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Wednesday, February 06, 2013

Berlusconi con Grillo?

SORPRESA: SU MOLTE COSE IL CAVALIERE E IL COMICO VANNO D'ACCORDO. DALL'IMU AL FINANZIAMENTO PUBBLICO, DALL'EUROPA A EQUITALIA, UNA CURIOSA SINTONIA. E PERFINO SU ASILI NIDO E SPAZZATURA...

di Mauro Suttora

Oggi, 6 febbraio 2012

Benvenuti al festival delle promesse. «Al primo consiglio dei ministri abolirò l’Imu prima casa e restituirò quella del 2012», giura Silvio Berlusconi. «Il primo atto del nuovo Parlamento dev’essere la riforma della legge elettorale», scrive il premier Mario Monti sulla propria Agenda. «Al primo punto il lavoro, sul quale il peso del fisco deve alleggerirsi», proclama Pier Luigi Bersani, candidato premier del Partito democratico.

Queste le priorità. Ma sulle questioni principali, quali sono le differenze fra i partiti che chiedono il nostro voto domenica 24 febbraio? E dove invece si assomigliano, a sorpresa?

Imu

È incredibile l’importanza dell’Imposta municipale unica, ex Ici, rispetto al suo magro gettito: quello sulla prima casa dà appena quattro miliardi annui, lo 0,5% del bilancio statale. Ma gli italiani sono molto sensibili a questa voce: nel 2006 Berlusconi capovolse i sondaggi e quasi vinse le elezioni promettendone l’abolizione. Due anni dopo, arrivato al governo, mantenne la promessa.

Un anno fa l’odiata tassa è stata reintrodotta (maggiorata) dal governo Monti, come primo provvedimento. E adesso Berlusconi sta cercando il bis del 2006 e 2008, imperniando la sua campagna proprio contro l’Imu.

Poco vale obiettargli che anche il suo Pdl votò a favore dell’Imu nel dicembre 2011 (gli unici contrari furono Lega Nord e Idv di Antonio Di Pietro). Ora il no la alla patrimoniale sulla prima casa è diventata la bandiera di tutto il centrodestra. Con due curiosi alleati: il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo, e Rivoluzione civile di Antonio Ingroia (che ha dentro Rifondazione comunista, verdi e dipietristi).

Bersani risponde promettendo di alzare la franchigia dagli attuali 200 a 500 euro (due miliardi e mezzo di gettito in meno, recuperabili con un aumento sulle prime case di lusso). E perfino Monti è costretto a indietreggiare: «Superata l’emergenza finanziaria, ora l’Imu si può correggere», ha azzardato il premier.

Quindi, se non saprirà, l’Imu diventerà un’imposta fortemente «progressiva»: i ricchi pagheranno un’aliquota più alta.

Soldi pubblici alla politica

Altra voce importantissima simbolicamente anche se bassa in termini finanziari (meno di un miliardo annuo) è quella del finanziamento pubblico ai partiti. Introdotto nel 1974, oggetto di vari referendum (il primo dei radicali nel ’78, quello vinto nel ’93), oggi si chiama «rimborso elettorale». «Da abolire subito», dicono Pdl e Lega Nord, anche qui spalleggiati da Grillo. Monti è per una «drastica riduzione». Più cauto il Pd: «Riduzione». Ingroia non ne parla, quindi si presume sia l’unico a volerlo mantenere, anche se l’Idv che lo sostiene lo avversava; propone però il taglio della diaria per i parlamentari e un «tetto rigido ai compensi dei consiglieri regionali».

E qui si entra negli altri «costi della politica», che comprendono quelli per il funzionamento delle Camere (un miliardo e mezzo), i soldi pubblici ai giornali di partito (150 milioni), i «contributi» ai gruppi nazionali e regionali che hanno visto le più recenti ruberie. Il Pd dice che i politici non devono guadagnare «più della media europea», ma una commissione ha già fallito nel determinare quale sia questa media. Il Pdl vuole dimezzare eletti e stipendi. I grillini già si autoriducono del 75% i propri stipendi: 2.500 euro mensili netti. Monti non si pronuncia: propone solo il divieto di cumulo fra indennità parlamentare e le altre retribuzioni di eletti che non lasciano il proprio lavoro.

Europa

Pd e Monti la mettono al primo posto: «È la sola possibilità per salvare l’Italia, non c’è futuro fuori dall’Europa». Anche Pdl e Lega si dicono europeisti: «Accelerare l’unione politica, economica bancaria e fiscale». Però precisano: «Superare una politica europea di sola austerità». Insomma, non vogliono quel che vuole Monti, difensore del «fiscal compact» che impone di diminuire il debito pubblico di un ventesimo ogni anno, fino al 60% sul Pil permesso dal trattato di Maastricht. Rigorista europeista , oltre a Monti, è soltanto Oscar Giannino di Fare per fermare il declino.

Nel no all’austerità imposta da Bruxelles, però, il centrodestra trova sintonie nel Pd («L’equilibrio di bilancio non può diventare un obiettivo in sé»), e soprattutto in Grillo e Ingroia, contrari al «fiscal compact». Nessuno, comunque, osa dire no all’euro: soltanto Grillo propone un referendum sulla moneta unica.

Tutti insieme su asili e spazzatura

Fra le piccole e grandi proposte, alcune raggiungono l’unanimità. Tutti vogliono aumentare gli asili nido, per esempio: misura ritenuta essenziale per permettere alle donne di lavorare. Dove, non si sa bene, visti gli attuali tassi di disoccupazione.

Curiosamente, anche la raccolta differenziata dei rifiuti è presente in tutti i programmi: l’emergenza spazzatura delle città del Sud va superata col riciclaggio. Poi però cominciano i distinguo: «Rifiuti zero, niente discariche e inceneritori», spara Grillo. Per gli altri questo è un terreno minato. L’unico a uscire dal vago è Monti: «Nei migliori esempi europei lo smaltimento in discarica è stato azzerato». Ma non osa dire che qualche inceneritore (pardon: termovalorizzatore) ci vorrà ancora, pr non continuare a spedire a caro prezzo i nostri rifiuti a bruciare in Olanda o Germania.

No alle nozze gay

Non le vuole nessuno. Pd e Ingroia si limitano al «riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali». Il Pdl invece «difende la famiglia, comunità naturale fondata sul matrimonio fra uomo e donna». Silenzio anche da Monti e Giannino. Neanche il movimento di Grillo ne accenna nel suo programma, anche se il comico si è detto a favore.  

75 per cento al Nord

Pensate che tenere nel Nord il 75 per cento delle tasse versate dal Nord sia una sparata della Lega Nord? Nossignori: è la proposta ufficiale anche del Pdl. Anche qui, però, bando alla retorica. Si scopre infatti che già oggi il 66% delle imposte resta al Nord. Non saranno quindi pochissime decine di miliardi in pù ad arricchirlo, o in meno a impoverire il Sud.

Ma voi che avete fatto?

Nessuno dei tre maggiori schieramenti risponde alla domanda: perché non avete fatto quel che proponete quando siete stati al governo? Perché il Pd dal 2006 al 2008, Pdl e Lega dal 2008 al 2011 e Monti nell’ultimo anno hanno avuto la possibilità di agire concretamente. E non sempre i fatti hanno corrisposto alle parole: infatti le tasse sono aumentate, l’evasione fiscale non è diminuita, le provincie non sono state abolite, e la Casta politica mangia e ruba allegramente, dalle ostriche alla Nutella.
Mauro Suttora       

Wednesday, January 30, 2013

Liste pulite

VIA GLI INQUISITI, CONDANNATI E RICICLATI DA TUTTI I PARTITI

di Mauro Suttora

Oggi, 23 gennaio 2013

Il primo a dover rinunciare alla candidatura è stato Alessio De Giorgi, messo in lista da Mario Monti in quanto gay: aveva dei siti internet imbarazzanti.
Poi Oscar Giannino ha ringraziato Il Fatto Quotidiano per avergli segnalato che il suo candidato Giosafat Di Trapani, della Confindustria siciliana, era stato condannato (poi prescritto) per favoreggiamento al sindaco mafioso Vito Ciancimino: fuori anche lui. Infine, pulizia nel Pd: via Mirello Crisafulli di Enna, un altro candidato siciliano e uno campano, sempre per guai con la giustizia.
L’unico a salvarsi è stato Antonio Endrizzi, ex assessore berlusconiano di Como riciclatosi in poche settimane nel Movimento 5 Stelle: i grillini lo hanno difeso dagli articoli di Gianni Barbacetto sul Fatto.
La resistenza più accanita è stata quella di Nicola Cosentino, ex sottosegretario Pdl di Casal di Principe (Caserta) accusato di rapporti con la camorra. Solo la Camera lo ha salvato dall’arresto chiesto dai magistrati che indagano sul clan dei casalesi. Se perde l’immunità parlamentare, finisce dritto in carcere. Per questo si è scontrato fino all’ultimo con Silvio Berlusconi in persona per tenere il posto in lista. Al quale invece ha rinunciato Marco Milanese, deputato Pdl già braccio destro del ministro Giulio Tremonti, indagato per tangenti. Anche Denis Verdini è indagato, ma lui invece svetta come capolista nella sua Toscana.     

Friday, December 07, 2012

Grillo: parlano gli antipartito del passato


di Mauro Suttora
Sette (Corriere della Sera), 7 dicembre 2012
Il Movimento 5 stelle non è il primo a voler «fare politica in modo pulito». Ecco l'opinione su Grillo dei leader dei movimenti «antisistema» degli ultimi 40 anni.  

MARIO CAPANNA (SESSANTOTTINI)
«Grillo mi è istintivamente simpatico, perché ci mette la faccia ed è molto documentato. Deve aver letto almeno due miei libri, sicuramente Coscienza globale. Ogni movimento allo stato nascente gode di un carisma temporaneo. Il problema è la durata. Durante la democrazia diretta assembleare del ’68 i leader dovevano meritarsi la loro qualifica giorno per giorno, nel confronto diretto con centinaia e migliaia di studenti. Oggi nella democrazia telematica manca il contatto diretto con i cuori e le menti. 
In rete circola una gran quantità di ciarpame. Casaleggio stesso dice che il web non è innocente, e teorizza il ruolo degli “influencer”. Grillo è sicuramente un “innovatore”: ora deve dimostrare di essere anche un “rinnovatore”. 
Lui unico controllore del marchio, lui che parla senza contraddittorio in rete e nei comizi: nel ’68 sarebbe stato inconcepibile, le assemblee erano luogo di confronto anche aspro, ma di dialogo. Oggi invece si rischia il solipsismo, si chiede solo di credere e aderire. Mi sorprende il modo in cui fa rispettare le regole del suo movimento, con diktat inappellabili».

MARCO PANNELLA (RADICALI)
«Il movimento grillino non è armato di esperienza. Siamo pronti a mettere a sua disposizione la nostra. Anche noi vogliamo un processo di Norimberga contro la partitocrazia degli ultimi 60 anni».
Marco Pannella vede Grillo adottare molte battaglie dei radicali, ma commettere errori come quello dei referendum contro i finanziamenti pubblici ai giornali del 2008: firme insufficienti, mezzo milione di sottoscrizioni al macero.
«Grillo sbaglia se rifiuta il dialogo, perché rischia di andare a sbattere politicamente e di subire la rivolta dei suoi stessi grillini. Se non passa da un piano monologante a dialogante, anche nell'online, con la sua scelta di impiccare tutto e tutti rischia di restarci lui, e di portare gli altri con sé. Senza soprattutto fare proposte, se non demagogiche e improvvisate, poco costruttive. 
Da Grillo attendo una politica che invece di centrare tutto sulla perversione degli avversari appoggi iniziative concrete, come facciamo noi da sempre. C'è il rischio che i candidati del Movimento 5 stelle riprendano il suo monologo perché sono stati formati a copiare con parole diverse le sue filippiche. Grillo ripete le stesse cose che i fascisti dicevano contro i parlamentari: tutti corrotti, tutti pezzi di m... Ma così non costruisce nulla».

GRAZIA FRANCESCATO (VERDI)
«Conosco Grillo da quando ero presidente del Wwf, e lui negli anni ’90 si avvicinava ai temi ecologisti. Il suo movimento nasce dalla voglia di buona politica. Io però non amo la mera protesta: slogan come “tutti a casa” o “tutti cretini e delinquenti” sono rozzi e sbagliati, ma soprattutto depistano dai veri problemi. Mi ricordano il Berlusconi “ghe pensi mi” di vent’anni fa. 
Noi verdi invece non volevamo capi carismatici, anche se avevamo personaggi di grande carisma come Alex Langer. Ma proprio lui ammoniva che il potere, il seggio elettivo, è come una centrale nucleare che emette radiazioni e rende dipendenti da piccoli e grandi privilegi. Per questo Michele Boato e molti altri praticarono la rotazione a metà mandato, dopo due anni e mezzo. Io stessa sono stata in Parlamento solo due anni, non ho il vitalizio e ho rifiutato il doppio incarico di presidente dei verdi (oggi sono in Sel). 
È importante che gli eletti abbiano un proprio lavoro al quale tornare: non devono essere costretti a dire sempre sì al capo per mancanza di alternative. Spero che dentro al M5S si sviluppi il senso critico: dalla protesta urlata occorre passare alla cultura della complessità. L’ecologia politica è nata 40 anni fa, ma vedo che i problemi sono sempre gli stessi».

GIANCARLO PAGLIARINI (LEGHISTI)
«Voterò Grillo: anche se sbaglia, non potrà fare peggio di tutti gli altri. A meno che non salti fuori qualcosa di veramente nuovo, come Oscar Giannino. Anche Umberto Ambrosoli, candidato del centrosinistra in Lombardia, non mi dispiace. Ma alcuni amici mi assicurano che nel Movimento 5 stelle ci sono ragazzi perbene e preparati che non hanno mai fatto politica, oltre a professionisti che lavorano. 
Come nella Lega Nord vent’anni fa. Io nel 1990 ero revisore dei conti in una multinazionale, stavo per emigrare in Nuova Zelanda. Mi avvicino alla Lega, e nel giro di quattro anni mi ritrovo ministro del Bilancio. E pensare che per la mia poltrona c’era gente che scalpitava da decenni e avrebbe ucciso la nonna… 
Sono rimasto in Parlamento fino al 2006, poi sono stato uno dei pochi a lasciare la Lega spontaneamente, senza venire espulso da Bossi. Ma nei movimenti di rottura come noi e il M5S sono necessari capi duri: chi fa il civile e l’educato non trova spazi nel monopolio della casta. Bossi era uno che scriveva sui muri e sui ponti. Leggo sempre il blog di Grillo, è fatto bene. Ma senza il federalismo neanche lui andrà da nessuna parte».
Mauro Suttora

Wednesday, July 11, 2012

parla Oscar Giannino

LA RICETTA LIBERISTA DEL CERVELLO DELL'ISTITUTO BRUNO LEONI

di Mauro Suttora

Oggi, 20 giugno 2012

«Lo stato non è padre e neanche padrone: è padrino!» «Vendere subito il patrimonio immobiliare statale per alleggerire debito e tasse!»

Se si googla «Oscar», subito dopo il premio del cinema e Wilde esce lui, con mezzo milione di citazioni: Oscar Fulvio Giannino da Torino. Ogni giorno alle nove del mattino e della sera (in replica) conduce un programma di successo su Radio 24, scagliandosi contro politici, stato e imposte. Lo fa stando in piedi, vestito da dandy come il suo omonimo Wilde.

Ora ha ottenuto un successo: il premier Mario Monti promette massicce dismissioni del patrimonio pubblico. Che lui invocava da mesi: «Avrebbe dovuto farlo il primo giorno di governo, invece di aspettare mezzo anno caricandoci di altre tasse».

Questa sua piccola vittoria personale ha spinto Giuseppe Cruciani, altro conduttore di Radio 24 (La zanzara), a lanciare lo slogan «Oscar for president». Scherzoso ma non troppo. Giannino infatti, che è anche editorialista di Panorama e dei quotidiani di Caltagirone (Messaggero, Mattino, Gazzettino), da vent'anni fa il giornalista: capo dell'economia al Foglio di Giuliano Ferrara e a Libero di Vittorio Feltri. Ma prima era in politica: «Mi sono iscritto al Pri a tredici anni, affascinato da Ugo La Malfa. Poi, con Spadolini, ero segretario dei giovani repubblicani. Quando i giovani facevano politica sul serio: eravamo 15 mila. Infine, portavoce del partito».

Gli altri portavoce si chiamavano Mastella, Martelli, Veltroni, e Giannino li rintuzzava ogni giorno. Con l'eloquio torrenziale ma preciso che oggi esibisce nella radio degli industriali. Dove qualcuno storce il naso: troppo aggressivo contro il governo, troppo estremista, liberista, quasi leghista.

«È una beffa della storia», dice incurante lui, «che dopo vent'anni proprio ora la Lega Nord, messa in ginocchio dal Trota, veda trionfare le proprie tesi sul Financial Times, che prevede un Euro diviso in due: quello attorno alla Germania, cui si aggrega la Padania, e quello mediterraneo per il resto d'Italia».

Giannino è uno dei cervelli più brillanti dell'Istituto Bruno Leoni, think tank libertario ma non berlusconiano. E ogni mattina demolisce quelli che definisce «miti»: «Il primo è che la colpa della crisi sarebbe di Angela Merkel. Ma i tedeschi ci hanno avvisato per anni che non avrebbero mai assunto debiti di altri Paesi. L'hanno scritto perfino nella Costituzione. Loro nel 2002-2006 hanno tagliato di sei punti spesa pubblica e tasse, alzando reddito e produttività. Sacrifici che hanno rafforzato l'export. Da noi nulla, invece. E pensare che il nostro Nordest ha una forza industriale perfino superiore alla loro».

Gli altri miti?
«Stampiamo moneta, dateci una Bce come la Fed statunitense. È una fesseria colossale, finché i mercati restano separati e senza unità politica, o almeno una politica economica comune. A meno che non si voglia un’Europa come l’Impero Romano d’Oriente, con moneta in perenne svalutazione. O come l’Italietta dopo gli anni Sessanta. Mito numero tre: è un complotto della grande finanza mondiale che specula, restituiamo alla politica il potere di battere moneta. È una teoria complottista degna di Giacobbo».

La parola magica è «crescita».
«Sì, ma sostenuta come? Estremisti keynesiani come Krugman propongono un deficit pubblico anche a doppia cifra pur di finanziarla. Ma la ricetta non è applicabile all'Italia, con debito al 120%. Il nostro Stato succhia per sé già troppe risorse. Rispetto a vent’anni fa il nostro prodotto procapite è cresciuto del 9%. Eppure il reddito procapite è sceso del 4%. Dove sono finiti, quei 13 punti che mancano nelle tasche degli italiani? Se li è pappati il signor stato, per pagare una spesa pubblica in perenne crescita, oggi oltre il 60% del Pil legale, cioè di chi le tasse le paga».

Ma l'euro è stato un affare?
«Ecco un altro luogo comune! Certo, da quando c'è l'euro ci siamo impoveriti. Ma la colpa, come ho appena spiegato, è della spesa statale. L’euro ci ha regalato 7 punti di Pil annui di minori interessi sul debito, prima che esplodesse lo spread dall’estate scorsa. Ma questi soldi hanno aumentato la spesa pubblica, invece di creare più investimenti con meno tasse. L’euro non è un bene assoluto: se i mercati restano separati e non funzionano come vasi comunicanti per costi e produttività, l’euro non può e anzi non deve reggere. Ma noi siamo il secondo Paese esportatore manifatturiero del continente, e operare a moneta unificata nel più grande mercato di consumo mondiale - l’Europa è ancora questo, non per molto - è stato un grande vantaggio per moltissime imprese».

Che fare, allora?
«L’Italia deve abbattere il suo mostruoso debito pubblico dismettendo patrimonio pubblico, e non picchiando nelle tasche dei cittadini. Tutto il mattone statale, cioè per cominciare almeno 400 miliardi, 27 punti di pil, va girato a un fondo immobiliare gestito tramite gara da privati, che lo cederanno nei tempi più adeguati al miglior realizzo. Questo fondo potrebbe emettere obbligazioni per una volta e mezzo almeno la stima del patrimonio».

È questa la ricetta per Monti?
«Sono molto deluso dal governo, che pure nel mio piccolo ho contribuito a legittimare di fronte a centinaia di migliaia di ascoltatori ogni giorno, prima della sua nascita e ai suoi primi atti. Non ha toccato la montagna stregata della pubblica amministrazione. Che pena questi “tecnici” che presentano come gran cosa tagliare 4 miliardi su 700 di spesa pubblica, cioè lo 0,57%, quando decine di migliaia di imprese italiane affrontano crisi in cui si taglia anche il 25-30% di costi da un anno all’altro».

Cosa devono fare, invece?
«Abbattere il debito con le cessioni pubbliche, ma nel frattempo tagliare anche la spesa per un equilibrio di entrate a un livello ben più basso di quello immaginato da Monti con la manovra triennale. Risparmiare in tre anni di impegno pancia a terra 6-7 punti di pil di spesa improduttiva, da tradurre a parità di saldi in abbattimenti fiscali per lavoro e impresa. In ballo c’è la sopravvivenza economica dell’impresa e del lavoro italiani. Con uno Stato molto più magro, e perciò costretto a diventare più efficiente».
Mauro Suttora