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Friday, August 05, 2022

Che vita da cani. I soldi nella cuccia della Cirinnà diventano un legal thriller

La telenovela dei 24mila euro sembrava esaurita quando il pm di Grosseto ha archiviato le indagini. Ecco ora la nuova richiesta della Cirinnà: poiché il tesoro è stato scoperto in un terreno di sua proprietà, spetta a lei

di Mauro Suttora

HuffPost, 5 agosto 2022


Era stato il giallo dell'estate scorsa: i 24mila euro in banconote da 500 ritrovati in una cuccia di cane nell'azienda agricola della senatrice pd Monica Cirinnà a Capalbio (Grosseto). Un malloppo ritrovato per caso fra le assi abbandonate in un angolo dei cento ettari di proprietà della senatrice e di suo marito Esterino Montino, anch'egli Pd, ex senatore e da nove anni sindaco di Fiumicino (Roma).

La coppia lo consegnò alle autorità, ma la singolare scoperta scatenò i commenti sui social. Niente infatti irrita gli 'odiatori' di destra più della parole Cirinnà e Capalbio. La prima perché, oltre a essere verde e animalista, ha firmato la legge sulle unioni civili gay ed è quindi amata dal mondo lgbt; la seconda in quanto simbolo delle élite radical chic.

Da dove venivano quei soldi? Probabilmente dimenticati da qualche banda di malviventi che li aveva nascosti in un luogo accessibile dalla strada. I tagli da 500 euro sono fuori corso dal 2019 e i numeri di serie di molte banconote risultano illeggibili. Roba vecchia, quindi. Ma il mistero eccita i complottisti, e così la cuccia di cane della politica animalista divenne bersaglio di insulti.

La telenovela sembrava esaurita quando il pm di Grosseto ha archiviato le indagini, data l'impossibilità di rintracciare l'origine dei soldi. E invece, ecco ora la nuova richiesta della Cirinnà: poiché il tesoro è stato scoperto in un terreno di sua proprietà, spetta a lei. E lo devolverà all'associazione Olympia De Gouges (femminista ghigliottinata nel 1793 in place de la Concorde a Parigi), che assiste le donne vittime di violenza a Grosseto.

Per la gioia dei burini misogini, i quali ora possono rinfacciare alla Cirinnà e al marito la dichiarazione di un anno fa: "Siamo felici che quel denaro sarà nella disponibilità del Fondo unico per la giustizia, e che verrà utilizzato per fini di pubblica utilità".

Il giudice penale ha detto no alla nuova richiesta della senatrice: deciderà il giudice civile. La surreale vicenda quindi proseguirà a colpi di fioretto legale, con disquisizioni fra avvocati sul destino della "res inventa". La legge prevede che le cose ritrovate spettino solo per metà al proprietario del terreno, e per l'altra metà allo scopritore. Ma restiamo sempre in famiglia: la cuccia del cane infatti fu ispezionata dal figlio del sindaco Montino, assieme a un operaio. Quest'ultimo, magari, preferirà tenersi il suo 25%, piuttosto che regalare seimila euro alle donne grossetane.

In questi giorni, comunque, la 59enne Cirinnà è impegnata in una lotta ben più sostanziosa di quella per i soldi della cuccia del cane. Il Pd sta definendo le candidature per il voto del 25 settembre: non è detto che lei, dopo due legislature e con il taglio dei parlamentari, riesca a mantenere la poltrona. Se dovesse soccombere, potrà consolarsi con l'indennità di fine mandato. La liquidazione dei politici nel suo caso, dopo quasi dieci anni di mandato, ammonta a un'ottantina di migliaia di euro. Altro che la cuccia. 

Wednesday, June 13, 2012

Alessandra Sensini, regina del windsurf

VISITA ALLA CAMPIONESSA OLIMPIONICA

dal nostro inviato Mauro Suttora

Marina di Grosseto, giugno 2012

È arrivato il vento. Si è alzato proprio durante la mezz’ora in cui Alessandra è arrivata da casa. E lei è felice. È felice solo quando c’è il vento: «Quante medaglie ho perso perché ne soffiava poco...».

Alessandra Sensini, la regina del windsurf mondiale. La velista che ha vinto di più nella storia, in cinque Olimpiadi: un oro, un argento, due bronzi. Più dieci campionati mondiali e 21 italiani.

Ora volteggia con la sua tavola magica davanti alla spiaggia di Marina di Grosseto. Ci ha installato sopra una minuscola Nilox Foolish Action Cam per filmarsi. È come le “cameracar” della Formula Uno, ma più impermeabile. Video strepitosi (guardate qui a destra un fermo immagine). Uno ve lo mostriamo sul nostro sito www.oggi.it.

Gareggiano a 4 ore d’auto da Londra

«Nell’articolo potete scrivere il nome completo della camera?», ci chiede Alessandra. Certo che no: la deontologia professionale impedisce ai giornalisti la pubblicità occulta. Ma certo che sì per uno sport povero qual è la vela, con i numeri uno mondiali come Alessandra che prima di andare in acqua si chinano ad appiccicare di persona sulla vela l’adesivo dello sponsor Kinder. Lontani dai miliardi di calcio e auto. Vicini all’antico ideale olimpico dello sport puro.

«Siamo la disciplina con le gare più lunghe», dice Alessandra, «undici regate da 40 minuti l’una in nove giorni. Totale: sette ore e mezzo, altro che la maratona!»

Per di più i velisti durante le Olimpiadi sono confinati in località marine lontanissime dal villaggio olimpico e dal centro di tutto, per cui non godono neanche dell’atmosfera dell’evento sportivo più importante del mondo. Quest’anno saranno a Weymouth, quattro ore d’auto da Londra.

Altro handicap: rispetto ad altri sport come nuoto o scherma, nella vela si gareggia in una sola disciplina, senza «distanze» diverse e senza tornei. Quindi tutto si gioca per una medaglia unica, senza la possibilità di vincerne altre a squadre o in staffetta o in distanze “contigue”: per esempio 100, 200, 400 e 800 metri, come nel nuoto o nell’atletica leggera.

A completare l’amarezza per il windsurf, un mese fa è arrivata la decisione del Cio (Comitato olimpico internazionale): nei prossimi giochi di Rio la tavola a vela sarà sostituita dal kitesurf.

Ultima chance per le tre “nonne”

Poco male per Alessandra: quella di Londra sarà la sua ultima Olimpiade, la sesta. Ha 42 anni ed è già considerata una nonna dalle rivali, che non vedono l’ora che lei si ritiri per riuscire a vincere qualcosa. C’è la polacca, la spagnola, l’israeliana. «E quella cinese lungagnona, la Yin Jian, che mi ha soffiato l’oro a Pechino solo perché c’era poco vento», ricorda la Sensini. «Però mi dispiace per il windsurf, spero che cambino la decisione di cancellarlo».

Lei, la canoista Josefa Idem e la portabandiera Valentina Vezzali: le tre «vecchie» dello sport italiano che continuano a vincere. La domanda è ovvia: chi glielo fa fare?

«Me lo sono chiesta anch’io dopo Atene 2004 e Pechino», sorride Alessandra, «ogni volta mi sento esausta. Ma dopo qualche mese mi torna la voglia. Riprendo ad allenarmi, provo a gareggiare, vinco ancora. E allora, perché smettere?».

Siamo nel giardino della sua casa a Grosseto. «Scusatemi per il disordine, sono quasi sempre via». In realtà questa è la grande casa di famiglia che adesso, dopo la morte dei genitori, è stata divisa in quattro fra lei e le tre sorelle.

«Non ho mai avuto relazioni lunghe»

Le gemelle Irene ed Eleonora, la maggiore Paola, simpatiche e piene di energia come lei, con mariti e figli: è questa la grande famiglia Sensini che la accompagna alle Olimpiadi, le dà forza e gestisce i due negozi di famiglia a Grosseto.

E mariti, fidanzati? «Non ho mai avuto relazioni lunghe. Sono un tipo difficile, starmi vicino non è semplice», ammette. «Sono lunatica, concentrata su me stessa e quello che faccio. Devo allenarmi ogni giorno, ho una vita rigida e alla fine questa rigidità si trasferisce anche a te stessa».

Ma ogni tanto avrà degli spazi tutti suoi. «Mica tanto. A parte le gare che mi portano spesso in giro per il mondo, con viaggi lunghissimi, la routine quotidiana è fatta di tanti allenamenti. A terra e in acqua, tre ore al mattino, tre al pomeriggio. Palestra, bici, nuoto, vogatore...».

Potrebbe fare il triathlon. «Ecco, ci manca solo quello. Il problema è che non sono capace di staccare la spina. Sport, sesso e fidanzati nella mia vita non sono mai andati troppo d’accordo. Infatti tutte le volte che ho avuto un fidanzato, la relazione è finita alla vigilia delle Olimpiadi».

«Sesso a cinque cerchi? leggende»

E i colleghi atleti maschi? «Nel mondo delle regate ormai hanno tutti in media 15 anni meno di me. E certe leggende olimpiche su sesso e promiscuità mi hanno sempre lasciata perplessa. Quando leggo che sono stati distributi migliaia di preservativi mi domando: ma a chi? Io tutto questo sesso non l’ho mai visto, nelle cinque edizioni cui ho partecipato».
Mauro Suttora

Saturday, November 22, 1986

Armi Italia-Iran

ROTTA DI COLLUSIONE

Traffici proibiti. Irangate: la vera storia della vendita di armi USA all' Iran

Un mercantile danese che parte da Israele e arriva a Bandar Abbas . Un armatore che utilizza per i viaggi che scottano il porto italiano di Talamone (Grosseto) . Un sindacalista di Copenaghen racconta tutto

dal nostro inviato a Copenhagen Mauro Suttora

Europeo, 22 novembre 1986

Cala la notte sul golfo di Aqaba. La nave danese Morsoe si avvicina al porto israeliano di Eilat a luci spente. E scortata da una motovedetta militare con la stella di Davide . A sinistra , il Sinai egiziano ; a destra , le basse coste della Penisola Saudita . Arrivata nel porto , la nave viene ispezionata attentamente dai soldati israeliani saliti a bordo . Alcuni uomini rana si tuffano per controllare la chiglia . Poi , in silenzio , cominciano le operazioni di carico .

Sono 26 i container che vengono stivati sulla Morsoe : pesano in tutto 460 tonnellate . I marinai danesi non possono metter piede a terra : c' e' solo un rapido rifornimento di viveri . Dopo poche ore , prima dell' alba , Eilat e' gia' lontana , e la Morsoe naviga nel mar Rosso . Direzione : sud . Destinazione : Bandar Abbas , principale porto dell' Iran .

La Morsoe non arrivera' mai a Bandar Abbas . La nave che attracca il 21 ottobre nel porto dell' ayatollah Ruhollah Khomeini ha cambiato nome : adesso si chiama Solar . Sui 26 container e' stata cancellata ogni indicazione . E anche l' equipaggio ha dovuto nascondere tutte le tracce del passaggio in Israele : via i piccoli adesivi " Jaffa " dalle arance , perfino il latte e' stato travasato dai cartoni con le scritte ebraiche in anonime bottiglie di plastica .

Cosi' la Morsoe/Solar puo' portare a termine la sua missione . Ed e' una missione incredibile : la nave danese infatti ha trasportato armi da Israele all' Iran . Cioe' fra due paesi che ufficialmente sono nemici mortali : non passa giorno senza che qualche imam di Teheran invochi l' annientamento dello Stato d' Israele , mentre Gerusalemme accusa l' Iran di finanziare , assieme alla Libia e alla Siria , i terroristi mediorientali (vedere l' intervista al nuovo premier israeliano Yitzhak Shamir a pag . 50) .

" Ci sono stati almeno altri nove viaggi di questo tipo su navi danesi da un anno a questa parte , a partire dal settembre 1985 " , rivela Jesper Ravn , giornalista dell' agenzia di stampa nazionale della Danimarca , che ha indagato sulla vicenda . La verita' sui reali traffici della Morsoe/Solar l' ha spifferata un membro dell' equipaggio il 6 novembre scorso . Il proprietario , Finn Poulsen , non ha potuto negare l' evidenza . E perche' avrebbe dovuto , comunque ? Non e' illegale vendere armi all' Iran , tranne che per gli Stati Uniti che hanno decretato un embargo . Non siamo nel 1979 , quando la Morsoe Solar , che allora si chiamava Hanne Trigon , violo' l' embargo decretato dall' Onu contro l' esportazione d' armi in Sud Africa (vedere il riquadro a pag . 11) .

Dal 1980 , da quando e' iniziata la guerra Iran Irak , il flusso di armi e' incessante , da tutta Europa : non passa settimana senza che porti specializzati in export bellico , come l' italiano Talamone , lo spagnolo Santander , il francese Cherbourg o il belga Zeebrugge , non vedano partire qualche cargo per il golfo Persico . Solo dal porto italiano , secondo i radicali , sarebbero partiti in sei anni 60 carichi di armi . Adesso pero' la piccola e pacifica Danimarca e' diventata il terminale di uno scandalo internazionale . E allora andiamo a Copenaghen per capirne di piu' sulla " iranian connection " che sta scuotendo l' America .

" Cosa portano mai i nostri uomini da Israele all' Iran , quando fino a un anno fa dallo Stato ebraico non usciva neanche una patata in quella direzione ? " , si e' chiesto Henrik Berlau , vicepresidente del potente sindacato dei marittimi danesi (5500 iscritti) . La risposta gli e' arrivata in questi giorni : Israele ha girato all' Iran grossi quantitativi di armamenti made in Usa . E il prezzo pagato dagli Stati Uniti per tentare di ottenere la liberazione degli ostaggi americani in mano agli hezbollah , gli integralisti islamici benedetti da Teheran .

Ma questa svolta sotterranea nella politica del presidente Ronald Reagan non e' affatto piaciuta ai combattivi marinai danesi . I quali il pomeriggio del 30 ottobre sono passati all' azione . Altra nave danese , la Marie Th . , lunga 67 metri , otto membri di equipaggio , di proprieta' della compagnia Svendborg Enterprise . Era a Belfast il 30 settembre , a Lancaster il 9 ottobre , a Gibilterra pochi giorni dopo . A meta' ottobre arriva a Talamone , e li' imbarca quattro container zeppi di munizioni . Ma i marinai vengono a sapere che la meta finale del viaggio e' l' Iran , e si rifiutano di proseguirlo . Sono rimpiazzati da altri uomini fatti arrivare in fretta e furia da Rotterdam , fra cui quattro africani di Capo Verde disposti a tutto pur di guadagnare un po' .

Al sindacato risulta che anche il comandante della nave , Joergen Thusen , si sia ribellato , ma la compagnia , interpellata dall' Europeo , nega e lo da' tuttora a bordo . La Marie Th . lascia l' Italia per il Pireo , porto di Atene , da dove parte in direzione est il 25 ottobre . Ma , cinque giorni dopo , colpo di scena : il ministero dell' Industria e della Marina di Copenaghen ordina alla nave di non proseguire il viaggio verso Bandar Abbas . Perche' ?

" Siamo stati noi ad avvertire il ministro " , spiega il sindacalista Berlau , " del fatto che i marinai correvano un grande pericolo : ci e' giunta infatti notizia che gli iracheni controllavano gli spostamenti della nave , sapevano che cosa trasportava , e che probabilmene l' avrebbero ' ' neutralizzata' ' una volta fuori dal Mediterraneo , nel mar Rosso o nell' oceano Indiano " .

Ma come fanno gli iracheni (o gli iraniani ) a controllare i rifornimenti per il nemico fin dai porti europei ?
" Non e' difficile " , risponde Berlau . " Basta che tengano d' occhio quei 4 5 porti strategici per il traffico d' armi , come Talamone o Cherbourg , e che poi aspettino le navi a Suez o negli stretti di Bab el Mandeb e Hormuz . Non dimentichiamo che durante la guerra Iran-Irak e' stata colpita finora la stessa quantita' di tonnellaggio mercantile di tutta la Seconda guerra mondiale " .

Cosi' la Marie Th . ha dovuto scaricare i quattro container imbarcati a Talamone nel porto israeliano di Ashdod , sulla costa mediterranea . " Era la loro destinazione in ogni caso " , precisano gli armatori . Invece secondo il sindacato il carico bellico proveniente dall' Italia sarebbe stato parcheggiato temporaneamente in Grecia . In ogni caso , dopo una breve sosta nel porto greco di Laurium , venerdi' 7 novembre la Marie Th . e' ripartita da Milos per la Francia .

Il clamore suscitato in Danimarca da questa vicenda ha gia' provocato dei risultati concreti : questa settimana il Parlamento danese si riunisce e , con ogni probabilita' , approvera ' una legge che vieta alle navi di Copenaghen di trasportare materiale bellico a paesi in guerra . " Quello che ci ha profondamente irritato " , spiega Henrik Berlau , " e' che gli Stati Uniti si siano serviti dei nostri marinai , cioe' di cittadini di un paese alleato , come inconsapevoli soldati per i loro sporchi traffici " .

Ma , a parte le preoccupazioni per l' incolumita' dei marinai danesi , quali prove avete che le armi caricate in Israele facciano parte del " pacchetto " americano ? Berlau tira fuori dal cassetto alcuni ritagli stampa , e ci mostra una notizia dello scorso luglio apparsa su tutti i giornali tedeschi : " A Monaco di Baviera la polizia della Germania occidentale ha arrestato un certo Henry Kamaniecky , cittadino tedesco israeliano , che aveva in tasca un contratto di forniture militari firmato da Israele e dall' ambasciata iraniana a Bonn per un valore di 700 milioni di corone danesi (circa 140 miliardi di lire italiane) . Il trasporto doveva avvenire attraverso la Jugoslavia " .

A questo pezzo del puzzle se ne aggancia subito un altro : il particolare , citato da diversi marinai danesi , che la Morsoe Solar e altre navi , implicate nel traffico fra Eilat e Bandar Abbas , una volta raggiunta Eilat aspettavano al largo , nel golfo di Aqaba , anche per due o tre settimane . " Cioe " , spiega ancora Berlau , " l' equivalente del tempo che sarebbe stato necessario per attraversare il canale di Suez , entrare nel Mediterraneo , raggiungere un porto jugoslavo e tornare indietro . Perche' , ufficialmente , il trasporto non toccava Israele : partiva dalla Jugoslavia e arrivava direttamente in Iran " .

E quest' ultima spedizione interrotta della Marie Th . ? Che probabilita' ci sono che dentro a quei quattro container imbarcati a meta' ottobre a Talamone ci fossero non armi fabbricate in Italia , ma sofisticati pezzi di ricambio made in Usa ? " Molte " , risponde Berlau . " I nostri marinai , bene o male , sanno quello che trasportano . E poi , una nave come la Marie Th . , in grado di caricare 1200 tonnellate di merce , non puo' permettersi , normalmente , di viaggiare vuota dall' Inghilterra fino all' Italia , come ha fatto . Quelle navi non stanno vuote neanche un giorno . Si vede che il trasporto del carico imbarcato a Talamone e' stato pagato profumatamente , tanto profutamente da coprire ogni mancato guadagno . Quando le missioni sono ' ' speciali' ' , come verso il Sud Africa , i prezzi salgono anche quattro cinque volte oltre i livelli normali " .

Alla compagnia Svendborg affermano di avere noleggiato per sei mesi la Marie Th . a un' altra societa' danese , la Orsleff di Copenaghen , e di non conoscere quindi esattamente la natura delle merci trasportate : " Comunque " , dicono , " se i container sono stati imbarcati a Talamone sicuramente si trattava di materiale bellico . E non possiamo escludere che fosse americano . Chi sa tutto e' l' agente che ha in mano gran parte delle spedizioni da Talamone . Perche' non vi rivolgete a lui , al signor Egisto Fanciulli ? " .

Il signor Fanciulli smentisce in anticipo tutto : " Voi giornalisti pubblicate solo frottole " . Va bene , allora ci aiuti lei a trovare la verita' . Cosa c' era in quei quattro container imbarcati sulla Marie Th . ? " Non erano container , erano quattro cassette piccole " . Ma dentro cosa c' era ? Armi italiane o americane ? " Macche' armi , da Talamone non partono armi " . Suvvia , signor Fanciulli , abbiamo parlato con gli armatori . " Non c' erano armi , c' era materiale bellico . Ma non sono tenuto a dirvelo " . Pezzi di ricambio ? " No , munizioni . . . Io comunque non vi dico nulla , rivolgetevi all' autorita' competente " .

L' autorita' competente a Talamone e' tantissima : ci sono i doganieri , la guardia di finanza , i carabinieri , i funzionari del ministero della Difesa e quelli del ministero per il Commercio estero . Ognuno con i suoi bolli e i suoi timbri . " E noi siamo in regola " , assicura Fanciulli , che pero' custodisce il suo segreto : " Non sono tenuto a dirvi niente . Buonasera " .

Ricapitolando : diverse navi danesi che negli ultimi mesi hanno trasportato di nascosto armi da Israele all' Iran . I marittimi danesi che mettono i bastoni fra le ruote . " Niente di piu' facile allora " , ragiona Berlau , " che per sviare i sospetti dopo le nostre denunce delle scorse settimane gli americani non utilizzino piu' , come porto d' imbarco , solo Israele , ma anche paesi terzi " . Inoltre , e' provato che un' altra nave della stessa compagnia della Marie Th . , la Else Th . , fra maggio e agosto di quest' anno ha trasportato 3500 tonnellate di armi in quattro viaggi da Eilat a Bandar Abbas .

Quindi , anche se fosse vero che i quattro container di materiale bellico caricati in Italia sulla Marie Th . dovevano andare nel porto israeliano di Ashdod e non in Iran , come afferma la Svendborg (Bandar Abbas sarebbe stata , secondo loro , la destinazione di un ulteriore carico imbarcato in Grecia dalla stessa nave) , questo non garantisce che dopo un breve tragitto via terra Ashdod Eilat anche il prezioso carico di Talamone non sia finito nelle mani degli uomini di Khomeini . " E non e' finita qui " , promette combattivo Berlau . " Conosciamo altre navi danesi implicate nel traffico con l' Iran di cui non possiamo svelare nome e itinerario perche' sono ancora in zona pericolosa , oltre Suez . E poi non ci sono solo le navi e i marinai danesi , a questo mondo . Cosa fanno le navi da trasporto di altre nazionalita' ? "

Mauro Suttora