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Friday, November 06, 2020

Caos lockdown e Conte: soluzione 'alla Moro'

Serve una soluzione “alla Moro” prima del dramma

Mattarella sta già supplendo a Conte, debolissimo e in balia dei suoi errori. Un cambio politico è nelle cose, il più è che non sia tardi

intervista a Mauro Suttora

di Federico Ferraù

Il Sussidiario, 6 novembre 2020 

Entra in vigore il nuovo Dpcm Conte, le regioni “rosse” non ci stanno. Non c’entra il colore politico, ma quello epidemiologico, deciso sulla base di criteri ritenuti arbitrari dalle regioni confinate in fascia rossa: Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e Calabria. Qui vigono le restrizioni adottate a livello nazionale (colore giallo) con l’aggiunta di misure più drastiche. Il risultato è un lockdown molto simile a quello di marzo-aprile.

I governatori colpiti criticano i criteri del Cts. “Informazioni vecchie di dieci giorni che non tengono conto dell’attuale situazione epidemiologica”, accusa Fontana (Lombardia); “il governo spieghi la logica di misure diverse per situazioni simili”, ha ribadito Cirio (Piemonte). Ieri la Calabria ha annunciato un ricorso. Intanto i nuovi contagi sono 34.505, i decessi in un giorno 445 (139 in Lombardia), +1.140 (5,2%) i ricoverati con sintomi, +4.961 (1,6%) i dimessi/guariti, +99 (4,3%) le terapie intensive per un totale di 2.391 posti occupati.

Per Mauro Suttora, giornalista, già corrispondente all’estero per varie testate, è Mattarella ad avere salvato Conte e il governo. 

Il presidente del Consiglio è politicamente in terapia intensiva, con il Pd – che manca di coraggio – a controllare il rubinetto dell’ossigeno. Un cambio politico è nelle cose, occorre solo sperare che non sia troppo tardi.

Come mai il governo ha deciso un lockdown basandosi su dati vecchi, risalenti al 25 ottobre? Le regioni protestano.

Si tratta di una montagna di dati che vengono ricondotti a 21 indicatori, dei quali la maggioranza sono stati tenuti segreti fino a due giorni fa. Questa è la prima vera anomalia. Ricolfi chiede da mesi sul Messaggero che siano resi pubblici, non è l’unico, ma il governo ha sempre fatto orecchie da mercante.

Perché?

Non lo sappiamo. Disaggregati, darebbero indicazioni utili, a livello comunale e anche a livello di quartiere per le grandi aree metropolitane.

Ma nessuno protesta.

È una querelle rimasta confinata a livello specialistico. Resta il fatto che in questo modo non sono possibili analisi indipendenti.

I dati, ha detto Conte, sono in possesso delle regioni, che li trasmettono al Cts. Ieri lo ha ripetuto anche Brusaferro in conferenza stampa.

È una presa in giro, perché ogni regione conosce sì i suoi dati, ma non quelli delle altre regioni. Io, lombardo, voglio conoscere tutti i dati che confluiscono nei 21 indicatori ma non posso. Perché? Nessuno finora è riuscito a spiegare sui giornali come si calcola l’Rt. 

Qual è l’Rt ce lo dice il Cts.

Appunto. Dopodiché, sulla base di quei dati, qualcuno chiude l’economia e rovina la vita alla gente.

Oltre alla mancanza di trasparenza, ci sono altri fattori a motivare il ritardo?

Probabilmente sì e sono tutti motivi politici. Se i dati per decidere le zone rosse fossero quelli di oggi, al governo dovrebbero ricominciare il balletto dei tavoli e delle liti, con la Bellanova che vuole tutto aperto e Speranza che invece vuole tutto chiuso.

Come può essere gialla una regione come la Campania?

Dal governo ti risponderebbero che lo è perché De Luca ha già chiuso le scuole, come ha fatto Emiliano in Puglia. Ma allora vuol dire che De Luca, domani, avrebbe, se volesse, la facoltà di riaprirle?

C’è un criterio politico nell’individuazione delle zone rosse?

È evidente che la disparità tra Lombardia e Campania è sconcertante, non tanto nel numero delle infezioni, che sono pur sempre in relazione al numero dei tamponi; ragioniamo piuttosto in termini di ricoveri, terapie intensive e decessi, che sono dati oggettivi.

La tua morale qual è?

Che se dichiari rossa la Lombardia non puoi non dichiarare rossa anche la Campania, che è da un mese in condizioni gravi.

Secondo te nella classificazione possono aver pesato anche le proteste di piazza?

Io credo di sì. Forse è uno dei fattori che non ci dicono… il 22esimo potrebbe essere il fattore C come “camorra”. Il dato politico è che Conte ha fatto il suo tempo. Sta governando Mattarella. È stato lui a fare la riunione con i presidenti delle regioni. 

Come va letto questo passaggio, rimasto per ovvie ragioni ai margini della cronaca politica?

Mattarella è intervenuto a sostenere Conte quando ha capito che da solo non ce l’avrebbe fatta. È stato lui a parlare con Bonaccini e Toti. Oggi (ieri, ndr) ci sono stati 445 morti; dopo l’inchiesta sulla mancata zona rossa di Bergamo, Conte potrebbe dover tornare in procura anche per il secondo lockdown mancato.

Palazzo Chigi è apparso in stato confusionale. Quanto può durare questa situazione?

Conte è in terapia intensiva, ma la manopola dell’ossigeno è nelle mani del Pd. Non hanno il coraggio di trovare l’accordo con Mattarella su un altro nome Pd da mettere come premier.

Chi blocca tutto?

Goffredo Bettini, attraverso Zingaretti. Gli piace sentirsi Richelieu, ha deciso che Conte è un specie di Churchill e che i 5 Stelle sono la nuova anima della sinistra, come fino a qualche mese fa lo erano le sardine. Chi se le ricorda più? Dopo le prossime elezioni diremo: chi si ricorda più del M5s? Per adesso sono ancora il non plus ultra, per Bettini.

Si arriverà ad un governo di unità nazionale?

Forse. È da mesi che ci stupiamo di come il Conte 2 sia ancora in piedi. Più prevediamo scenari alternativi, più rimane al suo posto. L’occasione, strettamente parlando, potrebbe essere accidentale, un incidente d’aula.

Non è anche e soprattutto Mattarella a sostenere Conte?

Certo. È ovvio che non si può andare al voto adesso. La strada maestra sarebbe coinvolgere l’opposizione: Mattarella lo ha invitato più volte a farlo. Conte, però, non lo ha preso sul serio.

Sarà la pandemia a imporre un cambio politico?

Dobbiamo augurarci che non ci si arrivi quando i numeri saranno ancora più drammatici, o quando il disastro economico si abbatterà sul paese.

Il come non è un dettaglio.

Una strada, volendo, si trova sempre. Nel 1978, durante il sequestro Moro, il governo venne esautorato. Ogni sera si riunivano Andreotti, presidente del Consiglio, Galloni per la Dc, Pecchioli per il Pci e pochi altri a decidere tutto quello che c’era da decidere.

Federico Ferraù

Monday, January 10, 2011

150 anni di Italia

LA SFIDA DELL'UNITÀ

Cosa ci unisce,cosa ci divide

Iniziano le celebrazioni: sette esperti ci raccontano il paese

Festeggeremo il secolo e mezzo di unificazione con federalismo fiscale e spinte separatiste. Ma davvero gli italiani non sono mai stati fatti?

di Marianna Aprile e Mauro Suttora

Oggi, 12 gennaio 2011

Centocinquanta e non sentirli. A un secolo e mezzo dall'unificazione nazionale, e alla vigilia delle celebrazioni che scandiranno il 2011, ci guardiamo attorno e ci chiediamo se, fatta l'Italia, siano poi davvero arrivati anche gli italiani. Non abbiamo mai brillato per patriottismo, anzi, siamo tradizionalmente i primi a inchiodarci alle nostre mancanze. E la politica non aiuta: saluta la ricorrenza accelerando l' attuazione del federalismo fiscale. Che significherà meno soldi per le città del centro-sud: L'Aquila, per esempio, registrerebbe un -66% rispetto al 2010, Napoli -60.

Ironia del destino, i due centri cui il governo di Silvio Berlusconi ha spesso legato le sue sorti negli ultimi due anni. Ci guadagnerebbero - e tanto - Parma (+105%), Padova (+76) e Treviso (+58). A Milano gli introiti crescerebbero del 34%. Insomma, il divario tra Nord e Sud è destinato a crescere, l' antimeridionalismo trova sempre più spazio sui giornali, e anche l' identità nazionale non si sente tanto bene. O no?

«Ci divide la crisi economica, che ci rende meno tolleranti verso gli sprechi e i trasferimenti di danaro da una parte all' altra del Paese: se a Torino non ho l' asilo pubblico, non posso accettare che si investano altri soldi nella Salerno-Reggio Calabria», dice Massimo Gramellini , vicedirettore de La Stampa e autore, con Carlo Fruttero, di La Patria, bene o male . Gramellini però non crede alla divisione tra Nord e Sud: «Piuttosto siamo ostili a Roma, vista come centro degli sprechi. In fondo, l' Italia è la somma di più capitali. Se abbiamo così tante città d' arte è proprio perché i centri di potere erano molti e ogni signore investiva sul suo territorio. Dovremmo valorizzare quelle storie, invece che comprimerle: recuperarle può aiutare a riscoprire il senso delle istituzioni».

Ma il federalismo non aumenterà la distanza? «Con le giuste contromisure, il federalismo può invece avere una funzione anti-disgregante. È giusto che i soldi vengano spesi là dove sono prodotti. Ma non a scapito del senso di solidarietà, che però deve passare da una pretesa di standard di efficienza, che ridia responsabilità ai centri di spesa».

Sul federalismo e sulle sue conseguenze si può essere o meno d' accordo. Cos' è invece che ci unirà nonostante tutto? «Il contropiede. Come diceva Gianni Brera, l'italiano vince tutte le sue battaglie in contropiede: dal Piave al Bernabeu del Mondiale 1982, noi non abbiamo mai attaccato, perché siamo privi di disciplina. Però siamo furbi, e alla bisogna partiamo in contropiede. Questo unisce il torinese al napoletano. A scacchi saremmo il cavallo: imprevedibile e pieno di risorse».

Gianluigi Nuzzi ha scritto Metastasi, oltre 50 mila copie in tre settimane, in cui attraverso le parole del pentito Giuseppe Di Bella traccia un quadro desolante della diffusione della 'ndrangheta al nord. Nuzzi, a unire l' Italia è il malaffare? «A guardare la ragnatela di affari della ' ndrangheta in tutto il Paese viene fuori un' altra Italia, meno legata alla suddivisione tradizionale nord-sud. Ma a legare italianità e 'ndrangheta sono altri aspetti».

E inizia l'elenco: «La 'ndrangheta ha la doppia velocità tipica del nostro Paese. Da un lato la ricerca di metodi sempre più tecnologici per il riciclaggio, dall' altra un attaccamento morboso alle tradizioni e a una certa ritualità. E poi c' è quell' osannare in pubblico le regole, in particolare i legami di famiglia, una celebrazione cui corrispondono comportamenti privati non altrettanto rispettosi». Insomma, gli 'ndranghetisti sono arci-italiani? «Hanno la tendenza a una contrapposizione nettissima tra "noi" e "loro", un innato senso di superiorità, quello sì molto italiano».

«Certo, la mafia unisce l' Italia», dice Pino Aprile, autore di Terroni, terzo saggio più venduto del 2010. «Nel senso che versa i suoi soldi al Nord, mentre nel Sud si versa il sangue delle sue vittime. Tutte meridionali, tranne il generale Dalla Chiesa e l'avvocato Ambrosoli che la propria città, Milano, lasciò uccidere perché la sua onestà bloccava gli affari...».

Il successo di Terroni è parallelo a quello di un altro libro, Il sacco del Nord, scritto dal professore universitario Luca Ricolfi e diventato il vangelo della Lega Nord, nonostante il suo autore sia di sinistra.

Su un punto però Aprile e Ricolfi concordano: 150 anni fa, all' unificazione, il Sud non era sottosviluppato rispetto al Nord. Il divario produttivo si è creato dopo. «Poi, dal 1950 al '75 il Sud aveva diminuito la distanza, ma da allora le cose sono di nuovo peggiorate», spiega Ricolfi. Due i fattori del recupero: il boom economico e la Cassa per il Mezzogiorno. Grandi speranze: l'Alfasud, le autostrade... «Poi però l'industrializzazione ha attecchito poco, e ora il Nord ogni anno deve trasferire circa 50 miliardi al Sud».

Sono i 50 miliardi che fanno imbestialire i leghisti.
«Ma attenti: anche gli elettori di Pd e Pdl al nord condividono la rabbia per gli sprechi», avverte Ricolfi. A peggiorare le cose, l'aumento delle tasse: «Nel 1980 erano al 30 per cento, oggi siamo al 43. Ma, calcolando gli evasori, chi paga le imposte deve versare quasi il 60 per cento».

Per questo, nel 1987 la Lega ha mandato i primi parlamentari a Roma. «Ma fra le regioni sprecone non ci sono solo quelle del Sud», avverte Ricolfi. «La Liguria, per esempio, è a i primi posti per evasione e inefficienza. L'Umbria è prima per assistenzialismo. E anche le regioni autonome del Nord Val d'Aosta, Trentino-Alto Adige e Friuli incassano più di quel che pagano in tasse. Viceversa, al Sud bisogna distinguere fra le regioni con la piaga mafiosa - Sicilia, Calabria, Campania - e le altre, che stanno meglio».

Ci salverà la cultura

Tra i casi che hanno caratterizzato questo 2010 appena terminato c'è senza dubbio quello di Benvenuti al Sud, il film di Luca Miniero con Claudio Bisio protagonista, che ha incassato 30 milioni di euro al botteghino.
Miniero è un napoletano vissuto a Milano ed è fermamente convinto di una cosa: «Tra settentrionali e meridionali le affinità sono più delle discrepanze. La rappresentazione degli italiani come un popolo diviso è un affare tutto politico, e molto strumentale. Certo, il nostro patriottismo è diverso da quello, per esempio, dei francesi: abbiamo un' identità più sfaccettata. Ma il vero problema sono i pregiudizi, anche se non credo che l'antimeridionalismo sia davvero diffuso come ci viene raccontato».

Dopo aver girato tutta l'Italia dietro al suo film, Miniero non ha dubbi: «Ci uniscono senso dell' umorismo e la solidarietà nelle catastrofi, quel sentimento nazionale che quando succede qualcosa fa muovere italiani da tutto il Paese per aiutare». Quindi l'italiano si vede nel momento del bisogno? «E davanti alla nazionale di calcio. Il problema è che con la crisi si accentuano gli egoismi».

Anche a Sud, però. Basti pensare alle spinte autonomiste dei siciliani Raffaele Lombardo e Gianfranco Miccichè: «Ci sono sempre state, e sono sempre state un po' ridicole. Il vero problema è che dovremmo smettere di piangerci addosso, e cercare di far evolvere il nostro orgoglio provinciale in orgoglio nazionale. Dovremmo imparare a guardarci con gli occhi degli stranieri».

Più pessimista è Renzo Arbore, mattatore dell'Orchestra Italiana, con la quale fa sold out in tutta italia e in tutto il mondo: «Sono un curioso degli italiani ma devo amaramente dividerli in due categorie, gli italiani "sì" e gli italiani "no". I primi hanno fame di cultura, conoscono le bellezze di questo fantastico Paese e sanno valorizzarle. Pensate alla rivalutazione dei borghi, dalle Alpi a Santa Maria di Leuca. I secondi sono macroscopiche eccezioni rispetto ai primi, ma egregiamente rappresentate, e foraggiate, dalla tv dei reality, dei toni esasperati e del gossip. La tv è il nostro dittatore, perennemente all' inseguimento del cattivo gusto».

Un cattivo gusto che cozza con l' essenza profonda dell' italiano: «Siamo un Paese benedetto da Dio, un po' meno dagli italiani. La chiave di volta può essere una sempre maggiore consapevolezza culturale. Dove manca la cultura, per colpa della miseria, della disoccupazione o di altro, l' Italia è ancora da fare».

Già, ma come? «Sono abbastanza vecchio da aver vissuto fascismo, antifascismo, il boom , lo sboom , la crisi. E mi sento di poter dire che una nuova stagione si sta affacciando, un nuovo rinascimento che richiederà uomini all' altezza, figli di una generazione che ha girato il mondo e che torna in Italia con la consapevolezza di esser nata nel posto più bello del mondo».

La soluzione, quindi, arriverà dai giovani che ora fuggono all'estero? «I talenti fuggono perché la politica e le sue politiche non sono alla loro altezza. Da noi le eccellenze vengono ignorate: il jazz italiano è migliore di quello americano, la musica popolare italiana è la più varia e poliedrica del mondo. Poi ci sono la moda, la gastronomia. Noi siamo il simbolo del gusto, e all' estero ci percepiscono così».

Sembra di intravvedere un "però"... «Il pessimo senso civico di alcuni, la maleducazione, il degrado di certe zone del Sud, che indigna me per primo e che declassa agli occhi degli stranieri anche città virtuose come Torino e Venezia».

Anche Vittorio Sgarbi, che ha appena scritto Viaggio sentimentale nell'Italia dei desideri (Bompiani), punta su arte e cultura come motivo di orgoglio unificante: «Siamo uniti dalla bellezza. Gli stranieri vengono in Italia per Taormina e Capri, Ischia e Costa Smeralda. Non per Cinisello o Valdobbiadene. Nonostante tutte le catastrofi estetiche combinate dai geometri negli ultimi 50 anni, Gore Vidal prende casa a Ravello, e lì Oscar Niemeyer costruisce l'auditorium. E tutto questo ha un grande ritorno economico. Il turismo del borgo, il lusso dell'albergo diffuso a Santo Stefano di Sessanio negli Abruzzi. Perfino casa mia, il palazzo Cavallini Sgarbi di Ferrara, sta per diventare un'attrazione: fu l'abitazione di Ludovico Ariosto, e la apriremo al pubblico in gennaio».

Ricapitolando: il gusto, la solidarietà, la cultura e l'arte (soprattutto quella di sfangarla in zona Cesarini) ci rendono tutti italiani nonostante le divisioni politiche, economiche e ideologiche. Come dire che aveva ragione ancora una volta Giorgio Gaber: «Noi non ci sentiamo italiani, ma per fortuna o purtroppo lo siamo».

Marianna Aprile e Mauro Suttora