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Saturday, September 19, 2020

Il comizio di Dibba in Puglia

 “Non saranno le regionali a far cadere Conte, ma lo spread. Se però cade la Toscana, tutto cambia”

intervista a Mauro Suttora

 Il Sussidiario, 19 settembre 2020

di Federico Ferraù

Di Battista e i dissidenti M5s faranno perdere Emiliano ma non faranno cadere Conte. Se però il Pd perde la Toscana, tutto cambia.

Ora Dibba sostiene Laricchia, la candidata grillina alla presidenza della Puglia che ha detto no a qualsiasi tipo di accordo con Emiliano. Quando Alessandro Di Battista, anima inquieta di un M5s sempre più diviso, ha detto che sarebbe sceso in piazza per la chiusura della campagna elettorale, ci è voluto poco a tirare le somme e a dire che era un’operazione contro il governo. Cioè contro Conte. 

Cosa accadrebbe se il governatore uscente, Michele Emiliano, piddino di tessera ma pentastellato su molti temi di lotta e di governo, fosse sconfitto, regalando la regione del premier Conte a Raffaele Fitto (FdI)? 

In un colpo solo, Di Battista prova così a sfilare al Pd i voti che gli servono per vincere, e a prenotare – se si faranno gli stati generali – la leadership del Movimento agonizzante. Poco importa se i “governisti”, nel frattempo, saranno finiti da un’altra parte, magari nel futuribile partito di Conte. 

Mauro Suttora, giornalista prima all’Europeo poi a Oggi, già corrispondente dall’estero per varie testate, è da sempre attento osservatore dei 5 Stelle. 

“Alessandro Di Battista si dimostra molto furbo, ma non gli basterà” dice al Sussidiario

Quanto all’esito del voto e alle sorti del governo, “è meglio aspettare lunedì. Dopo, chissà. Potremmo scoprire improvvisamente che la realtà abita da un’altra parte”.

Alessandro Di Battista potrebbe davvero mettere a rischio Emiliano e la sopravvivenza del governo?

Di Battista ha scritto su Facebook, presentando il comizio di ieri sera: 'Non chiedetemi di chinare la testa, abbiate il coraggio di tagliarmela'. Ecco, un politico che dice una cosa così, la testa l’ha già persa. Se questo è tutto quello che riescono a dire i movimentisti M5s contro i governisti, siamo a posto.

Ma la Puglia?

Emiliano sulla carta poteva anche vincere, soltanto che con i grillini che fanno una lista per proprio conto (quella di Antonella Laricchia, ndr) e i renziani che fanno lo stesso con Scalfarotto, perderà. Ringrazi entrambi.

Le ripercussioni di una sconfitta in Puglia potrebbero essere così drammatiche per il governo?

Secondo me nel Pd stanno già metabolizzando la perdita della Puglia. Potremmo assistere a un 4-2 per il centrodestra. In questo caso al governo non succederà nulla e Zingaretti potrà sempre dire di avere mantenuto la Toscana e la Campania. Se invece il Pd perdesse in Toscana, il disastro sarebbe totale e tutti gli scenari sarebbero aperti.

I Cinquestelle al governo temono o no un’iniziativa come quella di Di Battista?

Certo che la temono. Siamo al redde rationem. È evidente che nello stesso partito non può esserci un “Che Guevara” come Di Battista e due perfetti democristiani come Di Maio e Conte. Diciamo che Di Battista è stato molto furbo a fare questa uscita prima della botta che prevedibilmente arriverà lunedì.

Perché?

Perché così non può essere accusato di speculare sul disastro. E nemmeno di non aver fatto campagna elettorale. Con una sola uscita, la più importante, avrà dato l’impressione di aver messo in moto un po’ di cose. 

Con quali prospettive?

Che Emiliano vinca o perda, a lui non importa nulla: continuerà con la Lezzi e la Laricchia a fare i duri e puri, quelli che “Emiliano e Fitto sono la stessa cosa”. Però, nel complesso Di Battista e chi la pensa come lui si è molto indebolito.

Grazie a Di Maio? 

Anche. Di Maio ha sfilato loro la Taverna, stella femminile del Movimento barricadiero che poteva contrapporsi a Chiara Appendino. Fino a 5-6 mesi fa, se non fosse arrivato il Covid e se avessero fatto gli stati generali, Di Battista si sarebbe candidato come capo unico e avrebbe stravinto. 

Nonostante Casaleggio muova a suo piacimento i voti di Rousseau?

Casaleggio oggi è molto più debole. Dopo la lettera che ha mandato ai morosi, è quella la vera frattura: tutti i parlamentari, sia movimentisti che governisti, contro l’esoso Casaleggio.

Quale sarà il programma di Di Battista e di chi la pensa come lui?

No euro, no Tav, no Mes, no tutto.

E come tener buona quella base ormai scontenta di chi si è insediato nel palazzo?

Di Maio vanterà lo storico risultato del taglio dei parlamentari: abbiamo vinto il referendum, abbiamo ridotto i costi della politica, avanti, miei prodi… Così finiscono tutti i movimenti, a cominciare da quello di Mussolini, no? Faranno con Di Battista come hanno fatto con Fico e Taverna, imbalsamandoli in cariche istituzionali.

Basterà il Sì al referendum per salvare M5s?

No. Lo spartiacque, lunedì sera, sarà il 10%. Al Nord i 5 Stelle non ci arriveranno. A quel punto bisognerà vedere come vanno in Campania e Puglia, dove vengono dal 40% delle politiche e dal 30% delle europee. Ora sono al 20%. La media potrebbe compensare le perdite al Nord, consentendo loro di restare a due cifre e dire che hanno tenuto, eccetera.

Non potrebbe essere Conte a salvarli? Dopotutto i 5 Stelle sono il suo partito.

Conte si è dimostrato campione mondiale di trasformismo, passando in due giorni da Salvini a Zingaretti. Bisognerà vedere se il M5s gli serve ancora oppure no. In quest'ultimo caso, non sarà mai stato grillino. Anche il Pd vota sì al taglio dei parlamentari…

Le tue previsioni per lunedì sera? 

Non non sono in grado di farne, è il bello della politica. È come andare al casinò. Per il Pd lo spartiacque è il 20%. Però se ottiene il 21% e perde la Toscana, va male lo stesso. La Toscana è decisiva.

Secondo te è realmente contendibile?

Sì, perché la Ceccardi è più sveglia della Borgonzoni e soprattutto il candidato Pd (Giani, ndr) è solo un’ombra di Bonaccini.

Quali sono le sorti del governo Conte 2?

Dipende dal mondo reale, che non è quello di cui abbiamo parlato finora. Basta che lo spread salga di 100 punti e per Conte tutto si complica. A quel punto c’è solo Draghi.

Federico Ferraù 

Wednesday, November 20, 2013

Berlusconi e i suoi vice: Galliani, Alfano

VIA DAL MILAN IL PRIMO. VIA DAL GOVERNO IL SECONDO?

di Mauro Suttora

Oggi, 13 novembre 2013

Brutto mese, novembre, per Berlusconi. Due anni fa venne estromesso dal governo per far posto a Mario Monti. L’anno scorso i sondaggi davano il Popolo delle Libertà crollato al 15 per cento senza di lui. Dovette riprendere la guida del partito da Angelino «senza quid» Alfano per pareggiare in extremis le politiche di febbraio.

Adesso la data fatidica è il 27 novembre: il Senato vota la sua «decadenza» dopo la condanna per frode fiscale a quattro anni di carcere, e due di interdizione dai pubblici uffici.

«I magistrati non possono eliminare dalla politica il capo di uno dei maggiori partiti», dicono in coro i suoi. Subito dopo, però, si dividono. Alfano esclude di far cadere il governo guidato da Enrico Letta di cui è vice, dando le dimissioni e togliendo la fiducia: «Si andrebbe al voto e vincerebbe la sinistra». «Traditore,  vuoi rimanere attaccato alla poltrona anche dopo che la sinistra ha espulso Berlusconi dal Parlamento», gli ribattono i «lealisti» (Denis Verdini, Raffaele Fitto, Sanro Bondi).

«Farete la fine di Fini»

Alla fine decide Berlusconi in persona: «Come possono i nostri senatori e ministri collaborare con chi compie un omicidio politico?» E aggiunge minaccioso: «Non andrete da nessuna parte. Anche Fini e gli altri ebbero due settimane di spazio sui giornali. Ma poi è finita com’è finita».

Il Consiglio nazionale del Pdl è convocato per sabato 16 novembre. Sono 863 i membri che annunceranno la morte del partito, e la rinascita di Forza Italia. Ma per farlo devono arrivare ai due terzi dei voti.

In ogni caso, anche se dentro al suo partito prevarrà Berlusconi, non è detto che il governo Letta cada. Alla Camera, infatti, Pd e Scelta Civica hanno la maggioranza anche senza il Pdl. E al Senato bastano 20-30 senatori Pdl (o ex Cinque stelle) per conservarla. Dopodiché, Letta potrebbe andare avanti a governare anche fino al 2015, come spera il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

I governativi hanno i voti necessari

Si ritornerebbe, insomma, allo scenario del 2 ottobre. Quando i «governativi» del Pdl (oltre ad Alfano gli altri ministri  Gaetano Quagliariello, Maurizio Lupi, Beatrice Lorenzin, Nunzia De Girolamo,   più big come Fabrizio Cicchitto e Roberto Formigoni) avevano già racimolato i voti necessari a proseguire le «larghe intese». E Berlusconi, piuttosto che perdere, con un colpo di scena votò la fiducia.

L’altro fronte che angustia l’ex premier in questi giorni è quello sportivo. Il suo Milan è in crisi nera, e la figlia Barbara ha chiesto la testa del vicepresidente Adriano Galliani. Anche qui, Berlusconi non si commuove. Facile disfarsi dell’allenatore Massimiliano Allegri: appartiene all’unica categoria di lavoratori immediatamente licenziabili in Italia. Più problematico rompere i rapporti con Galliani, che per più di un quarto di secolo è stato l’alter ego del cavaliere nel calcio, e che prima aveva messo in piedi tutta la rete dei ripetitori delle tv Fininvest.

L’uscita del vicepresidente sarà morbida, posticipata a primavera e compensata lautamente. Questo non toglie che ricorda un po’ la testa di Giovanni Battista ottenuta da Salomè dopo aver danzato per il padre Erode.

La bella e arrembante Barbara-Salomè richiamerà al Milan Paolo Maldini come direttore tecnico ed eventualmente Clarende Seedorf. Ma il padre comincia anche a considerarla per un futuro politico, dopo il no della primogenita Marina. Qui però le cose per il povero Berlusconi si complicano. Perché un conto è far andare d’accordo i due galletti Alfano e Fitto, un altro Marina e Barbara.
Mauro Suttora

Thursday, March 26, 2009

I partiti personali

LA CASTINA
E questi privilegi milionari chi li tocca ?

il palazzo degli sprechi non conosce crisi

Fiumi di denaro ad amministratori locali e partiti "inesistenti". Da Nord a Sud. Uno sconsolante viaggio nella cara politica

di Mauro Suttora

Oggi, 25 marzo 2009

A Roma basta essere consigliere comunale di un partito con un solo eletto per ottenere l' auto blu. E tutti, all' unanimità, dall' estrema destra all' estrema sinistra, si sono appena autoassegnati 75 nuovi portaborse, togliendoli all' anagrafe e ad altri uffici comunali dove rendevano servizi preziosi per i cittadini.
Insomma: i partiti litigano, ma quando si passa a incassare tutti si uniscono magicamente. E anche se Silvio Berlusconi promette di dimezzare i parlamentari, la crisi economica non sembra toccare la casta dei politici di professione. Invece di diminuire, i costi della politica aumentano. I partiti che prendono soldi statali si sono moltiplicati. Le liste regionali, per esempio.

Una volta c'erano solo la Suedtiroler Volkspartei a Bolzano e l' Union Valdotaine ad Aosta. Oggi invece sono 32. Oltre alla trentina di partiti nazionali che continuano a partecipare alle elezioni locali. Una cifra incredibile. Così, un fiume di denaro finanzia tante minicaste locali: solo di stipendi i 1.118 consiglieri regionali ci costano 620 milioni a legislatura.
"E aumentano pure loro", denunciano gli ex senatori Cesare Salvi e Massimo Villone, autori del libro Il costo della democrazia: "La Campania li ha aumentati da 60 a 80, Lazio e Puglia da 60 a 70, l' Emilia da 50 a 65, Liguria e Abruzzo da 50 a 60". Non solo Roma, quindi. Anzi, gli scandali negli ultimi mesi sono avvenuti lontano dalla capitale: Pescara, Basilicata, Napoli.

Dal 2005 il finanziamento pubblico è stato esteso anche a liste che si presentano in una sola Regione. Grande impulso ai "partiti del presidente": Insieme per Mercedes Bresso in Piemonte (che nel 2007 ha incassato mezzo milione di euro), Per la Liguria Sandro Biasotti (640mila), Per il Veneto con Massimo Carraro (925mila), Cittadini per Riccardo Illy in Friuli Venezia Giulia (425mila), L' Aquilone dell' ex presidente siciliano Totò Cuffaro, che si è dovuto dimettere lo scorso gennaio dopo una condanna a cinque anni per favoreggiamento a Cosa Nostra (1,4 milioni).

Puglia. Anche ad altri governatori la lista personale non ha portato fortuna. La Puglia prima di tutto del ministro per gli Affari regionali Raffaele Fitto è stata fonte solo di guai (oltre che di un finanziamento per oltre 1,6 milioni). Infatti l' ex governatore pugliese è stato accusato di avere preso una tangente di mezzo milione dalla società Tosinvest per un megappalto sanitario da 200 milioni (la gestione di undici residenze per anziani). Fitto non nega che la Tosinvest di Antonio Angelucci (deputato Pdl con il figlio recentemente arrestato per un' altra accusa di tangenti) abbia versato 500mila euro alla lista Puglia prima di tutto. Ma sostiene che era un normale contributo elettorale. Il 30 marzo ci sarà l' udienza preliminare.

In Puglia c' è un altro partitino regionale finanziato dallo Stato: Primavera pugliese. Con appena il 2,3% è riuscita a eleggere due consiglieri per il centrosinistra. Incassano 450mila euro.

Sicilia. Guai giudiziari per la lista Nuova Sicilia dell' ex vicepresidente e assessore regionale Bartolo Pellegrino. Prende 430mila euro, ma il titolare è stato arrestato e ora è sotto processo a Trapani per concorso esterno in associazione mafiosa. Incassa cinque milioni il Mpa (Movimento per l' autonomia) di Raffaele Lombardo, che si è trasformato in partito nazionale.

Lazio. Qui la sfida fra i due governatori (quello uscente di destra Francesco Storace e quello entrante di sinistra Piero Marrazzo) quattro anni fa finì quasi alla pari: 200mila voti e il 7% per entrambe le loro liste personali. Vinse la coalizione di centrosinistra, ed entrambi continuano a incassare 1,6 milioni ciascuno per il proprio partitino. Quello di Storace ha sede nel quartiere Prati. Ma sul citofono non ne risulta traccia: lì c' è solo lo studio del tesoriere della Lista. In compenso, il sito internet di Storace è ben funzionante. Quello di Marrazzo, invece, è aggiornato al 2005: abbandonato dopo il voto. Ma la sede esiste, alla Garbatella. C' è una targa vicino al portone, che però è chiuso: "Ogni tanto viene una signora, qualche ora al pomeriggio", racconta un vicino.

Veneto. Il Progetto Nordest in Veneto con il suo 6 per cento fuori dalle coalizioni provocò un certo sconquasso nel 2005. E l' anno dopo fu addirittura la causa della sconfitta nazionale di Berlusconi, con i voti sottratti al centrodestra. Il fondatore, l' industriale degli infissi Giorgio Panto, è morto due anni fa. Ma i suoi due successori, che stanno incassando i 430mila euro statali, si sono appena alleati con altri movimenti che minacciano la Lega Nord da destra. In Veneto sono finanziati anche due micropartiti: le liste civiche del Nordest e l' Intesa dolomitica di Belluno. Briciole: 28mila euro ciascuna.

Trentino Alto Adige. Qui c' è il record: ben otto partiti locali. La Lista civica del presidente provinciale di Trento Lorenzo Dellai ha preso un milione in cinque anni, mentre la Svp di Bolzano ha incassato sei milioni.

Sardegna. Fortza Paris ha eletto tre consiglieri nel 2004 prendendo 340mila euro. Quattro eletti e 440mila euro hanno avuto i Riformatori liberaldemocratici di Massimo Fantola, aumentati alle ultime elezioni.

Campania. Giuseppe Ossario incassa 370mila euro con i Repubblicani Democrazia Liberale.

Val d' Aosta. Quelli dell' Alleanza autonomista e progressista, poco esperti, un anno fa si sono dimenticati di fare domanda e stavano per perdere i 900mila euro loro assegnati. "Si sono fatti fare una legge apposta per riaprire i termini", mugugnano i rivali dell' Union Valdotaine.

"Insomma, nonostante la crisi i politici continuano a sprecare denaro", commenta Sergio Rizzo, autore del bestseller La Casta con Gian Antonio Stella. "In Spagna il finanziamento statale ai partiti è stato di recente ridotto del 20 per cento. Da noi, niente".

Mauro Suttora