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Wednesday, October 19, 2022

Berlusconi e Putin, amici machi



Si sono piaciuti subito, dal primo incontro al G8 di Genova. Da allora Berlusconi offriva Tony Renis, il Bagaglino o il famoso lettone di palazzo Grazioli, Putin ricambiava con tornei di judo e lotta con Van Damme, partite di hockey su ghiaccio, spettacoli di cosacchi, battute di caccia e pesca quasi artica e un cuore di cervo

di Mauro Suttora

Huffpost, 19 ottobre 2022 

Le venti bottiglie di lambrusco spedite da Silvio Berlusconi a Vladimir Putin per il suo 70esimo compleanno, il 7 ottobre, ricambiando le venti di vodka arrivate ad Arcore la settimana prima per l'86esimo dell'ex premier, non sono il regalo più originale della loro 'bromance' (brotherly romance, amore fraterno). 

Il massimo della stravaganza fu raggiunto nel 2017, quando Berlusconi gli portò a Sochi un copripiumino matrimoniale con la foto gigante di loro due che si stringono la mano, con sfondo di Colosseo e Cremlino. Lo confezionò Michele Cascavilla, proprietario del marchio Lenzuolissimi e autore del libro 'Le lenzuola del potere', prefazione di Silvio.

Soltanto il Covid è riuscito a interrompere la simpatica consuetudine annuale dei viaggi d'ottobre in Russia. Sono continuati anche dopo il 2011, quando Berlusconi perse palazzo Chigi, e dopo il 2013, quando l'ex premier fu estromesso anche dal Senato. 

Nel 2019, ultimo anno pre-virus, l'inossidabile coppia si è incontrata due volte: a giugno infatti Putin, invitato a Roma dal governo gialloverde di Conte, non rinunciò a vedere Silvio. Il quale, sostengono i maligni, chiese a Vladimir (Volodia) di non finanziare grillini e leghisti. Non per i soldi, ovviamente, che a Forza Italia non mancano. Era gelosia pura. 

Ma l'unico che può confermare questo veleno è Valentino Valentini, il Savoini forzista: da sempre pronube della coppia visto che mastica il russo, ma attualmente amareggiato dalla trombatura del 25 settembre dopo quattro legislature da deputato. 

I due amici machi si sono piaciuti subito. Il primo incontro avvenne al G8 di Genova del 2001. Si guardarono dritti negli occhi, e per una volta fu facile: Berlusconi ha solo quattro centimetri in meno del metro e 69 di Putin. Ma quel vertice fu rovinato dai no global, Silvio aveva ben altro cui pensare. La scintilla era comunque scoccata, e nel successivo anno e mezzo i due si videro per ben otto volte. Senza contare le vacanze estive delle due figlie di Putin a villa Certosa del 2002. 

Il 28 maggio di quell'anno rimane una data incisa nel cuore di Berlusconi. Lui la considera l'apice delle sue imprese politiche. Al vertice Nato di Pratica di Mare (fra Pomezia e Capocotta) riuscì quasi a far entrare la Russia nell'Alleanza atlantica. Erano i mesi dopo lo choc delle Torri Gemelle: la minaccia islamista fece chiudere gli occhi (non solo al nostro premier) sulle porcherie che andava combinando Putin in Cecenia. Tutto sommato l'idea di associare Mosca all'Occidente non era male. Ma come sempre Berlusconi ingigantisce tutto: "Quel giorno feci finire io cinquant'anni di guerra fredda". 

Freddo faceva sicuramente nel febbraio successivo: 30 gradi sotto zero a Zavidovo, parco dove il presidente russo regalò al nostro il famoso colbacco fuori misura, tipo cacciatore, con buffi paraorecchie di pelliccia. Poi gli propose di cenare fuori, nel bosco. Lo sventurato virilmente accettò.

Berlusconi ricambiò nella calda e favolosa estate 2003, quella della bandana. Ricevette Volodia a Porto Rotondo, celebrò l'occasione piantando un po' di cactus nuovi: "Ne ho quattrocento specie". Poi Bocelli cantò 'Tu ca' nun chiagne', e infine tutti in coro intonarono Oci Ciorne. Avevano mangiato e bevuto. Menu: antipasto di mare, tortelloni di ricotta, lasagne vegetariane, porceddu alla brace, dolci sardi. 

Putin si era portato in Costa Smeralda una scorta discreta: l'incrociatore lanciamissili Moskva (quello affondato dagli ucraini), il cacciatorpediniere Smetlivy e la nave appoggio Bubnov. Ma alla conferenza stampa la coppia si presentò come Stanlio e Ollio: su un traballante caddy car, la macchinina da golf guidata da Silvio. Poi una passeggiata a Porto Cervo, dove Berlusconi regalò a Putin piatti policromi e gioielli d'oro. Assieme guardarono Milan-Porto, finale Supercoppa. Pacche sulle spalle, fuochi d'artificio.

Più maschie le cene in Russia. Volodia infliggeva a Silvio storione in gelatina, insalata di urogallo, tagliolini in brodo di funghi, pesantissimi brasati misti. Conoscendo i suoi gusti, Berlusconi gli regalò un fucile Beretta con dedica incisa. Di tutti questi scambi restano irresistibili foto su google. 

Nel 2010 Silvio inaugurò quella che avrebbe dovuto essere la sua "università liberale" di villa Gernetto a Lesmo (Monza Brianza) con un vertice italo-russo. Allora Putin era 'solo' premier. Però regalò sette milioni per ricostruire un palazzo e una chiesa dopo il terremoto dell'Aquila. 

Ma i tempi stavano cambiando, negli Usa era arrivato Barack Obama "l'abbronzato" dopo otto anni dell'amico Bush. La Russia aveva attaccato la Georgia. Un wikileak di Julian Assange rivelò che il festoso rapporto Silvio-Volodia preoccupava gli americani: "Berlusconi sembra essere il portavoce di Putin in Europa". I contratti Eni-Gazprom si rivelavano un po' troppo redditizi. 

Ma che importava? Se nei loro privatissimi vertici Berlusconi offriva Tony Renis, il Bagaglino o il famoso lettone di palazzo Grazioli a Roma, l'altro ricambiava a colpi di tornei di judo e lotta con Jean-Claude Van Damme a Mosca, partite di hockey su ghiaccio, gare di slalom, spettacoli di cosacchi, voli su aerei antincendio e battute di caccia e pesca quasi artica. 

La prova d'amore definitiva arrivò una sera, in dacia. Neve dappertutto. "Andiamo Silvio, solo io e te. Niente accompagnatori". Avvertirono un'ombra, Volodia sparò. Aveva abbattuto un cervo. Prese un coltello, estrasse il cuore ancora caldo e lo porse all'ospite come gesto supremo. 

Nel 2013 Putin difende Silvio: "Lo attaccano per le donne? Se fosse gay nessuno lo toccherebbe. L'Europa si indebolisce con le nozze omosex". Berlusconi, ormai privato cittadino, ricambia avventurandosi in Crimea nel 2015, dopo l'invasione russa: "Andiamo in giro senza scorta, tutti gli vogliono bene". 

Adesso accusano Silvio di parlare fuori controllo, a ruota libera, senza freni? Ma per due decenni lui ha difeso Putin da qualsiasi accusa: diritti civili, omicidio Politkovskaya, affari Yukos: "Lo diffamano i comunisti, proprio come me". "È un dono del signore". "È il numero uno, come un fratello". Certo, ora la guerra d'Ucraina. Delusione. Ma la loro relazione resta dolcissima, innaffiata col lambrusco.

Wednesday, June 08, 2011

Il triangolo del potere mondiale

GOOGLE, APPLE, YAHOO, FACEBOOK, SKYPE, LINKEDIN: LE MULTINAZIONALI DELL'ERA DIGITALE HANNO TUTTE SEDE IN UN TRIANGOLO DI SOLI 9 KM NELLA SILICON VALLEY

San Francisco (Stati Uniti), 1 giugno 2011

di Mauro Suttora

Mai nella storia era successo che tanto potere fosse concentrato in così poco spazio. All’interno di un triangolo californiano di soli nove chilometri hanno le loro sedi tutti i giganti mondiali dell’era digitale: la Apple con i suoi i-pod, iphone e i-pad, Yahoo e Google con i motori di ricerca, i social network Facebook e Linkedin, i videotelefoni Skype.

Siamo nella Silicon Valley, cuore già dagli anni 70 di tutto ciò ha a che fare col silicio. Cioè la materia base dei chip, anima dei computer. La Hewlett-Packard nacque a Stanford 70 anni fa. L’omonima università di Palo Alto ha sfornato decine di premi Nobel, e il suo «science park» è l’humus di molte aziende informatiche: Intel, Sun, Oracle. Pochi chilometri a nord, a San Francisco, ci sono Twitter e Wikipedia. E un po’ più a sud, a San Josè, ecco Cisco, Adobe, E-bay.

Insomma, chiunque apra un computer oggi nel mondo usa qualcosa che viene da questo piccolo «triangolo». Un tale dominio planetario non si era mai verificato. L’antica Roma non andò mai oltre la Persia. Londra e Parigi avevano imperi coloniali, ma in contrasto fra loro. E neanche la New York del XX secolo americano era riuscita a sottomettere potenze come Russia o Cina. Ora invece i giovani russi, cinesi o arabi si scambiano video su Youtube e organizzano rivoluzioni con Facebook. Tanto che il capo di Wikileaks Julian Assange accusa, un po’ paranoico: «Gli Stati Uniti controllano il mondo con i social network».

È incredibile anche la durata del fenomeno Silicon Valley, oltre che la sua concentrazione geografica. Nel 1976 Steve Jobs fonda la Apple a Cupertino: i suoi computer Macintosh sono più moderni di quelli della newyorkese Ibm. Negli anni 80 la Microsoft di Bill Gates domina nel software (programmi), ma Seattle sta comunque nella West Coast. E nel decennio successivo il «triangolo» californiano si prende la rivincita con i motori di ricerca: nel 1995 Yahoo, tre anni dopo Google.

Ma è con il nuovo millennio che riesplode la Silicon Valley: Skype nel 2002, l’anno dopo Linkedin, nel 2004 Facebook. Il ritmo si fa vorticoso: il primo social network My Space, acquistato a peso d’oro dal magnate Rupert Murdoch, in soli due anni è sorpassato da Facebook, che oggi connette istantaneamente 600 milioni di persone in tutto il mondo.

Anche l’inventiva di Jobs è insuperabile: nel 2001 l’i-pod che distrugge l’intera industria discografica; poi l’i-phone, che fa subito sembrare vecchio il blackberry; infine l’i-pad, che un giorno potrebbe sostituire anche il giornale che state leggendo in questo momento. La Apple decuplica il giro d’affari: oggi vale in Borsa 300 miliardi di dollari, ma qualcuno già scommette che arriverà presto a mille...

Facebook è l’unica società nata a Boston, e non in California. Ma Mark Zuckerberg è presto costretto a trasferirla a Palo Alto: anche lui nel «triangolo», perché qui si fa la storia, circolano le idee, nascono i prodotti.
Fra questi viali alberati si combattono anche guerre all’ultimo sangue, con ingegneri che le società si strappano a suon di milioni di dollari. Perché in palio ci sono i miliardi della «New Economy»: Linkedin, ultima quotata, ha subito raggiunto in Borsa nove miliardi, nonostante fatturi solo 200 milioni. Skype è stata comprata da Microsoft per più di otto miliardi: 17 volte i suoi ricavi. E Facebook, se si quotasse, varrebbe 50 miliardi.

Mauro Suttora

Wednesday, February 09, 2011

Assange come Vanunu?

La tremenda condanna che ha colpito il pacifista Mordechai Vanunu: 18 anni in carcere (11 in isolamento totale) per spionaggio. Aveva rivelato un segreto di Pulcinella: che Israele ha la bomba atomica

di Mauro Suttora

Oggi, 9 febbraio 2011

Altro che buona condotta e sconti di pena: non gli hanno abbuonato neanche un giorno di prigione. E lo hanno tenuto per ben 11 anni in isolamento. È questa la sorte capitata a Mordechai Vanunu, il pacifista oggi 56enne antesignano di Assange che 25 anni fa osò rivelare un segreto di Pulcinella: il possesso della bomba atomica da parte di Israele. Tutti lo sapevano, ma lui poté portare le prove perché di professione faceva il tecnico nucleare e lavorava nella centrale di Dimona.

Vanunu fu sequestrato nel 1986 da un commando del Mossad, i servizi segreti israeliani, con un'operazione segreta mentre si trovava a Roma, dove aveva seguito una bellissima ragazza che si rivelò un'agente segreto. Processato e condannato per alto tradimento, Vanunu ha scontato tutti i suoi 18 anni. È stato liberato nel 2004, ma ancora adesso non può lasciare Israele, non può parlare con cittadini stranieri, non può possedere né usare computer e telefoni cellulari, e se osa avvicinarsi a qualche ambasciata estera viene arrestato di nuovo. Amnesty International lo considera un perseguitato politico.

Gli Stati Uniti vorrebbero applicare ad Assange lo stesso trattamento riservato da Israele a Vanunu: processarlo per alto tradimento e rivelazione di segreti di Stato. Ma questo sembra giuridicamente impossibile, per due motivi: il capo di Wikileaks è cittadino australiano, quindi non ha obblighi particolari di lealtà verso gli Stati Uniti; e la costituzione americana tutela la libertà di parola e di stampa più della riservatezza statale. Quindi pare infondato il timore di Assange di venire estradato prima in Svezia (per una strana accusa di molestie sessuali da parte di due sue ex amanti consenzienti), poi negli Stati Uniti, dove rischierebbe molto di più.

Assange aspetta il verdetto

Julian agli arresti domiciliari in inghilterra attende la sentenza sull'estradizione

Ha fatto tremare il mondo con le sue rivelazioni on line. Il dittatore della Tunisia è caduto anche grazie a lui. Ma ora il capo di Wikileaks teme un processo in Svezia. E intanto...

di Mauro Suttora

Oggi, 5 febbraio 2011

Il 7 febbraio il tribunale di Londra decide se estradare Julian Assange in Svezia. Il capo del sito Internet che rivela i segreti di Stato è accusato di molestie sessuali da due sue ex ammiratrici di Stoccolma, che lo hanno denunciato nonostante fossero andate volontariamente a letto con lui.

Dopo aver assaggiato il carcere di sua maestà, mister Wikileaks si trova da due mesi agli arresti domiciliari nella campagna inglese. Lo ospita nella propria tenuta di campagna un suo ricco fan, che lo aveva nascosto quando Assange era ricercato dalle polizie di mezzo mondo. Ora il turbolento Julian, come si vede da queste foto, ha molto tempo a disposizione. Che impiega anche dando da mangiare alle galline nel pollaio, e rispondendo alle cartoline di auguri che gli arrivano dagli ammiratori. Niente di più lontano dall' immagine dell'hacker, del pirata supertecnologico circondato da fili e computer, che si era costruito finora.

Intanto, la guerra continua. Wikileaks, infatti, è stata colpita dalle società che raccoglievano le donazioni per finanziarla: su richiesta del governo statunitense, Visa, MasterCard, Paypal e Amazon hanno bloccato i flussi di denaro. Subito è scattata la vendetta degli hacker. Cinque di loro, giovanissimi (dai 15 ai 26 anni), sono stati arrestati in Gran Bretagna pochi giorni fa per una serie di attacchi informatici contro i siti «traditori». Sono accusati di appartenere al cyber-commando Anonymous, che ha compiuto assalti on line da diversi computer contemporaneamente, diffondendo un virus. Hanno bloccato anche il sito del governo svedese, colpevole di volere l'estradizione di Assange. Ora rischiano una condanna fino a 10 anni di carcere e 6 mila euro di multa. E il mese scorso anche in Olanda sono stati arrestati due adolescenti con accuse analoghe.

Intanto, le rivelazioni di Wikileaks hanno prodotto i primi effetti concreti. La rivolta popolare che ha cacciato il dittatore tunisino Ben Ali è stata provocata anche dalla diffusione delle frasi crude che l'ambasciatore americano a Tunisi aveva usato nel telex segreto di un suo rapporto a Washington: «Qui la famiglia del presidente è come una mafia, ruba e si appropria di tutto».

Sono tanti i governi, compreso quello italiano, messi in imbarazzo dalla pubblicazione di tutta la corrispondenza diplomatica riservata degli Usa. Perfino le «feste selvagge» di Silvio Berlusconi non sono sfuggite ai diplomatici americani, i quali ne avevano scrupolosamente riferito al Dipartimento di Stato (il loro ministero degli Esteri).

Denudata la diplomazia confidenziale del mondo intero grazie all'aiuto del soldatino ventenne americano Bradley Manning (che gli ha passato i documenti e ora rischia decine di anni di carcere per alto tradimento), Assange ha compiuto la sua mossa più intelligente. Ha offerto tutto lo scottante materiale ai giornali più prestigiosi del mondo( New York Times, Guardian, Spiegel, Le Monde, El Pais), rendendoli di fatto suoi complici.

Adesso il direttore del New York Times, Bill Keller, ha svelato i retroscena del suo rapporto con Assange. Mesi di lavoro segreto, i dubbi su cosa pubblicare e cosa no, le proteste dei lettori, alcuni dei quali contrariati dalle rivelazioni di documenti top secret. «Dall'odore, sembrava che non si fosse lavato da giorni», ha raccontato il direttore del New York Times. Poi la sua trasformazione in una celebrity che si comporta da grande seduttore e si descrive come il «grande burattinaio» della stampa. Keller rivela che Richard Holbrooke, il compianto plenipotenziario Usa in Iraq e Afghanistan morto da poco, a una festa gli aveva sussurrato che le indiscrezioni che il giornale stava per pubblicare avrebbero reso quasi impossibile il suo lavoro. Ma gli fece anche capire di comprendere le ragioni della stampa libera.

E ora le banche svizzere

Per Keller, Assange è «un Peter Pan imbevuto di teorie cospirative, arrogante, diffidente fino alla paranoia, ideologicamente motivato dal desiderio di colpire gli Usa. Somiglia a un personaggio dei thriller di Stieg Larsson». Adesso Assange minaccia di rivelare i segreti delle banche svizzere, con i nomi di tutti i miliardari evasori fiscali del mondo. Dice di possedere documenti segreti contro Rupert Murdoch, il magnate delle tv Sky e Fox. Presto Hollywood farà un film su di lui. Sarà la sua consacrazione definitiva.

Mauro Suttora

Wednesday, December 22, 2010

La guerra mondiale di Wikileaks

Ecco perché i corsari informatici sono forti e imprendibili

di Mauro Suttora

Oggi, 15 dicembre

È scoppiata la terza guerra mondiale e non ce ne siamo accorti? Da quando, il 28 novembre, Wikileaks ha cominciato a svelare i 251 mila cablogrammi segreti inviati negli ultimi anni dai diplomatici degli Stati Uniti in tutto il mondo, ogni giorno scoppia un putiferio. Perché, molto furbamente, i seguaci di Julian Assange hanno deciso di centellinare le rivelazioni. L’ultima, che ha provocato grande costernazione in Vaticano, riguarda il segretario di Stato Tarcisio Bertone, numero due del Papa, definito «inadeguato» dai diplomatici americani. Ma molti altri imbarazzanti segreti verranno alla luce nelle prossime settimane: basti dire che finora sono stati pubblicati appena 1.340 documenti sul quarto di milione in possesso dei pirati informatici.

“Pericolosi come Osama”

Ma come funziona Wikileaks? E chi c’è dietro a questi «guerrieri della trasparenza» che il ministro degli Esteri Franco Frattini ha definito «pericolosi quanto Osama Bin Laden»? Diciamo subito che, proprio come Al Qaeda, la struttura di Wikileaks è decentrata. Si illudono, quindi, coloro che pensano di bloccarla incarcerando il capo, Assange, o chiudendo fisicamente i computer. I due server ospitati a Stoccolma nel bunker antiatomico della società Prq, infatti, sono solo una goccia nel mare di internet.

Qualche nostro tg li ha mostrati, spacciandoli per il «cervello» di Wikileaks. Ma è solo sensazionalismo. Quella stessa società, infatti, ospita altri 8mila server. E Wikileaks può contare su centinaia di «siti-specchio» che entrano automaticamente in funzione appena ne viene disattivato uno. Lo stesso Assange ha avvertito: «Altre centinaia di militanti, oltre a me, posseggono l’intero file di 251 mila documenti, e lo rilasceranno se dovesse capitarmi qualcosa».

“Contenuto esplosivo“

Ma qual è il vero valore di questi documenti segreti? È vero che riscrivono la storia contemporanea, o sono soltanto una rimasticazione di articoli di giornale copiati da pigri incaricati di affari nelle ambasciate? In alcuni casi il contenuto è esplosivo, e quindi e' giusto il paragone con una guerra mondiale. Non però la terza: quella è già stata vinta dall’Occidente contro il comunismo nel 1989. E neanche la quarta, cominciata nel 2001 con l’attacco alle Torri gemelle da parte dei fanatici islamici, e ancora in corso. È la quinta o sesta, assieme all’altro grande conflitto dei nostri giorni: quello fra mondo libero e Cina.

Però i ragazzi di Wikileaks sono occidentali, quindi la definirei una guerra civile, anche se nonviolenta. È un conflitto interno alle democrazie, fra chi pensa che anche i nostri stati debbano conservare segreti, e chi invece vuole esporre tutto.

Non dimentichiamo però che fra i fondatori di Wikileaks, nell’ottobre 2006, ci sono anche importanti dissidenti cinesi: Wang Dan, leader degli studenti di Pechino massacrati in piazza Tian an men nell’89, e Xiao Qiang. Inizialmente, quindi, l’intento di Assange e soci era quello di smascherare i segreti di tutti i governi. Ed è ovvio che le dittature ne hanno molti di più, e più sanguinosi, dei regimi democratici.

Perché, allora, quasi tutte le rivelazioni finora riguardano gli Stati Uniti? Prima ci fu il filmato in cui si vedono le truppe Nato uccidere un giornalista in Afghanistan. Poi, l’estate scorsa, i documenti del Pentagono con l’ammissione ufficiale di avere ammazzato 60 mila civili innocenti nella guerra d’Iraq. E se dietro Wikileaks ci fosse la Cina o la Russia, o qualche altro avversario degli Usa?

Non credo che gli hackers di Wikileaks siano manipolati. Politicamente sono anarchici che si battono contro il potere a 360 gradi. Hanno già preannunciato rivelazioni sulle grandi banche. E se avessero documenti segreti cinesi sulla repressione in Tibet o contro Falun Gong, non esiterebbero a divulgarli. Il problema è che finora non c’è stato nessun funzionario pentito di Pechino che gliel’ha passati.

Sì, perché in realtà Wikileaks non ha mai rubato alcun documento. Si limita, come da statuto, a pubblicare, dopo averli verificati, quelli in arrivo (gratis) da persone che per un qualsiasi motivo decidono di tradire il vincolo di segretezza che li lega all’organizzazione per cui lavorano. Quindi, il vero colpevole dell’attuale terremoto è il soldato americano 22enne che ha passato i files ad Assange, e che è in carcere per spionaggio.

Giuridicamente, Wikileaks è colpevole di un unico reato: ricettazione. Magari di ricettazione attiva, o di istigazione al furto e allo spionaggio, perché invita pubblicamente i dipendenti pentiti a rivelare le magagne della propria azienda, o ministero. E si può immaginare quanti siano coloro disposti a farlo, magari per vendicarsi di essere stati licenziati, o frustrati per una mancata promozione o aumento di stipendio... E sapere che c’è lì Wikileaks pronta a fare giustizia rappresenta un incentivo formidabile.

Coinvolgere i principali giornali mondiali è stata la mossa più intelligente di Assange. Li ha coinvolti - ed è preoccupante che ce ne sia uno spagnolo, El Pais, ma nessuno italiano - ottenendo così una patente di veridicità che non avrebbe avuto da solo. Li ha anche messi uno contro l’altro, suddividendo equamente il materiale. Cosicché, per la legge della concorrenza, nessuno si è sognato di censurare parzialmente o di non pubblicare: lo avrebbe fatto qualcun altro.

Il direttore del New York Times Bill Keller ha fatto vedere i documenti al governo Usa prima di pubblicarli, e ha cancellato alcuni nomi. Il NY Times è il più esposto, perché è l’unico giornale americano. Ma, a proposito di mandanti, non mi meraviglierei se dietro alla fuga di notizie più imponente della storia ci fosse qualche repubblicano che vuole danneggiare il presidente Obama e Hillary Clinton.

Mauro Suttora