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Wednesday, May 04, 2016

Roma ci costa mezzo miliardo all'anno

Il buco finanziario della Capitale è pagato da tutti gli italiani, oltre che dai romani tassati con l’addizionale Irpef più alta d’Italia

Oggi, 4 maggio 2016

di Mauro Suttora

«Roma ha 2700 anni di storia e da 145 è la capitale del paese. È la città con il patrimonio culturale più ricco del mondo, e tra le più visitate. Ma l’ex Caput Mundi è in una situazione drammatica, con una classe politica dimezzata dagli scandali e una macchina amministrativa devastata da clientele, inefficienza (assenteismo con punte del 30 per cento) e dalle inchieste che ne hanno messo a nudo la corruzione sistematica».

Così Daniele Frongia (consigliere comunale 5 stelle) e la giornalista Laura Maragnani iniziano il loro libro E io pago (ed. Chiarelettere), in cui fanno tutti nomi e le cifre del disastro Roma.

Tassa di 7 euro in hotel

«Un disastro che non riguarda più solo i romani, che ormai pagano le tasse locali più alte d’Italia (l’addizionale Irpef arriva al 9 per mille!) in cambio di servizi indegni di una città civile. Roma è un danno per l’Italia intera, di cui è l’indecente biglietto da visita, e una sciagura economica per tutti i contribuenti, che dal 2008 sono costretti ogni anno ad accollarsi il finanziamento salva-Roma.

È una gabella che ammonta a 300 milioni di euro, più un euro di sovrattassa su tutti coloro che transitano dagli aeroporti di Ciampino e Fiumicino, e dai 3 ai 7 euro a notte per i turisti negli alberghi della città. E sono altri 200 milioni», scrivono Frongia e Maragnani.

Insomma, Roma costa all’Italia oltre mezzo miliardo solo per ripianare il buco che si è lasciata alle spalle. Francesco Rutelli (sindaco dal 1993 al 2001) trovò 3,6 miliardi di debiti. Con Walter Veltroni (2001-8) sono saliti a sette, e dopo Gianni Alemanno (2008-13) e Ignazio Marino, ora ammontano a 13,6 miliardi.

Ogni sindaco ha qualcosa sulla coscienza. Cattedrali nel deserto come la “Città dello sport” dell’archistar Calatrava, voluta da Veltroni, “grande opera” gestita da Guido Bertolaso: doveva essere pronta per i mondiali di nuoto 2009, ora provano a resuscitarla per le olimpiadi 2024, ma sta già cadendo a pezzi a Tor Vergata. È costata 600 milioni, il preventivo era 60.

La Nuvola di Massimiliano Fuksas all’Eur: 300 milioni di scostamento tra previsione e consuntivo. La nuova Fiera di Roma: 360 milioni. La metro C ha già sfondato i preventivi per 800 milioni, e chissà se verrà mai terminata: rischia di non arrivare a San Pietro.

E poi: i 400 milioni che il Comune avrebbe potuto incassare dai vari condoni, e che nessuno ha mai visto. I milioni per Imu, Ici più altri «tributi non pagati dal Vaticano» e i «servizi non dovuti (non previsti dai Patti Lateranensi) che vengono offerti gratuitamente alla Chiesa» sono 400.

Morosi 8 inquilini su 10

Basterebbe far pagare gli affitti degli immobili comunali per riportare il bilancio in attivo, senza saccheggiare ulteriormente le tasche degli italiani. L’80 per cento degli inquilini è moroso. Su 55mila beni di proprietà comunale, c’è un danno economico di 150 milioni l’anno solo a causa degli affitti troppo bassi di ville, case e negozi. Ben 15 milioni il Campidoglio potrebbe incassarli adeguando l’importo di concessioni balneari e parcheggi privati, altri 10 rivedendo all’insù i canoni dei grandi impianti sportivi.

Il buco nero dell’Atac

Ogni anno un centinaio di milioni vengono buttati in municipalizzate (soprattutto Atac, trasporti) e partecipate. Solo un esempio: ogni anno «Ama (spazzatura) raccoglie materiale che vale 39 milioni e lo rivende a 8», scrivono Frongia e Maragnani. 

Roma non è la prima città italiana a rischiare la bancarotta: successe a Taranto nel 2005 con 500 milioni di buco, a Catania nel 2008 (un miliardo), ad Alessandria nel 2012.
Ma Roma è la Capitale, non può fallire. Così, capita che Franco Panzironi, nominato da Alemanno capo dell’Ama con stipendio da 545mila euro, assuma clientelarmente 41 persone all’Atac, fra cui il futuro genero (Armando di nome e Appetito di cognome) e la propria bellissima segretaria personale Gloria Rojo. 

Risultato: tutti licenziati e Panzironi condannato a 5 anni e 3 mesi.
Perfino l’immacolata Virginia Raggi, candidata sindaca 5 stelle favorita al voto del 5 giugno, è rimasta sporcata da Parentopoli: ora si scopre, dopo il suo lavoro nascosto nello studio di Cesare Previti, che è stata presidente di una società della Rojo.

Che fare, allora? «Per voltar pagina basterebbe che il Comune di Roma la smettesse di schifare i soldi», sostengono Frongia e Maragnani. Se solo facesse pagare affitti ragionevoli, incasserebbe 200 milioni in più all’anno. 
Se per esempio affittasse il suolo pubblico a bar e ristoranti in centro ai prezzi di Londra (2 euro al mq ogni giorno), di Parigi (1,5), o di Milano e Firenze, invece di regalarlo a 80 centesimi.

Al resto pensano i magistrati. Ma i traffici di Mafia Capitale, fra coop, rom e immigrati, valevano poche decine di milioni. I veri affari sono ben altri: «La metro C alla fine ci costerà sei miliardi», avverte Riccardo Magi, consigliere comunale radicale.

Mauro Suttora

Wednesday, May 25, 2011

Politici estremisti

DOPO LE ACCUSE DELLA MORATTI A PISAPIA, ECCO GLI SCHELETRI NEGLI ARMADI DEGLI ULTRAS DEGLI ANNI DI PIOMBO

di Mauro Suttora

Oggi, 14 maggio 2011

Chi sono i «politici con passato estremista», come Silvio Berlusconi ha bollato Giuliano Pisapia, concorrente di Letizia Moratti alla carica di sindaco di Milano? Dipende da cosa si intende per «estremista». Tutti sanno che Pisapia fino a cinque anni fa era deputato di Rifondazione comunista. Quasi nessuno, invece, ricordava che fosse stato in carcere per ben quattro mesi e poi processato per il furto del furgone con cui nel 1977 gli autonomi volevano sequestrare William Sisti, dirigente della sinistra extraparlamentare.

Glielo ha rinfacciato la Moratti in un dibattito tv, e Pisapia l’ha querelata per diffamazione. Da quel processo, infatti, fu assolto. «E chiesi l’appello per essere completamente scagionato: non grazie a un’amnistia, ma con formula piena», precisa il politico-avvocato milanese.

Nell’Italia lacerata durante l’intero decennio dei ’70 dagli «anni di piombo», però, Pisapia non è l’unico politico famoso a essere stato estremista da giovane. A sinistra, ma anche a destra. Massimo D’Alema, per esempio, non ha mai avuto guai con la giustizia, eppure ricorda perfino con un certo orgoglio di avere lanciato una bottiglia molotov durante il ’68 a Pisa: frequentava la prestigiosa Normale, era del Pci e non un extraparlamentare, ma partecipò anche lui alle rivolte studentesche. Così come il pacatissimo ex ministro della Margherita Paolo Gentiloni.

E, per andare nel centrodestra, l’altrettanto moderato ministro degli Esteri Franco Frattini praticava la vendita militante del Manifesto, mentre il siciliano Gianfranco Micciché era di Lotta Continua. Fabrizio Cicchitto è sempre stato nel Psi, però si è vantato di «avere fatto a botte con i fascisti nel ’68. Prendendole». Quanto a Gaetano Pecorella, deputato Pdl, prima di difendere Berlusconi è stato l’avvocato di tutti gli extraparlamentari rossi a Milano. Ancora nell’87 sostenne in un’arringa che un pestaggio a colpi di chiave inglese poteva essere «la legittima applicazione di un principio costituzionale».

Con la sconfitta di Rifondazione comunista e Verdi tre anni fa sono usciti dal Parlamento quasi tutti i sessantottini. I loro avversari ex neofascisti, invece, hanno fatto carriera. A cominciare dal leader Gianfranco Fini, ferito da un candelotto al ginocchio durante gli scontri con la polizia. A Milano nessun «rosso» osava passare per piazza San Babila: lì il capo dei giovani missini era Ignazio La Russa, con cane lupo al guinzaglio.

L’attuale sindaco di Roma Gianni Alemanno finì in prigione nell’81 per avere aggredito con quattro camerati uno studente. Ce l’aveva sia con con i russi, sia con gli americani: per una molotov contro l’ambasciata sovietica fece addirittura otto mesi di carcere, mentre nell’89 lo arrestarono per avere bloccato l’auto del presidente George Bush padre. Ma alla fine è sempre stato assolto.

Cinque anni per «banda armata»

Il deputato Pdl Marcello De Angelis ha subìto una condanna definitiva a cinque anni per banda armata e associazione sovversiva: era nel gruppo terrorista di estrema destra Terza Posizione. Ne scontò tre (più sei mesi di carcere in Inghilterra, dov’era scappato), è uscito nell’89. Da poco è stato nominato direttore del quotidiano ex An Secolo d’Italia, strappato ai finiani.

C’è perfino un vicepresidente del Senato «pregiudicato»: lo stimatissimo Domenico Nania, pure lui ex Msi, fu condannato nel ’68 a sette mesi per lesioni volontarie personali durante scontri tra studenti di destra e di sinistra a Messina. Ma aveva solo 18 anni.

Era iscritto al Fronte della gioventù (i giovani missini guidati da Fini e poi da Alemanno) anche Niccolò Ghedini. L’attuale avvocato di Berlusconi venne interrogato in questura a Bologna dopo la strage del 1980 alla stazione, perché nella sua sezione padovana c’era un sospettato.

Insomma, molti dei dirigenti Pdl ex An e Msi hanno curriculum a dir poco turbolenti. Quindi, non si sa fino a che punto sia convenuto al premier e alla Moratti riesumare i peccati di gioventù degli avversari di sinistra, perché anche nel centrodestra potrebbe affiorare qualche imbarazzo.

E perfino il nonviolento Pannella...

Perfino i radicali gandhiani hanno dato scandalo, quando nell’83 fecero eleggere in Parlamento e liberare (dopo quattro anni di carcere preventivo) il professor Toni Negri, ideologo degli autonomi, condannato a 17 anni per insurrezione armata. Fuggito in Francia, tornò nel ‘97 per scontare la pena. Libero dal 2003.

Un altro caso si è verificato nel 2006: Marco Pannella fece eleggere deputato Sergio D’Elia, ex terrorista di Prima linea condannato a 25 anni (scontati la metà) per banda armata e concorso morale in omicidio. Due anni dopo il Pd non lo ha più voluto fra i nove eletti radicali ospitati nelle sue liste.

Lo stesso Pannella, comunque, ricorda: «All’inizio degli anni ’50 credo di aver slogato una spalla a Caradonna, capo degli universitari fascisti. Le ho date e le ho prese».
Mauro Suttora

Wednesday, September 29, 2010

Roma: metro senza stazioni

Incredibile: nella futura linea C cancellate quasi tutte le fermate in centro 

Oggi, 22 settembre 2010

 di Mauro Suttora

Trenta chilometri di coda la scorsa settimana sul Raccordo anulare. Ma l’inferno, per chi vuole muoversi a Roma, è quotidiano. I pendolari non sanno più se rassegnarsi a passare ore in auto, o farsi schiacciare come sardine in metro e nei bus durante le ore di punta. Urgentissime, quindi, nuove linee di metro. 

Adesso però la capitale stabilisce un nuovo record da Guinness: una metropolitana senza stazioni. 
La nuova linea C, infatti, nel suo tratto centrale da piazza Venezia a Ottaviano (quartiere Prati), ha eliminato tre delle quattro fermate previste: Largo di Torre Argentina, Chiesa Nuova e piazza Risorgimento. 

 «Così per ben due chilometri da Piazza Venezia a San Pietro, lungo tutta via del Plebiscito e corso Vittorio, non ci saranno stazioni», dice Mario Staderini, segretario dei Radicali, il primo a denunciare la sparizione delle fermate dal progetto. «Proprio la zona più centrale di Roma, con piazza Navona, il Pantheon e Campo de’ Fiori, non sarà servita».

 Anche Beppe Grillo dieci giorni fa si è accorto della questione, e ha ospitato sul suo sito un’intervista all’architetto Paolo Gelsomini.
 
 Ma non è questione di destra o sinistra. Infatti la società Roma Metropolitane, che sta realizzando la terza linea, è controllata dal Comune. E questo nel 2008 è passato dalla sinistra del sindaco Walter Veltroni alla destra di Gianni Alemanno. 

Com’è potuto accadere questo svarione? E c’è possibilità di rimedio? La società Roma Metropolitane spiega che la fermata Argentina era saltata già due anni fa per il ritrovamento di reperti archeologici. E che la recente scomparsa della fermata Chiesa Nuova, un chilometro più avanti verso il Tevere, è dovuta all’instabilità del terreno, scoperta dopo sondaggi. 

 Il problema è che tutta Roma ha sottoterra qualche reperto archeologico. Quindi, se si rimane prigionieri della smania conservazionista, non si può scavare da nessuna parte. Addio metropolitane, anche la futura linea D. 
E chi se ne importa se i reperti rimarranno comunque sepolti, perché non si possono certo abbattere le case per «valorizzarli» come fece Mussolini con i Fori Imperiali.

 «Senza le fermate in centro la metro C serve a poco», dice Staderini, «sarebbe come se a Milano sparissero tutte le stazioni sulla linea rossa da Cadorna a Palestro. Sul prolungamento della linea B, poi, è stata abolita la fermata Nomentana, che serviva un quartiere popolatissimo. E nel progetto della linea D è già sparita quella di piazza San Silvestro, nodo fondamentale per i capolinea dei bus e perché serve tutta la zona di Montecitorio, piazza Colonna, fontana di Trevi e Tritone».

 «La linea C è l’opera pubblica più costosa attualmente in costruzione in Italia, dai due miliardi e messo previsti è passata a cinque miliardi, contro i quattro e mezzo del ponte di Messina. Ma senza quelle stazioni non ha senso», dice l’architetto Gelsomini sul blog di Grillo.

 «Nelle zone abitate la distanza fra le fermata delle metropolitane dev’essere al massimo un chilometro», conferma a Oggi Edoardo Croci, professore all’università Bocconi ed esperto di trasporti, «perché gli utenti non possono camminare più di mezzo chilometro per raggiungerle. E occorre che ci siano nodi di corrispondenza con tram e bus». 

 Proprio a questo servirebbe la fermata soppressa a largo Argentina, dove il capolinea del jumbotram 8 da Monteverde e Trastevere porta in centro decine di migliaia di persone. Che troverebbero agevole proseguire il viaggio con la metropolitana. 

 La linea C è in progetto dal 1992. Doveva essere pronta per il 2011, ma non lo sarà prima del 2018. Speriamo che almeno una fermata in centro venga ripristinata. 
 Mauro Suttora

Friday, June 20, 2008

Festa del cinema a Roma

La Capitale del debito fa pure la Festa del Cinema

Liberiamo la cultura dal Festival dei dittatori

di Mauro Suttora

Libero, 20 giugno 2008

Nei Paesi civili i politici non si intromettono nella cultura. Non la finanziano (con soldi altrui) con la scusa di «aiutarla» o «promuoverla». Infatti negli Stati Uniti non esiste un ministero della Cultura, né quella sciagura che sono gli assessori alla Cultura. La Gran Bretagna ha capitolato soltanto nel 1992, ma il nuovo Ministry of Culture britannico ha soprattutto il compito di preservare biblioteche e monumenti.

Solo i dittatori vogliono controllare la cultura. Per questo Mussolini creò nel ’32 la Mostra del cinema di Venezia. E il festival di Cannes nacque qualche anno dopo perché i francesi erano stufi delle interferenze fasciste e naziste a Venezia.

Dove il cinema funziona c’è poco bisogno di festival. Infatti a Hollywood ci sono gli Oscar, che si risolvono in una serata dopo un voto fra 5.800 professionisti del settore (non di una giuria di una decina di smandrappati). Ed è una cerimonia privata, senza finanziamenti pubblici.
Gli unici due festival di una certa rilevanza negli Usa (Sundance e Tribeca) sono legati all’impegno personale di Robert Redford e Robert De Niro, ad eventi particolari (il Tribeca è nato dopo l’11 settembre 2001 per risollevare le sorti del quartiere), e hanno pochissimi contributi pubblici.

Nei Paesi civili hanno letto Orson Welles. L’unico «aiuto» che i politici danno alle arti è la detassazione dei soldi investiti dai privati. Invece a Roma vige ancora, da duemila anni, la legge del «panem et circenses». Gli italiani trovano normale che chi ha il potere lo mantenga tramite l’elargizione di spettacoli, a carico dell’erario.

Dopo gli imperatori e i papi, a Roma 33 anni fa arrivò Renato Nicolini. Il primo «assessore alla Cultura» d’Italia. L’inventore dell’«estate romana». Un genio (sul serio, senza ironia: infatti i politici professionisti lo hanno fatto fuori). Due anni fa, invece, è nata la festa del Cinema. Una disgrazia. E non solo perché ha scialacquato decine di milioni in una città con sette miliardi di debito e in un Paese in rosso per 1.600 miliardi. Ma perché ha sbagliato tempo e luogo.

Il tempo. «Ma sono pazzi?», ho quando ho saputo che la festa del cinema di Roma si sarebbe svolta solo un mese dopo il festival di Venezia. Cioè di un evento che bene o male richiama l’attenzione mondiale, e dove infatti vengono un sacco di attori famosi. Che certo non ritornano in Italia dopo cinque settimane, anche se hanno un nuovo film da promuovere. Si chiama «cannibalizzazione». Sarebbe come se Parigi organizzasse una sua festa del cinema a giugno, un mese dopo Cannes.

E poi, ottobre. A Roma in ottobre da sempre non si trova una camera d’albergo vuota. E’ altissima stagione. Come ogni Pro loco sa, gli eventi si organizzano invece per tirar su la bassa stagione.
Ma mi hanno spiegato: «L’auditorium è libero solo in ottobre, prima che inizi la stagione dell’orchestra di Santa Cecilia». Quindi: decidono di organizzare un evento internazionale, prenotando decine di camere nei migliori alberghi e rompendo le balle ai turisti veri, quelli che pagano di tasca propria, solo per sistemare i bilanci in deficit dell’Auditorium (un altro esempio di soldi pubblici scialacquati nel faraonismo pseudoculturale dei politici).

Il luogo, infine. «La festa del cinema ha rilanciato l’immagine di Roma», dichiarò il sindaco Walter Veltroni dopo la prima edizione. Come se la città più bella del mondo avesse bisogno di un lifting d’immagine. Ma i festival fateli a Manfredonia, Monza, Monfalcone: tutte cittadine il cui nome giustamente comincia per M…

Dice: «Molte spese sono coperte dagli sponsor». Te li raccomando, gli «sponsor» a Roma. Sono quasi tutte aziende statali, parastatali, o comunque in debito di favori presso i politici. Certo che Lottomatica finanzia tanti circenses a Roma, invitando i papaveri in prima fila: chi gliela rinnova, altrimenti, la concessione per giochi e lotterie? Certo che la Camera di commercio romana è generosissima con Comune, Provincia e Regione: quante sue aziende dipendono da commesse pubbliche, licenze, permessi, varianti al piano regolatore?

La verità è che a Roma c’è poco o nulla di non parastatale. Perfino la Chiesa lo è diventata, con l’8 per mille. Ma lo spettacolo più buffo è la gente di spettacolo che chiede l’elemosina al burocrate. Il cinema italiano che, con le sale semivuote tranne Christian De Sica, Moccia e Pieraccioni, pretende soldi statali per fare film. E protesta se tagliano il Fus (Fondo unico spettacolo), che finanzia il sottobosco di produttori, maestranze, attori, comparse e pierre alla perenne ricerca di favori, lavoretti, consulenzine da dieci o centomila euro. Non a caso il film vincitore della prima festa del cinema di Roma, nel 2006, s’intitolava «Fare la vittima». Qualcuno l’ha visto?

A questo servono le feste del cinema. A regalare i soldi di chi non va al cinema a quelli che fanno un cinema che fa scappare dai cinema.
Sono andato alla prima dell’ultimo film con Nanni Moretti. All’uscita, davanti al cinema Sacher, c’era un caos calmo di auto blu e limousine parcheggiate. Tutte di sinistra. Al neosindaco di Roma Alemanno e al neoministro della Cultura Sandro Bondi un solo augurio: tagliate. Liberate la cultura.

Mauro Suttora

Thursday, May 15, 2008

Emergenza sicurezza

Rom, clandestini e criminali: tutti in riga

"Colpiremo solo chi viola la legge", assicura il ministro Ronchi, "e per loro non saremo più un Paese disarmato". Ma c' è chi dice: attenzione ai facili capri espiatori

di Mauro Suttora

Roma, 28 maggio 2008

"La nostra priorità è garantire ai cittadini la necessaria protezione. Le azioni previste dal pacchetto puntano a combattere la paura entrata nelle nostre famiglie. La verità è che ormai non ci sentiamo sicuri neanche tra le mura di casa. È ora che gli italiani percepiscano un' inversione di tendenza nella lotta contro l' immigrazione clandestina".

Mentre da molti settori della politica, dell' impegno sociale e della Chiesa si sollevano allarmi sul rischio che la lotta alla criminalità si trasformi in una "criminalizzazione del diverso", Andrea Ronchi, neoministro per le Politiche comunitarie, spiega a Oggi il contenuto del decreto legge sulla sicurezza in approvazione dal Consiglio dei ministri riunito a Napoli mercoledì 21 maggio.

Non avete paura di alimentare razzismo e xenofobia?
"Episodi come quelli avvenuti a Ponticelli, il quartiere di Napoli dove la folla ha assaltato un campo Rom dopo il tentato rapimento di un neonato, non devono più accadere. Ci stiamo muovendo proprio per evitare questo rischio. Il decreto non combatte lo straniero in quanto tale, ma solo quello che non vuole essere identificato per evitare l' espulsione. Vogliamo punire la clandestinità e la permanenza irregolare degli stranieri che delinquono sul nostro territorio. Negli ultimi anni siamo diventati il ventre molle del Mediterraneo, la porta d' accesso all' Europa. Adesso questa porta deve essere chiusa e deve cambiare la percezione di lassismo spesso accostata al nostro Paese".

Quali sono le misure previste dal decreto ?
"Il pacchetto è in linea con la legge Bossi Fini sull' immigrazione del 2002, e coniuga solidarietà e legalità. Puntiamo a rendere il meccanismo delle espulsioni più efficace. Deve essere chiaro che chi varca la frontiera può restare soltanto se dimostra di avere un posto di lavoro e quindi un reddito. Gli altri saranno espulsi, con alcune eccezioni come le badanti cui è scaduto il permesso di soggiorno e i rifugiati politici. Inoltre puntiamo a garantire la piena operatività dei Centri di Permanenza Temporanea (Cpt), assicurandone la ricettività ma anche l' umanità del trattamento. In questo senso è importante allungare il limite di permanenza nei Cpt fino a 18 mesi".

C' è il rischio che questo provvedimento possa entrare in contrasto con le leggi europee e gli accordi di Schengen? "Il nostro intento non è certo quello di chiudere le porte ai cittadini europei. D' altra parte il problema non è sentito soltanto dal nostro Paese. Si tratta di una partita delicata, tant' è che le stesse istituzioni europee proprio in questi giorni si avviano a ridiscutere alcune direttive in materia".

Riuscirete a introdurre il reato di immigrazione clandestina ? "Il discorso è aperto, ma punire la clandestinità e la permanenza irregolare degli stranieri che commettono reati sul nostro territorio ritengo sia nel pieno diritto di uno Stato sovrano. Inoltre introdurre questo reato avrebbe un effetto deterrente molto forte sui trafficanti di esseri umani: farebbe capire che l' Italia ha davvero cambiato rotta".

Sì, il governo Berlusconi vuole esordire con un segnale di rigore. Dopo l' indulto (votato da partiti di entrambi gli schieramenti) e l' entrata della Romania in Europa, infatti, i reati sono aumentati. Ed è un fatto che i due terzi degli stranieri nelle nostre carceri oggi abbiano passaporto rumeno (semplici cittadini rumeni, o rom, ovvero zingari).

"Ma non si può fare di tutta l' erba un fascio", si accalora con Oggi da Lanciano (Chieti) il professor Santino Spinelli, docente di cultura rom nelle università di Trieste, Torino e Chieti, e artista con il nome di Alexian, "perché soltanto il 20 per cento dei 130 mila rom che vivono in Italia vengono dalla ex Jugoslavia o dalla Romania. Il resto sono cittadini italiani di antico insediamento. E non è neanche vero che siamo nomadi per cultura. I campi nomadi andrebbero smantellati, sono una forma di apartheid. Ma esistono troppe organizzazioni italiane che percepiscono soldi per "assistere gli zingari". Dateci case normali, piuttosto".

"Io le case le devo dare innanzitutto a chi ne ha diritto, e cioé ai 17 mila residenti anche stranieri che sono regolarmente in graduatoria", ribatte Riccardo De Corato, vicesindaco di Milano. "Il problema è molto semplice: nei nostri campi rom ci sono duemila posti, ma ultimamente dalla Romania sono arrivate parecchie migliaia di persone. Per questi non c' è spazio, devono andarsene. Anche perché la situazione sta diventando insostenibile: solo a maggio, a Milano nove donne sono state violentate". A Milano non è questione di destra o sinistra: il presidente della Provincia Filippo Penati del Partito democratico dice che bisogna mandar via tutti i 23 mila rom accampati alla bell' e meglio. Quanto a Roma, il nuovo sindaco Gianni Alemanno (Pdl) vuole armare i vigili urbani.

Non è questione neppure di quantità delle forze dell' ordine: fra poliziotti, carabinieri, finanzieri, vigili e guardie forestali, l' Italia è di gran lunga il Paese più presidiato d' Europa. Per lo meno in teoria. Nella realtà, sono troppi gli agenti e i militari che non scendono per strada. Il capo della Polizia Antonio Manganelli chiede: "Dateci personale civile per sbrigare le pratiche burocratiche". Ma bisognerebbe anche snellirle, queste pratiche. Non è possibile, per esempio, che sia ancora in vigore la legge d' emergenza promulgata trent' anni fa, subito dopo il sequestro Moro, che obbliga chiunque vende o affitta una casa a denunciarlo subito in commissariato.

Sette anni dopo gli attentati dell' 11 settembre, la residenza privata dell' ambasciatore statunitense a Roma è ancora presidiata giorno e notte da una pantera della polizia, con due agenti sottratti a compiti più utili. Per non parlare di tutte le scorte ai politici. Poi, c' è tutto il capitolo della giustizia che non funziona. Perché le leggi possono anche diventare più severe, e la polizia ancora più efficiente (a Milano, per esempio, l'80 per cento dei violentatori viene arrestato). Ma se anche i recidivi godono di sconti prima di aver espiato metà della pena, e se la permanenza media in cella per un furto è di sette mesi, qualsiasi successo delle forze dell' ordine viene vanificato dall' eccessivo garantismo delle leggi e della loro interpretazione da parte dei giudici.

Per questo, accanto al ministro Ronchi (perché ormai l' immigrazione è una questione europea) e a quello dell' Interno Roberto Maroni, anche il nuovo ministro della Giustizia Angelino Alfano ha messo a punto nuove norme. L' articolo 656 del codice di procedura penale, per esempio, dovrebbe ora consentire ai plurirecidivi sconti di pena solo nell' ultimo anno. I reati su donne, anziani e bambini avranno minimi di pena più alti. Ed è stata introdotta anche l' aggravante della rapina in casa.

Più in generale, però, c' è la situazione di un Paese come il nostro dove l' immigrazione, contrariamente ad altri Paesi europei come Francia, Inghilterra e Germania, non è stata graduale e "assorbibile". In Italia gli immigrati erano un milione nel 1997, e oggi sono quattro milioni. Un aumento impressionante, che non può non dare luogo a problemi. "I politici italiani sapevano da anni che con l' entrata della Romania in Europa le frontiere si sarebbero aperte automaticamente. La colpa degli attuali rigurgiti razzisti è loro", accusa il professor Spinelli. Che paragona le bombe molotov contro i rom ai pogrom nazisti: "Siamo sempre noi un ottimo capro espiatorio".

Certo, in un Paese che da Roma in giù è controllato dalle mafie nostrane, sarebbe assurdo imputare tutto ai rom o ai rumeni. La grande criminalità è ben altra. Ma purtroppo è quella spicciola a dare più fastidio alla gente comune. In certi quartieri come l' Esquilino a Roma a volte basta anche lo sguardo un po' pesante di uno straniero a far crescere l' insofferenza fra le donne italiane impossibilitate a uscir di casa col buio. "Ma chiamarci razzisti no, questo non lo accetto", dice De Corato, lui stesso emigrato dalla Puglia: "A Milano vivono e lavorano tranquillamente 200 mila stranieri su un milione e 300 mila abitanti: il 15 per cento, quasi come a New York".

Mauro Suttora