arriva al ballottaggio, a Torino (10%), Trieste (3%) e perfino nella Napoli di Fico e Di Maio, dove il voto di lista grillino crolla rispetto all’incredibile 50% di appena tre anni fa.

Un po’ mi spiace. Se non avessero s/governato, se fossero rimasti al 3-5%, avrebbero svolto un’utile funzione di pungolo, come Pannella. Proprio il capo radicale, ricordo, era in piazza San Paolo nel 2008 a Roma a firmare i primi referendum grillini, non ancora Cinque stelle. Lì avvertì: “Attenti a non sbagliare le date della raccolta firme”. I Casaleggio non lo ascoltarono. Risultato: mezzo milione di firme al macero.

Mi ero iscritto al blog di Grillo nel settembre 2007, il giorno dopo il primo Vaffaday e un giorno prima di Paola Taverna. Scrissi per il mio settimanale Oggi articoli incuriositi e benevoli, frequentando le loro riunioni da embedded per conoscerli bene. Sembravano la naturale conseguenza del milione di copie vendute quell’anno dal libro di Rizzo e Stella, che denunciava gli eccessi della Casta politica.

Conobbi i pionieri dei meetup romano: la futura ‘faraona’ laziale Roberta Lombardi (che perse le primarie a candidata sindaca di Roma nel 2008), il dentista Dario Tamburrano poi eurodeputato. La più simpatica era l’esuberante Taverna, così diversa dai figli di papà Di Maio e Di Battista: al lavoro a 19 anni per mantenere sé e la famiglia (da senatrice ha recuperato e si è laureata).

Alle regionali 2010 risultati scarsissimi: Vito Crimi trombato in Lombardia, Fico 1,3% in Campania. Andai a Bologna a intervistare uno dei rari eletti, Giovanni Favia, brillante pupillo di Grillo. Poi, con i primi successi, prevalse la paranoia dei Casaleggio. Chi non seguiva la linea veniva subito espulso, in un tragicomico susseguirsi di purghe: da Grillo a Stalin. Favia fu la prima vittima, anche la Lombardi rischiò. 

Tutti avevano il terrore di parlare. Io, come giornalista ‘interno’, fui messo al bando: “Spia, infiltrato!”. La Gabanelli prima fu proposta come presidente della Repubblica, poi insultata perché osò chiedere i conti della società Casaleggio. Il candidato grillino a presidente del Senato, Orellana, fu cacciato solo per aver osato proporre di trattare col Pd (con cinque anni di anticipo).

Le macchine del fango non sono state inventate da Morisi con la sua Bestia leghista. Furono i Casaleggio nel 2012, e poi gli addetti stampa Messora (Byoblu) e Casalino a inaugurare le ‘shitstorm’ con cui si seppellivano dissidenti interni e avversari esterni. Ho visto decine di parlamentari ed ex fedelissimi militanti cadere in depressione dopo questi crudeli trattamenti. L’esatto contrario della ‘Rete liberatoria’ predicata da Grillo.

I trionfi elettorali del 2013 e 2018 hanno fatto ingoiare ai grillini questi metodi fascistoidi. Gli stipendi e i posti di sotto-governo tengono tuttora legati i parlamentari.

Ma ormai il giocattolo è rotto, il gioco scoperto. Spariti gli attivisti, rimangono gli arrivisti. Evaporata l’onestà, il fu Movimento 5 stelle ora è avvolto nel fumo della logorrea di Giuseppe Conte. Sopravviverà al massimo come cespuglio del Pd.

“Casaleggio? Mai fidarsi di chi si chiama come un formaggio”, mi prendeva in giro dieci anni fa il compianto filosofo Giulio Giorello. “Cinque stelle? Nome buono per gli hotel, indegno di un partito”, li liquidò Sgarbi. Avevano ragione loro.

In pochi anni sono passato da grillofilo a neutrale grillologo a grillofobo. Ora è il turno dei disillusi ex elettori grillini. Che hanno votato coi piedi: alle urne non ci vanno più. Il boom dell’astensione è l’unica eredità dell’era Grillo.

Mauro Suttora

Friday, August 14, 2020

Rousseau, Tridico, Raggi: la caduta delle stelle

IL VOTO-FARSA PER LA POLITICA A TEMPO PIENO, LA SCENEGGIATA INPS SUI BONUS, L'AUTOCANDIDATURA DELLA RAGGI

intervista a Mauro Suttora

ilsussidiario.net, 14 agosto 2020

Dopo l’annuncio lampo di ieri l’altro, da ieri alle 12 fino a mezzogiorno di oggi gli iscritti alla piattaforma Rousseau voteranno per decidere sulla deroga al limite dei due mandati. La deroga consiste nel non conteggiare più, nel conteggio dei mandati, che per gli iscritti al Movimento resteranno al massimo due, l’incarico di consigliere comunale. Questo permetterebbe a Virginia Raggi di ricandidarsi a sindaco, visto che la sindaca, prima dell’attuale mandato alla guida di Roma, è stata consigliere comunale di opposizione durante la giunta Marino. Inoltre, si voterà sul via libera ad accordi sulle elezioni amministrative con gli altri partiti.

Intanto nel Movimento si sta avvicinando una pericolosa resa dei conti, perché sull’altare della sopravvivenza del Governo si sacrificano le poche battaglie identitarie rimaste. Secondo Mauro Suttora, giornalista, esperto del fenomeno M5s, il voto su Rousseau è finta democrazia, e ormai i grillini sono assuefatti al palazzo: “Il risultato di oggi sarà, come sempre, la ratifica della decisione presa dai capi. E ormai la base dei meetup è composta da amici degli eletti e carrieristi della politica”.

Perché prima si ricandida la Raggi e poi si fa il referendum per la deroga di cui la sindaca aveva bisogno? Non si potevano invertire gli eventi?
Questo fatto dimostra una volta in più la finta democrazia interna del Movimento, che dal 2012 cambia linea a colpi di votazioni online che non hanno nulla di democratico: lo prova il fatto che dal voto non è mai uscito nulla di diverso rispetto a ciò che era stato deciso dai capi.

Sono semplici ratifiche di scelte prese dall’alto?
Sì, ed è successo anche stavolta, col “daje” di Grillo in sostegno alla Raggi. E poi queste votazioni prêt-à-porter, che si annunciano da un giorno all’altro in pieno agosto, non hanno nulla della democrazia, che ha regole ma anche tempi. La democrazia diretta potrebbe essere una cosa seria, ma deve dare a chi vota alternative credibili o almeno di pari dignità, oltre che il tempo necessario a farsi un’idea.

Solo Buffagni si è opposto al cambio delle regole, scrivendo che “ogni volta che deroghi a una regola praticamente la cancelli”, e poi ha chiesto di rinviare il tema agli Stati generali del 4 ottobre. Può avere il sostegno di qualcuno nella base, o di Casaleggio?
Seguendo i vari gruppi Facebook 5 Stelle dove c’è ancora un po’ di dibattito, molto ridotto rispetto a un tempo, vedo che la maggioranza di loro è contraria al cambio delle regole. Anche perché molti sono a favore del limite di due mandati solo perché stanno aspettando di prendere il posto di chi è in carica. Poi resta il problema di chi può votare su Rousseau. Per iscriversi basta una copia della carta d’identità, non costa niente. E quello che non costa niente non vale niente.

Lei parla di una base dei 5 Stelle in ripiegamento. Esistono ancora i meetup di un tempo?
No, oggi sono composti solo da amici e parenti degli eletti o da coloro che, semplicemente, vogliono fare carriera politica. È diventato un partito come tutti gli altri, come ha rinfacciato loro la Meloni.

Anche se, a differenza di tutti gli altri, ormai ha perso qualsiasi riferimento identitario.
Dopo aver mollato la Lega, per il Pd i 5 Stelle hanno fatto qualsiasi cosa.

Riguardo al bonus 600 euro preso dai politici, non sarebbe meglio fare dei distinguo?
Sì, il presidente dell’Inps Tridico ha detto che hanno un elenco di 2mila politici locali, ma tra questi ce ne saranno solo un centinaio a cui la politica dà uno stipendio per campare. Gli altri sono consiglieri comunali che devono continuare a lavorare, e se sono partita iva hanno diritto al bonus.

La fuga di notizie potrebbe essere stata decisa dallo stesso Tridico, che è un ex candidato dei 5 Stelle per il Governo. Si pone un problema di indipendenza dell’Inps?
Certo. Una volta che è filtrato che ci sono 3 o 5 parlamentari che hanno preso il bonus, e dei due leghisti sono già uscite le foto, è inutile continuare la commedia…

Se invece la commedia si allunga, non sarà per rinforzare il sentimento antipolitico in vista del referendum sul taglio dei parlamentari?
È uno scenario che vedono in molti, anche perché per i grillini il referendum è l’ultima chance di riprendersi. E magari fare qualche punto in più alle elezioni nelle sette Regioni dove si vota il 20 settembre.

Tridico rischia di doversi dimettere, cosa che chiede anche Renzi sulla fuga di notizie?
Sì, anche perché non esiste che un ente pubblico metta così alla berlina la classe politica. Un tempo l’Irpef pubblicava il reddito delle persone, ma era risaputo. Il garante della privacy ha ragione a dire che gli eletti non hanno diritto alla riservatezza sul sussidio, ma questo doveva essere chiaro prima, non si può decidere adesso.

Qualcuno ha detto che la ricandidatura della Raggi è stata fatta per contrastare Conte, accusato di flirtare troppo col Pd.
Questa uscita della Raggi è sicuramente un colpo al Pd e una strizzata d’occhio al centrodestra. Se Pd e 5 Stelle vanno separati al voto su Roma, a meno che il centrodestra non prenda subito il 51% al primo turno, i 5 Stelle avranno le mani libere su chi sostenere al ballottaggio. A cui sicuramente la Raggi non arriverà.

Ci sono opinioni contrastanti sul consenso alla Raggi, in assenza di sondaggi disponibili. Lei la vede messa così male?
Dovrebbero fare un sondaggio, ma, contrariamente ai grillini che addirittura votano, i sondaggisti sanno che ad agosto è impossibile. Dubito che la Raggi arrivi al secondo turno, non credo supererà il 10-12%. E al ballottaggio potrebbe sostenere la destra: ha fatto il praticantato nello studio di Previti, e Di Battista è vicino a Paragone e ad altri fuori dal Movimento con posizioni sovraniste, vicine alla destra.

Vede la possibilità di una scissione dentro il Movimento?
La scissione è sicura, bisogna vedere quando. Sicuramente il 21 settembre sarà un punto di svolta.

E dopo ci saranno gli Stati generali, il 4 ottobre.
Bisogna capire se Davide Casaleggio andrà apertamente allo scontro con Grillo oppure no. Casaleggio vorrebbe che si rispettasse il vincolo dei due mandati.

L’identità dei 5 Stelle è definitivamente persa?
Il Pd e i giornali di sistema li spingono all’omologazione, parlano di 5 Stelle che “diventano grandi”. Ma in realtà i 5 Stelle stanno perdendo il motivo per cui esistono. Possono solo puntare sull’effetto trascinamento del referendum, che sicuramente vinceranno.

Ne è sicuro?
Se diamo alle persone la possibilità di tagliare i costi della politica, 8 su 10 votano sì.

Il vento dell’antipolitica continua a soffiare forte?
Certo, come insegna La Casta, il libro di Stella e Rizzo uscito ben tredici anni fa. Un esempio: negli anni 80, Palazzo Chigi occupava 2-3 palazzi a Roma. Oggi ne ha 10. Va detto poi che tutti i grillini sono assuefatti alla politica, vanno in giro con la scorta e l’auto blu. E il sindaco 5 Stelle di Campobasso, con uno stipendio da 4mila euro, ha preso il bonus. Fico che da presidente della Camera viaggia in autobus è un lontano ricordo.

Ha vinto il palazzo?
Sono durati meno della Lega del 1992, quella che entrò in Parlamento al grido di Roma ladrona.
Lucio Valentini 

Tuesday, February 03, 2015

Vendiamo il Quirinale

LUSSO INTOLLERABILE IN TEMPO DI CRISI: 1.200 STANZE PER UNA PERSONA SOLA. E INVECE DI RISPARMIARE, LA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA SI È ESPANSA IN ALTRI TRE PALAZZI VICINI

di Mauro Suttora

Oggi, 28 gennaio 2015

Approfittiamo di queste due settimane d’interregno, in cui non rischiamo di offendere nessuno. Per favore, vendete il Quirinale. Ci costa 237 milioni di euro all’anno: il doppio rispetto a 17 anni fa, il triplo sul 1986. Ma è soprattutto il confronto con l’estero a far capire l’assurdità di questa spesa. In Germania la presidenza della Repubblica ha un bilancio che è un decimo della nostra: 20 milioni di euro. A Buckingham Palace la regina Elisabetta se la cava con 60 milioni annui: un quarto dell’Italia. Il presidente francese, che ha compiti ben più importanti del nostro, riceve 90 milioni.
Noi invece manteniamo un esercito di 1.636 dipendenti: 871 civili e 765 militari. Ci sono i 260 corazzieri a cavallo,  ma per non far torto agli altri corpi anche centinaia di poliziotti, una settantina di guardie di finanza, 21 vigili e 16 guardie forestali (per la tenuta di Castelporziano).

L’imperatore giapponese ha mille dipendenti, il presidente degli Stati Uniti e il re spagnolo mezzo migliaio, a Londra ce ne sono 300, a Berlino 160.

Al Quirinale, invece, ci sono due persone solo per controllare gli orologi a pendolo, due doratori, tre ebanisti, sei tappezzieri, 14 addetti all’ufficio postale interno, 41 autisti per 35 auto blu. Nelle cucine una decina di cuochi, e 26 camerieri.

«Abbiamo ricevimenti di Stato con decine di ospiti, a volte centinaia», si giustificano i dirigenti quirinalizi (un’ottantina, con stipendi medi da 10 mila euro al mese, buona presenza di parenti di politici). Certo, ma non tutti i giorni. E flessibilità vorrebbe che per questi pranzi saltuari si ricorresse, come nel resto del mondo, al catering.

Insomma, nel centro di Roma il colle più alto è occupato da una concentrazione di velluti e ori, maggiordomi in livrea che si inchinano, lussi inimmaginabili e pompa borbonica. Non è possibile che una Repubblica fondata sul lavoro e devastata dalla crisi peggiore della sua storia si permetta sprechi simili.

Un paradosso: il segretario generale del Quirinale guadagna il doppio dello stesso presidente: 490 mila euro contro 239 mila. Perché i presidenti passano, ma i grandi burocrati restano.

L’elefantiasi della presidenza della Repubblica ha una causa precisa: nel tempo, ma soprattutto negli ultimi vent’anni, quelli che un tempo erano semplici consiglieri del presidente, ciascuno con un piccolo ufficio, si sono trasformati in veri e propri ministeri. Così oggi abbiamo il consigliere giuridico con uno staff degno del dicastero della Giustizia, quello militare per la Difesa, il diplomatico per gli Esteri, e poi gli Affari interni, e così via.

Obietta l’ufficio stampa del Quirinale (anch’esso sovradimensionato): «Il presidente guida anche il Csm (Consiglio superiore della magistratura) e il Csd (Consiglio supremo della difesa)». Certo, ma magistrati e forze armate dispongono già di fior di palazzi in centro a Roma, con strutture e funzionari.

L’aspetto più incredibile è che il Quirinale, nonostante le sue 1.200 sale e stanze, dagli anni Ottanta chissà perché ha avuto bisogno di espandersi in vari palazzi limitrofi: apparentemente, infatti, non riesce ad accomodare le proprie sempre crescenti esigenze, comprese quelle per appartamenti privati graziosamente concessi a vari fortunatissimi dirigenti. 
E così, giù in via della Dataria verso la fontana di Trevi, ecco i palazzi San Felice e della Panetteria: sono stati annessi alla Presidenza. Dal 2009 anche palazzo Sant’Andrea in via del Quirinale, per l’archivio. Quanto ai corazzieri, caserma e stalle per i 60 cavalli stanno poco più in là, nell’ex convento di Santa Susanna.

Insomma, chiunque sarà il nuovo presidente, ha ampli margini per risparmiare e tagliare. Sono  ormai passati otto anni da quando Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, con il libro La Casta, hanno squarciato il velo di deferenza e quasi omertà sulle spese del Quirinale.

Il presidente uscente Giorgio Napolitano ha fatto quel che ha potuto: è riuscito a fare a meno di 460 dipendenti rispetto al 2006, anno della sua elezione, e ha bloccato le spese, rimaste ai livelli di quell’anno. Ma le 1.200 stanze per una persona sola e con pochi poteri nel Palazzo più bello e grande di Roma, prima residenza del Papa, poi dei re Savoia, sono uno spreco immenso e intollerabile. Perfino la regina Margherita rifiutò di andarci, preferendo la più sobria e discreta villa Ada.
In quegli spazi potrebbero collocarsi molti uffici pubblici oggi costretti a pagare l’affitto. Il corpo centrale e il parco andrebbero aperti al pubblico pagante, come il palazzo Reale di Madrid. Va bene che a Roma già ci sono molti musei, ma dal Quirinale la vista è impagabile. Qualche ala secondaria potrebbe essere trasformata in residence di lusso, per produrre reddito. E, senza scandalo, c’è perfino lo spazio per ricavare preziosi garage sotterranei. Così, invece di spendere ogni anno la metà di quel che costa tutto il Senato, ricaveremmo qualche miliardo. 

Non dimentichiamo che la regina Elena durante la Prima guerra mondiale trasformò il palazzo in ospedale per i soldati feriti. Oggi a essere ferita dallo sfarzo della Casta è tutta l’Italia.
Mauro Suttora

Wednesday, December 24, 2008

La Casta costa

Bella riforma! Adesso i partiti sono 66. E noi li paghiamo tutti...

Il finanziamento statale, abolito col 90% di no, è resuscitato. Fa sopravvivere decine di formazioni fantasma. E giornali, di destra e sinistra, che ci costano mille euro a copia

di Mauro Suttora

Oggi, 24 dicembre 2008

Il più simpatico è l’insegnante di ginnastica torinese Maurizio Lupi (solo omonimo del vicepresidente della Camera). Con appena 124 preferenze è riuscito a farsi eleggere consigliere regionale nel 2005 in Piemonte. Un burlone: il suo partito si chiama Verdi-verdi per distinguersi da quelli veri, giudicati troppo a sinistra («Verdi rossi»). La sua «Ambienta-lista per Ghigo» (il candidato del centrodestra) prese appena l’1,2% dei voti.
Eppure è stato eletto, e oltre allo stipendio mensile di 10.500 euro ora incassa 43mila euro l’anno come rimborso delle spese elettorali per il partito Verdi-verdi. Iscritti: nessuno. Insomma, l’elezione per il fortunato Lupi significa un affare da 845mila euro in cinque anni: ognuno dei suoi 124 elettori gli ha regalato quasi settemila euro. Record mondiale probabilmente, roba da Guinness.

Vita da Casta. Tutto regolare, per carità: dal 2005, anche i partiti che si presentano in una sola regione hanno diritto al finanziamento pubblico. Che era stato abolito a furor di popolo dal referendum radicale del ‘93 (90% di no), ma è stato resuscitato e ribattezzato pudicamente «rimborso elettorale». Quindi il buon Lupi non ruba niente.

Ricordate il libro La Casta, di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella? E’ stato pubblicato solo un anno e mezzo fa, ma sembra passato un secolo. Suscitò fiumi d’indignazione, ha venduto un milione e 260mila copie. Ora la Rizzoli lo ripropone in edizione economica. Gli autori hanno aggiunto un capitolo, per capire se nel frattempo qualcosa è cambiato, se qualche spreco dei politici è diminuito. Niente: «Che fine hanno fatto le promesse lanciate per placare il grande fuoco purificatore? Chissenefrega, ormai le elezioni sono passate», accusano Rizzo e Stella.

I senatori ds Cesare Salvi e Massimo Villone tre anni fa denunciarono nel libro Il costo della democrazia i quattro miliardi annui spesi per mantenere mezzo milione di persone, fra politici di mestiere e consulenti. Non sono stati rieletti: la Casta espelle chi propone autoriforme. Sordina anche sul rumoroso fenomeno di Beppe Grillo, dopo la bocciatura dei suoi referendum.

Il problema però rimane. Soprattutto in questi tempi di crisi economica. Anche i politici stringono la cinghia? Macché. Nella pagina accanto pubblichiamo l’incredibile l’elenco dei 66 partiti che si sono spartiti il finanziamento pubblico nel 2007, con accanto la cifra incassata. La cifra vera: un quarto di miliardo, compresi i soldi per gli «organi di partito». Giornali, radio, tv: 57 milioni all’anno per testate assistite. Come il Secolo d’Italia di Alleanza Nazionale: vende solo tremila copie in edicola ma incassa dallo Stato tre milioni di euro. Il conto è presto fatto: ogni acquirente del Secolo costa mille euro ai contribuenti.

Ma è così per tutti, anche a sinistra: L’Unità incassa 6,5 milioni, e i Ds riescono a rimpinguare di parecchio i «rimborsi» elettorali (34 milioni) con i media: oltre al quotidiano prendono 1,9 milioni per radio Città Futura di Roma e 300mila euro per radio Galileo di Terni. Da quando poi la legge Gasparri concede soldi per tv satellitari di partito è iniziata la corsa alla nuova mammella di Stato: 4,2 milioni l’anno per l’ex Nessuno Tv (canale Sky 890), diventata dal 4 novembre la dalemiana Red. La corrente concorrente dei veltroniani non ha voluto essere da meno, e così ecco Youdem, su Sky 813. Totale per i Ds: 47 milioni.

Ds e Margherita si sono fusi nel Partito democratico, ma così non hanno fatto i loro giornali. Quindi il quotidiano Europa continua a percepire 3,6 milioni annui. Vende 1300 copie in edicola (2.769 euro a copia, quindi).
Ma anche i singoli deputati Pd sono preziosi, se hanno un partito personale. Così la tv Libera (Sky 924) si fa sponsorizzare dal partito Democrazia Europea di Sergio D’Antoni per ricevere 2,4 milioni. La sede del partito personale dell’ex segretario Cisl è in corso Vittorio Emanuele 326 a Roma. D’Antoni aveva fatto confluire Democrazia Europea nell’Udc nel 2002, ma poi è passato al centrosinistra. Il suo partito ha ricevuto 41mila euro nel 2007, redige regolare bilancio, paga 17mila euro per un dipendente. Ma cosa fa? «Non partecipiamo direttamente alle elezioni, però abbiamo organizzato iniziative e incontri per promuovere le politiche sociali nel Sud», assicura D’Antoni, che è appunto il responsabile delle politiche del Mezzogiorno nel Pd.

Il vero artista del contributo pubblico, però, è Gianfranco Rotondi. L’amabile ministro avellinese per l’Attuazione del programma (carica di per sè surreale), segretario di quel che resta della Democrazia cristiana, ha incassato 51mila euro di rimborsi e 10mila direttamente da Forza Italia in cambio dell’appoggio a Silvio Berlusconi. Ma sono briciole. La vera polpa sta negli «organi» di partito, ben due quotidiani: La Discussione, il glorioso giornale fondato da Alcide De Gasperi che piglia 2,3 milioni di euro, e Balena Bianca (300mila).

Forza Italia incassa 46 milioni. Ma nel 2007 ha distribuito soldi a vari partitini confluiti nel Popolo delle Libertà, oltre alla Dc di Rotondi: 430mila euro ad Azione Sociale di Alessandra Mussolini, un milione a Italiani nel Mondo dell’ex dipietrista napoletano Sergio De Gregorio, 100mila ai Riformatori Liberali (ex radicali) di Benedetto Della Vedova, e perfino 15mila a Rinascita Socialdemocratica di Luigi Preti, 94 anni.

E l’estrema sinistra? Desaparecida, dopo il disastro delle ultime elezioni? Neanche per sogno. Gli ex della Sinistra Arcobaleno continuano a ricevere una valanga di soldi. Infatti alle politiche 2008 è bastato arrivare all’uno per cento (anche senza eletti) per incassare contributi fino al 2013. In più, una leggina approvata alla chetichella ha esteso fino al 2011 i rimborsi della legislatura precedente, quella del 2006, anche se interrotta anticipatamente.

Altro che risparmi, quindi: la Casta raddoppia, cento milioni in più all’anno. «Un mese fa durante la Finanziaria abbiamo cercato di eliminare questo ulteriore regalo», dice a Oggi Silvana Mura, tesoriera di Italia dei Valori, «ma gli unici a votare con noi sono stati i radicali. I politici non possono chiedere sacrifici ai cittadini se si comportano così».

I Verdi nel 2007 hanno sfiorato i dieci milioni con due radio per 2,9 milioni, e 2,7 milioni per il giornale Notizie Verdi. Rifondazione comunista oltrepassa i 16 milioni, di cui 3,9 grazie al quotidiano Liberazione. Il quale però ne perde due milioni perché vende solo 6.600 copie. I Comunisti italiani di Oliviero Diliberto hanno ereditato il settimanale Rinascita: anch’esso glorioso, fondato da Palmiro Togliatti, riceve 900mila euro ma vende appena 2.400 copie.

All’estremo opposto, il Msi-Fiamma Tricolore dell’eurodeputato Luca Romagnoli si deve «accontentare» di 364mila euro del finanziamento per le europee, perché dopo la rottura con Pino Rauti non è riuscito a conservare il quotidiano Linea (1,5 milioni): «Ci siamo trasformati in cooperativa», spiegano i giornalisti. L’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro incassa due milioni per il suo giornale. Quanto alla Lega Nord, riceve quattro milioni per il quotidiano La Padania (8mila copie) e mezzo milione per Radio Padania.

Il Nuovo Psi prende 472mila euro per il quotidiano Il socialista Lab, più 45mila euro arrivati da Forza Italia. I socialisti di sinistra dello Sdi, invece, hanno dovuto rinunciare allo storico quotidiano Avanti!, che riceve 2,5 milioni dallo stato ma è diventato pure quello coop spostandosi più a destra. Si consolano con 2,7 milioni annui di rimborsi.

Fra le vestigia del passato c’è anche il Pli, partito liberale mantenuto in vita dall’ex eurodeputato Fi Stefano De Luca con 17.500 euro frutto delle regionali in Veneto e Piemonte. E il Pri di Giorgio La Malfa figlio di Ugo, eletto nel Pdl, angustiato sia dai creditori, sia dalla concorrenza dei repubblicani di sinistra di Luciana Sbarbati, senatrice pd. Sopravvive grazie a 90mila euro ricevuti da Forza Italia, 40mila di rimborsi dalle regionali pugliesi, ma soprattutto con i 624mila euro del quotidiano Voce Repubblicana.

L’Udeur di Clemente Mastella ha incassato 1,3 per il giornale Campanile Nuovo. L’Udc di Pierferdinando Casini può contare sul milione del quotidiano Liberal: era nato un anno fa come organo di Forza Italia, ma nel frattempo il direttore Ferdinando Adornato ha compiuto un’altra giravolta e ha lasciato Berlusconi.

I radicali della Lista Pannella, infine: ricevono dallo Stato 1,6 milioni l’anno. Ma la loro Radio radicale, fra convenzione con il Parlamento e contributi per l’editoria, piglia 13 milioni annui. «Siamo un servizio pubblico», precisano, «trasmettiamo i congressi di tutti i partiti e le sedute delle Camere». È vero. Però ormai Senato e Camera hanno due canali Sky tutti loro, più il Gr Parlamento Rai. Spesa tripla per lo stesso servizio.

Mauro Suttora


FINANZIAMENTO AI 66 PARTITI NEL 2007
(fra parentesi quelli a giornali, radio, tv di partito)

1) Alleanza Nazionale 27,4 milioni (3)
2) Altern. Sociale A. Mussolini 628mila
3) Democratici di Sinistra 47,4 milioni (12,9)
4) Dc (Rotondi) 2,7 milioni (2,6)
5) Dem. Europea (D'Antoni) 2,4 milioni (2,3)
6)Forza Italia 46 milioni
7)Azione Sociale (Mussolini) 430mila
8)Italiani Mondo (De Gregorio) 1 milione
9)Riformatori Lib. (Della Vedova) 100mila
10)Rinascita Socialdem. (Preti) 15mila
11)Insieme Unione (Verdi+Pdci) 1,6 milioni
12)Partito consumatori italiani 165mila
13)Italia dei Valori (Di Pietro) 5,9 milioni (2)
14)L'Ulivo 16,1 milioni
15)L'Unione 741mila
16)La Casa delle Libertà 300mila
17)Lega Nord 14,1 (4,5)
18)Lista Pannella 14,6 milioni (13)
19)Margherita 28,7 milioni (3,6)
20)Repubblicani (Sbarbati) 242mila
21)Mov. Sociale Fiamma Tricolore 364mila
22)Nuovo Psi 2 milioni (472mila)
23)Partito Comunisti Italiani 5,2 milioni (0,9)
24)Pli (De Luca) 17.500
25)Partito Pensionati (Fatuzzo) 897mila
26)Pri (La Malfa) 754mila (624mila)
27)Rifondaz. Comunista 16,5 milioni (3,9)
28)Rosa nel Pugno 1,3 milioni
29)Socialisti Democratici-Sdi 2,7milioni
30)Udc 11,8 milioni (1)
31)Udeur 4 milioni (1,3)
32)Verdi 9,8 milioni (5,6)

LISTE REGIONALI

33)Alleanza Autonom. (V.d'Aosta) 180mila
34)Associaz. Marrazzo (Lazio) 321mila
35)Cittadini per Illy (Friuli V.G.) 85mila
36)Fortza Paris (Sardegna) 68mila
37)Gente della Liguria 64mila
38)Insieme per Bresso (Piemonte) 109mila
39)L'Aquilone (Cuffaro, Sicilia) 278mila
40)Leali al Trentino 11mila
41)Lista Civica per il Trentino 206mila
42)Lista Storace (Lazio) 338mila
43)Liste Civiche Nord-Est (Veneto) 5.600
44)Movimento Lid (Belluno) 5.600 euro
45)Mov. per l'Autonomia (Sicilia) 1 milione
46)Nuova Sicilia 86mila
47)Pace Diritti Insieme Sinistra (Bz) 15mila
48)Partito Auton. Trentino Tirolese 78mila
49)Per il Veneto con Carraro 185mila
50)Per la Liguria Sandro Biasotti 128mila
51)Primavera Pugliese 91mila
52)Puglia prima di tutto 324mila
53)Progetto Nordest (Veneto) 86mila
54)Repubblicani-Dem. (Campania) 74mila
55)Riformatori Sardi Liberaldem. 88mila
56)Sinistra Dem. Trentino per Ulivo 61mila
57)Sinistra Federalista Sarda 196mila
58)Stella Alpina (Val d'Aosta) 87mila
59)Sudtiroler Volkspartei 1,2 milioni
60)Union fur Sudtirol 26mila
61)Union Valdotaine 120mila
62)Unione Autonom. Alto Adige 14mila
63)Uniti per la Sicilia 255mila
64)Verdi-Verdi (Piemonte) 48mila

ESTERO

65)Associaz. Italiane Sudamerica 128mila
66)Italia nel Mondo con Tremaglia 77mila

Thursday, December 20, 2007

La casta non si mette a dieta

Avevano promesso di tagliare gli sprechi. L'hanno fatto?
Dopo tanti annunci, i politici hanno concluso poco. I risparmi rimangono una promessa, i tagli ai superstipendi subiscono troppe eccezioni. Anzi, molte spese crescono

di Mauro Suttora

Oggi, 26 dicembre 2007

Avevano promesso che avrebbero tagliato i costi della «Casta». Invece, facendo un bilancio di fine anno, poco o nulla è cambiato. Anzi, in alcuni casi gli sprechi dei politici sono addirittura aumentati.

«Cosa vuole che le dica? Qui in Parlamento le lobbies hanno sfondato», allarga le braccia sconsolato Massimo Villone, il senatore che due anni fa ha scritto assieme al collega Cesare Salvi (entrambi ex Ds, ora Sinistra democratica) il libro 'Il costo della democrazia', dando il via alla rivolta contro gli eccessi della nomenklatura. «L’unico nostro emendamento accolto in pieno è quello che riduce a dodici i ministri e a sessanta i membri del governo, contro gli attuali 102». Ottima cosa, ma la legge Bassanini da anni imponeva un dimagrimento.

Contro le altre due proposte di Villone e Salvi per la legge finanziaria appena approvata (riduzione spese per Camera, Senato, Quirinale e Corte costituzionale, e tetto ai superstipendi pubblici) si è alzato un fuoco di sbarramento. «Abbiamo ottenuto solo un impegno», spiega Villone, «da parte di Presidenza della Repubblica e Corte costituzionale a non aumentare le spese oltre l’inflazione programmata».

Il Quirinale però quest’anno ha speso 241 milioni di euro contro i 224 preventivati. Già quella cifra, sbertucciata nel libro 'La casta' di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, aveva suscitato indignazione: è il quadruplo di Buckingham Palace. Ma i duemila dipendenti hanno avuto aumenti perché i loro stipendi sono collegati a quelli del Senato. E anche per i prossimi tre anni sono previsti incrementi di oltre il due per cento.

Stesso discorso per la Camera dei deputati: quest’anno ci è costata un miliardo e 200 milioni di euro, il 2,4% in più del 2006. I rimborsi ai deputati, rivela il radicale Sergio D’Elia, sono addirittura raddoppiati rispetto all’anno scorso: 300 mila euro contro 185 mila. Le spese di viaggio degli onorevoli sono aumentate del 25%. Ma anche gli ex hanno diritto a sconti per tutta la vita, e quest’anno sono ammontati a un milione e 250 mila euro.

Unica sforbiciata: le pensioni dei parlamentari. Ora ci vorranno almeno due legislature per ottenerle. Ma anche qui c’è il trucco: solo quelle future. Chi è andato già in pensione può stare tranquillo, anche i deputati rimasti in carica solo un giorno che pigliano duemila euro al mese.

L’ultimo emendamento Salvi-Villone stabiliva un tetto di 274 mila euro per tutti gli stipendi pubblici. «È il compenso annuo del primo presidente di Corte di Cassazione», spiega Villone, «e viste le retribuzioni da fame di insegnanti e poliziotti ci pareva il minimo per ristabilire un po’ di equità». Più di diecimila euro netti al mese non sembra effettivamente poco, neppure per i dirigenti più alti.

Eppure, anche qui la Casta si è scatenata. Prima hanno imposto che il tetto non si applichi ai contratti di tipo privatistico già in essere. Poi sono stati esentati gli «artisti» Rai, con la scusa che altrimenti fuggirebbero tutti a Mediaset. Poi hanno ottenuto la grazia la Banca d’Italia e le «authorities» (antitust, comunicazioni, privacy, energia, ecc), proliferate negli ultimi anni al di là di ogni necessità, che assicurano ai fortunati assunti stipendi tripli rispetto a quelli dei poveri ministeriali.

Ancora: per proteggere proprio tutti, il governo ha ottenuto 25 «eccezioni» da applicare agli stipendi scandalosamente alti (alcuni esempi nella tabella nella pagina accanto). Così si potranno mantenere vistose incongruenze, come la retribuzione doppia del capo della Polizia (650 mila euro annui) rispetto al comandante dei Carabinieri (380 mila euro), nonostante le uguali responsabilità.

Infine, chi cumula vari incarichi (abitudine diffusissima nella Casta parastatale romana) vedrà la sua attuale retribuzione ridursi soltanto del 25 per cento annuo, fino a rientrare nel «tetto».

Ma il malcostume degli stipendi d’oro non è una prerogativa di Roma: l’avviso di garanzia e la richiesta di rimborso della Corte dei Conti arrivati al sindaco di Milano Letizia Moratti per le retribuzioni da 250 mila euro e oltre distribuiti ai propri dirigenti e consulenti dimostra che in tutta Italia ci si arricchisce a spese dei contribuenti.

Comunità montane e province si sono salvate, eppure molti le considerano enti inutili. Verranno solo tagliati un po’ di consiglieri, ma dal 2010. È sparito il limite altimetrico di 500 metri per essere considerati comuni di montagna: così rientrano Domodossola, Susa, Lanzo, Feltre, Vallombrosa.

Quanto alle Regioni, «il loro diritto allo spreco è costituzionalmente garantito», ironizza Villone: governo e Parlamento non possono toccarle, è ciascuna di loro a dover diminuire spese e posti. Campa cavallo. E anche per il taglio dei 950 parlamentari (gli Usa, con il quintuplo dei nostri abitanti, ne hanno 535) occorre una legge costituzionale, con tempi lunghissimi.

«Ormai, fra stipendiati e consulenti, in Italia campa di politica mezzo milione di persone», denuncia Villone. I consiglieri comunali strepitano contro l’intenzione di ridurre i loro stipendi mensili da 2.000 a 1.500 euro: «Perché non tagliate prima quelli dei consiglieri regionali, che arrivano a 14 mila euro?».
Dimenticano che fino a quindici anni fa quella di consigliere comunale non era una professione, ma un onore (e un onere) civico, che si espletava per una o due sere alla settimana in cambio di un semplice gettone di presenza da 50 mila lire. E le nostre città non erano governate peggio.

Insomma, dopo tanti annunci sui tagli agli sprechi, di concreto è stato fatto poco. Del disegno di legge Santagata si sono perse le tracce. Il decreto Lanzillotta limita a tre i consiglieri d’amministrazione nelle società a partecipazione pubblica. Ma anche qui una vasta esenzione: le società con più di due milioni di capitale possono averne cinque.

Sarà forse per questo che ora Beppe Grillo raccoglie un 57 per cento di simpatie, contro il 49% per Fini, il 48 per Veltroni, il 39 per Berlusconi e appena il 29 per Prodi. E che il libro La casta continua a vendere: ormai ha raggiunto un milione e 200 mila copie. Nessun saggio in Italia, neanche quelli di Oriana Fallaci o dei papi, ha mai ottenuto tanto successo in così poco tempo. Ora si è aggiunto anche 'Sprecopoli' di Mario Cervi e Nicola Porro. Ma i politici di professione sembrano non essersi ancora accorti che il vento è cambiato.

Mauro Suttora

Wednesday, May 23, 2007

Il nuovo sacco di Roma

Il centro della capitale soffocato dalle sedi dei politici

Venticinque anni fa il Senato aveva tre palazzi. Oggi ne occupa ben 13. Se si aggiungono quelli di Camera e presidenza del Consiglio si arriva a 46 edifici. E non è ancora finita. Ma ora la città si ribella, dicendo il primo «no»

di Mauro Suttora

Oggi, 23 maggio 2007

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è un palazzo di largo Toniolo, nel centro di Roma: il 4 maggio il Primo municipio della capitale ha negato all’unanimità il cambio di destinazione, da abitazioni a uffici, chiesto dal Senato. Non era mai successo che un ente pubblico si opponesse così platealmente alla seconda istituzione dello Stato. Ora la patata bollente finirà nelle mani del sindaco Walter Veltroni, ma questo clamoroso conflitto segna la fine di un’epoca.

Nel 1980 il Senato aveva tre palazzi (Madama, Giustiniani e Carpegna). Oggi ne ha tredici, tutti in centro, e vorrebbe ancora espandersi, espellendo famiglie (sono 11 solo in largo Toniolo) dalle loro case in affitto a prezzi popolari.
È solo l’ultimo capitolo di una «Sprecopoli» che coinvolge non solo il Senato, ma tutte le istituzioni italiane: Camera, presidenza della Repubblica, ministeri.



«Negli ultimi 20 anni i politici hanno fatto quel che hanno voluto», spiega Mario Staderini, il consigliere municipale radicale artefice della bocciatura, «occupando a man bassa palazzi e comprandoli col denaro dei contribuenti. Ventun milioni di euro è costato il palazzo di largo Toniolo assieme a quello di largo Chiavari, acquistati dal Senato tre anni fa. È ora di finirla: oggi, fra Parlamento e presidenza del Consiglio, sono 46 i palazzi del centro dai quali sono stati espulsi i residenti per far spazio ai politici. È un’invasione che sta stravolgendo Roma. L’esatto contrario di quello che si dovrebbe fare: decentrare gli uffici pubblici per decongestionare il centro».

Il numero dei parlamentari non è certo aumentato dall’inizio della Repubblica. Se l’Italia avesse, in proporzione ai nostri quasi 60 milioni di abitanti, la stessa quantità di senatori degli Stati Uniti (che ne hanno cento, su una popolazione di quasi 300 milioni), i seggi di palazzo Madama dovrebbero ridursi da 320 a... 20.

Invece, il sovraffollamento di politici si è tradotto in un vero e proprio «sacco» immobiliare: «Camera e Senato nel 1948 occupavano quattro edifici. Oggi ne hanno una trentina, più i sedici della presidenza del Consiglio», denunciano Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, autori di La Casta: così i politici italiani sono diventati intoccabili (Rizzoli), il nuovo libro che racconta gli sprechi della nomenklatura nostrana.

Sessant’anni fa Giulio Andreotti era già sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ma il governo non aveva neppure una casa tutta sua: «Quanti edifici avevamo? Fatemi pensare...», riflette il senatore a vita. «Neanche uno, perché a palazzo Chigi stava il ministero degli Esteri, e noi dividevamo il Viminale con gli Interni».

Altri tempi. «Oggi le persone che vivono di politica in Italia, stipendiati come parlamentari, eletti negli enti locali o consulenti, sono un esercito di 427 mila persone», hanno calcolato i senatori Cesare Salvi e Massimo Villone, usciti dai Ds, nel libro Il costo della democrazia (Mondadori). Costo annuo totale: quattro miliardi di euro.

La pressione maggiore di questa nuova casta si esercita sulla capitale. «Che è soffocata dal traffico provocato dalle auto blu dei politici e delle loro scorte, spesso tanto inutili quanto arroganti, dall’aumento dei prezzi delle abitazioni ormai inavvicinabili in centro, provocato dall’ondata di acquisti da parte di enti pubblici, e quindi dal trasferimento forzoso dei suoi abitanti. Ormai parecchie vie sono frequentate soltanto da turisti e dai politici con i loro portaborse», spiega Staderini.

E pensare che negli anni Ottanta, proprio per evitare svuotamento e «museificazione» del centro di Roma, si era progettato lo Sdo (Sistema direzionale orientale), per spostare ministeri e istituzioni in periferia e alleggerire il traffico verso il centro. Da allora il Comune ha trasferito alcuni uffici all’Ostiense. Per il resto, zero. Anzi, l’espansione del «pubblico» è aumentata.
Con la scusa di sistemare i ministeri «senza portafoglio» in continuo aumento, la presidenza del Consiglio si è scatenata negli acquisti. Nel 2002 ha comprato un pezzo di galleria Colonna, nella piazza omonima: 34 milioni di euro più 7 per ristrutturarla. L’anno dopo altri 41 milioni per un palazzo in via della Mercede. Totale dal 2001 al 2005: 156 milioni di euro.

A piazza San Silvestro accade di peggio: la Camera sta spendendo 650 milioni di euro nell’affitto per 18 anni di quattro palazzi dall’immobiliarista Sergio Scarpellini. Il quale affitta pure al Senato (l’ex albergo Bologna per 3 milioni annui), mentre due milioni e mezzo li ricava dalla gestione di buvette e ristoranti sulla terrazza del palazzo San Macuto (Camera) e del Quirinale.

È un’elefantiasi di cui però soffre tutta la nostra politica, dal Capo dello Stato giù fino ai consiglieri comunali (119 mila) e di quartiere (12 mila). I quali fino a dieci anni fa ricevevano solo pochi gettoni di presenza per poche decine di migliaia di lire, mentre oggi incassano tutti uno stipendio fisso di almeno mille euro al mese.
Insomma, il «povero» Senato si trova in ottima e abbondante compagnia quanto a sprechi. Tanto più gravi se si ricorda che l’Italia ha un debito pubblico astronomico, il più alto d’Europa: oltre 1.500 miliardi di euro.

«Invece di risparmiare si aumentano spazi, posti, spese», dice Staderini. «Ogni parlamentare oggi ha a disposizione in media 80 metri quadri per l’ufficio personale. Non bastano? Ma cadono in fallo anche i più virtuosi. Il ministro dell’Economia Tomaso Padoa-Schioppa, per esempio, ora vuole un nuovo palazzo per il suo ministero. Decentrato? No, in pieno centro: via Sicilia, angolo via Veneto. E al Consiglio superiore della magistratura, abbiamo bocciato l’innalzamento del palazzo di piazza Indipendenza. Dicono che vogliono ricavarci “foresterie”. Ma per chi?».

Commenta il senatore Cesare Salvi: «Dodici anni dopo Mani pulite si riparla di questione morale e di costi eccessivi della politica. Ma la nuova questione morale oggi non si traduce più in violazione del Codice penale. Si trova piuttosto nella moltiplicazione degli incarichi e dei posti, nella lottizzazione a tutti i livelli, nei rapporti impropri fra politica e società civile. E proprio per queste sue caratteristiche è perfino più pericolosa». E quindi? «Serve una riforma radicale della gestione della cosa pubblica. La attendiamo invano dai tempi di Tangentopoli».

Mauro Suttora