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Wednesday, October 10, 2007

Mostra di Gauguin a Roma

UN MILIARDARIO CALIFORNIANO ESPONE I GIOIELLI DELLA SUA COLLEZIONE

Santa Monica (Stati Uniti), 10 ottobre 2007

Il miliardario Richard Kelton guarda l’Oceano Pacifico dalla vetrata di casa sua, sul lungomare californiano di Santa Monica. «La vede quella barca attraccata laggiù? È la mia. Con lei ho attraversato questo oceano due volte, e l’Atlantico una dozzina. In tutto, negli ultimi vent’anni, ho navigato per settantamila miglia. E grazie a questa barca mi sono innamorato di Paul Gauguin».

Kelton, 77 anni, è il magnate di una delle maggiori imprese di costruzione d’America: la Bollenbacher & Kelton, fondata da suo padre nel 1937. «Avremo costruito 15 mila fra case e appartamenti, e decine di centri commerciali», racconta.

Negli anni Ottanta ha deciso di mollare un po’ gli affari, lasciandoli al figlio, per dedicarsi al suo hobby: la barca a vela. Regate, ma anche viaggi interminabili in mari perigliosi. «Abbiamo raggiunto isole remote della Polinesia, atolli dove gli aerei non possono atterrare, arcipelaghi come quelli della Società e delle isole Marchesi. Durante una di queste spedizioni, mentre passeggiavo per una strada vicina al porto di Papeete, sono entrato in un negozio di antiquariato. C’era una statua che mi piaceva, l’ho comprata per poche centinaia di dollari. Solo dopo qualche anno e parecchi studi sono giunto alla conclusione che è un lavoro di Gauguin».

A quell’acquisto fortuito ne sono seguiti molti altri. Oggi la Fondazione Kelton possiede la più grande collezione di arte aborigena australiana negli Stati Uniti. Ma, accanto a questa predilezione, Richard Kelton ne ha pure coltivata un’altra: quella per Gauguin, il genio che con Van Gogh e Cézanne traghettò la pittura dal XIX al XX secolo, dall’impressionismo alla modernità. «Ora ho una cinquantina di lavori di Gauguin. Quello che preferisco? Difficile dirlo». Kelton medita a lungo, come se gli avessimo chiesto quale dei suoi figli predilige. Poi si decide: «Le oche in stile giapponese del 1889, un olio su tela. È quello che attualmente campeggia qui, in mezzo alla mia sala».

Non più. Almeno fino al prossimo 3 febbraio. Kelton, infatti, ha deciso di concedere una trentina delle opere del pittore francese in suo possesso alla grande mostra che si apre a Roma sabato 6 ottobre, nelle sale del Vittoriano: Paul Gauguin. Artista di mito e sogno (150 tra oli, disegni, sculture e ceramiche, catalogo Skira). L’aveva fatto solo un’altra volta, due anni fa, prestando alcune opere a un museo danese: «Ma erano solo cinque», precisa. Questa volta, invece, è il meglio dell’intera collezione Kelton a varcare l’Atlantico.

È arrivato anche lui a Roma: ha voluto seguire personalmente il disimballaggio dei preziosi manufatti: quadri, ma anche statue e oggetti, come il Sarcofago della Resurrezione, una cassapanca di mezzo metro intagliata in legno dall’artista nell’inverno 1884, che trascorse a Copenaghen assieme alla moglie danese Mette.

Kelton non è un semplice collezionista. È anche un appassionato d’arte: negli anni ha studiato molto, tanto che ora può permettersi perfino di scrivere saggi su Gauguin. E di recensire quelli dei massimi esperti dell’artista, come The symbolism of Paul Gauguin: Erotica and Exotica di Henri Dorra, pubblicato quest’anno dalla University of California Press. Alcuni li loda, come quello dello svizzero Dario Gamboni che insegna a Ginevra («Il suo Ambiguity and Indeterminacy in Modern Art del 2004 è eccezionale, offre interpretazioni profonde di opere che ci sono familiari»). Altri li castiga: Nancy Mathews, che nel 2001 osò scrivere che Gauguin era violento e picchiava moglie e figli («Scrive per partito preso e senza prove»).

Per il catalogo della mostra (che presenta anche opere di prestigiosi musei come l’Ermitage e la National Gallery), Kelton ha preparato un corposo saggio su Gauguin. La sua tesi è che «ogni minimo particolare della sua opera rifletteva lo stato d’animo del momento.

«Tutto aveva un significato, tanto che in ogni suo lavoro si possono rintracciare simboli che ci fanno risalire ad aspetti della sua vita in quel periodo». E poiché la vita di Gauguin fu turbolenta e infelice, questa interpretazione cozza contro il luogo comune che vede, soprattutto nei dipinti strabordanti di colori del periodo tahitiano, un’immagine di fiabesca e lussuriosa tranquillità esotica.

«Tutt’altro», s’infervora Kelton. «Per esempio, il piccolo sarcofago realizzato per la moglie Mette appartiene a una delle fasi più disperate della sua vita. Il crollo della Borsa di Parigi del 1882 aveva scaraventato il 34enne agente di cambio Gauguin sul lastrico. Improvvisamente, dopo una vita agiata con moglie e cinque figli, perde il lavoro. Cerca di fare di necessità virtù dedicandosi a tempo pieno alla sua vera vocazione, la pittura, ma non riesce a vendere un quadro. La moglie non sopporta le ristrettezze e torna a casa dei suoi in Danimarca. Alla fine, anche lui deve seguirli, sperando di mantenersi a Copenaghen come agente di una ditta parigina, oppure insegnando francese come la moglie, o vendendo i suoi quadri.

«Niente di tutto ciò accade, e anzi l’alta società frequentata da Mette disprezza i suoi modi e vestiti da bohémien. Lei arriva a nasconderlo in soffitta, tanto che Paul si lamenta scrivendo all’amico Camille Pissarro: “Ho esaurito ogni risorsa di coraggio. Solo la pittura mi trattiene dall’impiccarmi”. Ma mentre intaglia il sarcofago il cupo inverno nordico finisce, e così lui associa simbolicamente la resurrezione con il rinnovamento primaverile. Su un fianco riproduce una ballerina di Degas, si ispira al Seneca di Delacroix per la figura all’interno, e la Maria Maddalena, peccatrice perdonata, è il simbolo delle ballerine di Parigi, a quell’epoca considerate più o meno come simpatiche prostitute. Ma in tutta l’opera di Gauguin abbondano i simboli religiosi, retaggio dei suoi cinque anni in seminario a Orléans, prima di imbarcarsi diciassettenne come marinaio».

Potrebbe andare avanti per ore a raccontare minuziosamente la vita del genio Gauguin, dalle sei mostre collettive con gli impressionisti negli anni Ottanta dell’Ottocento, all’amicizia e le liti con Van Gogh, questo miliardario appassionato delle opere che compra. Le isole Marchesi, dove l’artista morì 55enne nel 1903, lui le conosce bene. E ha ripercorso palmo a palmo tutte le vicende dell’autoesilio finale a Tahiti, navigando sulla propria barca. Un gauguiniano perfetto, insomma.

Mauro Suttora