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Friday, October 03, 2014

Andiamo a vedere come fanno in Svizzera

di Mauro Suttora

3 ottobre 2014

numero speciale di Dissensi e Discordanze, direttore Mauro della Porta Raffo

articolo originale su Dissensi e Discordanze

Quando avevo quattro anni, i pedalò sul lago a Lugano.
E la parola Monteceneri scritta sulla grande radio a valvole di mio padre.
Quarant’anni dopo, Fox Town e Serfontana.
Questa è la Svizzera che ci fa sognare.
Noi lombardi che almeno una volta abbiamo votato Lega sperando che, senza la zavorra Roma+Sud, la Lombardia diventi un grande Canton Ticino.
Noi cinefili che ogni agosto ci siamo consolati delle mancate vacanze correndo una sera a Locarno per una magica proiezione in piazza.
Noi ecologisti che festeggiammo il no svizzero alle centrali atomiche nel referendum del 1990 (Vittorio Feltri, allora mio direttore all’Europeo, nuclearista disarmante: «Radioattività? Tanto di qualcosa bisogna morire»).
Noi anarchici sulle orme di Bakunin e Kropotkin, noi libertari in pellegrinaggio steineriano al monte Verità di Ascona.
Noi federalisti che ammiriamo l’autonomia dei cantoni (Glarus può decidere addirittura che non desidera immigrati slavi).
E perfino noi grillini (scettici), studenti di democrazia diretta negli unici due posti al mondo dove si vota in piazza alzando la mano: Glarona e Appenzello.
Poi, ovviamente, abbiamo anche letto Jean Ziegler, e sappiamo che le banche svizzere “lavano più bianco”.
Abbiamo passeggiato nelle città elvetiche dopo le sei del pomeriggio o al sabato, la domenica: c’è più vita in un cenotafio.
Ma l’amore per la Svizzera resta immenso.
Da trent’anni, una volta al mese, come giornalista propongo: “Andiamo a vedere come fanno lì”.
Così nel 1987 feci vincere un premio a Gianfranco Moroldo, fotografo di Oriana Fallaci, che riuscì a inquadrare un soldato svizzero appostato accanto a una mucca durante una nostra inchiesta dell'Europeo sull’esercito ‘di popolo’. [articolo sull'Europeo]
Poi, nel 1999, il beatle George Harrison che scelse Lugano per farsi curare il tumore.
Due anni fa un’altra occasione triste: visita alla clinica della dolce morte dove Lucio Magri si fece eutanasizzare.
Ogni volta che posso mi faccio invitare dalla mia amica Januaria Piromallo nella sua villa di Gstaad.
Lì, acquattati negli hotel, stanno tutti i miliardari greci che, se riportassero i loro patrimoni a casa, risolverebbero la crisi del loro Paese.
Durante l’ultimo viaggio tornando da Strasburgo, aprile 2014, una fantastica scoperta: l’ascolto guidato, alla radio Svizzera italiana, di una sinfonia di Mendelsohn.
Sono questi i piaceri della vita, oltre all’erba rasata a zero e i fiori perfetti nelle aiuole.
Mauro Suttora

Wednesday, April 21, 2010

Fallaci: parla Rossella

COME ORGANIZZARE UNA FICTION SULLA GRANDE SCRITTRICE?

Oggi, 21 aprile 2010

«Farei interpretare la Fallaci da Maria Rosaria Omaggio. È incredibile come la voce profonda e roca con cui legge le sue pagine assomigli a quella di Oriana».

Carlo Rossella commenta il progetto di fiction Rai sulla grande scrittrice morta quattro anni fa. Presidente di Medusa film, giornalista e autore tv (Capri), lui l’ha conosciuta bene. Come raccontare la sua vita?

«Con flashback sulle tante e diverse fasi della sua incredibile esistenza, collegati dalla voce narrante della Omaggio. La prima volta che la incontrai, per esempio, nel ’73, fu a colazione da Sabatini a Firenze. Io ero con Pertini, allora presidente della Camera e non ancora della Repubblica, lei col suo uomo Panagulis. C’era stata una manifestazione per i profughi greci, fuggiti dalla dittatura dei colonnelli. E Oriana raccontava a Pertini di quando lei quattordicenne era staffetta partigiana contro i fascisti. Il padre fu catturato e torturato dai nazisti, e lei ci fece uno stupendo discorso ricordando la sua famiglia, lo zio Bruno giornalista, e come crebbe in quell’ambiente fra i libri, respirando i valori che l’avrebbero accompagnata per tutta la vita: cultura, democrazia, libertà».

Negli anni ’60 e ’70 la Fallaci fu un idolo della sinistra, con le sue cronache di guerra dal Vietnam e la Lettera a un bambino mai nato (il proprio). Dopo l’11 settembre 2001, invece, fu assai apprezzata a destra e disprezzata a sinistra.

«In realtà è sempre stata coerente con le proprie idee di anarchica e socialista libertaria. Detestava fascismo e comunismo perché amava la libertà dell’individuo. E ha capito che dopo la strage delle Due Torri il nazismo moderno è incarnato dai terroristi islamici. Ma già vent’anni prima, intervistando Khomeini, definì fascisti gli ayatollah dell’Iran. Lo ricordo perché ero a Teheran. I dirigenti iraniani volevano linciare ogni giornalista italiano dopo quella sua intervista. E noi a rispondere: “Ma l’ha scritta lei, che c’entriamo!”»

Qual era la caratteristica principale della Fallaci?

«La tenacia. Per questo, nel ruolo di lei giovane vedrei un’attrice volitiva. Come la francese Marion Cotillard, che è stata un’egregia Edith Piaf, oppure le italiane Giovanna Mezzogiorno, Laura Chiatti, Cortellesi... O Penelope Cruz, ma non ha il fisico giusto. La Fallaci era una tremenda rompicoglioni. Basta leggere il memorabile articolo che scrisse sull’Europeo sulla sua mancata intervista a Marilyn Monroe, dopo averla inseguita per mari e monti. Anche qui, un ricordo personale. Beirut, estate 1982. Ero lì da settimane per Panorama, a coprire la guerra in Libano. Arriva la Fallaci all’hotel Alexandra, nella parte cristiana di Beirut Est, dove proprio quel giorno un’esplosione aveva mandato in frantumi tutte le finestre. Io avevo ripulito la mia stanza, mentre lei strepitava alla reception perché la sua era ancora piena di vetri. Allora le offro la mia. Poi andiamo a cena con altri giornalisti italiani, Bernardo Valli e Sandro Viola di Repubblica, e lei scopre che conosco Bechir Gemayel, il capo cristiano appena nominato presidente del Libano. “Voglio intervistarlo”, mi ordina subito. Non le passa neanche per la testa che, se fosse stato possibile, lo avrei fatto io per il mio giornale. Vado comunque su a Broumana, al quartier generale falangista, e riesco a parlare con Bechir. Magari, data la fama internazionale di Oriana, avrebbe acconsentito a farsi intervistare da lei. E Gemayel, in effetti, non mi dice di no. “Però”, aggiunge, “ricordo l’intervista della Fallaci a Kissinger. È riuscita a demolirlo. Allora tu sarai la garanzia che non farà lo stesso con me”. Sorride, e mette mano alla pistola. Torno a Beirut. La Fallaci mi aspetta al bar dell’hotel davanti a un doppio Marie Brizard. Naturalmente le dico che l’intervista è impossibile. Lei comincia a urlare, mandandomi a quel paese e dicendomi di tutto».

Rapporti rotti?

«Neanche per sogno. Ero abituato. Oriana litigava sempre: nei ristoranti con i camerieri, sugli aerei con le hostess, con il presidente dell’Enel per spostare i tralicci troppo vicini alla sua casa toscana...»

E in Libano come finì la questione?

«Imprecando e telefonando a destra e a manca, Oriana cercò di intervistare Arafat. Niente da fare. Allora cambiò obiettivo: Sharon, incolpato della strage di Sabra e Chatila avvenuta pochi giorni prima. E ci riuscì, sdraiandosi letteralmente per strada davanti alla sua auto. Immaginate la scena: lei, signora ultracinquantenne e star internazionale, che blocca l’auto con scorta di Sharon. Il generale israeliano per ripartire dovette darle appuntamento il giorno dopo nel suo ufficio».

Così nacque l’ultima Intervista con la storia pubblicata sull’Europeo. Il cui fotografo, il fedelissimo Gianfranco Moroldo, si vantava di essere stato l’unico uomo capace di schiaffeggiarla.

«Sì, in Vietnam. Stavano salendo su un elicottero americano, e lei per questo cercò di portarlo davanti alla corte marziale. Ma lo rispettava. E qui si apre un altro grande capitolo della vita della Fallaci: gli amori. Che sono stati essenzialmente tre: il capo della France Presse a Saigon, con una storia alla Graham Greene; Alekos Panagulis morto nel ’76 e celebrato nel bestseller Un Uomo dell’80; e infine il misterioso parà protagonista un po’ proustiano di Insciallah dieci anni dopo. Ma il vero e unico compagno di letto di Oriana è stato il successo. Lei adorava il successo. Anche se diceva di lavorare al servizio dei lettori, per fare da mediatrice fra noi e i fatti, in realtà voleva essere la più grande scrittrice del mondo».

Dopo il ’90 altri undici anni di silenzio, fino all’esplosione di La Rabbia e l’Orgoglio.

«Sì, lo scrisse di getto dopo l’11 settembre. E fu un altro capolavoro. Senza dimenticare quelli che riassumono altri due capitoli importanti della sua vita: Se il sole muore, sulle imprese degli astronauti di Cape Kennedy lanciati alla conquista della Luna, e I sette peccati di Hollywood, con le interviste ai grandi attori. Rimase amica della Bergman e della Loren. Quest’ultima cercò inutilmente di convincerla a trasformare qualcuno dei suoi libri in un film. Un’altra amica che la visitava spesso nei lunghi anni della malattia a New York è Isabella Rossellini: gli autori della fiction dovrebbero sentirla».

Lei l’ha ancora frequentata e intervistata da direttore di Panorama otto anni fa. Era sempre intrattabile?

«Perfezionista fino all’ossessione. Controllava tutto, fino alle virgole delle didascalie. Mi spediva a comprarle le sigarette di notte a Manhattan. Era passata dalle Lark alle Nat Sherman, e finché il negozio di queste ultime era vicino a casa sua, all’altezza dell’hotel St. Regis, potevo andarci a piedi. Poi si spostò più giù sulla Quinta Avenue, e mi toccava prendere il taxi».

Insomma, ha sempre trattato anche lei da galoppino, oltre a ad avere insultato mezza Italia: dai politici ai direttori dei suoi giornali, fino agli amministratori delegati della propria casa editrice, la Rizzoli, che dovevano precipitarsi a New York per calmarla.

«La verità è che la Fallaci è stata una delle grandi italiane del secolo scorso. Speravo che la nominassero senatrice a vita. Lei ci avrebbe tenuto, credeva nella repubblica. Chi la interpreterà dovrà leggere parecchio, per introiettare il personaggio. Dovrà essere un’attrice colta. Perché Oriana l’abbiamo conosciuta in tanti. E se la fiction viene male mi arrabbio».

Mauro Suttora

Friday, January 15, 1988

Il cancro ha un Limito

Europeo, 15 gennaio 1988

Inquinamento: valanghe di accuse contro il polo chimico alle porte di Milano

Tumori , acqua in pericolo , professionisti in rivolta . intorno a Pioltello infuria la battaglia fra " terroristi " e " assassini " . Una industria chimica accusata di creare cancro

di Mauro Suttora
foto di Gianfranco Moroldo

A Limito passa anche l' Orient Express . Ma i viaggiatori del treno Parigi-Istanbul che transitano per questo paese di 8 mila persone , venti chilometri dopo Milano in direzione Venezia , non conoscono il triste primato della zona che attraversano : uno dei piu' alti tassi di cancro al polmone in Europa . Intravedono solo per un attimo alte ciminiere , giganteschi labirinti di tubi e rotondi serbatoi lungo la ferrovia . Che pero' subito dopo sono cancellati dalla paradisiaca visione del parco di Trenzanesio , con la villa Invernizzi e filari di alberi secolari , prati verdi , viali e caprioli . Nessun brivido , insomma , come quello che gli stranieri scesi da Chiasso ancora provano quando passano per Seveso .

E invece a Limito si muore . Di tumore , in silenzio , da anni . Piu' di 200 polmoni mangiati via dal cancro nell' ultimo decennio a Pioltello , di cui Limito e' frazione . E poi cancri alla prostata , al fegato , dappertutto . " In questa strada abbiamo un morto in una casa si' e una no . Mio padre se n' e' andato pochi mesi fa " , dice un abitante di via Manzoni , una stradina dove le villette si addensano l' una contro l' altra , in grigio stile hinterland .

Nulla di strano , in una regione come la Lombardia dove i tumori sono saliti del 6 per cento fra le cause di morte rispetto a solo 15 anni fa : ormai un lombardo su tre muore di cancro . A Pioltello la quota di cancri al polmone sul totale dei tumori e' del 40 per cento , contro il 13 del resto della provincia di Milano . Un' indagine dell' Istituto nazionale tumori sul periodo 1976 80 ha stabilito che la mortalita' di Pioltello e' doppia rispetto a quella della provincia di Varese , unica altra provincia lombarda con dati disponibili .

E la situazione peggiora a Limito : il medico Giovanni Moretti qualche mese fa ha calcolato che , nel campione dei suoi 1500 assistiti , dal 1977 al 1985 ci sono stati sette casi di tumore maligno al polmone , mentre i casi che si sarebbero dovuti verificare , secondo le previsioni statistiche medie , erano solo 2 , 5 . Anche se i numeri di questi campioni sono troppo piccoli per fornire certezze scientifiche , la domanda e' lecita : che aria entra nei polmoni degli abitanti di Limito ?

Non c' e' neppure bisogno che , per rispondere , qualcuno punti il dito contro le fabbriche del " polo chimico " : sono li' , cosi' imponenti e vicine alle case che si presentano da sole . Sisas , Sio , Carlo Erba , Cgt : ettari di camini , impianti e magazzini , piu' di mille lavoratori , treni e camion in partenza e in arrivo , produzioni di gas , solventi , antibiotici , emulsioni . Il ministero della Sanita' ha classificato Sisas e Sio " aziende ad alto rischio " assieme ad altre 390 industrie in tutta Italia .

Gli ecologisti minacciano referendum di chiusura come quello contro la Farmoplant di Massa . E il ministro dell' Ambiente Giorgio Ruffolo , per ammorbidire i Verdi , ha promesso controlli accurati su una ventina di grandi aziende chimiche : una di queste e' proprio la Sisas di Limito . Ma anche la Carlo Erba , che non figura nell' elenco delle industrie pericolose , in quanto a inquinamento non scherza : il suo impianto di depurazione delle acque entrera' in funzione solo quest' anno . Cioe' ben dodici anni dopo la legge Merli .

In via del Santuario , a Pioltello , su un muro campeggia una scritta : " Falciola assassino " . I fratelli Luciano e Alberto Falciola sono i proprietari della Sisas , fondata dal nulla da loro padre 40 anni fa . Andiamo a trovare l' " assassino " in Corsia dei Servi a Milano , proprio sopra al Teatrino , dove spesso si esibisce Cicciolina : gli uffici della Sisas sono piazzati orgogliosamente qui , fra il Duomo e San Babila .

Alberto Falciola , baffoni alla Francesco Giuseppe , appena pronunciamo la parola " cancro " balza dalla scrivania e va ad afferrare un dossier in un armadio per mostrarci la sentenza che l' anno scorso lo ha assolto dall' accusa di " omicidio colposo plurimo " che gli era stata scaraventata addosso dal Comune di Pioltello . " Nessun elemento " , ha scritto il pretore , " evidenzia un nesso di causa tra l' uso e la diffusione delle sostanze impiegate nel polo industriale di Pioltello e l' elevata mortalita' verificatasi in zona " .

Ma Falciola nel suo studio ha un' altra ventina di dossier che testimoniano una lotta vecchia di anni per difendersi dalle accuse della Usl e di un comitato antinquinamento formato dai cittadini di Pioltello , Limito e Rodano . Perche' la sua azienda chimica e' una delle piu' contestate d' Italia ? Le ragioni , a parte le numerose vertenze di lavoro col sindacato , spesso risolte a colpi di licenziamenti e sospensioni , sono essenzialmente due : una discarica di nerofumo e di altri rifiuti industriali , che la Sisas nel 1983 ha ricevuto l' ordine di risanare , e un nuovo impianto di produzione bloccato da due anni per le proteste dei Verdi .

" La discarica riguarda il passato , il nuovo impianto il futuro : ma tutt' e due sono caratterizzati dalla pericolosita' , dalle irregolarita' commesse dalla Sisas e dall' inerzia delle autorita' che dovrebbero proteggere la salute dei cittadini " , dichiara Pippo D' Amico , un consulente d' informatica che dalla sua villetta di Rodano coordina le attivita' del comitato antinquinamento . Perche' proprio Rodano ? Perche' e' il comune confinante a sud con Limito , e le sue acque sono minacciate da perdite della discarica accumulata dalla Sisas nei decenni : l' anno scorso sono state trovate tracce di idrocarburi policiclici aromatici (cancerogeni) nella falda che passa sotto il polo chimico .

Ma c' e' anche un' altra ragione che spiega perche' il paesetto di Rodano , tremila abitanti , rappresenta per le industrie della zona una spina ben maggiore di Pioltello Limito , con i suoi 40 mila abitanti : gli immigrati a Rodano sono professionisti milanesi scappati dalla citta' in cerca di verde , mentre Pioltello da vent' anni accoglie meridionali disperati , che non trovano casa a Milano . E cosi' il comitato antinquinamento e' animato soprattutto dai professori del Politecnico e dai dirigenti dell' Ibm di Rodano che dedicano alla passione civica serate e week end , mentre difficilmente a Pioltello i pendolari tornati a casa alle otto rinunciano a un po' di tv . E poi , molti di loro nelle industrie chimiche ci lavorano .

Partecipiamo una sera a un' assemblea pubblica nel cinema di San Felice (Segrate) : anche gli abitanti di questo ghetto per ricchi , cosi' come quelli delle vicine Milano 2 e San Bovio , cominciano a preoccuparsi per la propria acqua potabile e per " le porcherie che escono da quelle fabbriche " . Tutte le aziende del polo chimico sono invitate , ma soltanto la Sisas si presenta . E cosi' il suo ingegnere fa da parafulmine per le paure e le accuse degli intervenuti.

" La discarica dev' essere messa in sicurezza , isolata e impermeabilizzata a spese dell' industria : chi inquina paga " , sostengono gli ecologisti , che accusano anche un nuovo impianto per la produzione di anidride maleica e acido fumarico , costruito dalla Sisas nel 1985 : " Funzionera' col benzolo , una delle 14 sostanze cancerogene certe " , avverte Gabriele Salvago , docente di chimica al Politecnico . Ma lo scorso 27 novembre il pretore di Cassano ha dato il via al nuovo impianto , ritenendolo innocuo . L' ingegnere della Sisas sbotta : " Certo , siamo un' industria chimica , e per questo siamo classificati come ' ' impianti insalubri di prima classe' ' . Ma rispettiamo tutte le prescrizioni di legge , e anzi abbiamo un depuratore all' avanguardia . Diteci quello che volete veramente : che ce ne andiamo ? " . " Si " , risponde una signora dalla platea . " Puo' darsi che lo faremo , perche' qui ormai siamo completamente bloccati " , replica stizzito l' ingegnere .

Il proprietario della Sisas , Falciola , alle assemblee vorrebbe andarci : " Ma con questi baffi poedi minga : sono troppo riconoscibile . Pero' qualche volta vorrei rispondergli in faccia , a chel terurista del Bai " . Il " terrorista " Edoardo Bai e' l' ufficiale sanitario della Usl che mette continuamente i bastoni fra le ruote della Sisas . Andiamo a trovarlo nel suo ufficio a Gorgonzola : " Se sperano che gli dia l' autorizzazione per il nuovo impianto , se lo sognano . Che lo facciano andare a butano , invece che a benzolo . E poi , lo hanno costruito con i rottami di un impianto Snia di Colleferro saltato in aria " .

" Non e' vero , il nostro e' un impianto sicurissimo " , ribatte a distanza Falciola , " e infatti il pretore ci ha dato ragione . Emetteremo solo cento grammi all' ora di benzene , mentre la regione Lombardia ha autorizzato per l' Alusuisse di Scanzorosciate nove chili all' ora " . Addentrarsi in ogni singolo dettaglio tecnico , mettere a confronto le tesi del " terrorista " con quelle dell' " assassino " e' tanto appassionante quanto complicato e noioso . Anche perche' spesso tutto finisce di fronte al tribunale : sono una cinquantina i processi sostenuti dalla Sisas negli ultimi anni , di cui sei contro Bai .

C' e' un unico punto su cui ecologisti e Sisas sono d' accordo : l' inefficienza della pubblica amministrazione . Che non ha impedito ai privati di costruire le case addosso alle fabbriche , e che adesso vuole aggiungerci anche un centro commerciale di Silvio Berlusconi , a Pioltello . " Ma qui c' eravamo prima noi , non possono cacciarci " , protestano alla Sisas . La provincia di Milano ha affidato il progetto di bonifica della discarica di nerofumo alla Castalia , un ' azienda di disinquinamento dell' Iri .

" Mi sun chi che speti " , ironizza tranquillo Falciola . Lui sarebbe contento di regalare al comune di Rodano il terreno della discarica , per farlo bonificare con fondi pubblici . " Basta che non succeda come l' altra estate , quando quei pirla mi hanno telefonato mentre ero in Carinzia in cima a un albero al tramonto , proprio nell' ora migliore per la caccia al capriolo".

Gli ecologisti obiettano che la Sisas , con un fatturato annuo superiore ai 400 miliardi , puo' benissimo spenderne una ventina per ripulirsi la discarica . " Ma allora perche' lo Stato ha regalato 50 miliardi alla Montedison per la sua discarica di Marghera ? " , ribatte pronto il Falciola . E cosi' via , all' infinito . La piccola guerra alle porte di Milano continua , con i suoi " assassini " , con i suoi " terroristi " . E con i suoi morti di cancro .

Mauro Suttora

Saturday, September 05, 1987

Irangate 2

Europeo, 5/9/1987, pag. 16

Irangate all' italiana, 2

Esclusivo: tutti i documenti del traffico di esplosivi tra il nostro paese e Teheran

Nome in codice: "Operazione Niklas". Protagonisti : cinque grandi produttori di munizioni. E una piccola azienda italiana. Dalle riunioni a Parigi dell'82 alle triangolazioni con Israele e Sudafrica, l' affare è ricostruito in un rapporto top secret. "Europeo" lo svela

di Mauro Suttora - inviato a Stoccolma
Foto di Gianfranco Moroldo

I sette volumi da 700 pagine stanno nella sede delle dogane svedesi , a Sandhamnsgatan 57 , Stoccolma. Contengono i risultati di tre anni di indagini sui traffici illeciti della Bofors Nobel , l' industria bellica svedese che ha contrabbandato armi e munizioni in Iran attraverso Italia e Jugoslavia violando le leggi del proprio paese . Sono atti pubblici : adesso l' inchiesta della magistratura si e' conclusa e il processo si terra' in autunno .

Ma dal rapporto delle dogane mancano i due fascicoli che riguardano Tirrena e Valsella , le aziende italiane che hanno fatto da ponte fra la Bofors e l' Iran . La mannaia del segreto si e' abbattuta su 300 pagine di documenti . Perche' ? " Abbiamo spedito cio' che riguarda l' Italia alla vostra Guardia di Finanza " , spiega il funzionario Ingvar Carlsson , " e qui in Svezia sono pubblici solo i documenti che riguardano direttamente la Bofors . Tutto il resto e' riservato , fa parte della collaborazione fra le dogane degli Stati europei che si scambiano informazioni in base a un trattato del 1953 " .

La Guardia di finanza , a Roma , conferma di star conducendo un' indagine su Tirrena e Valsella . Iniziata dopo aver ricevuto il rapporto svedese ? " No comment " . L' inchiesta , svolta per conto dei giudici italiani , e' coperta dal segreto istruttorio . Segreto in Svezia , segreto in Italia . L' Europeo e' in grado , pero' , di pubblicare i documenti riservati che ci vengono negati dalle autorita' di Roma e Stoccolma . Nel numero scorso , avevamo rivelato la vicenda di un' imponente fornitura di esplosivi all' Iran in cui una ditta italiana si era assunta il ruolo di spedizioniere . In questo numero , ricostruiamo con materiale inedito la storia completa della " connection " Europa Italia Iran (con sconfinamenti in Israele , Sudafrica e Irak) arricchita da nuovi particolari .

Europa unita .
C' e' un funzionario , alle dogane di Stoccolma , che fa dei bellissimi disegnini . Non bisogna tradurre dallo svedese tutte le pagine del rapporto consegnato in maggio da Sivgard Falkenland , capo della sezione criminale delle dogane , per capirne il significato : basta dare un' occhiata alle didascaliche cartine accluse ai verbali degli interrogatori dei dirigenti della Bofors e alle conclusioni degli investigatori . E questo significato e': l' Europa unita esiste . È viva , operosa , solidale . Puo' anche marciare in ordine sparso sulla questione dell' invio di cacciamine nel Golfo Persico , puo' latitare in politica estera o in materia di agricoltura . Ma quando si e' trattato di vendere armi e munizioni all' Irak e all' Iran , l'unita' europea ha funzionato a meraviglia . Anzi , si e' estesa oltre i confini della Cee , inglobando tutta la Scandinavia e perfino la Jugoslavia .

Quella cartina con le frecce che convergono sull' Italia per poi partire verso l' Iran illustra l' affare delle 5 . 300 tonnellate di polvere da sparo M1 fornite da Bofors (Svezia) , Nobel (Scozia) , Snpe (Francia) , Prb (Belgio) e Muiden (Olanda) alla Tirrena di Roma , e da questa riesportate verso Teheran . Valore totale appurato nel rapporto : 315 milioni di sek (corone svedesi) . Cioe' , esattamente i 75 miliardi di lire indicati dall'Europeo la scorsa settimana . Quindi la smentita della Tirrena , che ha parlato di 13 miliardi , non regge : questa cifra si riferisce al totale dei suoi acquisti all' estero.

Non solo polvere .
Ma quello delle 5 . 300 tonnellate e' solo uno dei sei contratti per munizioni che la Tirrena ha firmato nel 1982 con la Ndio (National defence industries organization) iraniana , e ne rappresenta solo un decimo del valore complessivo . In realta' , dal 1982 al 1984 , la Tirrena ha avuto , grazie a regolari licenze concesse dal governo italiano , il quasi monopolio delle forniture di munizioni che partivano dall' Italia verso l' Iran . Polveri ed esplosivi che provenivano in larga parte dall' Italia . Secondo la Tirrena e' stato per ragioni di equilibrio con l' Irak che la ditta romana ha ottenuto tutte quelle licenze per l' Iran . Sei in tutto , abbiamo detto . Una di queste , l' unica di cui l' Europeo possa rivelare i dettagli , ha riguardato per esempio 200 tonnellate di potente esplosivo , il Pentyl (pentastite) Nsp 46 , umido al 25 per cento , arrivato agli ayatollah per un prezzo di quasi due miliardi di lire . Intendiamoci : quelle 5 . 300 tonnellate di polvere da sparo per i grossi cannoni iraniani da 105 e 155 millimetri che bombardano Bassora non sono poca cosa : basti dire che il consumo totale dell' Iran in un anno e' di 4 mila tonnellate . Ma le carte svedesi dicono, lo ripetiamo. che la Tirrena aveva altri cinque contratti con Teheran . E che per diversi di questi l ' Italia ha fornito una sponda compiacente (illegale per la legge svedese ma non per quella italiana) alle " triangolazioni " Svezia Italia Iran , per un valore di almeno 250 miliardi di lire .

Operazione " Niklas " .
Nei documenti sequestrati alla Bofors non si trovano mai i nomi Iran e Irak . Il nome di codice che gli svedesi usavano per l' Iran era " Niklas " , Nicola (vedere documento qui sopra) . L' Irak invece era " Kalle " , Carlo . L' " operazione Niklas " viene discussa durante una cena il 12 settembre 1982 a Parigi fra alcuni rappresentanti del consorzio Easspp (Associazione europea per lo studio della sicurezza di polveri e propellenti) , che riunisce i 13 maggiori produttori di esplosivo dell' Europa occidentale , dalla Spagna alla Finlandia (per l' Italia c' e' la Snia, che pero' dichiara di essersi sempre attenuta ai soli scopi statutari dell' associazione).

La Tirrena , attraverso i belgi della Prb con cui collabora da dieci anni , chiede al cartello i quantitativi di munizioni che non riesce a reperire in Italia . Ma l' interesse e' reciproco : contemporaneamente i produttori europei cercano un' azienda italiana che , viste le maglie larghe delle leggi del nostro paese , faccia da intermediario " legale " per l' Iran , poiche' negli altri paesi le licenze non vengono concesse (non certo per motivi umanitari : la Snpe francese , societa' statale , e' per esempio costretta a seguire la scelta di Parigi di vendere armi all' Irak , di cui e' il secondo fornitore mondiale dopo l' Urss) . Le trattative per celebrare questo matrimonio di convenienza sono pero' lunghe (come mostra il documento qui accanto ) : si trascinano per un anno , dal primo incontro fra Bofors e Tirrena nel marzo 1983 alla firma del contratto per le 5 . 300 tonnellate il 15 marzo 1984 .

Anche qui , la smentita della Tirrena alle nostre rivelazioni della settimana scorsa e' erronea : esattamente come avevamo sostenuto il contratto di fornitura e' del 1984 , non del 1982 . Il dettaglio temporale non e' insignificante. Benche' le esportazioni della Tirrena fossero in regola , proprio in quei mesi del 1984 si dibatteva la necessita' di imporre un embargo del materiale bellico a Iran e Irak . Un dibattito poi sfociato nelle disposizioni dell' allora ministro della Difesa , Giovanni Spadolini .

Un' ulteriore conferma : la garanzia per i pagamenti anticipati della Tirrena viene data dalla Banca nazionale del lavoro il 17 febbraio 1984 . La Snpe fornira' 1 . 800 tonnellate , Nobel e Bofors 900 , Prb e Muiden 850 ciascuna . Il 4 maggio 1984 Mats Lundberg , sales manager della Bofors (adesso imputato nel processo) , scende a Roma per incontrare , nella sede della Tirrena in via del Quirinale 22 , all' angolo delle Quattro fontane , tre persone : il presidente della Tirrena Vittorio Amadasi , la sua assistente Franca , e il capo della Bofors Italia Renato Golinelli.

Riproduciamo l' interessante verbale dell' incontro scritto a mano da Lundberg e poi sequestrato dalla giustizia svedese sopra il riquadro . Il punto 1 riguarda le 5 . 300 tonnellate di polvere e un preteso interessamento del ministro degli Esteri , Giulio Andreotti , al rinnovo della licenza d' esportazione della Tirrena verso l' Iran (vedi il riquadro) . Il punto 2 e' intitolato " Petn " , e riguarda una delle altre forniture della Bofors alla Tirrena . Eccone la traduzione letterale : " Spedire 25 tonnellate il 15 18 maggio . Bofors ne spedira' 50 al piu' presto , il 20 30 giugno . Le manderemo in container , ma c' e' il problema dell' umidita' . Non dobbiamo pagare troppo per il trasporto da Montepescali (la stazione ferroviaria a tre chilometri dal deposito militare di Versegge , Grosseto , ndr) a Piombino " .

Qual e' il problema cripticamente sollevato nell' appunto di Lundberg ? Semplice : se l' esplosivo viaggia per mare , dev' essere umidificato in percentuale diversa dai viaggi in ferrovia , per evitare il pericolo di esplosioni . Ma le dogane svedesi credono che la spedizione della Bofors via terra alla Tirrena restera' in Italia . Come giustificare allora un tasso di umidita' diverso , che tradisce la vera destinazione del materiale ? Probabilmente il problema non venne risolto del tutto , ed e' proprio grazie a questi indizi che la verita' e' venuta a galla .

Altro problema al punto 3 . Titolo : " 30 tonnellate di Petn ' ' plastico' ' " . Nelle quattro righe c' e' scritto : " Metteremo solo 5 kg di plastico in un barile pieno di polvere , per mostrarlo agli iraniani . Il numero del contratto e' : 334 1401 11825 . Telefonare a Franca per dirle il numero del barile " . Qui la Bofors deve fare arrivare in Iran un campione di un altro prodotto , che probabilmente a Teheran vogliono controllare prima di ordinare . Ma poiche' non vale la pena di chiedere una licenza di export (neanche per l' Italia) per un quantitativo cosi' piccolo , si usa un trucco : celare il plastico in un barile pieno di polvere . Alla Tirrena confermano : " Si' , era un plastico con una diversa gradazione di flegmatizzante " .

Rimane un fatto incontestabile : la Tirrena conferma che quel campione venne contrabbandato . L' ultimo punto del verbale , " Nuova licenza di esportazione " , dice : " Il governo (italiano , ndr) e' sotto forte pressione dall' estero (gli Usa , ndr) . Il dr . Amadasi pensa che nessuna nuova licenza verra' concessa " . Si tratta evidentemente di licenze che non riguardano le 5 . 300 tonnellate di polvere , che la Bofors in quel momento e' sicura di poter far arrivare in Iran via Italia . E infatti il 23 agosto 1984 gli svedesi domandano al loro governo il permesso per l ' export delle prime cento tonnellate in Italia . Questa spedizione avviene in due fasi : 50 tonnellate arrivano al deposito dell' esercito di Versegge in settembre , i restanti mille barili da 50 chili l' uno vengono spediti il 27 9 ' 84 . Questa e' la prima ma anche l' ultima spedizione di polvere M1 che la Bofors fa alla Tirrena . Infatti in ottobre la licenza della societa' italiana scade , e non viene piu' rinnovata dal Comitato interministeriale .

Pero' l' annunciato ' ' embargo' ' verso l' Iran non era affatto rigido : sono diverse la aziende italiane che negli anni successivi hanno potuto continuare a rifornire Teheran . La Oerlikon , per esempio , ha avuto il permesso di spedire mitra e cannoni fino al 15 luglio 1987 , sei settimane fa . La Tirrena afferma di essere riuscita a mandare in Iran solo 270 delle 5 . 300 tonnellate pattuite . Di queste solo 50 erano della Bofors . Le altre 50 sono rimaste a Versegge per sette mesi , fino all' aprile 1985 , perche' la Bofors dice la Tirrena ha cercato senza successo di venderle in Italia (vedere telex qui sopra) .

Ma , sulla vicenda del mancato rinnovo della licenza alla Tirrena , a pagina 00141 del rapporto svedese , c' e' un' affermazione sconcertante e che potrebbe contenere un giallo politico . Lo fa , durante un interrogatorio del 12 giugno 1985 , l' ingegnere Carl Nygren , dirigente della Bofors . " Perche' l' Italia non ha rinnovato la licenza della Tirrena per l' Iran ? " , gli domandano gli investigatori . Risponde testualmente Nygren : " Perche' un' azienda bellica pubblica italiana in quel periodo ha una commessa di 11 miliardi di corone (2 . 200 miliardi di lire , ndr) con l' Irak , che chiede in cambio a Roma di sospendere le forniture all' Iran " .

Poiche' non risulta nessun affare Italia Irak di quell' entita' in quel periodo , e' probabile che il riferimento sia al pagamento delle undici navi costruite dalla Fincantieri per l' Irak : navi mai ritirate da Baghdad , per il semplice motivo che ormai gli irakeni hanno perduto tutti i loro porti , ma anche mai finite di pagare .

Sudafrica .
Anche il Sudafrica , come l' Italia , nei primi anni ' 80 , imbottisce di armi e munizioni l' Iran . Nel 1981 , Karl Erik Schmitz di Malmoe (Svezia) , uno dei piu' grossi trafficanti d' armi del mondo , ottiene per la sua azienda di import export Scandinavian Commodities (Scanco) un ordine gigante dall' Iran , del valore di 600 milioni di dollari (1 . 200 miliardi di lire) . Lo confessa lo stesso Schmitz , imputato nel processo Bofors , negli interrogatori . Ma nel 1984 il Sudafrica ottiene a sua volta una commessa militare di 400 milioni di dollari dall' Irak , con la clausola di bloccare l' export verso l' Iran . Schmitz va nei guai : deve ancora consegnare 300 miliardi di lire di polvere all' Iran , e non sa come rimpiazzare la polvere sudafricana . Manna dal cielo : contemporaneo al blocco del Sudafrica , arriva quello dell' Italia , e le due storie si saldano . Schmitz e' ben felice di rilevare dalla Tirrena la commessa per 5 mila tonnellate di polvere da sparo , e sposta gli imbarchi da Talamone al porto jugoslavo di Bar (Montenegro) .

Il nuovo partner di Bofors e soci e' adesso niente di meno che il Direttorato federale dei rifornimenti per l' esercito jugoslavo . Il quale non si limita a mettere a disposizione un deposito , come hanno fatto le Forze armate italiane : fornisce a Schmitz tutta la copertura , come importatore dal Nord Europa e come esportatore verso il Kenya (con falsi certificati di uso finale , per non far bloccare le navi dirette in Iran dagli egiziani nel canale di Suez) . Anche le navi cambiano : non sono piu' quelle iraniane , che attraccavano al porto di Talamone (Grosseto) e che poi erano costrette al periplo dell' Africa per evitare Suez , ma danesi e tedesche . I carghi " Frauke " , " Bentota " , " Katja " e " Othonia " fanno la spola fra la Jugoslavia e Bandar Abbas (vedere la bolla di scarico della Frauke , a pag . 20) . I produttori di munizioni del cartello Easspp sono soddisfatti : si riuniscono a Oxford il 5 febbraio 1985 (pag . 00046 dell' inchiesta svedese) per ratificare il passaggio della commessa dalla Tirrena a Schmitz . Il quale trova il resto della polvere , che il Sudafrica non gli manda piu' , soprattutto in Israele .

Era l' "Italian transaction" (ma la Tirrena nega : " Tutto era in regola , niente ' ' triangolazioni sporche' ' : su quell' affare , che e' stato solo l' 1 per cento del commercio bellico italiano verso il Golfo , noi abbiamo pagato tasse e dogane fino all' ultima lira"). Ora diventa la " international transaction " e arriva all' Iran in varie partite , fino al dicembre 1986 . L' unica cosa che e' cambiata e' il prezzo (telex del 19 8 ' 85 da Schmitz all' Iran) : e' passato nel giro di un anno dai 20 marchi al chilo della Tirrena ai 23 marchi di Schmitz . Tutto aumenta .

Mauro Suttora

didascalie:
Gli iraniani lanciano un missile contro gli iracheni durante la battaglia di Korramshar . A sinistra : l' inchiesta dell ' " Europeo " della scorsa settimana con le rivelazioni sul traffico Italia Iran . A destra : la copertina del dossier sulla Tirrena delle dogane svedesi .
Qui sopra : le due cartine , disegnate da funzionari delle dogane svedesi , sono allegate al rapporto di 5 mila pagine che mette sotto accusa la triangolazione illecita fra Svezia e Iran , passata attraverso l' Italia .
La cartina a sinistra indica l' entita' dei " performance bond " (garanzie per l' esecuzione del contratto) versati dalla Tirrena all' Iran : quasi sei milioni di sek (corone svedesi) , che corrispondono a circa 1 , 2 miliardi di lire . La cartina a destra mostra il flusso delle 5.300 tonnellate di polvere da sparo che la Tirrena voleva vendere all'Iran. Valore totale dell' affare: 315 milioni di corone svedesi (75 miliardi di lire).
A sinistra: gli appunti di Mats Lundberg, sales manager della Bofors, sequestrati in Svezia. Il titolo è "Niklas", nome in codice per l' Iran.
A destra : un riassunto delle trattative fra Tirrena e Bofors per il contratto delle 5 . 300 tonnellate di polvere da sparo . Il " client " di cui si parla e' l' Iran . Al punto 1 , l' indirizzo a cui spedire il materiale : il deposito militare di Versegge (Grosseto) . Al punto 2 , un disaccordo : sia l' Iran sia la Tirrena vogliono incaricarsi del trasporto della spedizione dal porto di Talamone . Al punto 3 , il pagamento anticipato : la Tirrena vuole pagare i produttori dopo ogni partita , la Bofors vuole subito il 10 per cento sul totale del contratto . Lars Jederlund , studioso svedese del commercio d' armi , con i dossier su Tirrena e Valsella .
Qui accanto : il verbale scritto a mano da Mats Lundberg della riunione avvenuta a Roma il 4 maggio 1984 negli uffici della Tirrena . Partecipanti : Vittorio Amadasi , presidente della Tirrena , la sua assistente Franca , " Gol " (nome in codice per Renato Golinelli , rappresentante della Bofors in Italia) e " Lum " (Lundberg , della Bofors Svezia) . Al primo punto , Lundberg scrive che Amadasi avrebbe parlato personalmente con il ministro degli Esteri per ottenere la licenza di esportazione .