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Wednesday, July 12, 2023

La grande fortuna di non essere giudici in un caso di stupro

Ho seguito il processo al figlio di Beppe Grillo, e non vorrei essere nei panni di chi dovrà decidere se uno è stupratore o calunniato, l’altra vittima o calunniatrice, senza vie di mezzo. Storie andate di bevute in frasca e amori consumati sull’inglese dei Rolling Stones

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 12 luglio 2023

"Mi hai stuprato. Ti denuncio".


"Ieri sera alla festa? Ma dopo l'amore abbiamo parlato. Mi sembravi contenta".


"Ero ubriaca".


"Anch'io".


"Hai approfittato di me".


"Ma se mi hai mormorato 'Come on!'"


"Appunto".


"'Come on' vuol dire 'Dai, forza, vai avanti'"


"Neanche per sogno. Significa 'Dai, smettila, fermati'".

Nel 1976 frequentavo l'ultimo anno di liceo (high school) a Madison, Connecticut (Usa) grazie agli scambi Intercultura/Afs. "You raped me, I'll sue you", mi minacciò l'incantevole Cheryl, compagna di scuola. Eppure ero convinto che nella loro canzone "Come On" i Rolling Stones fossero stati chiari: si trattava di un esplicito invito. "And I don't mean maybe", aggiungeva Mick Jagger, "non voglio dire forse". La mia rudimentale conoscenza dell'inglese si basava sui testi rock, e comunque alla fine la graziosa mi graziò. Ma per qualche giorno fu un incubo. 

Per questo non vorrei mai essere un giudice che deve decidere su certe denunce di violenza sessuale assai scivolose. In cui si fronteggiano due versioni indimostrabili dell'intimità più intima, senza testimoni. La mia parola contro la tua.

Lo dimostra il processo surreale che si trascina da ben quattro anni a Tempio Pausania (Sassari) per lo stupro di gruppo di cui è accusato Ciro Grillo, figlio di Beppe. Lo seguo con acribia, è più complicato di un giallo di Agatha Christie. L'ultima udienza si è tenuta lunedì, la prossima il 22 settembre. Ormai ci siamo assuefatti, ci sembra normale che in Italia ogni volta le corti si aggiornino non a domani, come nei film, ma dopo due-tre mesi. La scusa è che "le parti e il collegio giudicante devono avere il tempo di studiare gli atti acquisiti". Eppure il processo Johnny Depp/Amber Heard si è risolto in un mese e mezzo. 

Invece fra registrazioni, video, foto, chat, testimonianze e relazioni, i consulenti hanno inondato i magistrati di Tempio con materiale informatico misurabile non in giga, ma in terabyte. Miliardi di bit, migliaia di pagine di trascrizioni. Un esercito di avvocati, perché i giovani imputati sono quattro e ognuno ne ha nominati due. I genitori dell'accusatrice hanno ingaggiato Giulia Bongiorno, senatrice leghista, ex ministra. A ogni udienza eccoli arrivare tutti in aereo a Olbia da Genova, Roma, Milano con i loro assistenti e valigie colme di hard disk, per poi trasferirsi nel cuore della Gallura fra i boschi di querce da sughero.

Tanto dispiegamento per accertare se in quella notte del luglio 2019 a Porto Cervo, dopo il Billionaire, la ragazza era abbastanza consenziente o troppo ubriaca per un rapporto sessuale. Così, avanti col filmato della telecamera di sorveglianza di un tabaccaio di Abbiadori dove la giovane andò in auto la mattina dopo accompagnata dagli stessi suoi presunti stupratori per comprare le sigarette. Che espressione aveva il suo volto? Tranquilla, disperata, arrabbiata? E poi il testimone istruttore di kitesurf a Porto Pollo con cui aveva appuntamento il giorno dopo per una lezione: "Era stordita, mi disse che aveva fatto una cazzata, aveva bisogno di parlarmi". I talk tv gli hanno offerto soldi per invitarlo, l'Arena di Massimo Giletti ha mostrato un suo video gratis in cui il 45enne geme: "Mi sento violentato anch'io da questo assedio mediatico".

Ai tre poveri giudici prima o poi toccherà emettere una sentenza. Che inevitabilmente trasformerà Ciro e i suoi amici in mostri o martiri, e la ragazza in vittima o calunniatrice. Niente vie di mezzo. Intanto però i loro genitori – tutti – sono accomunati dal salasso di centinaia di migliaia di euro in spese legali. Poi l'appello, poi la Cassazione. E ci si meraviglia che l'accusatrice di Grillo junior abbia fatto passare otto giorni prima di denunciarlo, e quella di Leonardo Apache La Russa 40 giorni?

Se io venissi violentato andrei in commissariato nel giro di due ore, subito dopo la perizia in ospedale. Ma è comprensibile che le ragazze ci mettano giorni prima di realizzare appieno, o che le famiglie ci pensino mille volte prima di imbarcarsi in un costoso calvario pluriennale. Forse la sfortuna di Ciro e Apache è stata quella di (far) finire a letto (con) figlie di benestanti. Perché là fuori, dopo ogni discoteca, in tutte le notti italiane, quante sono le ragazze stuprate o costrette al sesso da figli di papà, ma senza genitori con le spalle abbastanza larghe e le tasche così capienti da potersi permettere avvocati al livello della Bongiorno?

Noialtri provinciali, che siamo dovuti emigrare da Udine fino in America per fare l'amore a 17 anni, non correvamo questi rischi. Possiamo solo ringraziare le bottiglie di Verduzzo fatte bere alle nostre stupende coetanee friulane in osteria o in frasca. Ci hanno aperto varie porte verso il settimo cielo. Un mio amico calcolò scientificamente che occorreva arrivare a due-tre bicchieri per superare la riluttanza, ma mai oltrepassare il quarto perché subentrava il sonno. Era questo il nostro limite, il confine invalicabile fra disinibire e drogare che salvava l'innocenza: era inconcepibile far sesso con una ragazza a sua insaputa. 

D'altronde, quale gusto perverso può esserci nel possedere un corpo inerte, a parte ogni considerazione giuridica sulla mancanza di libero consenso? E chi cianciava di "vis grata puellae" era considerato burino, troglo. Sfigato, soprattutto, perché non riusciva a 'conquistare' con baci e carezze con-vincenti. Eravamo tutti belli brilli, certo, la mattina dopo qualcuna faceva finta di non ricordare bene se si era spinta troppo in là. Certi rimediavano fidanzandosi. Abbiamo cominciato a regalar soldi ad avvocati e a intasare tribunali solo molti anni più tardi, dopo sposati e separati.

Wednesday, August 28, 2013

Elisabetta vuole battere Vittoria


Nel settembre 2015 la regina d'Inghilterra raggiungerà la trisnonna, che regnò per 63 anni e 216 giorni. E, conquistato il record, finalmente lascerà il trono a Carlo
  
di Mauro Suttora

Londra, 21 agosto 2013

C'è  una data su cui puntano gli allibratori: 11 settembre 2015. È quando la regina Elisabetta raggiungerà i 63 anni e 216 giorni di regno. Da allora, si sussurra, la sovrana potrà abdicare in favore del figlio Carlo, che sarà quasi 67enne. La regina, infatti, vuole togliersi una soddisfazione: battere la trisnonna Vittoria, detentrice di un importante record: il regno più lungo nella storia britannica.

Nessuno parla ufficialmente di questa scadenza. Ma è chiaro, superato il Giubileo di Diamante per i 60 anni sul trono, che Elisabetta mira a qualcosa di più grande, che le darebbe un posto definitivo nella storia. Altrimenti non ci sarebbe motivo per intestardirsi a rimanere a Buckingham Palace, umiliando il figlio ultrasessantenne e ancora principe di Galles. Perfino Edoardo VII, successore della inossidabile regina Vittoria, era più giovane di Carlo quando subentrò alla madre nel 1901: aveva 59 anni.

La regina gode di buona salute. È stata ricoverata recentemente in ospedale, ma pare non fosse nulla di grave. A 87 anni sembra lanciata verso la longevità di sua madre, scomparsa nel 2002 a 101 anni.

Se Elisabetta fosse diventata regina a 18 anni, come Vittoria, oggi non solo l’avrebbe già battuta, ma con 69 anni sul trono si troverebbe al sesto posto nella classifica dei regni più lunghi della storia: prima di Francesco Giuseppe imperatore d’Austria-Ungheria (che governò “soltanto” per 68 anni), e con ottime speranze di superare i 72 anni di regno del Re Sole francese Luigi XIV, che aveva appena quattro anni quando suo padre morì (divenne reggente fino alla sua maggiore età la madre Anna d’Austria, ma governava il cardinale italiano Giulio Mazarino).

Elisabetta ha un handicap di 26 anni
Insomma, con tutto il rispetto per il re Sobhuza dello Swaziland che detiene il record planetario del regno più lungo (troppo facile conquistarlo quando si diventa sovrani a pochi mesi di vita), Elisabetta meriterebbe lei il titolo, perché è partita  con un handicap di 26 anni: l’età alla quale è succeduta al padre Giorgio VI (il «sovrano balbuziente» interpretato da Colin Firth nel recente film Il discorso del re, asceso al trono soltanto grazie all’abdicazione del fratello Edoardo VIII, ufficialmente causato dall’amante già sposata Wallis Simpson, in realtà anche per le simpatie naziste di Edoardo).

La regina Vittoria ha dato il proprio nome alla sua epoca: la seconda metà dell’Ottocento inglese è chiamato «era vittoriana» per il perbenismo e la conseguente ipocrisia, oltre che per il grande sviluppo economico e tecnologico offuscato però dalle diseguaglianze sociali.

Per che cosa passerà alla storia invece la regina Elisabetta II? Probabilmente per l’esatto contrario della sua trisnonna Vittoria: gli anni Sessanta del secolo scorso, con l’esplosione di minigonne, Beatles, Rolling Stones, libero amore. E la ruota gira: dopo Carlo e William, è già pronto un altro re Giorgio, bisnipote di Elisabetta.
Mauro Suttora

classifica dei regni più lunghi della storia:

1) Sobhuza (Swaziland) 1899-1982
2) Luigi XIV (Francia) 1643-1715
3) Giovanni II (Liechtenstein) 1858-1929
4) Shapur II (Persia) 309-379
5) Ponhea Yat (Cambogia) 1393-1463
6) Francesco Giuseppe (Austria-Ungheria) 1848-1916
7) Malietoa Tanumafili (Samoa) 1939-2007
8) Bhumipol (Thailandia) 1946-regnante
9) Ramsete II (Egitto) 1279 a.C.-1213
10) Ferdinando I (Napoli) 1759-1825
11) Amoghavarsha I (India) 814-878
12) VITTORIA (Regno Unito) 1837-1901
13) Federico Augusto I (Sassonia) 1763-1827
14) Isa ibn Ali al Khalifa (Bahrein) 1869-1932
15) Giacomo I (Aragona) 1213-1276
16) Saqr bin Mohammad al Qassimi (Ras al Khaima, Emirati) 1948-2010
17) Hirohito (Giappone) 1926-1989
18) Kangxi (Cina) 1661-1722
19) ELISABETTA (Regno Unito) 1952-regnante       

Wednesday, February 27, 2013

I tre Grillo



IL TRIONFO DEL MOVIMENTO 5 STELLE

È una rivoluzione. Nella storia dei paesi occidentali non era mai successo che un gruppo di sconosciuti dilettanti della politica, al debutto, diventasse il primo partito. 
Ora il futuro degli italiani dipende dalle scelte del suo leader. 
Per capire che cosa ci aspetta, ecco chi è l’uomo che ha sbancato alle elezioni


Oggi, 25 febbraio 2013

di Mauro Suttora

Chi è veramente Beppe Grillo? Probabilmente non lo sa neppure lui. Troppo distanti sono le tre versioni di questo 64enne geniale: prima cocco della tv del regime democristiano (figlioccio di Pippo Baudo, 1977-92), poi apostolo dell’ecologia antitecnologica (spaccava computer sul palco dei teatri, 1993-2004), infine cantore della Rete e capopopolo (2005-oggi).

Il punto di svolta è la sera del 15 novembre 1986. Durante Fantastico 7, il varietà del sabato sera presentato da Baudo, gli scappa l'ormai leggendaria battuta contro Bettino Craxi, allora premier e capo del Psi, l’uomo più potente d’Italia: «I socialisti erano in Cina, e Martelli chiede a Craxi: “Ma se qui sono tutti socialisti, a chi rubano?”».

La vulgata recita che da allora, dopo furibonda telefonata di Craxi a Baudo, Grillo sarebbe stato espulso dalla Rai. Nient’affatto. Anzi, ogni sua successiva apparizione era garanzia di audience, perché l’odore di zolfo attirava gli spettatori. Fin dove si sarebbe spinto il comico nell’offesa? Nel frattempo, inoltre, il dc Ciriaco De Mita aveva fatto fuori Craxi. Quindi via libera a Grillo per memorabili e lunghe comparsate a Sanremo nell’88 e '89. Dove con i suoi impareggiabili tempi teatrali, apparentemente spontanei e invece studiatissimi (come oggi), poteva andare avanti all’infinito sul filo del rasoio del vaffa al politico.

I suoi autori allora erano Michele Serra (oggi ancora a Sanremo a scrivere testi, ma per Fabio Fazio) e Stefano Benni. Memorabile l’insulto a Jovanotti, che ancora lo odia.
Altra curiosità: sì, Grillo ha lavorato anche per Silvio Berlusconi. Almeno tre Telegatti, ma anche il suo terzo e ultimo film, scritto da Benni e prodotto dalla berlusconiana Rete Italia. Musiche di Fabrizio De Andrè, coprotagonista Jerry Hall, moglie di Mick Jagger dei Rolling Stones. Berlusconi non si arricchì grazie a questo film, ma oggi può dichiarare con sufficienza: «Sì, Grillo ha lavorato per me. Ottimo comico, è rimasto tale».

Intanto però, sulle orme di Giorgio Gaber, Grillo preferisce il teatro (poi i palasport, con prezzi non popolari) alla tv. E vira sull’ecologia. Il suo primo recital si chiama ironicamente Buone notizie. E trova uno sbocco tv nel dicembre ’93, quando grazie a Tangentopoli i partiti allentano il controllo sulla Rai. Vanno in onda due puntate del Beppe Grillo Show in prima serata su Rai1. Uno sfracello: 15 milioni incollati a sentire Grillo già trasformato in Savonarola.

Ed ecco Beppe nella sua seconda incarnazione. Successo straordinario nelle tournée, tutto esaurito, incassi e redditi miliardari. Villa a Porto Cervo, yacht, bella vita, la seconda moglie persiana Parvin (ex di un calciatore). Insomma, ognuno si porta dietro le sue contraddizioni: anticonsumista, ma vita privata molto smeralda accanto a Flavio Briatore (ho scritto «accanto», caro avvocato di Grillo, non «con»).

Oltre all’ambientalismo l’inesauribile Beppe, curioso ed eclettico come tutti gli autodidatti (non si è laureato, e neppure il suo guru Gianroberto Casaleggio) trova altri bersagli: il signoraggio delle banche, combattuto dal professor Giacinto Auriti, e soprattutto le memorabili campagne da difensore dei piccoli azionisti Telecom e Parmalat, contro le grandi truffe di regime.

Il terreno erà già seminato per il terzo Grillo: il politico che surfa sulla Rete. Casaleggio gli compare davanti nel camerino, è amore a prima vista. Poi la decisione di lanciare il blog nazionale e attrarre proseliti nei Meetup (piattaforma Usa, scelta contestata dai puristi di sinistra). Infine, nel 2007, il primo Vaffa-Day.

Il resto è storia. In memoria del Vaffa, la V del MoVimento 5 Stelle resta in maiuscolo. E maiuscolo è il vaffa appena decretato dagli elettori contro tutti gli altri partiti.
Così, abbiamo la prima rivoluzione guidata da un miliardario simpaticissimo, e dal suo moVimento che ha sede (Casaleggio Associati) fra Montenapoleone e La Scala, a Milano, in una zona da 20 mila euro al metro quadro. Buon divertimento.
Mauro Suttora

Wednesday, October 19, 2005

Angela Merkel

Oggi, 12 ottobre 2005

«Chi ha qualcosa da dire non ha bisogno di trucco»: così Angela Merkel, 51 anni, la nuova cancelliera tedesca, risponde ai consulenti «per l'immagine» del partito democristiano tedesco, quando la implorano di tenersi un po' più su, di mettersi un bel rossetto, di passare più spesso dal parrucchiere. Niente da fare. Lei, tetra e tetragona come la teutonica prof di chimica che è, per tutta la campagna elettorale non si è curata della forma, andando dritta alla sostanza. Ha promesso ai suoi compatrioti meno assistenza, meno sussidi, più competizione, più libero mercato. E alla fine ha vinto.

Sarà la prima donna a guidare la Germania dopo mille anni: dai tempi delle imperatrici Teofania di Bisanzio e di sua suocera Santa Adelaide, che dal 983 al 995 fecero da reggenti al minorenne Ottone III. Adolf Hitler si rivolta nella tomba, di fronte a questa signora così poco marziale che si è impadronita del Reich. Ma sotto l'apparenza dimessa e pacioccona, e nonostante il nome, Angela ha un'anima di ferro. Altro che «Angie», come hanno cercato di soprannominarla quelli delle pubbliche relazioni: a ogni suo comizio trasmettevano l'omonima, romantica canzone dei Rolling Stones per ingentilirla. Missione impossibile: come si fa ad addolcire la figlia di un severo pastore luterano cresciuta per 35 anni sotto la dittatura comunista della Germania Est, e sopravvissuta per i successivi quindici alle trappole degli squali della politica, «amici» e nemici uniti nell'invidia della sua rapida ascesa?

Angela Merkel è la più giovane cancelliera del dopoguerra (meglio non risalire fino a Hitler, nominato a 44 anni). E' anche la prima che viene dall'Est, e la prima democristiana divorziata e risposata. Suo padre, oggi quasi ottantenne, continua a vivere nel paesino a nord di Berlino in cui la portò quand'era ancora in fasce. Da Amburgo dov'era nata, infatti, la famigliola nel '54 si trasferisce all'Est, perchè a padre Horst Kasner la chiesa ordina di coprire una parrocchia rimasta senza pastore. «Solo due tipi di persone lasciano la Germania occidentale per quella orientale: i comunisti e gli idioti», commenta il traslocatore. Alla mamma il regime impedisce l'insegnamento: troppo pericoloso mettere in cattedra una che viene dall'Ovest, potrebbe essere una spia.

Angela e i fratellini (un maschio e una femmina) crescono nel clima di sospetto e terrore instillato dalla polizia segreta Stasi. La chiesa viene tollerata, ma suo padre subisce le angherie dei gerarchi: solo negli anni '70 gli concederanno il permesso per viaggiare un po' in Italia e in Gran Bretagna. Ma senza famiglia. «Eravamo i figli di un pastore», ricorda lei, «e dovevamo primeggiare in tutto per sopravvivere». Volontà d'acciaio: a otto anni rimane tre quarti d'ora sul bordo della piscina per trovare il coraggio di tuffarsi la prima volta. Dissimulazione: mai esprimere i propri pensieri, chiunque può fare una spiata. A 14 anni Angela simpatizza per i ragazzi della Primavera di Praga, ma guai a dirlo. Vuole fare la traduttrice, impara perfettamente il russo e l'inglese. Nel 1970 viene premiata dalla scuola con un viaggio all'estero: a Mosca. «Comprai lì, al mercato nero, il mio primo disco dei Beatles: Yellow Submarine».

Ma suo padre commette un'imprudenza: durante qualche riunione privata in parrocchia commenta gli scritti di Andrei Sacharov. Viene etichettato come dissidente, e ad Angela viene impedito di fare l'interprete (mestiere riservato ai fedeli alla linea). Così la ragazza si iscrive a chimica all'università di Lipsia. A 23 anni si sposa con un compagno di studi, dopo soli quattro anni divorzia, ma ne conserva il cognome: Merkel. Pare per non dover tornare al cognome del padre, col quale è in rotta. Tuttora i loro rapporti non sono buoni. Negli anni '80 Angela si specializza in fisica a Berlino, ed entra nella prestigiosa Accademia delle Scienze. Lì conosce Joachim Sauer, il suo secondo marito, più anziano di cinque anni. Figlio di un pasticciere, anche lui divorziato, è un'autorità mondiale nella fisica quantistica. Ma non può partecipare a congressi all'estero perchè rifiuta di iscriversi al partito comunista.

Angela invece naviga meglio, assume qualche incarico nella gioventù del partito che però non le verrà rinfacciato in seguito. I due convivono per tredici anni senza sposarsi. Lo faranno solo negli anni '90, quando lei è un pezzo grosso dc e un vescovo protesta pubblicamente. Ma ancor oggi il marito fa vita riservatissima, non si fa mai vedere assieme a lei in pubblico. La accompagna solo una volta all'anno al festival di Wagner a Bayreuth, ma anche lì rifiuta sempre di parlare ai giornalisti. I quali si vendicano chiamandolo «fantasma dell'opera».

Arriva la data fatidica: 9 novembre 1989. Quella sera crollano il Muro di Berlino e il comunismo. Ma Angela Merkel sembra un personaggio di Milan Kundera: manca l'appuntamento con la storia. Il suo appuntamento è con un'amica per andare in sauna, come ogni settimana. E non vuole mancare l'impegno. Fa la sua prima passeggiata a Berlino Ovest soltanto il giorno dopo. Con calma. L'entusiasmo le arriva qualche settimana dopo, quando si butta in politica per aiutare un partitino messo in piedi dai dissidenti protestanti che aveva conosciuto in famiglia. Poi arriva la riunificazione, e lei finisce nella Cdu nazionale. Anche perchè vari membri del suo ex partito vengono smascherati come collaborazionisti dei servizi segreti.

Inizia la seconda navigazione nella vita di Angela. Che lascia la carriera di scienziata e sceglie la politica a tempo pieno. Il cancelliere Helmut Kohl la nota, la prende sotto la sua ala e la valorizza. Prima la fa eleggere al Parlamento, poi la nomina ministro. C'è bisogno di volti nuovi dell'Est, in più lei è donna e quarantenne. La circospezione e la tenacia appresi dietro la cortina di ferro le tornano utili: «Mio padre mi ha insegnato a non fidarsi mai», confessa. Diventa ministro dell'Ambiente e si scontra con Gerhard Schroeder, allora presidente socialista della Bassa Sassonia. Il quale la umilia su una disputa di centrali nucleari. Lei gli promette vendetta. Ma la vera battaglia Angela la deve sostenere all'interno del proprio partito. La «cocca di Kohl» finisce pure lei all'opposizione quando nel '98 Schroeder vince le elezioni. I democristiani perdono il potere, si scatena la lotta per la successione.

Lei stessa, afferrato il pugnale di Bruto, uccide politicamente il suo padrino: è l'unica ad avere il coraggio di invitare pubblicamente Kohl, colpito dagli scandali, a farsi da parte. Poi però deve soccombere, lei protestante, ai potenti dc cattolici bavaresi, che rifiutano di candidarla al voto del 2002. Ma lei continua imperterrita a macinare politica sedici ore al giorno, non ha figli, si concede poche distrazioni (la lirica, i film di Dustin Hoffman). Un mastino. Edmund Stoiber e Wolfgang Schauble, i suoi rivali all'interno del partito, alla fine devono farle strada: sarà lei a sfidare Schroeder nel settembre 2005. L'attacco più cattivo glielo lancia la giovane e bella moglie del cancelliere socialista: «Non è una donna come le altre», alludendo alla sua scarsa avvenenza e alla mancata maternità. Il voto finisce in parità. Ma lei tiene duro, e alla fine si allea proprio con i socialisti. Senza Schroeder, però: c'era quel vecchio conticino da regolare...

Mauro Suttora

Thursday, September 26, 2002

Angelina Jolie, nuova beniamina Usa

ANGELINA JOLIE

dal corrispondente a New York Mauro Suttora

Oggi, 26 settembre 2002

La sua vita è un uragano. Ha rotto con il primo marito, il secondo lo ha lasciato dopo poche settimane di matrimonio, il padre lo odia a tal punto che lei è andata in tribunale ottenendo di non portare più il suo cognome. E anche suo figlio la scorsa settimana è finito in ospedale, per ragioni misteriose. 

Angelina Jolie a soli 27 anni sembra già votata a un destino di "bella e maledetta", che ha rovinato la vita a decine di star hollywoodiane prima di lei. È una donna stupenda, dai lineamenti quasi extraterrestri che le donano una bellezza aggressiva ed esotica. I suoi occhi hanno un colore indefinito, fra il verde e il blu. 

L'hanno giudicata più attraente di Sandra Bullock, Liz Hurley, Catherine Zeta-Jones: tutte concorrenti superate ai provini per conquistare la parte di Lara Croft, l'eroina dei videogiochi che nel film Tomb Raider quest'anno ha sbancato i botteghini di tutto il mondo. Ed è soltanto il primo di una serie: il secondo episodio viene girato proprio in queste settimane. Ma non in Cina - dov'è ambientato - perché il governo di Pechino ha rifiutato alla troupe il permesso di entrare.

Angelina è diventata in pochissimi anni una delle attrici più contese degli Stati Uniti. È figlia di Jon Voight, 63 anni, leggenda del cinema americano, l'Uomo da marciapiede che si rivelò al pubblico nel 1969 con Dustin Hoffman, e che dieci anni dopo recitò una delle scene più erotiche di tutti i tempi, impersonando il veterano del Vietnam paraplegico amante di Jane Fonda in Tornando a casa (premio Oscar per entrambi). E poi protagonista, fra gli altri, di Un tranquillo week-end di paura, A 30 secondi dalla fine, Mission: impossible (con Tom Cruise).

Nel '74 Voight s'innamora dell'attrice francese Marcheline Bertrand, e il 4 giugno '75 nasce a Los Angeles Angelina Jolie Voight (il secondo nome, "bella" in francese, ha mantenuto le promesse). Dopo soli due anni i genitori si separano e la mamma la porta con sé a New York. Ma il papà non si scorda di lei e la fa debuttare a soli sette anni con una particina in Cercando di uscire, film scritto, prodotto, recitato da lui e diretto da Hal Ashby, il regista di Tornando a casa

Nell'86 la bambina a soli 11 anni va già a scuola di recitazione nel celebre Actor's Studio di Lee Strasberg, anche se la sua aspirazione è diventare "direttrice di pompe funebri". Ma sboccia in lei la bellezza, e diventa modella. Appare in vari video musicali ("Anybody Seen My Babe" dei Rolling Stones, Lenny Kravitz, Meat Loaf, Lemonheads), e ri-debutta diciottenne in Cyborg 2.

Angelina non vuole passare per raccomandata, così elimina il cognome del padre sostituendolo con il secondo nome di battesimo. Un primo successo arriva con Hackers, nel '95. Sul set conosce John Lee Miller, attore inglese reduce da Transpotting, e lo sposa. Il matrimonio fa scalpore perché lei indossa un abito di pelle nera e una camicia bianca su cui ha scritto col proprio sangue il nome del marito. 
Angelina è infatti un'appassionata di coltelli, colleziona pugnali, e porta sul corpo una serie di cicatrici, frutto dei tagli che si è autoinflitta in gioventù. L'attrice ha anche la passione dei tatuaggi (ne esibisce ben nove), e ama le storie dell'orrore nonché tutto quanto è macabro.

Due film per la Tv le regalano la notorietà negli Stati Uniti: Gia del 1997 e George Wallace l'anno dopo, al fianco di Gary Sinise. In Europa Angelina Jolie viene notata in Gli scherzi del cuore, film del 1998 in cui recita con Sean Connery e Gena Rowlands. Ma l'esplosione arriva nel 1999, quando vince l'Oscar come miglior attrice non protagonista per il ruolo della psicopatica Lisa in Ragazze interrotte, con Winona Ryder, e poi interpreta la  poliziotta accanto a Denzel Washington ne Il collezionista di ossa.

In 60 seconds recita al fianco di Nicolas Cage. Infine, nel 2001, Lara Croft: Tomb Raider, traslazione del famoso videogioco sul grande schermo: fra gli attori c'è anche papà Jon Voight, nei panni di Lord Croft, il padre dell'eroina virtuale.

Fisico stratosferico, labbra pronunciate, gambe perfette, caratterino impossibile: Angelina e Lara sembrano quasi la stessa persona, con la differenza che il personaggio del film è appassionato di archeologia, mentre Angelina sembra meno seria: ama gli eccessi, le dichiarazioni a effetto, i simboli di morte e le scienze occulte. Nel '99 recita in Pushing Tin con John Cusack e Billy Bob Thornton, e quest'ultimo prende il posto del marito nel suo cuore, nonostante (o forse proprio per questo) abbia vent'anni più di lei e ben quattro matrimoni falliti alle spalle.

I due si sposano, comprano una villa da otto miliardi a Beverly Hills, vanno in Cambogia, trovano un orfanello e lo adottano. Thornton ha avuto una parte secondaria in Proposta Indecente (con Demi Moore e Robert Redford, 1993), e quest'anno ha raggiunto il successo pure lui recitando (accanto alla premio Oscar Halle Berry) in The Monster's Ball e poi ne L'uomo che non c'era dei fratelli Coen. 

Ma nel giro di pochi mesi anche con Billy Bob è già tutto finito: Angelina ha trascorso l'estate 2002 lavorando in giro per il mondo col figlio di 13 mesi appresso senza mai tornare a Los Angeles, lui si è trasferito al Sunset Marquis Hotel e si è prontamente consolato prima con l'attrice 23enne Danielle Dotzenrod, poi con la cantante country Deana Carter. Qualche giorno fa Angelina ha mandato una ditta di traslochi a ritirare tutte le sue cose dalla magione.

Ma la mossa che ha impressionato di più l'America, della quale nonostante tutte le sregolatezze rimane una beniamina, è stata la puntata che ha compiuto al tribunale di Santa Monica per liberarsi definitivamente del cognome del padre, dopo due anni di continui litigi: "Non voglio più avere nulla a che fare con lui, non mi fa bene averlo attorno", ha spiegato. Voight si è vendicato andando in televisione a denunciare: "Mia figlia ha seri problemi mentali, ha bisogno d'aiuto".

Insomma, Angelina è  uno di quei personaggi turbolenti coi quali da sempre si scrive la storia di Hollywood. Insofferente nei confronti dell'autorità, è capace di improvvisi slanci generosi: come qua
Mauro Suttora

Thursday, May 05, 1977

Rock and baroque music

Madison (Connecticut), May 1977

Daniel Hand High School

Graduation dissertation

by Mauro Suttora

I believe that music, like all arts, affects and is affected by the social environment in which it is created. Although the genius of a musician is something that goes beyond time and space: that's what is meant when we say that a music piece is immortal. I think therefore it's useful to investigate music from a sociological point of view, trying to grasp the ideas behind the music.

Music is not something technical, with a history of his own, apart from the world: it is influenced by the political social and economic happenings of its time, and sometimes it reflects them very clearly. A Marxist would say that, music being a superstructure, it is dependent from the economic situation, which is the structure that makes every superstructure possible.

Too often, when we listen to music, especially old music (old in the sense that it was not composed 3 or 10 years ago, but 30, 100, 300 years ago), we are interested in the "form" of music, and not in its substance. I think music is only a medium to express ideas, and every single piece of music has an underlying idea which could also be expressed in poetry, in painting, or in theatre.

In the case of "program music", finding the ideas behind is not very complicated. The problems begin when we listen to something and, without any background, we throw our little estethic judgement in term: I like it, I don't; sounds boring, sounds exciting, makes me nervous, evokes in me a feeling of joy, etc.

These are all irrational, superficial, personal and subjective judgements, and they all imply that music was composed only for music's sake. Nothing is composed for music's sake, not even the silliest "disco" record of our days. Behind, let's say, Disco Duck, there are clear purposes: selling records, make a profit, make people dancing to the rythm of this song, and so on.

Wanting to be very politica, one could even say that Disco Duck was a drug given by the system to the young people, to keep them from doing things more serious and dangerous to the status quo, like reading books, or listening to other music, like folk or protest music.

I will now dive into the era of baroque. The baroque era (1600-1750) corresponds in religion to the Counter-reform of the Catholic church (the answer to the Protestant reform), in politics to the triumph of absolutisms and the consolidation of national states, and in economics to the rise of mercantilism and the bourgeoisie.

During absolutism there was virtual identity beteween Church and State: this connection is best exemplified by famous cardinal Richelieu, who held tremendous political power in France. Both these institutions used the arts as a mean to represent their power.

So, display of splendor was one of the main social functions of music for the church and the baroque courts. Like all baroque arts, music too was bound socially to the aristocracy; both the nobility and the clergy served as patrons. In Venice, where there was a republic, the state paid musicians.

Having a musician was a status-symbol for the noblemen. Consistent with the predominantly private organization of musical life (although there were some sorts of musicians' unions), the social position of the musician was in principle dependent on a patron, a sponsor.

Self-supporting composers who made their living from proceeds of their music, which is now the norm, did not exist then. The dependence on an aristocratis patron put the musician in the servant class. Like bakers and tailors, he had to wear livery, and had to come up with one new dance for every weekend, for the luxurious parties his patron held.

The same goes for musicians dependent on the Church: Johann Sebastian Bach had to deliver one new chorale every Sunday. Today, in a way, it's just the same: the Rolling Stones just signed a contract for six Lp's in five years.

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