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Tuesday, May 09, 2023

Democrazie e dittature? Ancora oggi per qualcuno pari sono



Nell'articolo principale di questa settimana de La Lettura, Manlio Graziano, docente di geopolitica a Parigi, scrive che Usa e Cina "si scambiano provocazioni con tanta aggressività e leggerezza"

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 9 maggio 2023 

"Taiwan è diventata la posta principale di un gioco al rialzo da cui nessuno vuole recedere. Né Joe Biden né Xi Jinping possono permettersi di mostrare segni di cedimento al pubblico di casa". Nell'articolo principale di questa settimana de La Lettura, supplemento letterario del Corriere della Sera, Manlio Graziano, docente di geopolitica a Parigi, scrive che Usa e Cina "si scambiano provocazioni con tanta aggressività e leggerezza" quanto quelle che portarono alla Prima guerra mondiale nel 1914 e all'attacco del Giappone contro gli Stati Uniti nel 1941. 

"Giocare con il fuoco dei ricatti reciproci, senza considerare che la situazione è per certi aspetti più grave di allora, è una prova del sonnambulismo degli attuali 'responsabili' politici", scrive Graziano. Il quale mette quindi sullo stesso livello un dittatore come il cinese e un presidente eletto come l'americano. Entrambi responsabili ma scritti tra virgolette, perciò in realtà irresponsabili. Anche se Xi non deve rispondere a nessuno, mentre Biden fra due anni sarà liberamente valutato dai suoi elettori. 

Graziano riconosce l'impossibilità dell'equivalenza, ma solo per dire che Xi è più vulnerabile: "Il leader autoritario, privo di legittimazione elettorale, è forse più esposto del leader democratico, perché quando perde la legittimità interna trascina nella caduta il suo regime". Come accadde ai colonnelli greci dopo il golpe di Cipro nel 1974, o ai generali argentini dopo la sconfitta delle Falkland/Malvine nel 1982. 

Graziano però precisa che anche la legittimazione elettorale di Biden "è da alcuni contestata". Questi 'alcuni' sarebbero Donald Trump e i suoi teppisti di Capitol Hill? Proseguendo nell'equiparazione, il professore cita un sondaggio con il 70% dei cinesi favorevoli all'uso della forza per "riunificare" (alias attaccare) Taiwan, e uno di Newsweek con "più della metà degli americani pronta ad appoggiare un intervento degli Usa in difesa di Taiwan". Come se in Cina esistesse un'opinione pubblica libera di esprimersi. E come se attaccare e difendere siano la stessa cosa. 

Graziano poi scrive che davanti alle coste cinesi ci sarebbe "una catena di isole controllate da Paesi rivali, spada di Damocle sui suoi traffici", riecheggiando la paranoia da accerchiamento di Vladimir Putin. Ma i traffici della Cina sono indirizzati verso l'intero mondo libero, il quale quindi non ha alcun interesse a bloccarli. 

L'affermazione più sconcertante di Graziano arriva quando dà credito alla prima teoria complottista del dopoguerra: l'accusa a Franklin Roosevelt di avere "scientemente provocato" Pearl Harbour. "Secondo alcuni storici" scrive lui; i quali però si riducono a un contrammiraglio Usa cacciato dopo una sconfitta, e a un fotografo.

La conclusione di Graziano è in linea con la sua idea di equipollenza fra democrazie e dittature. Accusa santorianamente "i 'responsabili' politici delle potenze minori [come la Ue, ndr]" di "accodarsi all'uno o all'altro dei due contendenti". I quali per lui pari sono. Dimenticando che invece a Taiwan, come in Ucraina, c'è un enorme lupo che minaccia un piccolo agnello. 

Povero Angelo Panebianco, l'editorialista del Corsera che ancora pochi giorni fa ammoniva a rendersi conto dell'ineliminabile conflitto di valori fra il mondo libero e le autocrazie (Cina, Russia). L'illusione della neutralità è forte anche nel suo stesso giornale. 

Monday, March 29, 2021

Lo spinello libero farebbe bene a "guardie e ladri"

Negli Usa la diga proibizionista è crollata, ora anche New York. Perché i benefici sono innumerevoli

di Mauro Suttora

HuffPost, 29 marzo 2021

Ha ragione la nonna dei fiori Erica Jong, 79 anni: senza il brivido del proibito, che fascino avrebbero gli spinelli? Anche per questo la sua New York, dove lei furoreggiò con 'sex & drugs', ha deciso di legalizzare marijuana e hashish. È il 14esimo stato Usa a farlo: la diga è crollata. Cinque mesi fa altri tre stati hanno liberalizzato le canne con un referendum, assieme al voto presidenziale. Ormai la maggioranza assoluta degli statunitensi è antiproibizionista, visti i risultati positivi ottenuti negli ultimi vent'anni in California, sempre pioniera.

I benefici sono innumerevoli: le droghe leggere portano soldi non più alle mafie, ma alle casse pubbliche (New York prevede 350 milioni di entrate tassandole al 9%); si risparmiano i costi della repressione poliziesca; i tribunali si disintasano; si spezza il legame con le droghe pesanti; si decriminalizzano le minoranze nere e ispaniche, i cui giovani vengono arrestati per spaccio.

Ma soprattutto, è caduta la grande paura dei proibizionisti: la libertà di fumare non ha provocato un aumento del consumo. Neanche una diminuzione, ma almeno ora gli spinelli sono diventati come alcol e tabacco: chi vuole smettere ha soltanto un problema psicologico e medico, da curare come gli alcolisti anonimi, senza carceri e poliziotti a rovinarti la vita.    

È stato un brutto incubo, durato mezzo secolo. Fu nel 1970, infatti, che il presidente Nixon dichiarò "guerra alla droga". Guerra fallita, come già il primo proibizionismo Usa anti-liquori degli anni '20, il cui unico risultato fu quello di arricchire gli Al Capone. Basta vedere il film 'C'era una volta in America': "E ora che facciamo?", si chiesero smarriti i mafiosi nel 1933, quando il saggio Roosevelt pose fine all'illusione punitiva.

Quanto all'Italia, tutti noi sappiamo che metà dei nostri compagni a scuola si facevano le canne. La notizia non è che i giovani continuano a fumare, ma che ora ne approfittano anche i 'buoni': il disastro dei carabinieri spacciatori di Piacenza dimostra che è urgente depenalizzare anche da noi almeno le droghe leggere, prima che il cancro della corruzione si diffonda a livelli messicani.

Ricordo l'arresto di Walter Chiari e Lelio Luttazzi 50 anni fa: al bambino che ero parve incredibile che il presentatore del suo programma radio preferito, Hit Parade, finisse dentro. Che fosse un 'cattivo', un drogato. All'adolescente che ero nel 1975 sembrò ragionevole che Marco Pannella si facesse arrestare per uno spinello, allo scopo di far cambiare la legge. Avevo studiato Antigone e Gandhi, mi entusiasmai. Grande delusione nel 1988, quando Craxi da progressista divenne reazionario e sposò la repressione. Nè ho mai capito i capi delle comunità antidroga che volevano il carcere per i loro malati: infermieri o aguzzini?

Preistoria. Oggi confesso che noi boomer antiproibizionisti siamo esausti. Ci accontentiamo di 'piccoli passi' come le depenalizzazioni per consumo personale, modica quantità, uso terapeutico. E l'Italia non è diversa dall'Europa: tranne Spagna e Olanda, le droghe leggere rimangono 'illegali' dappertutto, perfino nell'illuminata Scandinavia. Quindi diffusissime. "Il male non si combatte proibendolo", ripetono inascoltati i radicali.

Personalmente, dopo il primo spinello che mi fece solo tossire non ho riprovato. Men che meno quando vivevo a New York: vent'anni fa mi avrebbero arrestato, come se avessi osato fumare tabacco nel tavolino all'aperto di un bar o avessi bevuto vino sul marciapiede davanti allo stesso bar (i benpensanti fascistoidi così preoccupati per la nostra salute emettono leggi ridicole, cosicché gli adepti di bacco e tabacco per farla franca in simultanea si sedevano al confine fra i due opposti divieti: bicchiere in una mano e sigaretta nell'altra, dentro agli spazi leciti).

In realtà c'è poco da scherzare: ogni estate la polizia italiana sbatte in galera centinaia di giovani coltivatori diretti di marijuana, dalla Sardegna alla Calabria. Leggo le cronache di complesse operazioni alla James Bond: elicotteri per scovare i campi nascosti, appostamenti, pedinamenti, indagini. Intanto mezza Albania è coltivata a canapa indiana, i migranti vengono arruolati nel racket dello spaccio, miliardi regalati alla 'ndrangheta. E metà dei nostri detenuti scontano pene per reati legati alla droga. Sorge spontanea la domanda: di cosa potrebbero occuparsi più utilmente poliziotti e magistrati, depenalizzando come a New York? Quanti carcerati in meno?

Fuor di provocazione, propongo costruttivo: ok, come volete voi, ancora cinque anni di proibizionismo. Ma se non funziona, se il consumo di stupefacenti non si riduce, questa volta cambiamo. Proviamo qualcosa di diverso. Senza slogan diabolici come 'Sesso, droga e rock'n'roll'. Pragmaticamente.

Mauro Suttora

Wednesday, November 10, 2010

I Diari di Mussolini

ESCLUSIVA MONDIALE: Anticipiamo alcuni brani del libro I Diari di Mussolini (veri o presunti) (Bompiani) in libreria dal 10 novembre 2010.

a cura di Mauro Suttora

Oggi, 3 novembre 2010

Arriva in libreria il primo volume dei Diari di Mussolini, quelli «scoperti» tre anni fa dal senatore Marcello Dell’Utri. Molti dubitano della loro autenticità, per cui lo stesso editore Bompiani nel titolo aggiunge «Veri o presunti». In ogni caso, la loro lettura è avvincente. Anche perché l’anno in questione, il 1939, è carico di eventi cruciali. Ecco un’antologia dei giudizi espressi dal Duce.

31 agosto ’39: "È guerra"
«Non possiamo e non dobbiamo prendere le armi (che poi... non abbiamo) ma dobbiamo fare una scelta che possa salvarci. (...)
Dobbiamo difenderci da coloro che saranno nel gioco tragico della guerra i nostri nemici e salvarci da quelli che potrebbero diventarlo da un momento all’altro e sono i nostri alleati: i tedeschi.
Ancora supposizioni progetti scelte pensieri qui in questo gelido salone del mio studio».

Agnelli: “Vero padrone“
21 gennaio: «Inauguro il costruendo Cementificio di Guidonia ideato dal sen. Agnelli di Torino che mi attende in impeccabile divisa fascista (non era il caso). L’anziano industriale ha i tratti forbiti dal vezzo e dalla pratica di comandare: un padrone, un ruolo perfetto».

Balbo: “Grand’uomo“
7 dicembre: «[Italo] Balbo [morirà dopo pochi mesi,ndr], un grand’uomo. Solido, forte e franco, lo apprezzo perché dice ciò che pensa anche se offende».

Borghesi: “Ricchi e gretti“
25 gennaio: «Avverso la borghesia ricca e spavalda, pretenziosa e gretta, che per un imprevisto giuoco del destino ha il privilegio della ricchezza o quello di rubare impunemente e legalmente a quella massa di poveri che per un giuoco del destino diverso si trova nella necessità di dover da questa dipendere. Equilibrare la ricchezza. Sì, è il mio pensiero. Ma bisogna arrivarci per gradi».
11 dicembre: «Ho sempre nutrito una folle avversione verso il ceto borghese nemico dell’azione e dell’audacia».

Bottai: “Un marxista“
7 dicembre: «Bottai, il marxista del fascismo, legislatore oculato, personaggio di primo piano per molte qualità e molta sostanza».

Ciano: “Uno sprovveduto“
2 febbraio: «Galeazzo è fiducioso e sempre alquanto sprovveduto nell’immediato giudizio del primo soggetto che gli capita innanzi».
16 febbraio: «Giornata sciupata fra intrighi e pettegolezzi. Maldicenze e jettature, impudenze e preziosissimo tempo perso in cretinerie. Galeazzo ha “preso cappello” per certe insinuazioni convalidate da Ferretti - contrasti e ragazzate. Sono uomini deboli, piccoli e fragilissimi - ed io credevo di aver costruito dei giganti! Mi dispiace di aver dovuto redarguire Ferretti per dare le solite soddisfazioni a mio genero che mi è più caro di un figlio, ma è tanto ragazzo».
7 dicembre: «Ha talento e cuore, ma per un malefico giuoco del destino spesso volge il suo modo di agire su tracce sbagliate [quattro anni dopo lo farà fucilare, ndr]».

Ebrei: “Non sono razzista“
3 gennaio: «Roosevelt mi manda William Philips [ambasciatore Usa a Roma, ndr] a chiedere una cosa impossibile - vuole sistemare gli ebrei scacciati da Hitler in Abissinia, giù sul basso Giuba. Ma nemmeno ci andrebbero. Personalmente non ho nulla contro gli ebrei. Ho avuto ebrei fra i miei amici più fidati e validi. Ho già varato varie volte il progetto di creare uno Stato israelita per gli ebrei di tutto il mondo. Il Medio Oriente parvemi la regione più adatta allo scopo. Ma in Etiopia non vedo come potrebbero sistemarsi, vi sono ancora interi territori da ricondurre all’ordine, è un momento di duro assestamento».
11 febbraio: «Ho l’obbligo di rispettare almeno nella forma più blanda le leggi razziali imposte da Hitler e facenti parte della politica dell’Asse. La Chiesa ha sollevato un allarme sulla disposizione indetta [divieto, ndr] per i matrimoni misti. Non mi pare una cosa gravissima, ma è motivo di contrasto. Io sono contro le leggi razziali. Gli ebrei vivano come hanno sempre vissuto. La razza ariana o no è per me la stessa cosa. Uno della Papuasia, purché sia un galantuomo, è sempre una persona degna di rispetto. È assurdo stabilire discendenze e “pedigree” nel genere umano. Noi siamo italiani e basta».

Farinacci: “Un nemico“
7 dicembre: «Se fossi un vero tiranno me lo sarei già levato di mezzo. Ma io da buon romagnolo stringo la mano anche ai miei nemici, li tengo d’occhio ma li lascio dove sono».

Finlandesi: “Patrioti“
6 dicembre: «Tutto il popolo di Finlandia è animato di purissimo patriottismo, [...] sdegno per la proditoria aggressione dell’Unione Sovietica [...] Le grasse plutocrazie si commuovono ma restano a guardare».

Francesi: “Livorosi“
14 febbraio: «La guerra contro la Francia è inevitabile [la dichiarerà 16 mesi dopo, ndr]. Non si tratta di pazientare o far finta di niente. Non si tratta di mettere avanti rivendicazioni che possono anche essere trascurate. La Corsica? Ma a che serve la Corsica? A niente. Contano le provocazioni continue e un liquame d’odio ingiustificato. Dileggio, disprezzo, dispetto - “Les sales macaroni” - e poi? Non posso rendermi conto perché questo crescente livore espresso dalla Francia per noi».

Gerarchi: “Mediocri“
5 gennaio: «Non vi sono soltanto pecore nel mio gregge - ma caproni, lupi, sciacalli, torelli e abbastanza spesso anche lumache».
18 febbraio: «Non va, non va. Gli uomini che stanno ai posti chiave di questo nostro Regime sono dei piccoli irresponsabili, vittime arrese a tutte le debolezze umane».
9 dicembre: «Il livello dei miei collaboratori è molto mediocre, questo lo so».

Grandi: “Untuoso“
7 dicembre: «[Dino] Grandi, eccellente simulatore, si è creato un epicentro di supremazia, un piccolo dominio privato. È un giullare perfetto, untuoso».

Graziani: “Spietato“
30 dicembre: «Dopo quell’attentato in Etiopia è diventato eccessivamente vulcanico, sospettoso, spietato. Non c’è ragione d’essere spietati, quei poveracci laggiù hanno già scontato il mal fatto, non era il caso d’infierire. Non sanno manovrare l’indulgenza, la pazienza e la generosità».

Guerra
9 dicembre: «Non è vero che non so che le [nostre] Forze Armate sono deficienti di tutto. Non mi spingo in guerra per spirito di avventura. Io sono italiano e voglio la grandezza dell’Italia. L’occasione è forse irrepetibile. L’alleanza con la Germania è garanzia di successo. Non posso respingere quanto ci offre il destino».
25 dicembre: «Una guerra non può avere né una vittoria né una sconfitta, poiché prevale sempre la sconfitta sia nei vinti che nei vincitori».
Hitler: “mi fa vomitare“
2 gennaio: «È difficile sapere se il progetto di alleanza con la Germania sarà propizio o meno. La proposta di Ribbentrop potrebbe essere anche un tranello. Non c’è altra scelta. Non c’è. Come la penso? Non mi va - ecco, non va. Mi sento titubante e insicuro»
7 gennaio: «Ho cercato di leggere qualche brano del Mein Kampf: è un rigurgitativo. L’autore lo chiama la Bibbia della Nuova Germania! Crede di aver ideato un capolavoro».
31 dicembre: «Deposto l’abito del Führer si trova un altro Hitler, che ama le focacce dolci, teme lo sport, si corica avvolto in una lunga e ridicola camicia da notte, conversa con impegno con i propri cani e ama il profumo dei mughetti...».

Inglesi: “Niente guerra“
1 dicembre: «Siamo contrari alla guerra, anzi io personalmente lo sono. Non sono animato da particolare rancore contro Londra [sei mesi prima di dichiarare guerra all’Inghilterra, ndr]».

Massoni: “Pagliacci“
4 gennaio: «I massoni? Ma mi fanno ridere... Come si può dare credito a una così buffonesca congrega? Fra triangoli, teschi, puntoni, martelli e muratori, guanti e grembiuli, si sostiene una delle più potenti sette del mondo. Forse nel secolo scorso poteva ancora essere tollerata, ma oggi - tutto il rituale della massoneria è assolutamente pagliaccesco e financo pietoso».

Muti: “Un disastro“
30 dicembre: «Muti [nuovo segretario del Partito fascista, ndr] un disastro povero figlio, con un livello d’intelligenza assolutamente inferiore alla norma. (...) Ho fatto largo ai giovani. I vecchi sono pesanti, retrogradi. Ma i giovani agiscono d’istinto e sbagliano. Le questioni scabrose o delicate i pivelli le affrontano a scatafascio».

Papa: “Niente politica“
2 gennaio: «Chiarificazione con l’ambasciatore presso la Santa Sede sulla strainvadenza del Vaticano - è tempo di mutar parere. Lo Stato è lo Stato e la Chiesa deve seguire la sua missione - santa che sia - ma soltanto nell’ambito della morale cattolica».
10 febbraio: «Il Papa [Pio XI, ndr] è morto. Volle la conciliazione - evento grandioso, eccezionale. Modestamente ebbi l’onore di esserne l’esecutore per parte del governo italiano. Achille Ratti era un papa straordinario, devo ammetterlo. Non posso prevedere quale sia il nuovo Papa. Desidero soltanto che sia un pastor angelicus e non un politicante e un intrigante. Politicanti siamo già noi, e mi pare che si sia anche in troppi».

Patto d’acciaio: “Male“
26 maggio: «L’art. 3 non può essere da noi accettato. Avevo avvertito Ciano di mettere in evidenza la nostra impreparazione militare e l’impossibilità di accettare un conflitto prima di alcuni anni di riassetto delle forze di terra e dell’aria».

Polacchi: “Cocciuti“
17 gennaio: «La diplomazia polacca finirà per ridurre la Polonia a un’espressione geografica. I polacchi sono cocciuti, beffardi e non opportunisti e il loro grande valore in guerra, già dimostrato in passato, in questo caso sarebbe cagione di un irrimediabile disastro. Oggi opporsi alla Germania o alla Russia vorrebbe dire per la Polonia l’annientamento totale».

Roosevelt: “Zio d’america“
2 gennaio: «Roosevelt ha i suoi segreti progetti e non soltanto di natura idealistica - perché gli ebrei (fra i quali ho avuto ed ho ancora i migliori amici) sono degli abilissimi affaristi. Roosevelt sarà sempre lo zio d’America che sosterrà le due nipoti Francia e Inghilterra, e se ci sarà una prossima guerra l’America sarà con loro. Si dice che quando l’anchilosato presidente degli Stati Uniti è a tavola considera il coltello per colpire, la forchetta per sforchettare e il cucchiaio per far ingoiare veleno ai suoi nemici».

Se stesso: “Mi odieranno“

24 gennaio: «Non sono vendicativo, tanto meno sanguinario. Mi sento forte, ho un istintivo senso del dominio. I forti non annientano mai i propri nemici. Anzi, non li considerano nemmeno tali».
25 gennaio: «L’entusiasmo e l’esaltazione che mi dimostrano, più che essere sentita, è un passaggio in crescendo di emozioni che di punto in bianco potrebbe mutarsi con la stessa facilità in odio».

Starace: “Un cretino“

16 aprile: «Quel cretino di Starace pretende da tutti il saluto fascista, in questo caso [incoronazione di Vittorio Emauele III a re d’Albania, ndr] inopportuno e irritante». [Mussolini lo destituirà da segretario del Partito fascista sei mesi dopo, ndr].

Il re: “Ridicolo”

20 gennaio: «Chi lo vede la prima volta, trattiene lo stupore: Oh! è piccolo! Non lo immaginavo così!... Lui, il re, non si è mai rassegnato per la ridotta statura, se n’è fatta un’infelicità, un tormento. In questi casi si difende con il distacco altezzoso, inaccessibile. Si pone di fronte agli astanti in posizione sfavorevole ed è mal giudicato. Lo stesso modo di fare non gli confà simpatia; il frasario breve a scatti, lo sguardo gelido, l’apparire su quel volto ormai segnato dal tempo, avvizzito e stanco, di un improvviso sorriso darebbe quasi l’impressione di attenuare le distanze. Invece no, niente, lui è il re e gli altri sono gli altri. O il “sovrano” si trasforma completamente o rimane un personaggio da favola, fra il ridicolo e il grottesco. Non abbiamo bisogno di simboli, ma di personaggi vivi e di buona forza – capaci di assumersi responsabilità da crepacuore».
5 febbraio: «Il re è un personaggio paludato di broccato, con corona in testa e scettro in mano, su un cocchio a molti cavalli che fa divertire gli infanti. Oggi il re fa ridere. I re, le regine i principi e tutto il vivaio blasonato che affligge ancora la società moderna devono essere dimenticati».

a cura di Mauro Suttora

Monday, October 29, 2001

Dopo le Twin Towers: radicali filo-Usa

DOPO L'11 SETTEMBRE: W GLI STATI UNITI, SEMPRE

di Mauro Suttora
Il Foglio, 29 ottobre 2001

«Se veniamo, portiamo le gigantografie di Roosevelt e di Milton Friedman». Marco Pannella promette (minaccia?) una presenza «non banale» dei radicali alla manifestazione pro-Usa del 10 novembre a Roma. «Oppure srotoliamo dal Pincio o da un aereo uno striscione immenso, lungo 40 metri, con le bandiere di Stati Uniti, Gran Bretagna, Israele e la nostra, quella con il viso di Gandhi».

Franklin Delano Roosevelt e il capo degli economisti di Chicago non hanno nulla in comune, tranne la nazionalità americana e l’antiproibizionismo: il presidente del New Deal legalizzò gli alcolici, il Nobel liberista vuole liberalizzare anche lo spinello.

Ma la lingua di Pannella batte dove il dente duole. Perché i radicali sono i precursori dell’Usa Pride: da 15 anni propugnano istituzioni americane (presidenzialismo a turno unico), giustizia americana (pubblica accusa distinta dai giudici), economia americana (mercato libero e privatizzazioni).

Dalla guerra del Golfo dicono sì, loro nonviolenti e antimilitaristi, a tutti i bombardamenti Nato su Irak, Bosnia e Kosovo. Dopo l’11 settembre sono stati i primi a manifestare per gli Stati Uniti, raccogliendo per strada firme su 25 proposte di legge all’ombra di bandiere a stelle e strisce, Union Jack e stelle di Davide. Il giorno della Perugia-Assisi sono andati polemicamente a omaggiare i soldati britannici in un cimitero di guerra umbro.

Ma sabato scorso, dopo i messaggi di Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi al convegno a San Patrignano, Pannella è stato anche il primo ad accusare di «neofascismo» la politica del Polo sulle droghe. E domenica Emma Bonino ha rincarato su Repubblica, giornale che normalmente la ignora (silenzio sulla sua guerra personale ai talebani, iniziata cinque anni fa), ma che la intervista appena dice «qualcosa di sinistra», cioè di libertario. Fatale, quindi, che a questo punto la bruciante attualità politica faccia premio sulla collaudata sintonia fra filoamericani.

Peccato, perché le prime reazioni radicali all’annuncio della marcia per le vittime di Manhattan era stata entusiasta: «Finalmente potremo riannodare il dialogo con i simpatizzanti del Polo, che tanto hanno contribuito all’otto per cento della lista Bonino nel ‘99», esultavano i dirigenti Antonello Marzano e Vasco Carraro.

Adesso invece prevale la cautela: «Non sappiamo nulla, neanche se ci invitano, se ci coinvolgono», prende le distanze Pannella, «quindi sarà il nostro Comitato, riunito dal primo al 4 novembre, a decidere sulla partecipazione ufficiale dei radicali. I quali comunque sono liberissimi di andarci. Leggo però che la cosa si sta trasformando in una manifestazione musicale, mentre noi sollecitiamo un massimo di connotazione politica per assicurarne il successo. Perché la nostra non è solidarietà generica: noi manifestiamo a favore delle istituzioni americane, proprio come forma organizzata della democrazia. Altro che “solidarietà al popolo americano”, come dice Bertinotti: lui è amico dei popoli ma nemico di tutti i loro governanti, basta che siano democraticamente eletti. A co minciare dai G8. Viceversa, è amico di tutti coloro che li opprimono, i popoli. L’unico bersaglio degli antiglobal è la democrazia - capitalista, naturalmente, anche perché altro tipo di democrazie non si conosce».

La tentazione del «pochi ma buoni» per Pannella è forte: «Il 10 novembre potremmo pure andarcene a Nettuno, dove c’è uno dei più grandi cimiteri militari americani d’Europa». Ma i radicali non erano antimilitaristi? «Auspichiamo anche oggi una conversione graduale delle spese belliche in strutture di aggressione nonviolenta contro le dittature del mondo».

E i bombardamenti in Afghanistan? «Ora siamo in ballo e dobbiamo ballare: questi governanti e generali americani non sanno fare granché, ma le armi che hanno a disposizione sono queste. E noi nonviolenti non sappiamo offrire armi alternative. Avvertiamo, però: all’interno della nuova sacra alleanza fra America, Russia e Cina possono esserci i mostri di domani. Il leader cinese resta un assassino, e Bush che va da lui a Shanghai rischia di ripetere Monaco e Yalta».

I radicali hanno passato tutti gli anni ‘80 ad ammonire su Saddam Hussein, il decennio successivo a puntare il dito contro Slobodan Milosevic, e il giorno dopo che i talebani presero Kabul nel ‘96 già facevano le Cassandre.

Profeti inascoltati?
«È un nostro vizio antico e gigantesco», ironizza Pannella, «quello di occuparci di gente che non ci può votare. E c’è anche la garanzia che in Italia nessuno parli di coloro dei quali ci occupiamo».

Cioè?
«Quattro giorni fa cinque nostri esponenti sono andati nel Laos comunista e hanno fatto la stessa cosa che nello stesso luogo, nello stesso posto e nella stessa data avevano osato fare cinque studenti laotiani il 26 ottobre 1999: hanno esposto uno striscione con la scritta “Democrazia per il Laos”. Di quegli sventurati non si sa più nulla: se sono vivi, morti, in carcere, dove. Desaparecidos. Ma anche dei radicali gli italiani non hanno saputo quasi nulla. Eppure fra loro ci sono Olivier Dupuis, segretario del partito ed eurodeputato eletto in Italia, Bruno Mellano, consigliere regionale in Piemonte, il capo dei radicali russi Nikolai Kramov, oltre a Massimo Lensi e a Silvja Manzi. Se si fossero fatti rapire nello Yemen, tutti ne avrebbero parlato. Invece, silenzio totale da parte dei nostri boss tv: Vespa, Santoro, Biagi, Costanzo, anche Lerner».
Mauro Suttora